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Riforma della sanità penitenziaria. Evoluzione della tutela della salute in carcere

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Quaderni ISSP

Istituto Superiore di Studi Penitenziari

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Formazione

Valutazione Innovazione

Ministero della Giustizia

Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Ricerca

Riforma della sanità penitenziaria

Evoluzione della tutela della salute in carcere

QUADERNI ISSP Rivista quadrimestrale

dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari Registrazione Tribunale di Roma

N. 120/2009 Del 30 marzo 2009 Dir ettor e Responsabile:

Dott. Massimo De Pascalis Direttore dell’ISSP

Istituto Superior e di Studi Penitenziari Via Giuseppe Barellai, 135 - 00135 Roma

tel. 06/302611 fax 06/30261425 mail: issp.dap@giustizia.it

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Quaderni ISSP Riforma della sanità penitenziaria

Collana Quaderni ISSP

1. I Progetti Promofol e Domino - Indagine valu- tativa su interventi di formazione attuati secondo la modalità decentrata

2. Verso un OPG diverso o migliore? - Ricerca- inter vento sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e sui bisogni for mativi degli operatori

3. Gestione strategica delle competenze 4. La Valutazione del Programma Co.Ra.M.-DAP

- (Consolidare e Rafforzare il Management del DAP)

5. Verso la qualità dei servizi: significato di un'esperienza. - Il progetto realizzato dagli uffi- ci di esecuzione penale esterna della Sicilia 6. ll progetto I.T.A.C.A. Un percorso interattivo di

apprendimento organizzativo

7. Benessere organizzativo, complessità ed emer- genza. Ricerca-intervento sui climi organizzativi negli istituti penitenziari italiani

8. La prevenzione dei suicidi in carcere.

Contributi per la conoscenza del fenomeno 9. La radicalizzazione del terrorismo islamico.

Elementi per uno studio sul fenomeno

10. Gli spazi della pena - Tu tela dei diritti umani e circuiti penitenziari

11. Riforma della sanità penitenziaria - Evoluzione della tutela della salute in carcere

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Q

Quaderno 11_Cover_2_ISSP 18/04/13 11.23 Pagina 1

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Dicembre 2012

Istituto Superiore di Studi Penitenziari

Quaderni ISSP

Numero 11

Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Riforma della sanità penitenziaria

Evoluzione della tutela della salute in carcere

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Il contenuto del presente volume é consultabile e scaricabile alla pagina internet

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INDICE

Massimo DE PASCALIS “Presentazione” ... 5 1. Carmelo CANTONE “La riforma della sanità penitenziaria:

Problemi e percorsi possibili” ... 7 2. Fabio GUI “Il Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone

private della libertà personale” ... 35 3. Francesca ACERRA “Problematiche relative alla gestione dei

soggetti sottoposti alle misure di sicurezza detentive” ... 43 4. Antonietta DE ANGELIS “Il disagio mentale in ambiente

penitenziario: strategie e competenze della polizia penitenziaria” 59 5. Febea FIORI “I minorati psichici nel sistema penitenziario italiano,

profili di gestione e compatibilità con l’esecuzione penale”... 75 6. Stefania GRANO “Prospettive future degli OPG e gestione degli

internati tra cura e detenzione: il ruolo della polizia penitenziaria” 95 7. Domenico MONTAURO “Studio comparativo sugli effetti della

organizzazione/gestione dopo la riforma sanitaria” ... 109 8. Grazia SALERNO “Il ruolo della Polizia Penitenziaria nella gestione

del detenuto affetto da disturbi mentali.” ... 123 9. Maria Luisa TATTOLI “Il diritto alla salute del detenuto: interazione

e collaborazione tra l’Ordinamento sanitario e l’Ordinamento

penitenziario.” ... 139 10. Domenico SCHIATTONE “Postfazione” ... 153 Ringraziamenti ... 159

Riforma della sanità penitenziaria

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Presentazione

a cura di Massimo De Pascalis – Direttore dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari

UNA RIFORMA IN CERCA DI SE STESSA

Il Tema trattato con questa nuova pubblicazione, seppure riguarda una Riforma oramai datata, è ancora attualissimo per una doppia ragione. La prima, perché, a distanza di cinque anni esatti dal D.P.C.M. 1 aprile 2008, è ancora una Riforma incompiuta e, la seconda, perché oggi il Sistema giudiziario e penitenziario ita- liano stanno per essere attraversati da una nuova, epocale riforma che con la legge… ci porterà al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Entrambe hanno in comune la tutela della salute quale diritto fondamentale

della persona, riconoscendone la prevalenza su ogni altro interesse pubblico e,

quindi, anche nell’ambito dell’esecuzione penale. Per tale ragione, nel 2008, il

legislatore, pur non modificando il fondamento di quel diritto, avendolo rico-

nosciuto come tale già con lo stesso Ordinamento penitenziario, ha fatto una

scelta dirompente rispetto all’organizzazione sanitaria precedente, posta alle

dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, con l’obiettivo di restituire

