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Gli intervalli di riferimento in Endocrinologia; il caso del TSH

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Academic year: 2021

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Ricevuto: 28-08-2009 Pubblicato on-line: 11-09-2009

Gli intervalli di riferimento in Endocrinologia;

il caso del TSH

R.M. Dorizzia M. Nizzolib

aLaboratorio Unico di AvR, Pievesestina di Cesena (FC)

bU.O. di Endocrinologia e Malattie metaboliche, Ospedale di Forlì

Corrispondenza a: Dott. Romolo M. Dorizzi, Laboratorio Unico di AvR, Piazzale della Liberazione n. 60, 47522 Pievesestina di Cesena (FC). Tel. 0547-394809, fax 045-74431187, e-mail: rdorizzi@ausl-cesena.emr.it

Riassunto

Il valore numerico di qualunque risultato di un esa- me di laboratorio non ha significato se non è con- frontato con “riferimenti” che permettono un giudi- zio e, di conseguenza, un’azione. I riferimenti più impiegati dal laboratorio sono gli “intervalli di riferi- mento” (IR) (valori di riferimento individuali, valori di riferimento di gruppo, livelli decisionali) che con- sentono di interpretare i risultati degli esami e di pren- dere decisioni cliniche. Il caso del TSH è sicuramen- te paradigmatico di quali intricate considerazioni in- tervengono nella definizione dell’intervallo di riferi- mento e di quali conseguenze può determinare lo scarso coordinamento tra laboratorio e clinico nella loro definizione ed impiego soprattutto per quanto riguarda il limite superiore. Le Linee guida dell’NACB del 2002 hanno promosso la rivisitazione del proble- ma dell’intervallo di riferimento per il TSH soste- nendo, infatti, che il limite superiore tradizionale compreso tra 4 e 5 mU/L non consente di discrimi- nare tra soggetti eutiroidei e soggetti con ipotiroidi- smo lieve dato che l’indagine condotta tra il 1972 e il 1974 nella contea inglese di Whickham ha determi- nato che livelli di TSH > 2.0 mU/L erano associati ad un maggiore rischio di sviluppare ipotiroidismo.

Tale segnalazione è stata seguita da ampio dibattito circa la opportunità e le implicazioni di un abbassa- mento del limite superiore dell’IR a 2.5-3 mU/L.

Negli ultimi decenni le prestazioni dei metodi anali- tici si sono drasticamente modificate con inevitabili conseguenze sulla concentrazione misurata ed, ine- vitabilmente, sugli intervalli di riferimento. Impor- tanti trial come il Colorado Thyroid Disease Preva- lence ed il National Health and Nutrition Examina- tion Survey (NHANES III) hanno impiegato meto- di che sono improvvisamente scomparsi dal merca- to.Una revisione narrativa della letteratura dimostra che 1) i metodi in commercio per il TSH danno risultati poco confrontabili; 2) il limite superiore degli IR del TSH riportati dagli studi condotti con i metodi at- tualmente in commercio in Europa è risultato tra 3.7 e 4.5 mU/L; 3) i cosiddetti metodi indiretti possono costituire un metodo alla portata del laboratorio cli- nico anche per la produzione di intervalli di riferi- mento per il TSH. Si ritiene che nella nostra area il limite superiore dell’IR per il TSH misurato con l’ana- lizzatore Centaur (Siemens Diagnostics) sia in Italia di 3.7 mU/L e quello per l’analizzatore Modular (Ro- che) sia di 4.3 mU/L.

Summary

Reference Intervals in Endocrinology: the case of TSHThe values of all the laboratory tests have no meaning without comparison to a reference that allows a judgment and therefore an action. The commonest reference in the laboratory are the reference intervals (RI) (individual refe- rence values, group reference values and decision limits) that allow the interpretation of the tests results and the medical decision making. The case of TSH is particularly significant of the several considerations that must be taken

in account in the definition of the RI and of the conse- quences of the lack of coordination between laboratory and clinics in the calculation of the limits and especially the upper one. The 2002 NACB guidelines recommended a revision of the TSH reference interval and stated that the traditional upper limit (around 4-5 mU/L) does not allow to discriminate euthyroidism from mild hypothyroidism.

Really, the Whickham survey, carried out between 1972 and 1974, reported that TSH concentration higher than 2 mU/L was associated to higher risk of hypothyroidism.

This paper opened a wide debate about the opportunity

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and the implication of lowering the upper limit down to 2.5-3 mU/L. In the last decade the performance of the analytical methods changed a lot with relevant consequen- ces on the measured concentration. Important trials, such as Colorado Thyroid Disease Prevalence and National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III), have been carried out using a method that has been sud- denly removed from the market. A narrative review of literature shows that: 1) the comparability of TSH results

of the methods marketed in Europe is low; 2) the upper TSH limit calculated using the methods available in Euro- pe are between 3.7 and 4.5 mU/L; 3) the indirect metho- ds can be used for calculating the TSH reference intervals.

According to our data, the TSH upper limit in our region using Centaur (Siemens Diagnostics) analyzer is 3.7 mU/L and using Modular (Roche) analyzer is 4.3 mU/L.

Key-words: Reference intervals, CLSI, endocrinology, TSH, Indirect methods.

