• Non ci sono risultati.

leif Quaderni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "leif Quaderni"

Copied!
164
0
0

Testo completo

(1)

Quaderni

leif

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

(2)

Direttore

GIUSEPPEPEZZINO

Direttore responsabile GIOVANNIGIAMMONA

Redazione

SARACONDORELLI

ANNAPIADESI

MARIAVITAROMEO

MASSIMOVITTORIO

Segreteria di redazione GENNAROLUISE

DANIELAVASTA

Direzione, redazione e amministrazione

Dipartimento di Scienze Umane, Università di Catania Piazza Dante, 32 - 95124 Catania

Tel. 095 7102343 - Fax 095 7102566 Email: fil.morale@unict.it

http://www.dsu.unict.it

Questa rivista è distribuita gratuitamente sino all’esaurimento delle copie.

Per richiedere una copia gratis, rivolgersi alla Segreteria di redazione, tel. 095 7102358, fax 095 7102566, e-mail: fil.morale@unict.it

ISSN 1970-7401

© 2007

Dipartimento di Scienze Umane, Università di Catania Registrazione presso il Tribunale di Catania,

n. 25/06, del 29 settembre 2006 Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Impaginazione e stampa:

, grafica editoriale di Pietro Marletta,

via Delle Gardenie 3, Belsito, 95045 Misterbianco (CT), tel. 095 71 41 891

Quaderni

leif

(3)

Quaderni

leif

AGORÀ

Giuseppe Pezzino Il cristianesimo di un europeo liberale 5

Gennaro Luise Ragione e Assoluto in Joseph Maréchal 33

Maria Vita Romeo Considerazioni su Hobbes e Pascal 63

BORDERLINE

Yoshinori Tsuzaki L’esercizio morale secondo la Lettera di Descartes a Eli-

sabetta del 15 settembre 1645 102

Luigi Delia L’esercizio morale secondo la Lettera di Descartes a Eli- sabetta del 15 settembre 1645. Risposta a Yoshinori

Tsuzaki 122

COFFEE BREAK

Giuseppe Pezzino L’Europa di un liberale anticlericale. Una conversazio-

ne immaginaria con Francesco Crispi 135

RING

Massimo Vittorio Siamo tutti meccanicisticamente liberi. Intervista a

Henri Atlan 151

SPIGOLATURE

Emanuele Fadda L’etica come semiotica generale (e viceversa) 155 Massimo Vittorio Etica e lavoro per una democrazia sostanziale 160

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Anno II n. 3, luglio-dicembre 2007

(4)

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Conversione di San Paolo, 1600-01, olio su tela, Roma, Chiesa di Santa Maria del Popolo

Il genio di Caravaggio per celebrare l’accadimento principe nella diffusione del Cristianesimo in Occidente.

(5)

GIUSEPPEPEZZINO*

Il cristianesimo di un europeo liberale

E

     :quella, cioè, di un Benedetto Croce teorico del primato assoluto della politica su qualunque altra forma dell’umana attività. Naturalmente, come in ogni leggenda, l’errore e il fantasioso si possono mescolare ad un granello di verità. Così, nel ca- so della filosofia crociana, l’errore, che attribuisce a Croce il concetto di politica come forza bruta e sopraffattrice, come potenza e come prepo- tenza duramente affermate dagli Stati-Leviatani, si mescola con la prima verità, che ci presenta un Croce teorico della politica come volizione del particolare e dell’unità-distinzione fra politica e morale; e con la seconda verità, che ci mostra un Croce che realisticamente respinge l’astratto mo- ralismo in politica (quando si rischia di negare l’autonomia della politica) o che concepisce la politica come materia per la forma morale (quando si rischia di negare l’unità-distinzione e di trovarsi, così, con una morale vuota ed una politica sfrenata e selvaggia).

In altri termini, pur avendo rivendicato a sé il merito d’aver collocato il valore economico-politico dell’Utile nel circolo dello Spirito, accanto alla tradizionale triade del Bello, del Vero e del Bene, Benedetto Croce non teorizzò mai un primato categoriale della politica.

Indubbiamente, in quest’opera di nobilitazione categoriale dell’Utile, il filosofo napoletano ha bisogno di evidenziare fortemente l’autonomia, la razionalità, la positività di questa quarta forma dello Spirito, contro ogni tentativo astrattamente moralistico di subordinare l’azione politica a valori non suoi, fossero pure quelli morali. Da qui la crociana esaltazione dei meriti di Machiavelli e la conseguente lettura di un Marx inteso come

* Università di degli Studi di Catania.

(6)

«Machiavelli del proletariato», che ci impartì una lezione di realismo poli- tico ben distante ed estraneo rispetto a certe illusioni e a certi moralismi tanto nobili quanto sterili. Sicché Croce potrà scrivere così, nella Prefa- zione del 1917 alla terza edizione di Materialismo storico ed economia mar- xistica:

Ma ora, dopo più di vent’anni, il Marx ha perduto in gran parte l’ufficio di maestro, che allora tenne; […] e, quanto alla teoria politica, il concetto di po- tenza e di lotta, che il Marx aveva dagli stati trasportato alle classi sociali, sem- bra ora tornato dalle classi agli Stati […] La qual cosa non deve impedire di ammirare pur sempre il vecchio pensatore rivoluzionario […] il socialista, che intese come anche ciò che si chiama rivoluzione, per diventare cosa politica ed effettuale, debba fondarsi sulla storia, armandosi di forza e potenza (mentale, culturale, etica, economica), e non già confidare nei sermoni moralistici e nelle ideologie e ciarle illuministiche. E, oltre l’ammirazione, gli serberemo […] al- tresì la nostra gratitudine, per aver conferito a renderci insensibili alle alcinesche seduzioni (Alcina, la decrepita maga sdentata, che mentiva le sembianze di flori- da giovane) della Dea Giustizia e della Dea Umanità1.

Tra l’altro, non è irrilevante notare che questa pagina crociana risale al 1917, quando la prima guerra mondiale stava impartendo durissime le- zioni di realismo politico, facendo strame di certi moralismi politici, di certe impolitiche utopie, di certa cultura in svendita politica, e lasciando il campo, al di là di comode ipocrisie, esclusivamente alla forza politica, militare, ed economica. Nondimeno, malgrado l’esaltazione dell’autono- mia della categoria economico-politica rispetto alle altre, Croce non par- lerà mai di primato.

Anzi, fin dai primissimi anni del Novecento, egli parla nella Filosofia della pratica del 1908 di un particolare primato della morale. Beninteso, un primato non già categoriale, perché crollerebbe il sistema circolare delle quattro forme dello Spirito, bensì un «imperio assoluto» della mora- le sulla vita:

La moralità ha imperio assoluto sulla vita, e non c’è atto di vita, piccolo che si pensi, che essa non regoli o non debba regolare. Ma la moralità non ha imperio

6 Giuseppe Pezzino

1 B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari, Laterza, 1968, p. XIV.

(7)

alcuno sulle forme e categorie dello spirito; e come non può distruggere o mo- dificare sé medesima, così non può distruggere o modificare le altre forme spiri- tuali, che le sono necessario sostegno e presupposto2.

In ogni caso, sarà sempre viva e vigile l’istanza morale nel filosofo na- poletano che, pur riconoscendo l’amoralità della categoria politico-eco- nomica, si scaglierà sempre contro ogni manifestazione di freddo cinismo politico. Basti per tutte l’occasione storica del Concordato del 1929, quando Croce manifestò pubblicamente e solennemente la sua opposi- zione nel Senato del Regno, con il famoso discorso del 24 maggio 1929.