piena autonomia all’esercizio della professione sanitaria troppo spesso chiama-

ta a confrontarsi e ad agire in una dimensione organizzativa in cui entrano in

gioco altri interessi pubblici. Tale scelta, frutto di un lungo e controverso per-

corso iniziato con il d.lgs. 230/99, ha liberato il campo da ogni possibile distor-

sione di quel diritto fondamentale, ribadendo la supremazia della tutela della

salute anche quando debba essere assicurata in carcere. Dunque, una scelta

radicale che ribaltava il sistema precedente mettendo l’organizzazione peniten-

ziaria al servizio funzionale delle finalità di tutela della salute della persona,

curato dal Sistema sanitario pubblico. Un’affermazione di principio ben chiara

ma, considerato il tempo trascorso, di non facile e, soprattutto, rapida realizza-

bilità. Entrambi i Sistemi, nonostante il lunghissimo iter delle procedure,

accompagnato da numerosi Convegni, non erano ancora pronti ad accogliere

un cambiamento così risolutivo rispetto alle prassi che nel corso degli anni si

erano consolidate nell’operare quotidiano. Da una parte un’Amministrazione,

quella penitenziaria, orientata prevalentemente a gestire ogni fatto, atto, evento

o bisogno riconducendolo alle esigenze di sicurezza, dall’altra

un’Amministrazione, quella sanitaria, inconsapevole del cambiamento che da

quella scelta ne avrebbe dovuto conseguire, sia a livello organizzativo che di

gestione. La repentinità della scelta fatta alla conclusione anticipata della legi-

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slatura, ha trovato gli Attori ancora impreparati ad esercitare le rispettive funzio- ni che richiedono, innanzitutto, di sapersi mettere funzionalmente e reciproca- mente al servizio l’uno dell’altro con l’obiettivo condiviso, senza alcun condi- zionamento, di garantire l’esercizio del diritto fondamentale della persona di tutela della salute. A dire il vero, le maggiori difficoltà sono conseguite dall’in- consapevolezza del Sistema sanitario pubblico che, anziché rafforzare le strut- ture esterne per rispondere ai bisogni di assistenza sanitaria specialistica, si è invece orientato a confermare il modello organizzativo già esistente, pur ten- tando in alcuni casi di migliorarlo. Insomma, il modello guida di molte ASL è stato di continuare a garantire all’interno degli Istituti la tutela della salute, generica e specialistica, ricorrendo alle strutture esterne solo in casi straordina- ri, peraltro rinviando alle esigenze di sicurezza su cui l’Amministrazione peni- tenziaria ha mantenuto immutata la sua funzione. Come dire, pur cambiando la titolarità e la conseguente responsabilità del relativo processo di assistenza e di cura della salute, la quotidianità penitenziaria continua a muoversi lungo il per- corso già tracciato precedentemente dalla prassi.

Ancora una volta, così com’è accaduto con l’introduzione dell’Ordinamento penitenziario, la Riforma tarda ad avere piena ed incondizionata applicazione, quando organizzazione, istituzione dei servizi e gestione degli stessi abbiano come unico punto di riferimento il diritto di tutela della salute. Tale diritto deve essere riconosciuto conciliabile e non contradditorio con le esigenze di sicurezza.

Dopo cinque anni dal decreto di organizzazione, i due Sistemi stanno ancora cercando un equilibrio che metta al riparo la Riforma da ipotesi di nuovi cam- biamenti che potrebbero vanificare la strada comunque percorsa, opportuna- mente consolidata dalla nuova e illuminata Riforma introdotta con legge n. 9 del 17 febbraio 2012 di conversione del D.L. n.211 del 22 dicembre 2011.

Tuttavia, tale ultima riforma, che ha lo stesso comune denominatore della prima nel diritto di tutela della salute, ancora una volta, per inconsapevolezza del Sistema sanitario nazionale e regionale, in questi giorni è stata prorogata di un anno con decisione del Consiglio dei Ministri.

E’ in questa dimensione, di irragionevole incertezza, che si possono collocare

gli autorevoli interventi del dr. Carmelo Cantone, del dr. Fabio Gui e di alcuni

dei Funzionari di Polizia Penitenziaria che hanno partecipato al 2^ Corso di for-

mazione RDO. A tutti loro un ringraziamento particolare per aver saputo testi-

moniare la supremazia della tutela della salute su ogni altro interesse pubblico.

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La riforma della sanità penitenziaria: Problemi e percorsi possibili

IL DETENUTO, LA MALATTIA, IL CARCERE

Il carcere evoca molte zone “di frontiera”, già in sé costituisce zona di fron- tiera, ma la vicenda della cura della salute in carcere, e del rapporto tra car- cere e malattia, è oggi probabilmente il problema in assoluto emergente e più delicato nel dibattito sull’istituzione penitenziaria.

In questi ultimi anni si è sempre più sviluppata una discussione sul carcere dei diritti, quale modello più avanzato rispetto ad un carcere della “premia- lità”.

Si è così concentrata l’attenzione sull’emersione e sulla consistenza di diritti essenziali della persona che il cittadino detenuto mantiene intatti durante la detenzione, o che comunque possono subire minimi affievolimenti.

