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Patologia Clinica Volume IX/X - Numero Marzo-Dicembre 1994, 1995

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Giornale Italiano di

Patologia Clinica

Volume IX/X - Numero 1-4 - Marzo-Dicembre 1994, 1995

Risposte proliferative dei linfociti ai mitogeni

F. ZAGAMI

Laboratorio di Patologia Clinica, Ospedale Civile, Randazzo (CT)

Un antigene dichiaratamente immunogenico introdotto in un organismo induce una serie di modificazioni cellulari che comportano alla fine una risposta dell'ospite contro questo.

Le cellule interessate a questo processo sono rappresentate dai linfociti T che riconoscono antigeni associati a membrane cellulari e dai B i quali riconoscono antigeni solubili.

Questo riconoscimento e mediato da recettori specifici presenti sulla membrana citoplasmatica dei linfociti oppure, come nel caso degli anticorpi, dalla forma solubile del recettore di membrana.

La struttura preposta al riconoscimento dell'antigene o mitogeno presente sulla maggior parte dei linfociti T e il recettore per 1’antigene (TCR), un eterodimero legato da ponti disolfuro intra ed intercatena, composto da due catene, αe β, di peso molecolare variabile tra i 40 e i 50 kD.

Le due catene del TCR, codificate dai geni V (variabili), D (diversita), J (giunzione) e C (costanti) posti sui cromosomi 7 e 14, sono, analogamente alle catene delle immunoglobuline, formate da parti costanti e parti varia- bili; queste ultime direttamente implicate nel legame con il determinante antigenico.

L'assemblaggio molecolare di parti variabili e costanti utilizza meccanismi ricombinatoriali molto simili a quelli usati dalle immunoglobuline, garantendo la copertura di un repertorio di riconoscimento antigenico altrettanto vasto.

Il TCR riconosce e lega frammenti antigenici solo se associati a molecole del complesso maggiore di isto- compatibilità (MHC) espresse sulla membrana di parti- colari cellule capaci di «processare» e «presentare » l’antigene.

Tali cellule presentanti l’antigene (APC) possono fago- citare l’antigene proteico, digerirlo parzialmente in peptidi e associare intracellularmente tali peptidi a molecole di MHC di classe II. Il complesso antigene-MHC cosi formato e trasportato in membrana e disponibile al riconoscimento da parte del TCR.

In modo analogo, qualora il peptide antigenico sia sinte- tizzato all'interno dell'APC, nel caso per esempio di proteine virali sintetizzate nella cellula infettata da un virus, esso viene associato intracellularmente a molecole di MHC di classe I e successivamente esposto in membrana, per essere riconosciuto dal TCR.

In linea generale, 1'antigene associato a MHC di classe II viene riconosciuto da linfociti T esprimenti il CD4,

mentre 1'antigene associato a MHC di classe I viene riconosciuto da linfociti esprimenti i l CD8.

E’stato dimostrato che CD4 e CD8 prendono parte all'in- terazione tra linfocita T e APC, in quanto il CD4èin grado di legare regioni monomorfe di MHC di classe II, mentre il CD8 lega regioni monomorfe di MHC di classe I.

CD4 e CD8 in stretta associazione con il TCR partecipano al riconoscimento del complesso antigene-MHC, stabiliz- zandone il legame e regolando la trasmissione del segnale di attivazione intracellulare che ne deriva.

Il riconoscimento da parte del TCR del complesso antigene- MHC determina la generazione di un segnale di attivazione cellulare attraverso la fosforilazione di componenti di un complesso proteico invariante, denominato CD3.

Il CD3 è un complesso molecolare formato da tre catene transmembranarie γ, δ, ε,di peso molecolare tra 27 e 22 kD, fisicamente associate non covalentemente al TCR.

Al CD3 èassociato il dimeroζ-ζcomposto da due catene di peso molecolare 21 kD, anch'esso determinante nella trasmissione del segnale.