Introduzione

Il problema degli intervalli di riferimento (IR) del TSH è dibattuto da molto tempo. Nonostante questo merita un update in quanto rimangono ancora aperti problemi sia di tipo speculativo che di tipo pratico che continuano a tro- vare eco nelle sedi più disparate ma che incidono non solo nella professione ed in sanità ma anche nella società nel suo complesso1. Dettagliate discussioni sul tema appaiono sul- la rete su siti che vanno da quello della American Associa- tion for Clinical Chemistry a quelli di “Tribunali del mala- to”. Due personaggi così diversi come Mary J Shomon, a

“patient advocate”, e Carol Spencer, Professor of Medi- cine della University of Southern Medicine concludono nello stesso modo: la concentrazione di TSH nei soggetti eutiroidei è inferiore a 2.5 mU/L. Quali sono le ragioni della signora Shomon2? Dopo avere ripreso le principali posizioni che American Association of Clinical Endocri- nologists (AACE), della National Academy of Clinical Bio- chemistry e della Endocrine Society conclude con un mes- saggio molto conciso ai pazienti:

1. Probabilmente il tuo medico sta ancora “usando” il vec- chio “range di riferimento 0.5-5”.

2. Non devi accettare che il tuo risultato sia semplicemente definito “normale”, alto o basso”. Devi verificare il va- lore numerico e devi confrontarlo con il “range norma- 3. Se il tuo livello di TSH è inferiore a “0.5 o superiore ale”.

2.5-3” ed il tuo medico ti dice che sono normali, chiedi- gli se è al corrente che, secondo l’AACE e le “Clinical Chemistry Laboratory Medicine Practice Guidelines”, il nuovo “reference range” è tra 0.3 e 3.0. Chiedi al tuo medico se considererebbe una diagnosi ed una terapia diversa sulla base di queste nuove informazioni.

4. Se il vostro medico si rifiuta di considerare il nuovo

“range” potete cercare un nuovo medico che è più re- cettivo nei confronti del cambiamento e delle nuove evi- denze e che sta praticando la professione in un modo più allineato con le linee guida dell’ACCE2.

Le conclusioni di questo autore così vicino alla medicina commerciale potrebbero non impressionarci più di tanto se non fossero richiamate, a parte i toni, da quelle di una comunicazione recentissima di Carol Spencer resa dispo- nibile sul sito della AACC3. Il limite superiore dell’IR il TSH è sceso in quarantanni, secondo autorevoli organiz- zazioni professionali e società scientifiche, da 10 a 2.5-3 mU/L. anche se la maggior parte dei laboratori continua ad usare limiti più alti. Il prestigioso ricercatore americano passa in rassegna le basi di tale abbassamento: non solo la continua evoluzione dei metodi analitici (quelli usati attual-

mente hanno prestazioni molto diverse tra di loro e non sono affatto comparabili con quelli usati in passato), ma anche per la numerosità dei fattori che influenzano la con- centrazione del TSH (fattori demografici, quadro autoim- munitario, introito di iodio, differenze nei metodi analitici con specificità diversa nei confronti delle diverse isofor- me, alcune delle quali possono essere inattive...)4. La rile- vanza del problema dal punto di vista professionale, so- ciale e pratico (per esempio nell’applicazione del TSH ri- flesso) conferma l’interesse dell’argomento5.

Gli intervalli di riferimento

Il valore numerico di qualunque risultato di un esame di laboratorio non ha significato se non è confrontato con

“riferimenti” che permettono un giudizio e, di conseguen- za, un’azione. I riferimenti più impiegati dal laboratorio sono gli IR che consentono di interpretare i risultati degli esami e di prendere decisioni cliniche6. Sono usati quoti- dianamente dal medico, combinati con altri dati di dia- gnostica strumentale e clinici, per definire lo stato di salute del paziente e per prendere delle decisioni terapeutiche tanto da servire, di fatto, anche se impropriamente, come livelli decisionali7.

Possiamo quindi distinguere strumenti interpretativi di- versi, applicabili in misura variabile nei diversi casi: valori di riferimento individuali, valori di riferimento di gruppo, livelli decisionali. I valori di riferimento individuali non sono di facile applicazione in quanto richiederebbero che ogni individuo si sottoponesse, quando è in buona salute, a nu- merose indagini con le quali definire una sorta di “stato biologico di base”.

I livelli decisionali sono invece facili da applicare, e quin- di sono molto diffusi. Sono in gran parte di derivazione empirica, e non richiedono, pertanto, una definizione for- malmente molto complessa. Questo ne ostacola la trasfe- ribilità a contesti diversi da quelli in cui sono stati origina- riamente definiti, in quanto possono essere accettati con molta cautela e dopo aver prodotto prove concrete della loro validità.

I valori di riferimento collettivi, infine, sono lo strumen- to interpretativo forse meno utile, ma più largamente ap- plicato, perché più noto e più facilmente standardizzabile.