Non poteva a questo punto non essere sempre più centrale il tema della salute in carcere se è vero come è vero, che anche nella società civile libe- ra si afferma sempre di più il bisogno di acquisire il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria nelle sue varie forme e quindi, si aspira a migliorare la corretta dislocazione dei servizi sul territorio, ad incrementare la qualità dell’intervento diagnostico e di cura e a far evolvere il rapporto fiduciario medico-paziente.

Tutti questi elementi, ed altro ancora vengono restituiti intatti quando si tratta della gestione dell’assistenza sanitaria nei luoghi di detenzione.

Si aggiungono una serie di variabili fondamentali.

La condizione

Il detenuto è una persona costretta a vivere, per un periodo della sua vita, in un ambiente di comunità collettiva chiusa; una parte non indifferente delle sue necessità quotidiane passa attraverso il filtro, obbligato e condi- zionato, degli operatori penitenziari di vario profilo, in particolare della Polizia Penitenziaria.

Obblighi e condizioni inevitabilmente contribuiscono a “conformare” la vita delle persone in modo particolare e diverso rispetto alle persone libere.

a cura di Carmelo Cantone - Provveditore regionale della Toscana

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I luoghi

Il luogo carcere (che molti si ostinano a qualificare come “non-luogo”, e quindi privo di una sua forza identitaria) con il richiamo alla sua consisten- za fisica inserisce diversi elementi di riflessione. Per quanto felicemente provocatoria è ancora oggi efficace l’immagine di Gonin

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quando paragona il carcere nei suoi percorsi ad un enorme tubo digerente che ingloba le per- sone.

Nei suoi spazi, storicamente, il luogo carcere marca una serie di problemi importanti: il frequente divario tra l’ampiezza e il vuoto degli spazi di tran- sito (atrii, corridoi) e gli ambienti dove vive il detenuto per una buona parte della giornata. Nel caso dei vecchi istituti questa cattiva gestione degli spazi è conseguente alla funzione che la pena detentiva ha svolto nel nostro paese dall’unità d’Italia in poi; nel caso di alcuni nuovi complessi è conse- guente a scelte sbagliate ed alla mancanza di una “cultura” penitenziaria soprattutto nelle progettazioni immediatamente successive ai cc.dd. “anni di piombo”, quando le istanze securitarie non sono state armonizzate con un ragionamento calibrato su quello che l’istituzione penitenziaria si è sforzata di essere negli ultimi decenni

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.

La “fisicità”del luogo (porte, cancelli, finestre, sbarre, corridoi, cortili, docce, cucine, sale colloqui) è connessa ad una serie di trasformazioni e di adat- tamenti che insistono sul corpo del detenuto, sui suoi sensi già dai primi momenti di detenzione: senso di vertigine, anestesia dell’olfatto, limitazione dello sguardo, riduzione della vista

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Le relazioni

La relazione che si crea tra detenuti e tra detenuti e operatori necessita di un’ analisi dedicata. Più che in qualsiasi altra comunità collettiva emerge il dato della costrizione, o meglio dell’essere costretti a relazionarsi con altre persone con cui non si confidava di trascorrere le proprie giornate. Chi è detenuto non ha scelto i compagni di stanza, e non considera un privilegio aver conosciuto direttori penitenziari, poliziotti penitenziari ed educatori.

La salute delle persone passa ovviamente anche attraverso tutte queste rela- zioni che incidono per mezzo dei picchi di conflittualità, delle frustrazioni, dell’incapacità di dialogare delle parti, della problematicità dello sviluppo di una buona relazione di aiuto a chi quell’aiuto chiede o di cui comunque ha bisogno.

1D. Gonin, Il Corpo incarcerato, Torino 1994

2Ultima aggiornata riflessione su questo tema in “Il corpo e lo spazio della pena”; a cura di Anastasia S., Corleone F., Zevi L., Roma 2011

3V. Gonin cit, ma anche Gallo R., Ruggiero V., Il carcere immateriale, Torino 1989

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

Vivere in carcere, curare una malattia in carcere

I piani di riflessione in realtà non sono così netti. Nella vita libera si tende a definire un confine convenzionale tra salute e malattia, in quanto la malat- tia viene definita come deviazione dalla norma, un deficit rispetto ad una complessiva efficienza dell’organizzazione. La normatività di queste effi- cienze viene misurata attraverso una serie di parametri frutto anch’essi in parte di convenzioni: sopravvivenza, adattabilità, funzionalità ecc..

La malattia è stata definita “ uno stato di diminuita efficienza ancora compa- tibile con la vita”

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.

Si stabilisce pertanto che parlare di salute e malattia comporta l’interazione di quei parametri: rispetto ad una complessiva situazione fisiologica e psi- chica si ritiene di essere nella “normalità”, ciò che è fuori viene definito come patologia.