Si ipotizza che al complesso CD3/ζ-ζsia collegato almeno una proteina legante il GTP (guaninatrifosfato), in grado di trasformare il segnale nell'attivazione di particolari fosfolipasi.

L'attivazione della fosfolipasi risulta controllata anche da una proteina transmembranaria, il CD45, espressa ad alti livelli (>1 06 molecole per cellula) su tutte le cellule emopoietiche ad eccezione degli eritrociti, la quale con la porzione transmembranaria esterna risulta collegata al complesso TCR/CD3.

Che il CD45 risulti assolutamente necessario per la proliferazione indotta da antigeni solubili sulle cellule T e dimostrato dal fatto che impiegando anticorpi anti-CD45 si induce inibizione della risposta da parte di mitogeni sui T e B riducendo l'attivazione cellulare e la proliferazione a vari stimoli.

L'attivazione del complesso TCR/CD3 determina riar- rangiamenti della parte intracitoplasmatica del CD45 che attiva due importanti tirosina-kinasi, fisicamente associate al supercomplesso molecolare TCR/CD3/ζ-ζ/CD4 (o CD8), la p561ck e la p59fyn, entrambe prodotti di oncogeni cellulari della famiglia di c-src, associate rispettivamente, in modo non covalente, al CD4 (o CD8) e al CD3.

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Queste kinasi rapidamente fosforilano residui di tirosina su diversi substrati intracellulari, includenti il dimero ζ-ζ, evento chiave nella trasmissione e successiva modulazione del segnale, il fosfatidil-inositolo-specifico fosfolipasi C (PLC), che idrolizza il fosfatidilinositolo difosfato (PIP2) di membrana in diacilgicerolo (DAG) e inositolo trifosfato (IP3) .

Il DAG e direttamente responsabile dell'attivazione della proteina kinasi C (PKC), una kinasi in grado di fosforilare diversi substrati regolandone la funzione. L'IP3 determina il rilascio nel citoplasma del Ca2+ trattenuto in particolari serbatoi intracellulari.

II segnale trasmesso dal CD3 inoltre apre canali del Ca2+

transmembranari, permettendo il flusso di Ca2+ dal- l’esterno della cellula nel citoplasma.

L’aumentata disponibilità di Ca2+ libero all’interno del citoplasma permette l’attivazione ottimale e prolungata nel tempo di varie kinasi Ca2+ dipendenti, PKC inclusa.

Diverse kinasi, delle quali solo poche identificate, vengono coinvolte a cascata durante l'attivazione cellulare che segue il riconoscimento.

Il segnale, partito dal TCR, viene trasmesso, attraverso l’implicazione di nuclear factor (NF65-60), al nucleo con modalità a tutt'oggi sconosciute nei dettagli, fino a determinare l’induzione della trascrizione di particolari set di geni, codificanti proteine necessarie all' amplificazione, prolungamento e regolazione del processo di attivazione.

Tra queste proteine neosintetizzate vi sono proteine a struttura recettoriale che verranno espresse in membrana, come il CD69, il recettore per l’interleukina-2 (rIL-2) e il recettore per la transferrina.

Altre proteine a funzione regolatoria extracellulare, tra cui il γ-IFN, una serie di interleukine, il GM-CSF, verranno secrete per espandere numericamente il clone capace di riconoscimento dell'antigene e reclutare altri linfociti T o altre cellule alla risposta di difesa.

Tutte queste modificazioni biochimiche comportano intensi fenomeni metabolici (aumento della sintesi di DNA, RNA e proteine, aumento degli organuli citoplasmatici, intensificazione del metabolismo energetico per aumento del trasporto intracellulare di glucosio da utilizzare nella glicolisi anaerobia) che conducono le cellule dalla fase Go (cellule inattive) a quella G1 (attivazione) che attraverso la fase S (replicazione) conduce alla mitosi (fase M).