In quell’occasione, contro coloro che cinicamente consideravano tutto sub specie politica e che presentavano il Concordato come capolavoro di realismo politico, egli ebbe a sostenere il valore della coscienza morale ri- spetto a chi sottomette gli affari di coscienza agli interessi politici.

Come che sia, accanto o di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri pei quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infini- tamente più di Parigi. Perché è affare di coscienza. Guai alle società, alla storia umana, se uomini che così diversamente sentono, le fossero mancati o le man- cassero!3

Pertanto possiamo ben dire che, malgrado alcune tensioni e aporie in- terne, il sistema tetradico circolare di Croce si mantiene saldamente sino agli anni Venti, resistendo così a drammatiche e sconvolgenti esperienze come la prima guerra mondiale e come l’avvento del fascismo in Italia.

Con gli anni Trenta, invece, assistiamo all’avvio di un lunghissimo e travagliato ripensamento che Croce opera sulla sua stessa filosofia. In quei frangenti il filosofo napoletano avverte l’ineludibile bisogno di trattare o ritrattare antichi e nuovi temi filosofici, certamente alla luce e sotto il pungolo, dopo l’avvento del fascismo in Italia, di un nuovo evento stori- co: l’irruzione sulla scena mondiale di un mostruoso Leviatano, totalita- rio e sanguinario, col nazismo nella Germania di Hitler e col comunismo nell’Unione Sovietica di Stalin.

2 B. Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Napoli, Bibliopolis, 1996, p. 250.

3 B. Croce, Discorso pronunciato al Senato il 24 maggio 1929, in Pagine sparse, II, Bari, Later- za, 1960, p. 397.

(8)

Giovan Battista Tiepolo, Allegoria dell’Europa, 1751-53, affresco, Würzburg, Residenz, scalone d’onore

(veduta generale della volta e particolari del gruppo dell’Europa)

L’Europa di Tiepolo: una donna riccamente abbigliata che siede in trono e vanta l’eredità pagana e quella cristiana.

A sinistra sta il mitologico toro, che richiama il ratto d’Europa;

a destra, a simboleggiare il carattere pastorale e missionario della Chiesa Cattolica, alcuni personaggi reggono una tiara,

una croce astile e un pastorale.

(9)

Sollecitato da questa nuova tragica realtà storica, il ripensamento cro- ciano non può non sfociare nella presa d’atto che la categoria politica, quando pretende d’accampare un primato assoluto sulla vita e sulle altre forme dell’attività spirituale, quando s’infetta di panpoliticismo o di pa- neconomicismo, sottomettendo e avvelenando e poi divorando le altre forme, assume connotati demoniaci e barbarici che mettono a rischio mortale le radici stesse dell’umana civiltà.

Nel 1933, con l’avvento del nazismo in Germania, già si presenta agli occhi del filosofo napoletano il più clamoroso e grave esempio di subor- dinazione della cultura ai piedi della politica, che, oltre tutto, è la deliran- te politica con la svastica! In quell’anno, infatti, Heidegger assume pub- blicamente e solennemente la sua posizione a favore del nazismo, pro- nunciando la famosa prolusione presso l’Università di Friburgo. La sbi- gottita reazione di Croce è immediata e sferzante: l’8 settembre dello stes- so anno, così egli si sfoga privatamente in una lettera inviata ad Alessan- dro Casati: «Ho letto poi la prolusione dello Heidegger, che è vile, ma so- prattutto è scema»4.

Ma la pubblica condanna crociana di un sì grave atto di prostituzione della filosofia a favore della folle e sanguinaria politica nazista non si fa at- tendere. A pochi mesi di distanza, sulla «Critica» del 1934, nell’Italia del- la dittatura fascista trionfante, Benedetto Croce si scaglia contro l’opera- zione “filosofica” di Heidegger, mirante a «rendere servigi filosofico-poli- tici» al nazismo:

Il prof. Heidegger, in un solenne discorso tenuto nell’occupare il rettorato del- l’università di Friburgo, non vuole che la filosofia e la scienza siano altro, per i tedeschi, che un affare tedesco, a vantaggio del popolo tedesco […] E così si ap- presta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia, senza con ciò recare nessun sussidio alla soda politica5.

Questa profonda e drammatica consapevolezza spingerà Croce a con- ferire sempre più peso ed importanza alla categoria morale. In tal senso

4 B. Croce, Lettera ad A. Casati, 8 settembre 1933, in Epistolario, II, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1969, p. 153.

5 B. Croce, Un filosofo e un teologo, «La Critica», 1934; poi in Conversazioni critiche, V, Bari, Laterza, 1951, pp. 362-3.

(10)

appare oltremodo significativo il concetto di “Chiesa in senso ideale”, che fa da trait d’union fra il Croce del 1908 e il Croce della Storia come pen- siero e come azione del 1938. Invero, se Chiesa e Stato in senso ideale e non già empirico rappresentano rispettivamente l’attività morale e l’atti- vità politica, allora esiste una superiorità morale degli uomini della

“Chiesa in senso ideale” rispetto agli uomini dello “Stato in senso ideale”.

Pertanto, assume particolare significato quella rivalutazione crociana, operata fin dal 1913, della historia ecclesiastica, perché oggi ci appare come preparazione e presupposto alla futura teoria della superiorità della storia etico-politica sulla storia economico-politica. Croce rivalutava allora la storiografia medievale, che pur aveva offuscato il pensiero storico con la mitologia, il miracolo e la trascendenza. La rivalutava, perché la storiogra- fia medievale, figlia del Cristianesimo, possiede la consapevolezza del pre- gio spirituale che è comune all’umanità intera, senza alcuna distinzione.

Così il mito ed il miracolo – scrive Croce nel 1913 – intensificandosi nel cri- stianesimo, si facevano insieme diversi dai miti e dai miracoli antichi. Diversi e più alti, perché racchiudevano un pensiero più alto: il pensiero di un pregio spi- rituale, non più particolare a questo o quel popolo, ma comune all’umanità tut- ta: a quell’umanità, il cui concetto gli antichi avevano talvolta sfiorato ma non mai posseduto, e i loro filosofi cercato invano o raggiunto solo in astratte esco- gitazioni, non atte a investire tutta l’anima, com’è invece dei pensieri profonda- mente pensati e come fu nel cristianesimo6.

Da questo punto di vista, Eusebio da Cesarea dev’essere considerato, al pari di Erodoto, “padre” della moderna storiografia. Anzi, la historia ec- clesiastica può assurgere a modello ispiratore della futura storia etico-poli- tica di Benedetto Croce.

Tali sono i nuovi problemi e le nuove soluzioni che il cristianesimo apportò al pensiero storico; e di essi, come del pensiero politico e umanistico degli antichi, conviene affermare che costituiscono un saldo possesso dello spirito umano, di perpetua efficacia. Eusebio da Cesarea è da dire, al pari di Erodoto, “padre” del- la storiografia moderna, per poco disposta che questa sia a riconoscere i suoi pa- dri in quel barbarico autore e negli altri che furono detti “padri della chiesa”, ai

10 Giuseppe Pezzino

6 B. Croce, Intorno alla storia della storiografia, in «La Critica», 1913; poi in Teoria e storia della storiografia, Milano, Adelphi, 1989, p. 227.