Può funzionare questa architettura convenzionale in carcere? No, prima di tutto perché tutti gli elementi connotanti del carcere, come abbiamo prima accennato, mettono in discussione la presunta normalità del vivere in liber- tà. Corpo e mente sono chiamati sin dal primo momento a continue solleci- tazioni emergenziali, fattori di stress: angosce, paure, limitazioni nell’agire e la conseguente adattabilità del proprio corpo ad un ambiente con il quale armonizzarsi. Scommessa difficile da vincere.

Fin qui una qualsiasi rappresentazione del trauma dei primi momenti e dei primi giorni di vita in carcere. Ma mesi ed anni di detenzione possono poi permettere di distinguere con pienezza il rapporto salute/malattia?

Basti pensare all’incidenza che ha nella sanità in carcere l’esame e la cura delle patologie psicosomatiche e a come più avanza il grado di conoscenza e la qualità della ricerca scientifica, più il carcere si afferma come il regno delle psico-somatosi.

Se salta il rapporto convenzionale salute/malattia vuol dire che per il siste- ma sanitario che vigila questo ambito si pone, innanzitutto, la necessità di studiare la reazione ai fattori perturbanti che si creano con l’insorgere della malattia in ambito penitenziario, poiché tali reazioni spesso non sono così standardizzate nei singoli processi morbosi.

Ma c’è di più.

Quello che Foucault definiva “lo strano carattere dello sguardo medico”

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viene sovvertito dalla presenza ingombrante del contesto carcere nella rela- zione che esiste tra medico e paziente detenuto.

Il medico affronta il caso in una situazione spazio-temporale che, se si

4Voce Salute/malattia di Giorgio Prodi, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1981

5Foucault M., Nascita della clinica, p. 22, Torino 1975

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vuole, in modo artificioso viene dopo l’ambiente in cui normalmente vive una persona ed in quell’ambiente la persona “dopo” tornerà. La stessa eventuale ospedalizzazione costituisce un’interruzione tra un prima e un dopo, dove il medico celebra il rito della malattia da curare. Ma se già lo stesso ospedale è un “luogo artificiale in cui la malattia trapiantata rischia di perdere il suo volto essenziale”

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, immaginiamo quante variabili aggiunge il carcere per spezzare quest’artificio. Perché si deve convenire con Foucault che il luogo naturale della malattia è il luogo naturale della vita-la famiglia.

“Dolcezza delle cure spontanee, testimonianza di affetto, desiderio comune di guarigione, tutto concorre ad aiutare la natura che lotta contro il male e a far giungere il male stesso alla sua verità”

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.

Quando il medico visita il paziente detenuto il contesto carcere non si ferma “prima “ e non riprende “dopo”, e sarà per primo il paziente a porta- re con sé questa “dote” nel dialogo con il medico.

Questo può aiutarci a capire maggiormente come ad una medicina che stu- dia le specie patologiche, in carcere si deve affiancare una medicina dello spazio sociale perché mai come in questo contesto è necessario capire alcu- ni aspetti:

- E’ necessaria una lettura di tutti i fattori ambientali quali il sovraffollamen- to, la carenza di risorse, le già richiamate relazioni tra soggetti.

- Le caratteristiche specifiche di quel contesto: un carcere con la maggio- ranza di detenuti appartenenti a quel territorio va letto in modo diverso rispetto ad un istituto con una maggioranza di detenuti stranieri, così come il clima in una casa di reclusione rispetto al classico istituto “giudi- ziario” cittadino sarà comunque diverso.

Coltivare una medicina dello spazio sociale significa anche fare i conti con una realtà dove molte volte il sintomo è già di per sè la malattia, con con- seguenze immediate e ben conosciute da chi lavora nei reparti detentivi. In un carcere un mal di denti, una colica, un’emicrania per il detenuto diven- tano il mal di denti, la colica, l’emicrania, perché c’è un cancello, una porta e poi uno o più operatori che devono consentire l’attuazione della visita medica ( si pensi soprattutto alle ore notturne). Qui è chiaro che la differen- za sostanziale sta nella mancanza di autonomia, ma aggiungerei anche come criticità la sensazione che il sanitario è fisicamente vicino ma poten- zialmente lontano da lui (ci sono mille detenuti con un solo medico… se è già impegnato con altri?).

Non si può comprendere appieno la delicatezza della gestione della sanità

6V. Foucault, Nascita della clinica, cit., p. 30

7Foucault, cit., p. 31

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

in carcere se non si tiene altresì conto di come possono incidere le conflit- tualità nel rapporto tra paziente-detenuto e operatore. Innanzitutto perché il paziente-detenuto viene qualificato prima come detenuto; a volte il contat- to con i medici non giustifica e non fa emergere uno status di paziente, ma non per questo diventa meno importante la creazione di una relazione tra medico e detenuto, proprio perché una medicina dello spazio sociale deve sempre parlare un linguaggio accogliente, autorevole. Che altro può essere altrimenti lo spettro di azioni di tutto ciò che chiamiamo medicina preventi- va?