Le varie fasi si traducono sul piano morfologico in un aumento di volume degli elementi che delle cellule non attivate (Go) sciftano attraverso gli intermedi, cellule in cui e evidente un aumento della basofilia citoplasmatica (G1), nei blasti in cui le cellule presentano un nucleo a cromatina molto più fine e nucleolato (S) ed infine nelle figure mitotiche (M).

E possibile apprezzare queste modificazioni «in vitro»

attraverso il test di blastizzazione, metodica da eseguire in sterilità sotto cappa, consistente nella conta, in microscopia ottica, della percentuale delle cellule attivate sul totale di quelle rimaste integre, dopo loro coltura short term in medium contenente un mitogeno.

In alternativa, la conta dei blasti può essere effettuata analizzando l’incorporazione di timidina triziata nel DNA delle cellule attivate; la misura del grado di captazione da informazione sul numero di cellule nelle quali è in atto la maggiore sintesi del DNA, indice della blastizzazione in divenire.

Protocollo della metodica per il test di blastizzazione dei linfociti

Materiali

1) Incubatore ad aria.

2) Cappa sterile a flusso laminare verticale.

3) Pipette automatiche sterili (300, 100 e 50µl) e relativi puntali sterili.

4) Pipette graduate in plex sterili da 5 e10 ml (Bio Merieux).

5) Pasteur in plastica sterili a contenuto singolo (Bio Merieux).

6) Provette siliconate sterili da 10 e 7 ml (Becton- Dickinson).

7) Bagno termostatico ad acqua.

8) Magnete.

9) Camera di Burker.

10) Vetrini portaoggetto.

11) Microscopio ottico con obbiettivi 100 e 40 x.

12) Provette coniche da 10 ml graduate sterili.

13) Centrifuga basculante.

14) Eparina priva di conservanti: prodotto farmaceutico tipo Liquemin ad alto grado di purificazione contenente 5000 UI di eparina per ml. Per conoscere i µl di eparina da aggiungere a 10 ml di sangue, sapendo che per 10 ml sono necessari 100 UI/ml di eparina (10 UI/ml) si applica la seguente proporzione:

EUI : ML = QE : UEC in cui

EUI = Unità di eparina necessarie in 10 ml di sangue;

ML = Quantità di sangue 10 ml;

QE = Quantità in ml di eparina da prelevare dal flacone di Liquemin (Roche) da porre in 10 ml di sangue;

UEC = Concentrazione in U.I. di eparina del Liquemin per ml.

100: 10 = X : 5000

= 0.2 ml di Eparina da 5000 UI/ml da aggiungere a 9.8 ml di sangue.

Se si lavora con quantitativi diversi basterà applicare una proporzione.

15) Filtri a membrana di acetato di cellulosa da 0.22 µ (Sera-Lab).

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16) Cells Diluition Buffer (CDB): tampone costituito da una soluzione A (Glucosio 1,0 g, CaCl2•2 H2O 0.0074 g, MgCl2•6H2O 0.1992 g, KCl 0.4026 g, TRIS 17.565 g disciolte in circa 800 -900 ml di acqua bidistillata, quindi aggiustare il pH a 7.6 con HCl 10 N e portare a volume, aliquotare in flaconi di vetro scuro con tappo e fissaggio con ghiera ed autoclavare per 45 minuti a 120°C) e da una soluzione B (NaCl 8.19 g in 1000 ml di acqua bidistillata e quindi autoclavare come per A) da cui si ottiene la soluzione di lavoro (CDB-W) attraverso il mescolamento di una parte di soluzione A con 9 parti di soluzione B. La CDB-W cosi preparata e stabile per una settimana se conservata a +2-8 °C.