(11)

quali, e segnatamente a sant’Agostino, pur deve così gran parte di sé stessa. Che cosa sono le nostre storie della cultura, della civiltà, del progresso, dell’umanità, della verità, se non la forma, consentanea ai nostri tempi, della storia ecclesiasti- ca, ossia del trionfo e del propagarsi della fede, della lotta contro le potenze del- le tenebre, della successiva preparazione che, nelle sue varie epoche, si viene fa- cendo dell’evangelo ossia della buona novella? e le storie moderne, che narrano l’ufficio adempiuto o la preminenza assunta da questa o quella nazione nell’ope- ra della civiltà, non corrispondono ai gesta Dei per Francos e ad altrettali formole della storiografia medioevale? E le nostre storie universali sono tali non solo nel senso di Polibio, ma anche nel senso cristiano, sebbene purificato ed elevato, dell’universale come idea; donde il sentimento religioso dal quale siamo com- presi nell’appressarci alla solennità della storia7.

Queste parole, scritte da Croce nel 1913, avranno un amaro sapore profetico negli anni Trenta, quando il quadro politico nazionale ed inter- nazionale si farà sempre più fosco e torbido col trionfo dei totalitarismi e con le persecuzioni razziali. E quando, nel dicembre 1931, egli scriverà il famoso Epilogo della Storia d’Europa, allora ci ammonirà a trarre forza e fi- ducia dall’ideale della libertà, per contrastare e vincere le forze del male, della barbarie, della violenza sanguinaria: forze demoniache che mirano al- l’annientamento della civiltà, perché sorgono dall’Anticristo che è in noi.

Una storia informata al pensiero liberale non può, neppure nel suo corollario pratico e morale, terminare con la ripulsa e la condanna assoluta dei diversa- mente senzienti e pensanti. Essa dice soltanto a quelli che pensano con lei: – Lavorate secondo la linea che qui vi è segnata, con tutto voi stessi, ogni giorno, ogni ora, in ogni vostro atto; e lasciate fare alla divina provvidenza, che ne sa più di noi singoli e lavora con noi, dentro di noi e sopra di noi. – Parole come queste, che abbiamo apprese e pronunciate sovente nella nostra educazione e vi- ta cristiana, hanno il loro luogo, come altre della stessa origine, nella “religione della libertà”8.

Nobile motivo altamente religioso, dunque, quello della libertà. Non a caso, infatti, Croce torna sul Leitmotiv di una filosofia della libertà che sorge e cresce dalle radici cristiane, perché il cristianesimo, malgrado le

7 Ivi, pp. 230-1.

8 B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Bari, Laterza, 1965, p. 316.

(12)

incrostazioni mitologiche, mantiene vivissimo in sé un contenuto alta- mente filosofico che è da preferire ad alcune pose superficiali e antistori- che di un certo razionalismo. Beninteso, le radici della filosofia crociana non sono da ricercare esclusivamente nel terreno cristiano. Ma, nella par- ticolare situazione storica dei terribili anni Trenta, il filosofo napoletano, che nel concetto di attivismo comprende tutte le forze malefiche trion- fanti in Europa, avverte la necessità logica e l’opportunità etico-politica di porre in evidenza il grandioso ed insopprimibile ruolo del Cristianesi- mo nella nascita e nella vita della “religione della libertà”.

E se chiaramente risalta la paternità cristiana della crociana libertà, con altrettanta evidenza sono indicate le avverse “religioni” che, in quello scorcio storico totalitaristico, formano il composito fronte attivistico-illi- berale: il nazionalismo, l’imperialismo, il comunismo e il cattolicesimo.

L’attivismo si dispiega irruente come prima, e anzi con maggiore veemenza;

gl’impeti nazionalistici scuotono i popoli vincitori perché vincitori e i vinti per- ché vinti; i nuovi stati, che sono sorti, aggiungono nuovi nazionalismi e impe- rialismi; l’impazienza per gli ordini liberi ha dato luogo a dittature aperte o lar- vate, e, per ogni dove, a desiderî di dittature. La libertà, che prima della guerra era una fede statica o una pratica con iscarsa fede, è caduta dagli animi anche dove non è caduta dalle istituzioni, sostituita dal libertarismo attivistico, che so- gna più di prima guerre e rivoluzioni e distruzioni […] Il comunismo, che era stato, sotto nome di socialismo, immesso nella vita della politica e dello stato e nel corso della storia, è ricomparso nella sua scissione e crudezza, nemico acerri- mo anch’esso del liberalismo, che irride dicendolo ingenuamente moralistico; e, al pari dell’attivismo, col quale spesso si fonde, quel comunismo è sterile o sof- focatore di pensiero, di religione, di arte, di tutte queste e altre cose che vorreb- be asservire a sé e non può se non distruggere. […] D’altra parte, il cattolicesi- mo, che già aveva tentato di ripigliare forza attraverso l’irrazionalismo e il misti- cismo, ha accolto e viene accogliendo, in gran numero, anime deboli o indebo- lite e torbidi e malfidi avventurieri dello spirito9.

Questo, in estrema sintesi, è il quadro sconfortante che, nel dicembre 1931, Croce dipinge dell’Europa: la libertà, così negli animi come nelle istituzioni, è abbandonata, derisa, debellata; e, dove sopravvive, vive alla

12 Giuseppe Pezzino

9 Ivi, pp. 308-9.

(13)

stregua di una ecclesia pressa. Ma, quale indirizzo può imprimere, quale prospettiva può offrire la crociana “religione della libertà” in un continen- te precipitato nelle allucinazioni del nazionalismo e del comunismo, del- l’irrazionalismo e del misticismo? Nel mezzo della notte di un’Europa feb- bricitante e delirante, oportet studuisse non studere. Insomma, il dovere im- mediato che grava su tutti i liberali non è quello di chiudersi nella con- templazione, bensì quello di apprestarsi all’azione e all’opera, secondo la parte che spetta a ciascuno. E nello slancio pratico liberale s’apre, per Cro- ce, una prospettiva di fede e di speranza: lavorare concretamente per una

“nuova nazionalità” europea, ossia per l’unità dell’Europa nella libertà.

Per intanto, in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscien- za, di una nuova nazionalità […]; e a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del regno subalpino si fecero ita- liani non rinnegando l’esser loro anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalze- ranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batte- ranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma me- glio amate10.

Un simile processo di unione europea, contro lo spirito nazionalistico e a favore della libertà, non può non portare alla ripresa decisiva della co- scienza liberale. Una coscienza certamente rinnovata, ammaestrata dai nuovi problemi, aperta a nuove soluzioni, ma saldamente legata ad un ideale di libertà e di umanità, che non rinnega il meglio del patrimonio cristiano:

Perché è questo l’unico ideale che abbia la saldezza che ebbe un tempo il catto- licesimo e la flessibilità che questo non poté avere, l’unico che affronti sempre l’avvenire e non pretenda di concluderlo in una forma particolare e contingente […] Quando, dunque, si ode domandare se alla libertà sia per toccare quel che si chiama l’avvenire, bisogna rispondere che essa ha di meglio: ha l’eterno11.

Questa immortale pagina crociana del 1931 troverà una sua ideale se- quentia nel Soliloquio di un vecchio filosofo, del gennaio 1942. Al centro

10 Ivi, pp. 314-5.

11 Ivi, p. 313.

(14)

della seconda guerra mondiale, in una fase in cui le truppe dell’Asse era- no ancora dislocate in mezza Europa e pochi avrebbero giurato su una di- sfatta nazifascista, Croce trova pur sempre parole di fede e di speranza sul destino della libertà. Beninteso, l’inno crociano alla libertà non è mai di- sgiunto dal giudizio storico e dal pensamento filosofico, sicché le pagine del Soliloquio ci portano alla delucidazione dell’ideale della libertà, che è ideale morale, e che vanta una “sostanza cristiana”.