Consentono di classificare un risultato in modo grossola- no, poiché il singolo risultato può essere influenzato non solo da una condizione di patologia ma anche dalla varia- bilità pre-analitica, da quella analitica e da quella individua- le8. Società scientifiche ed enti di standardizzazione inter- nazionali hanno lavorato per decenni per mettere a punto e sperimentare le modalità con cui ricavare ed utilizzare i

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valori di riferimento in modo da aiutare i laboratori clinici di tutto il mondo nel predisporre i cosiddetti “valori nor- mali”9-11. A partire dagli anni sessanta International Fede- ration of Clinical Chemistry (IFCC) e Clinical and Labo- ratory Standards Institute (CLSI, noto in precedenza come National Committee for Clinical Laboratory Standards - NCCLS) hanno elaborato, prima in contrapposizione e poi congiuntamente, le linee guida più accettate per la de- terminazione degli IR. La terza edizione delle Linee Guida del CLSI chiarisce subito che per alcuni analiti, come il colesterolo e l’emoglobina glicata, l’intervallo di riferimento è stato sostituito dai limiti decisionali ed in questo caso il laboratorio si dovrà preoccupare esclusivamente di ga- rantire l’accuratezza del metodo impiegato12. Sarà respon- sabilità del laboratorio assicurarsi che la concentrazione del colesterolo non sia diversa da quella misurata sullo stesso campione dal metodo di riferimento certificato.

Il documento riconosce anche che pochissimi labora- tori definiscono gli intervalli di riferimento con le modali- tà descritte nelle precedenti edizioni. Una delle novità mag- giori, rispetto alle edizioni precedenti è l’insistenza a pro- porre metodi per verificare gli intervalli di riferimento prodotti in altra sede attraverso modalità di trasferimento usando lo standard CLSI EP 9A ovvero impiegando un numero più ristretto di soggetti (non più di 20). Altra pos- sibilità per superare i problemi di fattibilità sono l’adozio- ne di programmi statistici dedicati che richiedono numeri minori rispetto ai canonici 120, i cosiddetti “metodi robu- sti”.

Non essendo possibile standardizzare la normalità, i va- lori di riferimento hanno solo un valore descrittivo; de- scrivono la variabilità di un costituente in un campione di riferimento, ottenuto da una popolazione di riferimento.

Il CLSI raccomandava tradizionalmente di calcolare gli intervalli di riferimento su un minimo di 120 risultati, usando un metodo non parametrico (la distribuzione di frequenza della concentrazione degli analiti è raramente gaussiana).

Per la selezione degli individui di riferimento possono es- sere utilizzati due diversi approcci: retrospettivo o a poste- riori e prospettico o a priori (Fig. 1). Nel procedimento a posteriori si selezionano individui da una ampia popolazio- ne in maniera randomizzata o non randomizzata, comun- que in numero non inferiore a 2000. Quindi, si applicano criteri di ripartizione o stratificazione ed esclusione in ac- cordo alle caratteristiche volute del gruppo campione di riferimento. Nel procedimento a priori si selezionano, in- vece, gli individui dalla popolazione utilizzando subito i criteri stabiliti di ripartizione e di selezione: in questo caso il

campione può avere dimensioni più piccole. Il procedi- mento a priori è il più usato in letteratura. I criteri di esclu- sione e ripartizione dipendono strettamente dallo scopo della ricerca. Le caratteristiche dei soggetti, anche se costi- tuite da stati patologici, sono utilizzate come criteri di stra- tificazione, in modo da avere valori di riferimento per molti sottogruppi con interesse clinico. Se invece l’obiettivo è limitato agli individui in buona salute o comunque privi di patologie evidenti, le stesse caratteristiche possono diven- tare in parte criteri di esclusione. Lo standard C28-A3 sug- gerisce un ampio numero di criteri di esclusione ed un modello ricavato da questi che può essere utilizzato dai laboratori interessati alla preparazione di un IR. Oltre al criterio essenziale dell’assenza della malattia indagata dal- l’esame in oggetto, altri criteri generali di esclusione posso- no essere, ad esempio, alcolismo, malattia recente, allatta- mento, obesità, tossicodipendenza, fumo, trasfusione o donazione di sangue recenti, terapie farmacologiche in atto, gravidanza.

Una volta ottenuti i risultati, si deve, prima di tutto, os- servare attentamente l’istogramma della distribuzione di frequenza anche se, spesso, questo ovvio passaggio è tra- scurato. Devono essere rilevate (prima di valutarle con gli appositi test statistici) tutte le caratteristiche che allontana- no la distribuzione dalla forma gaussiana, come l’asimme- tria, rivelata dalla presenza di code di lunghezza diversa, le alterazioni della curtosi, la presenza di valori solitari, la polimodalità. Le fasi per l’elaborazione statistica dei risul- tati sono: raccolta, ripartizione, distribuzione, identificazione dei valori aberranti e solitari, stima dei limiti di riferimento e stima dell’intervallo di confidenza (Fig. 2). La vera elabo- razione statistica inizia dalla fase di ripartizione. Classici cri- teri di ripartizione sono: razza, età, sesso, fase del ciclo mestruale, settimana di gravidanza, fumo, esercizio fisico.

Suddividere i soggetti in classi (per sesso, età, …) riduce molto la variabilità biologica ed aumenta quindi il valore degli intervalli di riferimento8. Un criterio empirico preve- de che non si debbano calcolare intervalli separati a meno che la differenza delle medie delle sottoclassi non sia di almeno il 25% dell’intervallo di riferimento calcolato per l’intero gruppo di riferimento.

Figura 1. Selezione dei soggetti di riferimento.

Figura 2. Fasi della produzione degli intervalli di riferimento.