17) Ficoll-Paque (Pharmacia): ogni 100 ml contengono Ficoll 400 5.7 g, Diatrizoate di Sodio 9.0 con Edetate calcico disodico in acqua bidistillata. Va conservato a +4

°C, temperatura che ne aumenta il mantenimento della soluzione, mentre la presenza di un colore giallastro della soluzione o di materiale particolato indicano che questa si e deteriorata.

18) Ago di Luer per paracentesi: 20G x 90-771/m [86H]

Luer Lock (Icogamma).

19) Ferro Carbonile (Fluka): sostanza che va sterilizzata net seguente modo: porre circa 1 g della polvere in una bottiglietta di vetro scuro, chiudere con tappo a vite e avvolgere la stessa con carta argentata, quindi sterilizzare a secco a 150°C per 1 ora.

20) RPMI-1640 Medium polvere (Flow): tra questi il terreno che ha le migliori caratteristiche ed una più lunga durata (circa 1 anno), sempre sotto forma di polvere, è quello che contiene 20 mM di HEPES e 300 mg/L di L- glutamina, senza sodio bicarbonato, mentre lo stesso in forma liquida ha una durata di circa 4 settimane. Il terreno, sia sotto forma di polvere che liquida, va conservato a 2-8 °C.

21) Sodio-Bicarbonato 7.5% (Flow) : prima di portare il terreno ad un litro, aggiungere 27 ml di sodio bicarbonato.

22) Soluzione Penicillina-Streptomicina da 100.000 U- 100.000 µg/ml: può essere preparata partendo dai prodotti per uso terapeutico (Penicillina 1.000.000 U/Streptomicina 1.000.000 µg), dissolvendo i rispettivi quantitativi in 10 ml di acqua deionizzata sterile, che andranno poi aliquotate, all’incirca 1.5 ml, in provette di plastica sterili e conservate a -20 °C. Dato che ogni ml di RPMI-1640 con bicarbonato deve contenere 100 U di Penicillina/l00 µg di Streptomicina si aggiungerà a 999 ml del terreno 1 ml di soluzione antibiotica.

23) Siero (FCS-hight inactivated virus & micoplasma free [Flow] - o Siero Umano AB - hight inactivated virus &

mycoplasma free - [Sigma]) : al ricevimento questo va completamente scongelato ed aliquotato in quantitativi da 10 ml e quindi conservato a -20 °C. Prima dell'utilizzazione il siero va filtrato su filtri da 0.22 µ.

Dato che la composizione del siero varia da animale ad animale donatore, e necessario che ogni laboratorio, prima di acquistare un notevole quantitativo di siero dello stesso lotto, valuti, su un campione di questo, la

risposta proliferativa al mitogeno/i che fa parte del pannello.

24) Trypan Bleu: NaCl 138.6 mmol, K2HP O43.44 mmol, Trypan Bleu 4.16 mmol filtrato sterile.

25) Mitogeni PHA, PWM, ConA (Seromed): il termine

«lectina» include tutta una serie di sostanze che hanno la capacita di agglutinare cellule, ma che manifestano anche una particolare attitudine ad indurre la mitosi su vari tipi cellulari. La maggior parte delle lectine studiate sono molecole multimeriche, consistenti di subunità associate non covalentemente potendo contenere una o più subunità simili (Concanavalina A), o differenti (PHA).

a) Concanavalina A (ConA): e una lectina isolata dai semi di Concanavalia ensifonnis (p.m. di 110.000 dal-tons) che stimola la mitosi dei soli T-linfociti e i cui siti attivi sono il glucosio, mannosio e i fruttofuranosidi.

b) Phytohemaglutinina (PHA) : estratta dalla Phaseolus vulgaris è costituita da 2 differenti tipi di subunità che costituiscono un tetramero (4 subunità uguali a due a due) delle quali una, chiamata subunita «E » (Eritroagglutinina), appare coinvolta primariamente nell'agglutinazione delle emazie, mentre 1'altro tipo e coinvolto nell' agglutinazione dei linfociti e nell' attivita mitogenica ed è stata chiamata subunità «L» (Leucoagglutinina). La combinazione delle varie subunità tra loro produce 5 isolectine delle quali una possiede quattro subunità «E»

(PHA-E) dimostrante molta attività emoagglutinante ma una piccola attività mitogena, e una con quattro subunità

«L» (PHA-L) che non presenta attività agglutinante per le emazie ma è un potente mitogeno.