In tal senso, risulta altamente significativa la pagina in cui, formulan- do un giudizio storico sull’età ottocentesca del liberalismo europeo, il fi- losofo napoletano si attarda nella definizione etico-politica dell’ideale del- la libertà.

In quell’età lo svolgimento dello spirito umano era pervenuto in Italia e in Eu- ropa alla forma più consapevole e riflessa e unitaria e armonica che avesse con- seguito il principio stesso che muove la storia e le dà il momento positivo e sin- tetico, la libertà; la quale, innalzata a ideale, splendeva regola e guida e supremo criterio e ultima istanza di ogni operare. In questa più matura forma si scorgeva, nel fondo, rischiarato di nuova luce, l’austero concetto degli antichi eroi della libertà, greci e romani; ma più intenso e continuo vi si vedeva il processo inizia- to o accelerato dal cristianesimo, verso una umanità accomunata nell’amore e nel dolore e nell’aspirazione all’eccelso. L’ideale cristiano era stato trasferito dal sopramondo al mondo nel Rinascimento; si era in apparenza negato nell’età dei lumi […]; e ora, riconciliato con tutto il travaglioso svolgimento di cui era stato elemento primario, tornava, come si potrebbe dire, avvalorato dalle filosofie e storicizzato. Che, ciononostante, il liberalismo riuscisse inviso alla chiesa di Ro- ma è cosa che riguarda il modo in cui questa chiesa venne piegando e confor- mando ai suoi fini politici gli spiriti cristiani; ma l’intimo legame dei due fu sentito così dai puri liberali alle cui labbra salivano spontanee parole e immagini religiose, come anche dai cattolici-liberali, ossia dagli intellettuali più larghi e dagli spiriti più generosi che fossero tra i cattolici. E ancora oggi si ha la riprova di questo legame, di questa sostanza cristiana del liberalismo, guardando a colo- ro che lo aborrono e vituperano, che o si indirizzano con acceso desiderio ad esaltare e rinnovellare età remote di storia precristiana e di germanico paganesi- mo, o francamente asseriscono la più cruda concezione materialistica e utilitaria e fratricida del vivere umano12.

14 Giuseppe Pezzino

12 B. Croce, Soliloquio di un vecchio filosofo, in Discorsi di varia filosofia, I, Bari, Laterza, 1945, pp. 292-3.

(15)

Questa lunga citazione ci porta ad un punto nevralgico del pensiero etico-politico crociano: qui, nel gennaio 1942, il vecchio Croce porta a compimento un lunghissimo percorso filosofico riguardante l’etica ideali- stica e la religione cristiana. Ferma restando la distinzione fra chiesa cat- tolica e cristianesimo, fra spirito cristiano e prassi clericale, il filosofo na- poletano tiene a precisare nettamente che: a) il mondo moderno non na- sce in assoluta contrapposizione al cristianesimo; b) esiste un «intimo le- game» fra cristianesimo e filosofia idealistica della libertà; c) il liberalismo crociano, la «religione della libertà», vanta una «sostanza cristiana».

Abbiamo considerato, infatti, che per Croce l’ideale morale della li- bertà, in parte compreso dal mondo pagano, subisce un rivoluzionario processo di nobilitazione con l’avvento del Cristianesimo, che si collocò ed operò nel centro dell’uomo, nella coscienza morale, predicando l’amo- re per un Dio d’amore, che è Padre di tutti gli uomini, senza distinzione di lingue, di razze, di classi, di liberi e di schiavi.

Ma c’è di più: qui Croce sostiene una “scandalosa” conciliazione fra mondo moderno e mondo cristiano. Il Rinascimento, infatti, aveva tra- sferito – non già negato – l’ideale cristiano dal cielo alla terra; e la stessa età dei lumi, celebrando il culto dell’astratta Dea Ragione, aveva solo in apparenza e in superficie negato l’ideale cristiano, perché in effetti aveva ben lavorato in direzione di quell’ideale, proprio quando la ragione illu- ministica si fece «fugatrice di tenebre e promotrice di fratellanza, egua- glianza e libertà».

E l’ideale cristiano si legherà intimamente alla moderna filosofia idea- listica, per tornare poi «avvalorato dalle filosofie e storicizzato». Questo

«intimo legame» fra ideale cristiano e ideale morale della libertà fu distin- tamente avvertito nella coscienza di tanti liberali e di tanti cattolici-libe- rali. E questo legame profondo, questa «sostanza cristiana del liberali- smo», trova testimonianza e prova negli anni dei totalitarismi e del secon- do conflitto mondiale, guardando a quei lanzi ubriachi di paganesimo, di superiorità razziale, o ai novelli sacerdoti di una materialistica religione dell’edonismo utilitaristico e dell’egoismo fratricida.

A questo punto occorre dire che, nel Soliloquio del 1942, torna all’at- tenzione la definizione crociana di “civiltà” e di “barbarie”:

(16)

Un’età storica non si qualifica e giudica accumulando aneddoti, ma unicamente cercando e considerando se ebbe un ideale morale che irraggiasse e governasse gli animi di coloro che nelle società umane sono capaci d’ideali: capaci di amare qualcosa che stia di sopra del benessere della propria persona e delle altrui a cui essa è legata, figli, donne, amici; di sopra dell’amore “naturale” o “sensuale”

(come un tempo si soleva chiamarlo dagli uomini religiosi) per gli esseri e per le cose di cui s’intesse in ciascuno di noi la mera “gioia del vivere”, del lasciarsi vi- vere. Vi sono età storiche nelle quali questa forza ideale morale è scemata e qua- si è parsa mancare, e che si designano come di barbarie o come di decadenza; e vi sono altre attive e fiorenti, che segnano gli avanzamenti nella civiltà, gli ac- quisti che l’uomo fa di concetti sempre più ricchi e profondi, e di corrisponden- ti modi di pratica operosità13.

Questo tema del contrasto fra civiltà e barbarie era già stato precedu- to dalla polemica crociana contro le persecuzioni razziali in Germania e contro il concetto, anzi il preconcetto, di “razza” che negli anni Trenta cominciava ad espandersi al di là dei confini tedeschi. Nel 1935, infatti, dalla penna di Croce esce fuori una sferzante ed amara condanna delle persecuzioni tedesche contro gli ebrei:

A che cosa è valsa la persecuzione che in Germania si è fatta e si fa degli ebrei?

Ad apprenderci che una grandissima ed efficacissima parte di quella che ammi- ravamo come opera tedesca in critica, storia, filosofia, filologia, scienze naturali, matematica, tecnica, medicina, e in letteratura e in musica e in pittura, è opera di ebrei. Non lo sapevamo, non ce ne accorgevamo, ma la persecuzione, sepa- rando il grano dal loglio, ci ha aperto gli occhi […] Superfluo aggiungere che quegli uomini che servivano al vero e al bello, e che noi ammiravamo, non era- no poi né ebrei né tedeschi, e l’opera loro aveva origine non nella loro naziona- lità, ma nella loro comune umanità: nella comune umanità, che ora è, in essi e per essi, offesa in noi tutti14.