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I valori aberranti o outlier vanno esclusi usando, per esem- pio, il metodo di Dixon che prevede che quando il rap- porto D/R [R: range di valori massimo-minimo e D: dif- ferenza assoluta tra il valore più estremo ed il successivo valore estremo (il penultimo o il secondo)] supera il valore di 1/3, il valore estremo deve essere eliminato. L’interval- lo di riferimento descrive sinteticamente la popolazione di riferimento, in modo che se ne possa intuire la forma e la posizione nell’ambito dei valori possibili. Sono stati pro- posti come intervalli di riferimento gli intervalli inter-frat- tile (o quantile), gli intervalli di tolleranza e gli intervalli pre- dittivi. Il frattile (o quantile) α è il valore al di sotto del quale è compresa la frazione α dell’intera popolazione. Tra i quantili possibili si utilizza per lo più il percentile, che suddi- vide una determinata percentuale della distribuzione. Per convenzione l’intervallo di riferimento comprende il 95%

centrale, o la frazione 0.95 centrale, della popolazione (i limiti corrispondono ai frattili 0.025 e 0.975). Non è raro però che sia più appropriato usare un’altra frazione (per esempio 0.90 o 0.99)13,14 o disporre l’intervallo asimmetri- camente (per esempio, tutti i valori inferiori o superiori ad un limite). I limiti di riferimento vanno accompagnati dai loro intervalli di confidenza, ossia dalla stima della loro variabilità campionaria, espressi al livello del 90%. I frattili possono essere stimati con tecniche parametriche e non parametriche. Nel primo caso si presuppone che la distri- buzione dei valori sia di tipo gaussiano, o che possa assu- mere una forma gaussiana dopo opportune trasforma- zioni (per esempio, la trasformazione logaritmica). Le tec- niche non parametriche non richiedono, invece, alcuna ipotesi sulla forma della distribuzione. La stima parametrica è più precisa con campioni piccoli. La stima del frattile α o 1 - α non è possibile se α è inferiore a 1/N, dove N è la dimen- sione del campione. Ne consegue che è necessario avere almeno 1/0.025 = 40 valori per stimare i quantili 0.025 e 0.975. Perché la stima sia affidabile è necessario, però, ave- re almeno 120 valori. Se si raccolgono 120 dati dal cam- pione di riferimento e si ordinano dal valore più piccolo al valore più grande, i limiti di riferimento riferiti al 95% cen- trale sono presentati dal valore in posizione quattro (il li- mite inferiore) e dal valore in posizione 117 (limite supe- riore). Una numerosità di 120 campioni garantisce una confidenza (al 90%) di questi limiti dal valore in posizione uno al valore in posizione sette per il limite inferiore e dal valore in posizione 114 al valore in posizione 120 per il limite superiore. La precisione dei limiti di riferimento deve essere portata al livello necessario in base al loro utilizzo aumentando opportunamente il numero dei soggetti esa- minati. Per stimare l’intervallo di confidenza del 95% dei limiti di riferimento sono necessari 153 soggetti e per sti- mare quello al 99% ben 198 soggetti. Studi di simulazione con il metodo Montecarlo (paragonabile, come dice il nome, ad una estrazione a sorte) hanno consentito di sti- mare in almeno 200 il numero di soggetti necessario per la definizione di un intervallo di riferimento e, quando la di- stribuzione è molto asimmetrica, potrebbero essere ne- cessari, secondo Linnet, fino a 700 soggetti12. Mentre di- mensioni del genere sono sicuramente improponibili nella pratica corrente, è indubbio che, minore è il numero di soggetti, più si allargano i limiti di confidenza dei limiti di riferimento. Harris e Boyd hanno raccomandato che l’am-

piezza dell’intervallo di confidenza al 90% sia inferiore di 0.2 volte quella dell’intervallo di riferimento.

L’effetto principale della collaborazione di CLSI ed IFCC per la produzione di linee guida per gli intervalli di riferimento sono state la promozione dei cosiddetti meto- di “robusti” e dei metodi per la “verifica” degli intervalli di riferimento. E’ infatti evidente che le modalità classiche per la costruzione di un IR che richiedono la raccolta di 120 risultati accettabili non sono praticamente realizzabili nei laboratori clinici. Lo scopo dei “metodi robusti” è quello di risolvere il problema della asimmetria della distribuzio- ne. Quando la distribuzione non è gaussiana, l’intervallo di riferimento tende a diventare molto ampio ed i risultati aberranti influenzano troppo il risultato. I metodi robusti attribuiscono meno “peso” ai valori più distanti dal centro della distribuzione; uno dei metodi più semplici è quello di tagliare una percentuale, per esempio del 10% della distri- buzione, alle due estremità. Al 10% inferiore ed al 10%

superiore della distribuzione è attribuito il valore zero e viene calcolata la media dell’80% centrale della distribuzio- ne. Si tratta di una tecnica studiata e promossa negli ultimi anni da Horn e Pesce che consigliano di applicarla dopo che sono stati cercati ed, eventualmente, eliminati gli ou- tlier15. Anche se uno dei limiti di queste tecniche è che non consentono il calcolo degli intervalli di confidenza con ta- belle come per quelli ottenuti con tecniche non parametri- che, cominciano ad essere usati abbastanza estesamente.