Le altre isolectine, chiamate E3-L1, E2-L2 e El-L3, hanno eritroagglutinazione e attivita mitogenica proporzionale al numero delle rispettive subunita «E» o «L».

Tutte queste isolectine sono glicoproteine con p.m. di 125.000 daltons e punto isoelettrico intorno a pH 5.2 per PHA-L e pH 6.0 per PHA-E, la forma ad attività mitogena stimola la mitosi dei T-linfociti il cui sito attivo è rappresentato dalla N-acetil-galattosamina.

c) Pockweed Mitogen (PWM): estratto dal rizoma di Phytolacca americana ha un peso molecolare di 30.000 daltons, dimostra una spiccata attività mitogena indu- cendo la trasformazione blastica dei B e T-linfociti, esprimendo in particolare una attivazione B linfocitaria T dipendente e in cui è pertanto necessaria la presenza nella coltura delle APC.

d) Proteina A dello stafilococco aureo ceppo Cowans I, Lipopolisaccaride (LPS), Siero antimmunoglobuline umane: sono attivatori dei B linfociti T indipendente.

26) Liquido di fissaggio (Fluka): costituito da 1 parte di Acido Acetico glaciale e da 3 parti di Etanolo o Metanolo.

27) Coloranti per periferico: costituito da due coloranti, uno (E) contenente 1.072 mmol di Eosina G in tampone fosfato (70.36 mmol Na2HPO4•12H2O/91.85 mmol KH2PO4) a pH 6.6 e l’altro (MA) composto da 5.0 mmol di Blu di metilene e 3.43 mmol di Azzurro A sempre in tampone fosfato a pH 6.6.

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Metodo

A) Prelievo del campione

Prelevare in condizioni di sterilità circa 5 ml di sangue (in soggetti dimostratisi preventivamente linfopenici od immunocompromessi andrebbe prelevato un volume di sangue 2 volte superiore) e porlo in provetta sterile siliconata contenente eparina.

Mescolare delicatamente per inversione e procedere, dato che trattasi di test funzionali che necessitano un'elevata quota di cellule vitali, nel più breve tempo possibile, all'esecuzione dell'indagine.

B) Eliminazione delle piastrine dal campione Centrifugare il campione a 150 g per 18 minuti.

Aspirare, aiutandosi con pipetta Pasteur, tutto il plasma ricco in piastrine (PRP) e annotare il volume che di questo e stato sottratto.

C) Diluizione del campione

Aggiungere CDB-W, aiutandosi con una pipetta graduata, al pacchetto cellulare nell'identica quantità del plasma sottratto.

Mescolare delicatamente per inversione e quindi operare una diluizione 1:2 del campione ematico impiegando sempre CDB-W. Mescolare delicatamente per inversione.

D) Separazione linfocitaria

Pone 5 ml di sangue (temperatura di 18-20 °C) diluito 1:2 in una provetta di vetro sterile siliconata.

Prelevare 2,5 ml di Ficoll-Paque (rapporto Ficoll- Paque/Sangue intorno a 2.5-5.0) con una siringa sterile, togliere 1'ago normale dalla siringa e sostituirlo con un ago di Luer, quindi spingere il pistone della siringa fino a che le prime gocce del Ficoll-Paque si affaccino all'apice dell’ago.

Inserire 1'ago fino a raggiungere il fondo della provetta, ove e contenuto il campione diluito; espellere lentamente tutto il liquido dalla siringa.