Ma la conflittualità emerge soprattutto quando si attuano o si temono prati- che simulative da parte del detenuto; la diffidenza e le preoccupazioni del medico che deve fronteggiare questo rischio in questi casi sono sempre comprensibilmente trasmesse ad altri operatori, che siano il poliziotto peni- tenziario o il Direttore, perché un’eventuale simulazione in carcere non deve, non può passare; comprometterebbe la legittimazione del medico, andrebbe a ledere il rapporto di fiducia che gli altri operatori mantengono con il medico.

Il tema della simulazione è di una drammaticità assoluta e non fa altro che avvilire la qualità dell’assistenza sanitaria. Diffidenza e preoccupazione pos- sono spingere il medico ad adottare “tattiche” di attesa o di rinvio, anche attraverso ulteriori richieste di accertamenti specialistici, evitando di perve- nire a diagnosi conclusive anche quando scienza e buon senso lo richiede- rebbero.

Le condizioni ambientali e umane, di cui cerchiamo di dare conto, ci dico- no che all’interno degli istituti penitenziari l’obiettivo di una sanità efficace ed efficiente ha componenti parzialmente ma significativamente diverse da quelle in uso nella società libera. L’aver voluto sottolineare che parliamo non solo di pazienti, ma di pazienti-detenuti e soprattutto di detenuti sotto- linea e non smentisce un percorso della sanità nel mondo libero: la centra- lità della persona. Una buona medicina dello spazio sociale non parla solo di patologie ma anche di prevenzione, di analisi del disagio nelle sue varie espressioni e di qualità delle relazioni. Nella mia prima esperienza di dire- zione di istituti penitenziari notavo come giornalmente c’era un numero giornaliero elevatissimo di detenuti richiedenti visita medica, un dato in proporzione molto più alto rispetto alle richieste di colloquio con altri ope- ratori.

Accadeva che un modo intelligente e sensibile di affrontare quel tipo di utente, faceva del settore sanitario una dead-line efficace per far passare una serie di comunicazioni e di problemi importanti anche nella vita quoti- diana del carcere.

Se in quel caso il settore sanitario svolge un ruolo suppletivo, o peggio

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ancora sostitutivo, rispetto ad altri settori carenti o poco efficaci la sopraci- tata dead-line rischierà di crollare, ma se questo approccio accogliente si inserisce in un sistema complesso e ricco di relazioni interprofessionali quel modo di fare “buona sanità” diventa un modello di intervento.

Perché il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale?

Quando parliamo della tutela della salute in carcere come zona di “frontie- ra” vogliamo sottolineare che tale zona va poi messa in relazione con tutte le altre criticità del carcere. Può bastare anche un’esperienza operativa di pochi mesi in istituto penitenziario, anche con diversi profili di responsabi- lità, per comprendere che trattando di salute si va dalla tutela dei diritti essenziali alla qualità della vita della persona, e da qui alla qualità della vita di tutta la comunità, se poi si lavora sull’analisi dei bisogni e sul contributo che il detenuto può dare al miglioramento dell’offerta assistenziale si arriva a toccare il grande tema della partecipazione attiva dell’utente alla valoriz- zazione dell’attività di tutti gli operatori e di tutte le professionalità. Queste prime considerazioni, anche se può apparire paradossale, hanno fatto parte negli ultimi decenni degli argomenti a sostegno delle due grandi ipotesi di intervento: totale separazione del servizio sanitario penitenziario da quello nazionale oppure riconduzione del primo nel grande alveo del secondo.

Chi negli scorsi decenni sosteneva la legittimità di un sistema sanitario peni- tenziario alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria voleva ribadi- re l’esistenza di una “specificità” della sanità penitenziaria che insisteva su diversi aspetti.

Innanzitutto sulla specificità professionale del medico penitenziario e sulla validità, pertanto, di una medicina penitenziaria che richiedeva studi di set- tore, un rapporto stretto con il mondo della ricerca criminologica ed in par- ticolare della psicopatologia forense. Ma di più si è insistito su un expertise del medico penitenziario che solo attraverso anni di lavoro all’interno del carcere può legittimarsi come interlocutore autorevole

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.

Questo era l’impianto certificato in particolare dalla L. n. 740/1970 che, non a caso, era intitolata “Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organi- ci dell’Amministrazione Penitenziaria”, ed avvalorato da scelte che l’istitu- zione penitenziaria ha fatto negli anni ’90, con due passaggi che ritengo molto significativi.

Il primo è dato dalla circolare del DAP n. 3337-5787 del 7.2.1992 (costitu-

8A.M.A.P.I. e S.I.M.S.PE, le due più importanti associazioni di categorie dei medici penitenziari per anni hanno ragionato e difeso la specificità della medicina penitenziaria.

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

zione e funzionamento delle aree) che nello sviluppo di una sorta di deca- logo dell’area sanitaria disegna un servizio sanitario che sulla linea delle responsabilità guarda e riferisce direttamente al Direttore dell’istituto, ma meglio ancora all’istituzione penitenziaria quale suo datore di lavoro.