Rimane invece difficile da comprendere il motivo dello scarso successo che hanno incontrato i metodi per trasfe- rire gli intervalli di riferimento che il CLSI raccomanda già da tempo16. Il metodo è molto semplice; l’analita di inte- resse è misurato su un campione di riferimento di soli 20 soggetti; se tutti i risultati ottenuti rientrano all’interno del- l’intervallo di riferimento proposto dall’azienda o prece- dentemente in uso o un numero inferiore di due è al di fuori, l’intervallo è trasferibile. Se più di tre o quattro risul- tati sono al di fuori dell’intervallo, si analizzano altri 20 campioni; se almeno 18 dei risultati di questi 20 campioni (ancora senza outlier) rientrano nell’IR, questo è trasferibi- le; se più di due risultati sono ancora al di fuori dell’inter- vallo di riferimento, questo non potrà essere adottato. Ve- rificato il metodo analitico e le caratteristiche biologiche della popolazione studiata, l’IR deve essere calcolato con altre tecniche. Secondo il CLSI la probabilità che più di due risultati cadano al di fuori dei limiti di riferimento quan- do il 95% della popolazione rientra in tali limiti è solo del 7.5%, e meno dell’1% se si considera l’analisi anche nei secondi 20 campioni.

Perché gli IR abbiano una utilità pratica è consigliabile evitare la scelta dei soggetti di riferimento “troppo sani” e, nei casi in cui è rilevante, si deve tener conto delle variazio- ni di concentrazione nel corso della vita.

Il CLSI dedica poche righe alle tecniche indirette per la produzione degli IR, vale a dire l’impiego della “miniera”

di dati archiviati nel Sistema informativo di tutti i labora- tori. Tale “miniera” contiene risultati sia di soggetti ospe- dalizzati che di soggetti ambulatoriali e sono facilmente estraibili. Il CLSI non raccomanda di usare dati di soggetti non “di riferimento”, poiché tale approccio espone a nu- merosi rischi di errore nella stima dell’intervallo di riferi- mento e non rappresenta un approccio raccomandato. Il

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presupposto di tale metodologia, che risale ai primi anni 60, è che la maggior parte dei dati prodotti dal laborato- rio derivano da accertamenti di screening e si riferiscono a individui non affetti da patologie che influiscono sulla con- centrazione dell’analita misurato17,18. Oggi, le applicazioni di tale metodologia sono numerose: la procedura di Bhat- tacharya, il metodo di Martin, il metodo di Kairisto19,20. Questi metodi hanno performance simili tra loro21 e dan- no, molto spesso, risultati comparabili a quelli ottenuti se- guendo le Linee guida CLSI-IFCC. I primi due presup- pongono che la distribuzione di frequenza dei risultati sia di tipo gaussiano e operano, comunque, per normalizzare le distribuzioni di frequenza. La terza procedura, di cui esiste un programma statistico commerciale per Windows, ipotizza che la moda della distribuzione di frequenza di tutti i dati sia la stessa della eventuale popolazione di riferi- mento (Fig. 3). In questa procedura, ciascun lato della di- stribuzione di frequenza è considerato come mezza distri- buzione gaussiana, con la stessa moda e la stessa frequenza di moda, ma con differente deviazione standard. Recen- tentemente Concordet22 et al. hanno proposto un metodo simile a quello di Bhattacharya che, tra l’altro, produce pra- ticamente gli stessi risultati di quello di Kairisto proprio su dati relativi al TSH. I limiti che derivano dai metodi indi- retti non sono dei limiti di riferimento ma devono essere definiti, a rigore, limiti correlati allo stato di salute (Health Related Limits, HRL). Presentano numerosi vantaggi: la pro- cedura è semplice ed economica; i limiti sono derivati da dati ottenuti nelle stesse condizioni preanalitiche, con le stesse modalità analitiche e nella stessa popolazione in cui saran- no utilizzati; è possibile, quando necessario, ripartire facil- mente i risultati dei pazienti sulla base di criteri come età, sesso, settimana di gravidanza6.

Il caso del TSH

Il caso del TSH è sicuramente paradigmatico di quali intricate considerazioni intervengono nella definizione del-

l’intervallo di riferimento e di quali conseguenze può de- terminare lo scarso coordinamento tra laboratorio e clini- co nella loro definizione ed impiego soprattutto per quan- to riguarda il limite superiore. Recentemente sono stati descritti anche per il limite inferiore problemi analoghi23. E’ ben noto che il TSH è l’indicatore più sensibile degli ipo- ed degli iper-tiroidismi lievi poiché la correlazione tra TSH e FT4 non è lineare; se l’FT4 si dimezza, il TSH non raddoppia ma aumenta di molte decine di volte. Il feed- back tra FT4 e TSH non scatta nel momento in cui il limite di riferimento viene superato, ma quando viene raggiunto un determinato set-point specifico per ogni soggetto per