Tappare la provetta, evitando scosse alla stessa, durante l'operazione, per evitare mescolamenti, e centrifugare a 400 g per 30 minuti.

Al fine di velocizzare la metodica impiegando nel con- tempo quantitativi minori di soluzioni, la separazione linfomonocitaria puo essere effettuata sul buffy coat.

Nel caso che si vogliano studiare i linfociti dal liquido sinoviale, occorrerà trattare il liquido, sempre eparinato, con Jaluronidasi (Sigma) per 20 minuti a 37°C, per ridurne la viscosità.

Quindi si procederà alla diluizione con CDB-W come per il sangue periferico e alla separazione su gradiente. Al termine della centrifugazione, sempre con pipetta Pasteur, aspirare e scartare il tampone di diluizione lino all’anello linfomonocitario.

Raccogliere quest’ultimo fino all'inizio dello stato di Ficoll- Paque e porlo in provetta sterile siliconata da 10 ml.

Nel caso non si sia proceduto alla rimozione preliminare delle piastrine, questa può essere eseguita sottoponendo gli elementi recuperati ad una centrifugazione a 1000 r.p.m. in soluzione salina bilanciata.

E) Lavaggio degli elementi linfo-monocitari

Aggiungere al liquido raccolto circa 7 ml di RPMI-1640 + bicarbonato + soluzione antibiotica (RPMI-BA), mescolare, aiutandosi con Pasteur, e centrifugare a 400 g per 10 minuti.

Scartare quindi il surnatante, per svuotamento, e riso- spendere il pellet sempre in RPMI-BA; ripetere l'opera- zione per altre 2 volte.

F) Eliminazione degli elementi monocito-macrofagici Alla fine dell'ultimo lavaggio, scartare it surnatante e risospendere il pellet in 1.8 ml di RPMI-BA addizionato con 0.2 ml di Siero (RPMI-BAS al 10%) a cui va aggiunta una punta di spatolina (circa 25-35 mg) di Ferro-Carbonile.

Mescolare delicatamente, con una Pasteur; porre a 37°C in camera calda per 30 minuti, agitando delicatamente ogni 10 minuti.

Allo scadere dell'incubazione, aiutandosi con un grosso magnete, attirare tutto il Fe rro-Carbonile alle pareti della provetta e aspirare con una Pasteur il terreno ponendo attenzione a non aspirare anche il Ferro-Carbonile.

Porre il prelevato in provetta di vetro sterile siliconata, centrifugare a 400 g per 5 minuti, scartare il surnatante e risospendere il pellet con 0.8 ml di RPMI-BA + 0.2 ml di Siero (RPMI-BAS al 20%).

G) Conta e vitalità delle cellule separate

Impiegando pipette sterili di Thoma per la conta dei globuli bianchi aspirare fino al segno 1 la sospensione cellulare e diluire fino a 11 con Trypan Bleu.

Agitare ed attendere per non pin di 5 minuti.

Riagitare, far defluire le prime gocce dalla pipetta e montare in Camera di Burker.

Contare tutti gli elementi presenti in un quadrato grande, come per conta dei bianchi.

Fare una media di almeno 3 quadrati grandi e quindi applicare la seguente formula:

NMrC x Dil x VC = Nco dove:

NMrC = Numero di cellule medio relativo alle conte in 3 quadrati grandi della camera;

Dil = Reciproco della diluizione eseguita (11);

VC = Volume della Camera di Burker che e una costante ed e di 10.000;

Nco = Numero di cellule ottenute/ml.

Per valutare la vitalità delle cellule conteggiate annotare l’ammontare delle cellule totali medie presenti nei 3 quadrati e il numero medio delle cellule che hanno preso il colore blu.

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I1 calcolo della vitalità va eseguito applicando:

N.C.C./N.C.T. x 100 dove:

N.C.C. = Numero medio di cellule per quadrato che hanno preso il colore blu, cioè cellule morte;

N.C.T. = Numero medio di cellule totali per quadrato.