Non è casuale che in questa circolare, accanto al richiamo alle esigenze di tutela della salute della persona, si enfatizzino esigenze di carattere custo- dialistico

9

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Il secondo dalla previsione nell’art. 6 della Legge 296/1993 della compatibi- lità degli incarichi nel settore sanitario penitenziario con tutti i rapporti pro- fessionali instaurati nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Questa pre- visione era in controtendenza con la legislazione che si stava affermando in quel decennio sulla esclusività del rapporto professionale del medico o del- l’infermiere con la struttura pubblica, ma la scelta era dettata, già in sede governativa con il decreto-legge c.d. “Conso” che prevedeva una serie di misure urgenti sulle carceri, dall’accoglimento delle istanze che venivano dalle associazioni di categoria e dalla preoccupazione che non creando quel regime in deroga, l’Amministrazione Penitenziaria avrebbe perso buona parte delle professionalità sanitarie che agivano al suo interno.

Non bisogna infatti sottacere che nei passati decenni ad eccezione del per- sonale sanitario inquadrato all’interno del Comparto Ministeri (tecnici di radiologia, infermieri di ruolo), quasi tutto il restante personale sanitario collaborava con l’Amministrazione Penitenziaria ma aveva la sua attività professionale principale extra moenia.

D’altra parte se il legislatore, ancora all’art. 11 c. 10 L. n. 354/1975, afferma- va che l’Amministrazione Penitenziaria può avvalersi della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali, non si faceva altro che continuare a riba- dire un modello di gestione separata della sanità penitenziaria. Un modello nel tempo difeso dai governi che si sono succeduti e dai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria.

Ma nessuno poteva prescindere dal fatto che si trattava di una gestione ad iso-risorse e per questo con scarso appeal per la massa degli operatori del settore potenzialmente avvicinabili al carcere. Né era di poco conto che alla debolezza inevitabile di una direzione sanitaria locale si cercasse di porre rimedio con una forte centralizzazione nazionale da parte dell’Amministrazione Penitenziaria con la creazione di modelli operativi e

9“Il massimo della attenzione, dello scrupolo e della aderenza alle esigenze e risultanze sanitarie, per evitare che il sog- getto sia esposto a rischi per la sua salute, ma per evitare anche che la sua eventuale allegazione o simulazione di stati morbo- si inesistenti o enfatizzati lo sottragga al regolare corso della giustizia o alla esecuzione di un provvedimento dell’Amministrazione Penitenziaria” Il rischio delle simulazioni viene evocato almeno in tre distinti momenti della circolare.

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di direttive di carattere tecnico e amministrativo molto dettagliati.

La scelta, fortemente “politica”, di passare al SSN la competenza primaria sull’assistenza sanitaria in carcere con il d. lgs. n. 230/1999 interviene in un panorama critico e certamente con forti contraddizioni, poiché è vero che a macchia di leopardo in giro per l’Italia esistevano buone prassi di eccellen- ti responsabili sanitari, sostenuti dalle loro direzioni, che avevano agito bene, soprattutto nella misura in cui nel loro territorio erano presenti delle direzioni di ASL attente e referenziali, ma era altrettanto evidente l’accelera- zione che tutte le emergenze penitenziarie davano alla necessità di definire un nuovo modello assistenziale che vedeva il suo centro di riferimento a livello di politica sanitaria oltre che nazionale, anche regionale e locale.Le nuove emergenze (stranieri, le patologie infettive, centuplicazione della presenza di tossicodipendenti, il disagio psichico, il sovraffollamento e altro ancora) e la crescita delle fonti di scambio carcere-territorio hanno eviden- ziato più che in altri luoghi l’impossibilità di far proseguire un modello penitenziario-centrico.

Tra il d. lgs n. 230/1999 e il D.P.C.M. dell’1.4.2008 scorrono anni di confron- to anche aspro tra chi non credeva nella transizione, soprattutto tra gli ope- ratori penitenziari, e chi non è riuscito a far decollare i principi espressi dal d. lgs. n. 230.

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno nell’ultimo decennio, si può soste- nere che almeno il passaggio, realizzato dal gennaio del 2000, della compe- tenza primaria del SSN nel settore delle tossicodipendenze, ha avviato un primo percorso importante di presa in carico dei percorsi della salute in car- cere.

Questo passaggio era fondamentale, ma interveniva dopo che tra gli anni

’80 e gli anni ’90 le unità sanitarie locali avevano stipulato (non dappertutto in verità) gli accordi previsti prima dalle intese Stato-Regioni e poi dall’art.

96 c. 3 T.U. n. 309/1990. Ciò che si è evoluto nell’ultimo decennio è il com- pletamento della presa in carico terapeutica, poiché il SERT viene chiamato anche alla gestione primaria della cura del paziente tossicodipendente

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. Altrettanto importante è stato il passaggio delle competenze nel campo della prevenzione (artt. 1-3 d. lgs. n. 230/1999), che in molte realtà era di fatto già acquisita dalle Unità Sanitarie Locali, nella misura in cui veniva atti- vamente interpretata la competenza “di stimolo” ex art. 11 pen. ed ultimo comma O.P.