“l’innesco” del feed-back del TSH. Nel paziente che ha come set-point per l’FT4 una bassa concentrazione se la concen- trazione dell’FT4 comincia ad aumentare, la concentrazio- ne del TSH comincia a calare (secondo la correlazione log- lineare sopra citata) al di sotto del limite inferiore di riferi- mento mentre l’FT4 rimane “normale” (producendo il qua- dro dell’ipertiroidismo subclinico). Se la concentrazione dell’FT4 del paziente con un setpoint per l’FT4 più alto, la concen- trazione del TSH comincia a salire (secondo la relazione prima indicata) al di sopra del limite inferiore di riferimen- to mentre l’FT4 rimane “normale” (producendo il quadro del- l’ipotiroidismo subclinico). Il set-point è determinato genetica- mente e può, pertanto, avere una sensibilità non sufficiente a rilevare cambiamenti della funzionalità tiroidea del sin- golo. Classicamente, la presenza di una concentrazione “au- mentata” di TSH e diminuita di FT4 indirizza verso la dia- gnosi di ipotiroidismo, una volta che viene dato per scon- tato che la regolazione a feed back tra ormoni tiroidei liberi e TSH sia sempre stretta. Tuttavia, è stato segnalato recentemente che la correlazione a feed-back logaritmica tra TSH ed FT4 è molto più stretta che quella tra TSH ed FT3 e questo vale soprattutto se gli ormoni tiroidei liberi sono misurati con tecnica LC-MS24.

E’ possibile collocare nelle Linee guida del 2002 del- l’NACB l’inizio della rivisitazione del problema dell’inter- vallo di riferimento per il TSH25. Quel documento sostie- ne, infatti, che il limite superiore tradizionale compreso tra 4 e 5 mU/L non consente di discriminare tra soggetti eu- tiroidei e soggetti con ipotiroidismo lieve. L’indagine con- dotta nella contea inglese di Whickham tra il 1972 e il 1974, aveva determinato la prevalenza dei disordini tiroidei in una popolazione non selezionata di 2779 adulti26. Vent’an- ni dopo, sono stati ristudiati 1877 dei 2779 soggetti ancora viventi e livelli di TSH > 2.0 mU/L erano associati ad un maggiore rischio di sviluppare ipotiroidismo27. La prima considerazione da fare è valutare se è corretto considerare i valori ottenuti nella misurazione del TSH nel 1975 com- parabili a quelli ottenuti nel 1996 ed a quelli se si ottengono oggi. Nel 1975 è stato utilizzato un metodo RIA di cui non è riportato l’intervallo di riferimento e nel 1995 un metodo ELISA con un intervallo di riferimento (il lavoro non riferisce se ottenuto sperimentalmente o raccoman- dato dal produttore) di 0.5-5.2 mU/L. Anche il citatissi- mo studio trasversale Colorado Thyroid Disease Preva- lence condotto nel 1995 su 25862 soggetti ha usato un metodo in chemiluminescenza prodotto dalla London Diagnostics Eden (Prairie, MN,USA), acquistata nel 1992 da Nichols e finita del 2006 nel gorgo della azienda cali- forniana28. L’intervallo di riferimento riportato dal lavoro Figura 3. Health Related Limits (HRL) secondo il metodo di

Kairisto (Da rif. 19).

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faceva riferimento ad un articolo di Carol Spencer del 1990.

Si trattava del primo metodo commercializzato di “terza generazione” ed è significativo che, secondo l’articolo di Canaris et al., l’IR era di 0.3-5.1 mU/L mentre nell’artico- lo originale era riportato di 0.39-4.6 mU/L. Anche il Na- tional Health and Nutrition Examination Survey NHANES III, condotto tra il 1988 ed il 1994 e pubblicato nel 2002 su 16533 soggetti sani, seppure molto noto, presenta dei problemi di interpretazione29. Infatti, i risultati sono stati ottenuti ancora con un metodo “tragicamente ed improv- visamente” scomparso nel 2006 e del quale era stata poco definita la confrontabilità con i metodi oggi usato nei no- stri laboratori. Il limite superiore fornito dal produttore era 4.6 mU/L anche se l’intervallo di riferimento presen- tato nel lavoro era 0.45-4.12 mU/L e l’ipotiroidismo era diagnosticato con concentrazioni superiori a 4 .5 mU/L29. Un altro studio ottenuto con un metodo non molto diffu- so nel nostro paese (Auto Delfia, Perkin Elmer) in 987 soggetti selezionati da una popolazione di 1441 danesi se- guendo rigorosamente le raccomandazioni dell’NACB, è risultato di 0.58-4.1 mU/L30. Contrasta con le conclusioni della Whickham survey anche lo studio di Huber condot- to con il metodo Behring che suggerisce che solo i sogget- ti con un TSH > 6 mU/L sono a rischio di sviluppare ipotiroidismo31.

Il laboratorio di fronte alla determinazione del TSH

I problemi relativi alla determinazione del TSH sono stati sintetizzati recentemente da Beckett e MacKenzie32. Numerose linee guida raccomandano che la sensibilità fun- zionale dei metodi per la determinazione del TSH sia infe- riore a 0.02 mU/L in modo da consentire una determina- zione accurata di una concentrazione di 0.1 mU/L. Anche se, verosimilmente, le prestazioni della maggior parte dei laboratori del Regno Unito (e del resto d’Europa) sono adeguate, il problema della qualità analitica alle concentra- zioni comprese tra 0.01 e 0.1 mU/L non è mai stato af- frontato in modo formale dai programmi di VEQ. An- che se negli ultimi 20 anni la percentuale dei laboratori che misclassifica concentrazioni < 0.1 mU/L è scesa dal 40%

al 2%, i risultati dello studio di Rawlins e Roberts33 sono

stati contestati ma non smentiti34,35. La sensibilità funziona- le dei metodi per la determinazione del TSH secondo gli autori di Salt Lake City è risultata per Access < 0.02 mU/