II valore ottenuto esprimerà la percentuale di cellule morte.

Per l'esecuzione del test impiegare sospensioni cellulari che dimostrino una vitalità superiore all’85% con una percentuale di cellule morte inferiore al 15%.

H) Aggiustamento delle cellule alla concentrazione di lavoro

Dato che la concentrazione cellulare di lavoro per il test di linfoblastizzazionee di circa 2.0 ± 0.5 x 106cellule/ml e che rispettivamente per ogni test e unico controllo sono necessari 2 ml di sospensione cellulare, la concentrazione cellulare utile che deve essere presente nell’ml iniziale sarà data dal numero dei mitogeni test da impiegare assommato all'unico controllo moltiplicato per la concentrazione cellulare di lavoro ulteriormente moltiplicato per 2 (ml necessari per ogni test).

In genere, con la tecnica da noi riportata, i l numero assoluto degli elementi resi risulta superiore al la concentrazione cellulare voluta (C.C.V.).

Pertanto è necessario operare una diluizione degli stessi applicando la seguente formula:

C.C.V./Nco

che darà gli ml di sospensione da prelevare dall’unico ml a cui andranno aggiunti tanti ml di RPMI-BAS al 20% quanti sono necessari per raggiungere gli ml utili (numero dei tests assommati all'unico controllo moltiplicato per 2) per l’esecuzione dei tests.

I) Stimolazione con mitogeni

Dispensare in provette di vetro siliconate da 7 ml, 2 ml di sospensione cellulare per prova e nel controllo aggiungere, solo nella provetta prova, 20 µl di mitogeno; mescolare e incubare a 37 °C in camera calda per 72 ore.

L) Sacrificio delta coltura

Allo scadere delle 72 ore, centrifugare a 400 g per 10 minuti, scartare tutto il surnatante in modo da portare il pellet allo stato secco e quindi risospenderlo con 350 µ1 di liquido di fissaggio aiutandosi con una pipetta da 100 µl in modo da separare i mazzi cellulari.

Incubare per 10 minuti a temperatura ambiente, quindi centrifugare a 400 g per 10 minuti.

Scartare il surnatante, avendo cura di lasciare in provetta circa 100 µl del liquido di fissaggio.

Risospendere con cura il pellet aiutandosi con una pipetta da 50 µl.

M) Deposizione della sospensione su vetrino portaoggetti Impiegando vetrini portaoggetti asciutti, preventivamente lavati e sgrassati, deporre 50 µl della sospensione cellulare al centro del vetrino portaoggetti.

In tal modo il liquido si spanderà autonomamente su tutto il vetrino senza necessità di strisciare.

Quindi porre il vetrino ad asciugare in ambiente caldo.

N) Colorazione del vetrino

Colorare il vetrino immergendolo per 10 secondi in E, quindi lavare con acqua di fonte e colorare con MA per altri 10 secondi.

Infine lavare con acqua di fonte e far asciugare all'aria.

0)Valutazione morfologica della risposta

Con obbiettivo 100x in immersione vengono esaminati almeno 200 elementi annotando, sul totale delle cellule non modificate dal mitogeno, il numero dei blasti, intermedi e delle figure mitotiche.

Morfologicamente (Fig. 1, 2) questi elementi sono caratterizzati da:

a) Linfociti non modificati: nucleo denso e scarso cito- plasma (comuni linfociti).

b) Intermedi: diametro maggiore di 10 µ con citoplasma più evidente e francamente basofilo, mentre nel nucleo può cominciare ad evidenziarsi il nucleolo.

c) Cellule blastiche: nucleo a cromatina pi ù fine, con uno o più nucleoli; il citoplasma e abbondante ed iperbasofilo.

d) Figure mitotiche: evidenziazione dei cromosomi disposti secondo la fase della mitosi.