Nel 1939, quando anche in Italia già s’espande il bubbone della que- stione razziale, egli indirizza una pesantissima e netta critica contro il concetto «extrastorico» di razza, il cui vero fondamento risiede non già nella scienza, bensì nella mitologia:

16 Giuseppe Pezzino

13 Ivi, p. 292.

14 B. Croce, L’ibrida “germanità” della scienza e cultura tedesca, «La Critica», 1935, p. 237.

(17)

Nella realtà, la “razza” non si può distaccare dal cosiddetto “ambiente”, cioè dalla condizionalità storica, né si può fissarla e attribuirle costanza, perché can- gia col mondo che cangia; né si possono distinguere radicalmente le presunte razze diverse, perché sempre si sono mescolate tra loro e si mescolano, onde, ri- guardate sotto l’immaginario aspetto della purezza, appaiono tutte impure o miste. Cosicché il fondamento di quel concetto extrastorico di razza non è “fisi- co”, come si crede, ma “metafisico”, e anzi “mitologico”, riportandosi a un Dio che avrebbe creato le razze umane fisse al pari delle specie fisse degli altri viven- ti, di quelle specie che la scienza naturale, storicizzata, nel secolo decimonono, pur considerò variabili15.

E se Heidegger aveva fatto riferimento alla nazione tedesca, prestando la sua voce filosofica a favore di un torbido miscuglio paganeggiante di nazionalismo e di razzismo, Benedetto Croce fa appello alla cristiana «co- scienza dell’unica umanità», per condannare qualunque “mitologia” di popoli eletti e correlative discriminazioni razziali. La crociana coscienza morale fa chiaramente capo al magistero cristiano dell’evangelo del giu- deo Gesù, e respinge il modello del giudeo sacerdote Esdra, il quale, co- mandando al popolo di Israele di ripudiare le mogli straniere, così parlò:

Voi avete commesso un tradimento, prendendo in moglie donne straniere, e ai tanti delitti d’Israele avete aggiunto anche questo. Or dunque, date gloria al Si- gnore, Dio dei nostri padri, e compite la sua volontà: separatevi dalle popola- zioni del paese e dalle mogli straniere16.

Perciò Croce esorta, nel campo morale, ad innalzarsi alla comune e universale umanità che il Cristianesimo indica nelle pagine dell’evangelo:

Ma all’uomo morale, all’uomo religioso tocca il diverso ufficio di sempre fron- teggiare quello che ben si suole chiamare il “preconcetto delle razze”, combat- terlo incessantemente e ristabilire di continuo la coscienza dell’unica umanità, che la divisione secondo le razze, tramutata di classificatoria in reale, turba e, se potesse, distruggerebbe, mercé dell’insanabile scissione e della reciproca estra- neità che v’introduce. Se il giudeo Esdra separò i suoi “a populis terrarum”, il

15 B. Croce, Specie naturali e formazioni storiche, «La Critica», 1939; poi aggiunto nella terza edizione (1939) de La storia come pensiero e come azione; cito dalla sesta edizione: La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1954, p. 315.

16 Libro di Esdra, 10, 10-11.

(18)

giudeo Gesù, innalzandosi alla comune e universale umanità, riconobbe nel sa- maritano l’uomo “qui fecit misericordiam”, come non l’avevano saputa fare né il sacerdote né il levita della sua gente. Nella vita morale, non Esdra ma Gesù è qui il maestro17.

Vale la pena ricordare che la battaglia crociana contro le persecuzioni razziali e contro il “preconcetto” di razza continuerà impavida e rigorosa sino al crollo del Terzo Reich e del suo folle progetto razzista. Nel 1944, mentre l’Europa era in guerra e non aveva ancora definitivamente debel- lato il pericolo nazista, Croce continua la sua rigorosa critica contro il razzismo e contro la perniciosa subordinazione della cultura tedesca ai fi- ni politici di uno Stato totalitario:

Uno degli ultimi libri che mi sono stati inviati dalla Germania è un grosso volu- me di ricerche sulla lotta di Roma e Cartagine in rapporto alla razza “nordica” o

“indo-germanica” della prima e a quella “semitica” o “semitico-libica” della se- conda; e vi ho veduto che uno degli autori dei saggi che vi sono raccolti aggiun- ge al suo nome l’indicazione che egli si trova di presente presso la Schutzstaffel, la polizia perfezionata di cui si è già fatta menzione: indicazione in certo senso superflua, perché tutti i dotti tedeschi, salvo rare quanto lodevoli eccezioni, so- no ora al servizio della polizia del cosiddetto Polizei-Staat18.

Ma torniamo alle tragiche giornate di guerra del 1942, per ritrovare il filosofo napoletano alle prese col Cristianesimo. Quando sembrava com- piersi il destino dell’Europa nel delirio pagano del Terzo Reich; quando con teutonica pedanteria e con longobardico sogghigno veniva piantata sul suolo e sulla coscienza d’Europa la croce uncinata dei barbari conqui- statori, al posto della croce di Cristo; proprio allora il vecchio filosofo, andando controcorrente, scrive pagine bellissime a difesa del Cristianesi- mo e a riscatto della verità. Nel novembre 1942, infatti, appare il Perché non possiamo non dirci “cristiani”, dove Croce così esordisce:

Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai com- piuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia appar-

18 Giuseppe Pezzino

17 B. Croce, Specie naturali e formazioni storiche, cit., p. 318.

18 B. Croce, Nullità storiografica del concetto di razza, «La Critica», 1944, pp. 109-10.

(19)

so o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto in- tervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poe- sia, dell’arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto […] E le ri- voluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tut- to l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’im- pulso originario fu e perdura il suo19.

Come già nel Soliloquio, qui Croce torna al confronto fra mondo cri- stiano e mondo moderno: il primato della rivoluzione cristiana non vale soltanto per le grandi rivoluzioni del mondo greco-romano, ma vale an- che per quelle rivoluzioni e scoperte della modernità che dal Cristianesi- mo sgorgano in mille rivoli e dal Cristianesimo dipendono per la loro ca- pacità d’investire tutto l’uomo, anzi il centro di tutto l’uomo: ossia la co- scienza morale. Sta qui, per Croce, il pregio insuperato ed insuperabile del Cristianesimo, nonché il motivo profondo del suo primato sugli anti- chi e sui moderni.

La coscienza morale, all’apparire del cristianesimo, si avvivò, esultò e si travagliò in modi nuovi, tutt’insieme fervida e fiduciosa, col senso del peccato che sem- pre insidia e col possesso della forza che sempre gli si oppone e sempre lo vince, umile ed alta, e nell’umiltà ritrovando la sua esaltazione e nel servire al Signore la sua letizia. E si tenne incontaminata e pura, intransigente verso ogni alletta- mento che la traesse fuori di sé o la mettesse in contrasto con sé stessa, guardin- ga persino contro la stima e la lode e il luccicore sociale; e la sua legge attinse unicamente dalla voce interiore […] E il suo affetto fu di amore, amore verso tutti gli uomini, senza distinzione di genti e di classi, di liberi e schiavi, verso tutte le creature, verso il mondo che è opera di Dio e Dio che è Dio d’amore, e non sta distaccato dall’uomo, e verso l’uomo discende, e nel quale tutti siamo, viviamo e ci moviamo20.

19 B. Croce, Perché non possiamo non dirci “cristiani”, in Discorsi di varia filosofia, I, cit., pp.

11-2.