L, per Immulite 2000 di 0.014 mU/L, per Vitros di 0.004 mU/L, per Architect i2000 < 0.005 mU/L, per E170 di 0.011 mU/L e per Advia Centaur 0.039 mU/L. Beckett e MacKenzie contestano la convinzione che la distribuzione log-normale della concentrazione TSH osservata nella popolazione di riferimento sia causata dall’inclusione di soggetti affetti da ipotiroidismo subclinico. Secondo i “ri- bassisti” il limite superiore dell’IR si abbassa, una volta eli- minati dalla popolazione di riferimento i soggetti con an- ticorpi antitiroide e con anomalie ultrasonografiche. Se è vero che esistono dati in questa direzione, ve ne esistono anche che dimostrano l’effetto del bias dei diversi metodi che influenzano in modo determinante i risultati. I pro- grammi di VEQ (NEQAS) dimostrano un bias negativo dell’analizzatore Architect intorno al 20% rispetto alla me- dia di consenso generale, anche se il limite superiore del- l’intervallo di riferimento proposto dal produttore è di circa il 25% più alto rispetto a quello di Tosoh che non appare avere bias (Fig. 4). Questo conferma la scarsa at- tenzione e la scarsa cura che i produttori rivolgono alla produzione o, almeno, alla verifica degli intervalli di riferi- mento32. Anche in Italia è quotidianamente documentata la notevole dispersione di risultati e l’importante incoerenza con gli intervalli di riferimento proposti dai produttori. Va osservato che anche il laboratorio dimostra scarsa atten- zione a questo riguardo. Friedberg et al. hanno riportato i risultati di una indagine condotto dal CAP nel 2007 tra 163 laboratori (due terzi usavano i metodi di Siemens, Dade.

Beckman e Roche)di ospedali di piccole e medie dimen- sioni (il 75% aveva meno di 300 letti ed il 90% meno di 450 letti)36. Circa la metà dei laboratori aveva calcolato gli intervalli di riferimento; la metà di essi aveva utilizzato cam- pioni di meno di 50 soggetti ed il limite superiore andava da 0.1 a 0.5 mU/L e quello superiore da 3.0 e 6.0 mU/L.

Un aspetto meritevole di attenzione è che gli intervalli cal- colati dai laboratori e quelli ricavati dalle indicazioni del produttore o delle letteratura non presentavano differenze significative. Interessante è anche lo studio di Andrew et al.

che hanno indagato gli intervalli di riferimento impiegati dai laboratori della Gran Bretagna che usavano l’analizza- tore ACS 180. 30 dei 60 laboratori hanno risposto al que- stionario37. Il 10% di questi ha calcolato l’intervallo, il 60%

lo ha “adattato” ed il 30% ha adottato quello proposto della azienda. Gli autori di questa indagine sono sorpresi non tanto dal fatto che il limite inferiore adottato dai 60 laboratori vari da 0.2 a 0.4 mU/L e quello superiore da 3.8 a 6 mU/L ma da quello che i laboratori che dichiarano di usare l’IR proposto dal produttore riportano non quel- lo reale (0.35-5.5 mU/L) ma valori che variano rispettiva- mente da 0.2 a 0.4 mU/L e da 4.0 a 5.5 mU/L. L’impres- sione che si ricava da tanto scrivere è che il laboratorio raramente calcoli realmente gli intervalli di riferimento, ra- ramente indichi nel referto il metodo utilizzato rendendo molto difficile (o impossibile) per il clinico l’interpretazio- ne corretta dei risultati.

I metodi indiretti

Nella nostra esperienza i metodi indiretti hanno dato Figura 4. Risultati di un programma di VEQ italiano relativo alle

principali aziende che forniscono reagenti per TSH in Italia. LIR e LSR= Limite inferiore e superiore dell’intervallo di riferimento indicati dal produttore.

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ottimi risultati. Nel 2000 è stato calcolato l’intervallo del TSH su circa 50000 risultati raccolti presso il laboratorio dell’Ospedale di Vicenza, circa 35000 raccolti presso il la- boratorio dell’Ospedale di Verona, e circa 10000 raccolti presso il laboratorio dell’Ospedale di Ferrara impiegando lo stesso analizzatore, e si sono ottenuti i seguenti limiti di riferimento, rispettivamente: 0.28–3.5, 0.22–3.6 e 0.3-4.03 mU/L38. Nel 2006 il limite superiore in una popolazione di 15359 femmine (Fig. 5) e 3862 maschi (Fig. 6) ottenuto con l’analizzatore Centaur (Siemens) è risultato di 3.7 mU/

L39, molto simile a quello ottenuto in un gruppo di 870 donatori, con ecografia tiroidea ed anticorpi anti-TPO negativi con l’analizzatore Elecsys (Roche)40. E’ interessan- te notare che, utilizzando metodi indiretti, è stato possibile definire anche l’intervallo di riferimento del TSH in età pediatrica in un campione di 5741 femmine e 4232 maschi tra 0 e 17 anni; il limite superiore tra 13 e 18 anni è risultato 3.8 mU/L, molto prossimo al limite superiore calcolato nell’adulto41. Anche due studi multicentrici condotti negli stessi anni rispettivamente nel Regno Unito ed in Spagna con l’analizzatore Centaur hanno dato risultati comparabi- li37,42. Solo in un’area storicamente povera di iodio della Germania come la Pomerania, il limite superiore del TSH è risultato, usando il metodo Byk Gulden, 2.12 mU/L43.