Per il calcolo sommare alla percentuale dei blasti e delle figure mitotiche i 2/3 degli intermedi; al valore ottenuto va sottratta la percentuale degli elementi modificati rilevati nel controllo.

Con la metodica riportata i valori normali per la PHA e ConA sono compresi fra il 55 e il 75%, mentre tra 35 e 55%

per il PWM e di 25-40% per gli altri mitogeni.

Conclusioni

II test di linfoblastizzazione eseguito attraverso la procedura soprariportata rappresenta, secondo noi, l’indagine che maggiormente rispecchia la fenomenologia osservabile in vivo, pur nella consapevolezza che essa non è esente da critiche.

L'indagine morfologica può generare errori dovuti soprattutto all’interpretazione soggettiva degli elementi, specialmente nella valutazione degli intermedi, anche se un costante esercizio può migliorare l’attivita discriminante.

A tale scopo, per una valutazione morfologica più obiettiva, si può, in associazione allo studio morfologico eseguito su strisci colorati ed osservati al microscopio, ricorrere alla lettura delle cellule in un contaglobuli elettronico che meglio esprime le variazioni di volume conseguenti all’attivazione cellulare.

(6)

Fig.1

Valutazione morfologica del test di linfoblastizzazione : (1) blasto, (2) intermedio, (3) figura mitotica, (4) linfocita

Fig.2

Valutazione morfologica del test di linfoblastizzazione : evidente figura mitotica.

D'altra parte, se si considera il metodo che utilizza la timidina tritiata, questo pone problemi di una certa rilevanza quali lo stoccaggio dei rifiuti tossici (isotopi β-emittenti), l’isolamento dell'ambiente di lavoro, le attrezzature necessarie, il costo elevato dei reattivi e soprattutto il lungo tempo di incubazione delle colture, generalmente 6-7 giorni, tempo eccessivo sia perchè la diagnostica corrente richiede rapidit à di esecuzione, sia perchè le cellule linfocitarie nelle colture prolungate tendono a deteriorarsi rendendo in tal modo poco preciso il dato di lettura.

Questo metodo, inoltre, fornisce dei dati in conta per minuto (cpm), che vengono impiegati come misura standard della risposta dei linfociti.

Per poter esprimere i dati, i cpm delle colture stimolate vengono divisi per i cpm delle colture non stimolate, il che fornisce un rapporto comunemente indicato come « indice di blastizzazione» che in realtà deriva da un puro calcolo matematico.

La metodica ideale, per valutare la funzione linfocitaria, deve fondarsi sia sul numero dei blasti formati, sia sulla loro efficienza funzionale.

Ciò può essere raggiunto attraverso la conta dei linfociti attivati, integrando il dato numerico con dati biochimici attendibili e facilmente quantizzabili (livelli di LDH intracellulare e dei recettori per l’Interleukina 2 nel surnatante o lo studio dei marcatori di attivazione e proliferazione sulla superficie dei

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In pratica, il test

é

adottato correntemente solamente con la PHA per ricavare una stima della quantità di linfociti T nel sangue periferico: questa quantità è marcatamente ridotta o quando i linfociti T sono diluiti da un eccesso di linfociti B (nella maggior pane dei casi di leucemia linfatica cronica) o quando si ha una grave depressione della immunità cellulare (malattia di Hodgkin, malnutrizione, tossicodipendenza, omosessualità, diabete, trattamenti immunodepressivi, malattie virali, neoplasie, ecc.).

In questi ultimi in particolare, gli indici dell'immunità cellulare andrebbero sempre indagati, prima, durante e dopo i trattamenti polichemioterapici e/o irradianti, allo scopo di valutare se e quanto it trattamento ha inciso sull’efficienza immunitaria.

Nei soggetti neoplastici the risultassero immunodefi- cienti fin da prima del trattamento terapeutico, bisogne- rebbe porsi il problema se sottoporli a trattamenti noto- riamente immunodepressivi.

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