Prevenzione, trattamento tossicodipendenze ed alla fine “trasferimento al

10Non pochi problemi sono sorti nella definizione degli accordi locali sulla suddivisione dei compiti tra medici del- l’istituto e medici delle tossicodipendenze .

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie, delle risorse finanzia- rie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali rela- tivi alla sanità penitenziaria” (art. 1 D.P.C.M. 1.4.2008). Alla fine la Legge n.

244 del 24.12.2007 (art. 2 c. 283) ed il citato D.P.C.M. hanno consegnato la macchina della sanità penitenziaria al SSN.

Era necessario questo passaggio? Si, anche se, proseguendo nella metafora, non basta cambiare macchina e pilota per andare più veloce, se corri in un circuito a rischio.

Si è arrivati a questo passaggio quasi per sfinimento, un po’ anche per caso, se si tiene a mente lo scollamento che si è registrato, almeno nella prima fase, in buona parte delle regioni, tra il livello politico delle regioni ed il livello dei tecnici.

Il caso della Regione Lazio è esemplare per il disagio vissuto da ASL con deficit di bilancio macroscopici e commissariamenti che hanno coinvolto anche il livello dell’assessorato regionale.

A distanza di tre anni dal completo trasferimento del personale e delle risor- se finanziarie permangono perplessità e scetticismi all’interno delle varie componenti del mondo penitenziario; c’è da chiedersi però quale deve essere il punto di partenza di un ragionamento serio sulla questione.

Proviamo in sintesi a raccogliere i principi costituzionali e quelli delle Regole Penitenziarie Europee

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.

Se ne ricava il seguente quadro:

La salute è un diritto fondamentale di ogni individuo e di tutta la collettivi- tà, lo status di detenuto o internato non rileva a tal fine.

- I servizi medici offerti nel carcere devono essere integrati con quelli offerti nella società libera. Si richiede integrazione, compatibilità e nessu- na discriminazione

- L’assistenza sanitaria al detenuto si differenzia solo nella misura in cui è necessaria una serie di adeguamenti per garantire l’eguaglianza di tratta- mento con il cittadino libero

Garantire questo impianto affidando la competenza primaria all’Amministrazione Penitenziaria sarebbe antistorico. Viviamo una fase nel- l’evoluzione del paese in cui le Amministrazioni Statali, anche con le loro articolazioni periferiche, si sganciano dalle attività di erogazione di servizi e dove il decentramento e la sussidiarietà alle funzioni pubbliche passano attraverso il filtro delle Regioni (v. la modifica all’art. 117 Cost., intervenuta con l’art. 3 L. Cost. 18.10.2001 n. 3).

11 Art. 32 Cost., Regole Penitenziarie Europee, Raccomandazione n. R (2006) 2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 11.1.2006, paragraf. 39-48

(17)

Accade, in sostanza, che i principi a tutela, validi su tutto il territorio nazio- nale, devono essere poi tradotti nella concreta realtà del singolo territorio, attraverso il coordinamento regionale. Con questa realtà l’Amministrazione Penitenziaria dialoga e concerta ma non “governa” la politica sanitaria.

Noi e loro

“Noi” siamo l’Amministrazione Penitenziaria in tutte le sue articolazioni,

“loro” sono innanzitutto i nuovi responsabili della sanità in carcere.

Non vogliamo, di certo, creare un gioco di ruoli ma è necessario fermare l’attenzione sull’importanza che ha avuto, in questi ultimi tre anni e nel momento attuale, una serie di figure professionali sui due versanti.

Da coloro che avevano avanzato riserve negli anni passati sul trasferimento della sanità penitenziaria

12

era stato evocato il rischio di una conflittualità permanente tra i responsabili delle AA.SS.LL., che avrebbero espresso una nuova governance sanitaria e i referenti dell’Amministrazione Penitenziaria, soprattutto a livello periferico. Si sosteneva che sganciare la macchina sani- taria penitenziaria dal rapporto gerarchico con il direttore dell’istituto avreb- be messo in risalto le arretratezze che il sistema penitenziario scontava e dalle quali il settore sanitario avrebbe dovuto smarcarsi per rispondere agli standard prescritti dal SSN.

Contemporaneamente si sviluppavano le riserve sul riferimento alla sanità nazionale quale modello di intervento idoneo ad assorbire la questione del- l’innalzamento della qualità della risposta sanitaria negli istituti di pena

13

. L’analisi nel momento attuale, dopo un percorso di appena tre anni, deve, a mio avviso, tenere conto dei condizionamenti collegati alle suddette riser- ve, che sono espresse da “noi” e da “loro”.

E’ necessario innanzitutto tenere un punto ben preciso. Non si ha un approccio serio ed utile se si definiscono degli steccati con due enunciati opposti:

- La sanità penitenziaria doveva rimanere separata dal SSN perché in rap- porto alle esperienze maturate ed alla capacità di mantenere costi più bassi rispetto alla sanità pubblica, si riusciva a garantire una dignitosa qualità dell’assistenza sanitaria.