A nostro avviso, una maggiore attenzione da parte dei laboratori al problema della corretta produzione dell’IR del TSH, ridurrebbe sicuramente la confusione che regna in questo ambito. Ci sentiamo, comunque, di condividere il parere di due autorevoli gruppi di endocrinologi ameri- cani ed europei che hanno esplicitamente sostenuto che la proposta di un abbassamento dell’intervallo i riferimento del TSH non ha basi adeguate e porterebbe più danni che vantaggi con un rischio di aumento dei casi di sovratratta- mento con tiroxina44,45. Anche se alcuni individui con con- centrazioni tra 2.6 e 4.5 mU/L hanno una patologia tiroi- dea subacuta, non ci sono evidenze di un loro outcome negativo.

In questo ambito di concentrazione i problemi analitici dovuti, per esempio, ad isoforme ed anticorpi eterofili in- fluenzano molto gli IR ed impediscono la confrontabilità di risultati. Basti pensare che la sensibilità funzionale del metodo impiegato per la Whickham survey è venti volte più bassa di quella minima accettabile oggi (0.02 mU/L).

Il gruppo di clinici e di laboratoristi che si occupano di tiroide alla Mayo Clinic, che comprende Fatourechi, Klee e Hay, segnalano, preoccupati, che abbassando da 5 a 3 mUL il limite superiore dell’IR, circa il 15% dei pazienti con meno di 50 anni, una percentuale compresa tra il 17%

ed il 23% di quelli tra 50 e 70 anni ed il 25% degli uomini ed il 29% delle donne con più di 70 anni erano classificati come distiroidei. Queste percentuali erano 3.8 -5 volte più alte di quella che si ottiene utilizzando il limite di 5.0 mIU/L46.

E’ stato definito sperimentalmente che il set-point indi- viduale può essere determinato con 85 misurazioni del TSH e che la differenza significativa minima media tra due de- terminazioni sia di 0.75 mU/L in un ambito di concentra- zione tra 0.2 ed 1.6 (in 15 soggetti studiati per 12 mesi) o di 1.2 mU/L in un ambito di concentrazione tra 0.51 e 4.68 (in 10 soggetti studiati ogni settimana per 6 settima- ne). In un gruppo di soggetti con ipotiroidismo subclinico una variazione significativa è stata considerata una varia- zione dei concentrazione del 40%47. Numerose condizioni fisio-patologiche possono influenzare la secrezione di TSH:

forti stress, drastiche alterazione del ritmo sonno-veglia, attività fisica intensa, possono indurre un aumento del TSH anche di 2-4 volte; malattie non-tiroidee possono soppri- mere il TSH e possono indurre un rimbalzo sopra i 4 mU/L nella fase di recupero. Anche se l’introito di iodio sembra essere modesto nelle settimane successive la som- ministrazione di iodio, la concentrazione può raddoppia- re48-50.

E’ urgente che il laboratorio si doti di metodi strumenti e modalità per intervenire in questo ambito se si vuole arginare il fenomeno di cui i professionisti del laboratorio sono spesso testimoni non sempre innocenti di misclassifi- cazione di pazienti e soggetti sani. Un caso limite è quello di Warren et al. che hanno proposto su un giornale autore- vole come Thyroid come cut-off della concentrazione di TSH per diagnosticare i pazienti diabetici destinati a svi- luppare una tireopatia il valore di 1.5 mU/L51. Questo studio è stato condotto con un metodo, che si può stimare sia impiegato nel nostro paese da un laboratorio su 100, che ha un bias negativo di almeno il 40% rispetto alla me- dia per consenso degli altri metodi. I clinici devono consi- derare questi aspetti e desistere dall’impiegare in clinica valori Figura 5. HRL per il TSH ottenuto usando l’analizzatore Centaur

nei maschi (Da rif. 39). Figura 6. HRL per il TSH ottenuto usando l’analizzatore Centaur nelle femmine (Da rif. 39).

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numerici non riconducibili ad intervalli di riferimento do- cumentati e documentabili. Recentemente abbiamo avuto occasione di validare l’intervallo di riferimento relativo al- l’analizzatore Modular. Documentare che l’intervallo di ri- ferimento proposto dall’azienda produttrice di 0.27-4.22 mU/L era idoneo alle necessità nella Area servita (Roma- gna) non ha richiesto molto tempo né molto impegno. Le

Figure 7, 8 e 9 mostrano gli HRL ottenuti rispettivamente in 38609 femmine, in 14142 maschi e nell’intero gruppo.

Le aziende di diagnostici devono collaborare tra di loro e con i professionisti del laboratorio per armonizzare maggiormente i risultati del TSH e partecipare alla defini- zione, con metodologie dirette ed indirette, degli intervalli di riferimento più corretti.

E’ evidente, inoltre, che i referti di laboratorio relativi agli esami tiroidei (ed a tutti gli esami immunometrici) de- vono indicare sempre il metodo usato.

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nei maschi.

Figura 9. HRL per il TSH ottenuto usando l’analizzatore Modular nella popolazione generale.

Figura 7. HRL per il TSH ottenuto usando l’analizzatore Modular nelle femmine.

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