20 Ivi, pp. 13-4.

(20)

Croce di Berengario, secolo IX, Monza, Tesoro del Duomo

Il simbolo della croce,

la più sintetica ed efficace icona della tradizione cristiana, in un superbo oggetto di oreficeria medioevale.

(21)

Nella prospettiva crociana, lo spirito animatore della rivoluzione cri- stiana non s’acquietò né s’imbozzolò nella sterile e statica contemplazione della sua profonda verità, per la stessa natura di quel che insegnarono Ge- sù, Paolo e Giovanni l’Evangelista:

Quei genî della profonda azione, Gesù, Paolo, l’autore del quarto evangelio, e gli altri che con essi variamente cooperarono nella prima età cristiana, sembra- vano col loro stesso esempio, poiché fervido e senza posa era stato il loro trava- glio di pensiero e di vita, chiedere che l’insegnamento da loro fornito fosse non solo una fonte di acqua zampillante da attingervi in eterno, o simile alla vite i cui palmiti portano i frutti, ma incessante opera, viva e plastica, a dominare il corso della storia e a soddisfare le nuove esigenze e le nuove domande che essi non sentirono e non si proposero e che si sarebbero generate di poi dal seno della realtà21.

E poiché un’effettiva e profonda prosecuzione comporta un processo di arricchimento, di delucidazione, di sistemazione, di correzione e persi- no di modificazione, allora, per Croce, i «continuatori effettivi» dello slancio rivoluzionario cristiano sono da ricercare paradossalmente nei grandi della modernità, proprio in quel mondo moderno che sembrò sor- gere estraneo od ostile rispetto a quello cristiano.

Continuatori effettivi dell’opera religiosa del cristianesimo sono da tenere quelli che, partendo dai suoi concetti e integrandoli con la critica e con l’ulteriore in- dagine, produssero sostanziali avanzamenti nel pensiero e nella vita. Furono dunque, nonostante talune parvenze anticristiane, gli uomini dell’Umanesimo e del Rinascimento, che intesero la virtù della poesia e dell’arte e della politica e della vita mondana, rivendicandone la piena umanità contro il soprannaturali- smo e l’ascetismo medievali, e, per certi aspetti, in quanto ampliarono a signifi- cato universale le dottrine di Paolo […] gli uomini della Riforma; furono i se- veri fondatori della scienza fisico-matematica della natura, coi ritrovati che su- scitarono di mezzi nuovi alla umana civiltà; gli assertori della religione naturale e del diritto naturale e della tolleranza, prodromo delle ulteriori concezioni libe- rali; gl’illuministi della ragione trionfante, che riformarono la vita sociale e poli- tica, sgombrando quanto restava del medievale feudalismo e dei medievali privi- legi del clero, e fugando fitte tenebre di superstizioni e di pregiudizî, e accen- dendo un nuovo ardore e un nuovo entusiasmo pel bene e pel vero e un rinno-

21 Ivi, pp. 18-9.

(22)

vato spirito cristiano e umanitario; e i pratici rivoluzionarî che dalla Francia estesero la loro efficacia nell’Europa tutta; e poi i filosofi, che procurarono di dar forma critica e speculativa all’idea dello Spirito, dal cristianesimo sostituita all’antico oggettivismo, Vico e Kant e Fichte e Hegel, i quali, per diretto o per indiretto, inaugurarono la concezione della realtà come storia, concorrendo a superare il radicalismo degli enciclopedisti con l’idea dello svolgimento e l’astratto libertarismo dei giacobini con l’istituzionale liberalismo, e il loro astratto cosmopolitismo col rispettare e promuovere l’indipendenza e la libertà di tutte le varie e individuate civiltà dei popoli o, come furono chiamati, delle nazionalità22.

Senza dubbio, in quest’opera di conciliazione fra cristiano e moderno, Croce è ben consapevole di provocare “scandalo” nella chiesa cattolica, che questi “cristiani” ignorò, perseguitò e condannò. Anzi, riconosce apertamente che la chiesa, in quanto tale, ha il dovere e l’interesse di re- spingere come “blasfema” una simile operazione, che tende a proclamare

“cristiano” chi ha operato extra ecclesiam o addirittura contro di lei. La chiesa cattolica, quindi,

doveva e deve respingere con orrore, come blasfema, il nome che a quelli bene spetta di cristiani, di operai nella vigna del Signore, che hanno fatto fruttificare con le loro fatiche, coi loro sacrifici e col loro sangue la verità da Gesù prima- mente annunciata e dai primi pensatori cristiani bensì elaborata, ma non diver- samente da ogni altra opera di pensiero, che è sempre un abbozzo a cui in per- petuo sono da aggiungere nuovi tocchi e nuove linee. Ma noi, – che scriviamo né per gradire né per sgradire agli uomini delle chiese e che comprendiamo, con l’ossequio dovuto alla verità, la logica della loro posizione intellettuale e morale e la legge del loro comportamento, – dobbiamo confermare l’uso di quel nome che la storia ci dimostra legittimo e necessario23.

E, contro l’ondata di paganesimo germanizzante e di cinico materiali- smo, prorompe irrefrenabile dal petto del vecchio filosofo il non possia- mo non dirci “cristiani”:

Gli è che […] l’etica e la religione antiche furono superate e risolute nell’idea cristiana della coscienza e della ispirazione morale, e nella nuova idea del Dio

22 Giuseppe Pezzino

22 Ivi, pp. 19-20.

23 Ivi, pp. 20-1.

(23)

nel quale siamo, viviamo e ci moviamo, e che non può essere né Zeus né Jahvé, e neppure (nonostante le adulazioni di cui ai nostri giorni si è voluto farlo og- getto) il Wodan germanico; e perciò, specificamente, noi, nella vita morale e nel pensiero, ci sentiamo direttamente figli del cristianesimo24.

A questo punto, torna dall’ombra del passato una bellissima pagina crociana del 1908, dove il filosofo napoletano riconosceva, con religiosa partecipazione e con nobili accenti, la paternità cristiana della propria eti- ca idealistica:

Soprattutto quest’ufficio di simbolo etico idealistico, quest’affermazione che l’atto morale è amore e volizione dello Spirito in universale, si osserva nell’Etica religiosa e cristiana, nell’Etica dell’amore e della ricerca ansiosa della presenza divina: così misconosciuta e bistrattata oggi, per angusta passione di parte o per manco di finezza mentale, dai volgari razionalisti e intellettualisti, dai cosiddetti liberi pensatori e da simile genìa, frequentatrice di logge massoniche. Non c’è quasi verità dell’Etica […], che non si possa esprimere con le parole, che abbia- mo apprese da bambini, della religione tradizionale, e che spontanee ci salgono alle labbra come le più alte, le più appropriate, le più belle: parole, di certo, om- brate ancora di mitologia, ma gravi insieme di un contenuto profondamente fi- losofico25.

Ecco, si salda così il lungo e ardito arco della riflessione morale cro- ciana, che dalle pagine della Filosofia della pratica del 1908 va alle pagine del Perché non possiamo non dirci “cristiani” del 1942. Ebbene, quando appare ormai lontanissimo quel primo decennio del Novecento, ricco di operosa speranza e non ancora insanguinato dal primo conflitto mondia- le; quando tutto sembra concorrere o accorrere in favore del totalitarismo e di un’etica pagana, fratricida e barbarica, proprio allora il vecchio Croce torna a proclamare solennemente la sostanza cristiana della sua etica e la

“limpida verità” del Dio cristiano:

E serbare e riaccendere e alimentare il sentimento cristiano è il nostro sempre ricorrente bisogno, oggi più che non mai pungente e tormentoso, tra dolore e speranza. E il Dio cristiano è ancora il nostro, e le nostre affinate filosofie lo

24 Ivi, p. 22.

25 B. Croce, Filosofia della pratica, cit., p. 306.

(24)

chiamano lo Spirito, che sempre ci supera e sempre è noi stessi; e, se noi non lo adoriamo più come mistero, è perché sappiamo che sempre esso sarà mistero al- l’occhio della logica astratta e intellettualistica, immeritatamente creduta come

“logica umana”, ma che limpida verità esso è all’occhio della logica concreta, che potrà ben dirsi “divina”, intendendola nel senso cristiano come quella alla quale l’uomo di continuo si eleva, e che, di continuo congiungendolo a Dio, lo fa veramente uomo26.

Indubbiamente, da quel 1942 alla fine della seconda guerra mondiale, il peggio doveva ancora arrivare. E la tragedia bellica sembrò non toccare mai il fondo; e sembrò che la luce del mattino non giungesse mai più a por fine a quella lunghissima notte di sangue, di sofferenze e di barbarie: i bombardamenti delle città; il caos dell’otto settembre; l’Italia divisa in due, con un Nord oppresso dall’occupazione tedesca e straziato dalla guer- ra civile; e la fame e le sofferenze e i lutti del popolo italiano. Il mondo sembrò crollare irrimediabilmente, trascinando con sé, nella sua rovina, non solo la vita di tanti giovani in divisa e di tanti innocenti, ma anche l’anima, gl’ideali, la fede e le speranze di tanti uomini di buona volontà.

C’è una pagina del Diario di Croce, scritta il 1° marzo 1944, in cui appare il pallido volto dell’angoscia che tormenterà continuamente gli ul- timi anni del vecchio filosofo: l’angoscia di assistere al tramonto definiti- vo degli ideali di libertà, di pace, di progresso etico-politico; l’angoscia di dover vivere, alla fine della seconda guerra mondiale, un lunghissimo e dolorosissimo periodo di sconvolgimenti politici, di rivoluzioni e di guer- re, per poi sfociare nella finis Europæ.

In questo sentimento di malessere, di disorientamento, di sconforto, di doloroso vuoto per la fine di un mondo – quello europeo –; in questo sentimento angoscioso precipita il filosofo napoletano, che giunge al pun- to di pensare con sollievo al sopraggiungere della morte:

Noi, nel tenace fondo del nostro animo, siamo ancora nell’attesa che risorga un mondo simile a quello, continuazione di quello in cui già vivemmo per più de- cenni, prima della guerra del 1914, di pace, di lavoro, di collaborazione nazio- nale e internazionale. E in ciò è la sorgente della nostra implacabile angoscia,

24 Giuseppe Pezzino

26 B. Croce, Perché non possiamo non dirci “cristiani”, cit., p. 23.

(25)

perché quella speranza sempre più s’allontana e, peggio ancora, s’intorbida e si oscura. Noi dobbiamo prevedere non il risorgere di quel mondo, la sua ripresa e miglioramento, ma una sequela a perdita di vista di scotimenti e rivolgimenti e rovine per rivoluzioni e guerre, che prenderanno un mezzo secolo, se non più, e potranno anche non raggiungere qualcosa di positivo, ma condurre alla finis Europae. Dobbiamo risolutamente distaccarci da quelle speranze, acconciarci al- l’idea di una vita da vivere senza stabilità […] E su questo terreno, traballante a ogni passo, dobbiamo fare il meglio che possiamo per vivere degnamente, da uomini, pensando, operando, coltivando gli affetti gentili; e tenerci sempre pronti alle rinunzie senza per esse disanimarci. […] A cingere il petto dell’aes triplex dell’indifferenza non arriveremo certamente mai: perdurerà sempre o si rinnoverà il senso di disorientamento, di mancanza di un appoggio, d’instabili- tà, di malcontento, di malessere; e questo, in ultimo, ci farà accogliere più ami- ca la morte27.

Sfiducia? Disperato pessimismo? Per certi aspetti bisogna ammettere che in quella tragedia mondiale esistevano tutte le ragioni per annegarvi.

E sembrerà così, anche quando Croce non porrà più all’ordine del giorno l’unione politica dell’Europa. Nell’aprile 1947, nell’àmbito di un’inchie- sta per conoscere l’opinione delle maggiori personalità europee sull’idea propugnata da Winston Churchill degli Stati Uniti d’Europa, l’Agenzia Reuter interpella per l’Italia Benedetto Croce. Questi, dopo aver sottoli- neato che «l’unità intellettuale e morale dell’Europa (o almeno dell’Euro- pa occidentale e centrale) è una realtà, che non si può revocare in dub- bio», esprime il suo ragionato pessimismo intorno alla possibilità di una unificazione politica del nostro continente.

In piena guerra fredda, che ha innalzato il confronto fra le superpo- tenze vincitrici a livello planetario, riducendo così lo scacchiere europeo ad un teatro politico-militare di second’ordine; nel clima di disfatta e di smarrimento generato prima dalla guerra e poi dalla voragine che squar- cia il cuore dell’Europa con un’Italia in preda alle conseguenze di una sconfitta e di una pace pesantemente umiliante e con una Germania “sui- cidata” e annientata; non meraviglia la cortese ma fredda risposta negati- va di Croce all’idea troppo tardiva, o troppo prematura, di Churchill.

27 B. Croce, Diario, in Scritti e discorsi politici (1943-1947), I, Napoli, Bibliopolis, 1993, pp.

259-60.

(26)

Ma ora, dopo la grande guerra mondiale, tutte le condizioni che favorivano, o almeno non impedivano, quella speranza, sono cadute. Un gran popolo, dotto e operoso, posto al centro dell’Europa […], preso da fanatismo e da follia, si è come suicidato e per esso ora s’invoca il miracolo della risurrezione. Un altro popolo che è stato tra i primi fondatori della civiltà europea […], colpito altresì da una sorta di follia, nuova nella sua storia e di poca forza e durata, trascinato alla guerra da un dittatore […], è stato, dai vincitori della guerra, conculcato, spogliato, mutilato, ridotto inerme […]. Una rivalità di due o di tre grosse po- tenze minaccia di ridurre l’Europa […] a un passivo campo di battaglia. […]

Concluderò io, dunque, negativamente e pessimisticamente intorno all’opera a cui si è accinto ora il Churchill28.

Ma il pessimismo crociano, sia pur legittimo e giustificato dai fatti, non è mai assoluto né volgarmente piagnone. All’inevitabile senso di vuo- to e di smarrimento in mezzo alle macerie dell’Europa il vecchio filosofo saprà sempre reagire con la sua etica del dovere e del lavoro. Sicché, nello stesso 1947, ritornando col pensiero e col cuore al «glorioso ottocento»

ormai tramontato, e interrogandosi spaurito sul futuro dell’Italia e del- l’Europa, egli trova parole di riscatto e di redenzione nel dovere morale dell’operosità:

La meravigliosa fioritura politica, economica, intellettuale, artistica del glorioso ottocento ha prodotto una stanchezza, della quale sono stati effetti le “confla- grazioni”, come furono chiamate, […] e adesso questo mondo sfiduciato e agi- tato, pauroso e ferocemente pronto a tutto. Siamo prossimi a una crisi benefica o bisognerà che la società umana passi ancora per altri stadi patologici? Nessuno di noi sa ciò; ma, per fortuna, ciascuno sa come comportarsi, per suo conto, per non troppo arrossire dentro sé stesso29.

Per comprendere meglio questo processo di ripensamento crociano è estremamente utile tornare alle pagine del 1939, L’ombra del mistero, do- ve Croce prende criticamente posizione contro coloro che, da opposti fronti, restano insoddisfatti della concezione crociana della realtà come

26 Giuseppe Pezzino

28 B. Croce, Risposta intorno a una proposta del Churchill di Unione Europea, in Scritti e di- scorsi politici (1943-1947), II, Napoli, Bibliopolis, 1993, pp. 341-2.

29 B. Croce, Il fanatismo («Buio a mezzogiorno», romanzo di A. Koestler), in Scritti e discorsi politici (1943-1947), II, cit., p. 363.

(27)

divenire storico e della filosofia come storicismo assoluto, e si rifugiano nell’ombra del mistero, nel «sapere del non sapere».

A coloro che si affannano nella vana ricerca dell’impossibile, dell’asso- luta felicità, del “tutto e subito e definitivamente” nel campo del piacere (edonismo egoistico), della beatitudine (paradisi di qualunque religione), dell’egualitarismo (paradiso terreno del comunismo o dell’anarchismo), per poi arrendersi con poco onore filosofico ai piedi del pessimismo, del fanatismo o del misticismo, Croce propone la sua realistica e dialettica (realistica perché dialettica, e dialettica perché realistica) concezione della vita ed indica, con appassionate e toccanti parole, l’ideale dell’operosità:

ideale non certo della sola opera grandiosa, ma di qualunque, sia pur mi- nima ed umile, opera di vita e di progresso. Ideale morale che, contro le facili e vuote etiche edonistiche ed utilitaristiche, propone l’austera e reli- giosa morale dell’operosità:

A contrasto della concezione edonistica e utilitaria la morale dell’operosità è da dire morale “eroica” […]. L’esortazione in cui essa si condensa e che l’uomo operante mormora lungo la sua giornata a sé stesso, è quella, fondamentale, di

“coraggio!”. Coraggio dinanzi alla tristezza dei distacchi, alle passioni che sel- vaggiamente riassaltano e attanagliano, alle cose del mondo che vanno in con- trario dei nostri amori e delle nostre speranze, ai dolori che conviene sostenere e addomesticare e ridurre a compagni severi della propria vita mortale. Tutto ciò è umano; e umano è anche vacillare e cadere e soggiacere nello sforzo, e doman- da giudizio di umana equità e pietà: la vita di un uomo, che ha accolto e sentito in sé l’universale, distinguendosi per tal carattere dal volgo immerso nei poveri godimenti e nei congiunti miserabili affanni, va guardata, non diversamente dal poema più bello, nella linea dominante della bellezza e nei momenti felici, e non già nelle incidentali stanchezze e nelle poche macchie sparse. Il giusto pec- ca sette volte al giorno, e la sua giustizia sta nel continuo ripigliare l’opera a cui religiosamente attende30.

Invero, a questa febbre maligna della brama di una felicità perfetta, assoluta e definitiva, il Cristianesimo aveva a suo tempo risposto con la consapevolezza che la vera e perfetta felicità non è e non può essere di questo mondo imperfetto, limitato e transeunte, ma riposa in Dio, nel-

30 B. Croce, L’ombra del mistero, in Il carattere della filosofia moderna, cit., pp. 36-7.

(28)

l’universale, nell’eterno. Ma, secondo Croce, quando il razionalismo av- viò il suo processo critico alla religione cristiana, allora «il mondo apparve deserto di Dio e arido della speranza» a tutti coloro che non seppero su- perare e conservare la verità cristiana nella morale religiosa dell’operosità.

Da qui, da questo abbandono delle radici cristiane e dal rifiuto di una se- vera e realistica e religiosa morale dell’operosità, affiorerà il torrente li- maccioso dei più folli ideali.

I cristiani sapevano che “ultima felicitas hominis non est in hac vita”, e, posse- dendo la chiara rivelazione dell’altro mondo, non avevano bisogno di dare alla ricerca della felicità lo sfogo di un supposto mondo misterioso. Ma quando con la critica delle credenze cristiane, adempiuta dal razionalismo, così da quello in- tellettualistico come dall’altro più profondo e dialettico, il mondo apparve de- serto di Dio e arido della speranza che per lunghi secoli aveva nutrita, non sen- tendo rifiorire in sé la speranza tutt’insieme con la fede nell’umana operosità […] i più vari e spesso i più folli ideali occuparono le immaginazioni e scossero e agitarono le anime, di ritorni nostalgici al remoto passato primitivo e barbari- co, al teocratico e feudale evo medio, a vecchie religioni pesantemente cattoli- che o pagane o dell’antico Oriente, e di personali beatificazioni cercate nel- l’amore sublimato a religione o nella genialità della vita vissuta come poetica ebrezza o nella poesia trattata come sfogo di voluttà31.

Ma, per Croce, i piagnistei per una felicità assoluta o i comodi rifugi nell’ombra del mistero cedono il passo, alla fine degli anni Trenta, ad una nuova e più grave crisi. Mentre il nazismo s’appresta a gettare la Germa- nia e il mondo nella voragine di una guerra mondiale; mentre il delirio barbarico di violenza, di razzismo e di morte agita armate schiere di fana- tici, masse osannanti il capo, sacrileghi intellettuali profanatori del vero e del bene nelle università, nei giornali, nei tribunali, nell’arte; mentre il mondo va a capofitto verso il fondo belluino dell’animalità, il filosofo na- poletano denuncia i rischi mortali di un tale fenomeno e rilancia l’appello alla fede nella civiltà e nell’umanità.

Altro travaglio soffre ora il mondo, tirato come si sente giù verso l’animalità, verso la bruta vitalità che vuol sopraffare e sostituire lo spirito […]; e che pur

28 Giuseppe Pezzino

31 Ivi, pp. 38-9.

Riferimenti

Documenti correlati

del 1983 il «fraintendimento» di Labriola da parte di Volpe si riconfigura come il problema della «sfortuna» di Labriola nella cultura storica italiana, già impostato nei primi

Ebbe così inizio una vivace corrispondenza tra Faccioli e Gardella, il quale negò fermamente di avere mai potuto fornire tale informazione a Ricci (Ricci, dopo aver subito

La reazione alla storiografia illuminista nell’età della Rivoluzione francese Justus Möser: la storia delle comunità locali come paradigma storiografico. Herder, Hegel e la

Tra Quattro e Cinquecento la storiografia – che nei secoli precedenti era stata prevalentemente cronaca o storia ecclesiastica – entra nella sua stagione matura ponendo le basi

Cardarelli, poi, in La preistoria e il problema delle Origini, ne ha evidenziato l’importanza perché è in questo periodo che arrivano a compimento processi che poi avviano la

La scuola, la storia da insegnare, l’insegnamento e l’apprendimento possono ricevere un giovamento dalla ricezione della molteplicità di modelli che la storiografia ha

Il ‘dappertutto’ fonda il legame con la cultura europea (punto 1) e Giarrizzo a sua volta osserva: «la storiografia italiana … entra attra- verso il romanzo nel mondo europeo, ne

Seguivano una serie di studi (non tutti ben documentati come quello di Forcella e di Monticone) che, nel clima polemico del sessantotto e come reazione all’agiografia