- La tutela della salute del cittadino, in termini di offerta, non può subire distinzioni o discriminazioni. Il fatto stesso che la gestione della salute in carcere viene ricondotta alla singola Azienda Sanitaria Locale comporterà un aumento delle garanzie per il cittadino detenuto.

12 V. Andreano R., Tutela della salute e organizzazione sanitaria nelle carceri. Profili normativi e sociologici, in w.w.w.altrodiritto.unifi.it

13V. Andreano cit, in particolare nella parte riservata a come gli operatori vedono la riforma.

(18)

Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

Entrambe le enunciazioni contengono una parte di verità. E’ vero che in ter- mini di rapporto costi/risultati prodotti il servizio sanitario dell’Amministrazione Penitenziaria è stato più efficiente rispetto al Servizio Sanitario Nazionale, ma questo definisce un merito e nello stesso anche un limite: si adottano basse tariffe per i compensi dei consulenti specialisti, ci si avvale di personale “aggregato” (condiviso, come si diceva sopra, con altri servizi pubblici) e poi facendo i conti con le progressive riduzioni finanziarie negli anni ci si accorge che non è possibile migliorare le attrez- zature in tutti gli istituti, non è possibile impostare seri programmi di forma- zione e diventa impossibile, proprio quando aumenta la qualità della domanda di assistenza sanitaria in carcere, aumentare la copertura dei ser- vizi della medicina SIAS (o guardia medica che dir si voglia).

Un modello di intervento di questo tipo doveva essere superato poiché una inversione di rotta ed una crescita della qualità dei servizi erano possibili solo con la fusione con i servizi del territorio.

Il secondo enunciato parla di una sanità pubblica “accogliente” che si indi- rizza verso tutti i cittadini, liberi o detenuti, anche quando sono stranieri illegalmente presenti sul territorio italiano (cioè la maggioranza dei detenu- ti stranieri). Ma quando la sanità pubblica vive una fase storica di grande difficoltà quale è quella attuale, l’utente detenuto comincia ad interrogarsi su quali sono i fattori di cambiamento positivi.

In realtà credo che in questa fase si stia scontando il fatto che il cambio di governance sanitaria ha portato anche alla modificazione degli standard di riferimento per la valutazione dell’assistenza sanitaria in carcere. E’, cioè, cambiato il modo di valutare l’organizzazione e la gestione; questo si ravvi- sa nelle procedure di diagnostica specialistica, ma anche nella predisposi- zione delle apparecchiature e degli ambienti di lavoro. Il panorama sta mutando e non è detto che in questo passaggio l’utente detenuto abbia già una percezione più positiva del servizio sanitario.

Se, quindi, questa lenta mutazione dal punto di vista tecnico va accettata e rispettata, la possibile conflittualità tra “noi” e “loro” si concentra sull’ipote- tico contrasto tra due priorità. L’Amministrazione Penitenziaria, soprattutto attraverso i direttori degli istituti e l’area sicurezza guarda al detenuto, anche riconoscendolo come detenuto paziente, l’operatore sanitario incar- dinato nel SSN ha la priorità dell’approccio al paziente, e quindi alla sua salute.

Può accadere quotidianamente che le istanze securitarie entrino in contra- sto con la cura della persona, né su questo l’impianto normativo della L. n.

354/1975 (art. 11 in part.) combinata con il regolamento di esecuzione (art.

17) può essere sufficiente a creare una sintesi delle due esigenze.

Credo che ci troviamo ad operare all’interno di una cornice dove, parados-

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salmente, per garantire più sicurezza, ma anche più trattamento, è necessa- rio aumentare la qualità e quantità dell’offerta sanitaria, e solo attraverso un continuo scambio di informazioni, anche con lo strumento dell’equipe inte- grata, si potrà avere una gestione del paziente attenta e puntuale.

A volte nelle verifiche con il personale medico accade che il contrasto sul rapporto sicurezza/sanità richiama il rischio della perdita della vita o di menomazione permanente, quasi che solo tali rischi costituiscano il punto di sintesi che elimina ogni conflitto tra tutela della salute e sicurezza. Ma emerge con altissima frequenza l’esigenza da parte delle direzioni e del- l’area sicurezza di “confutare” la bontà delle scelte mediche. Non è un caso che prima dell’avvio della riforma venivano manifestate preoccupazioni dal versante penitenziario proprio sul rischio che una sanità chiamata a rispon- dere non all’autorità istituzionale penitenziaria ma ad un più alto livello di responsabilità sanitaria, sarebbe stata più incline ad aumentare le attività di indagine medica e, di conseguenza, a richiedere più visite specialistiche esterne e più ricoveri ospedalieri.

Si materializza così il pericolo della c.d. “medicina difensiva”.

Cerchiamo di analizzare questo specifico aspetto, utilizzando i dati di un macro aggregato quale è la Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso, che può quantomeno aiutare a comprendere l’andamento in questi ultimi anni del “fare sanità” in carcere.

Abbiamo raccolto nella sottostante tabella i dati degli ultimi cinque anni relativi a ricoveri ospedalieri, visite esterne, presenze dei detenuti alla fine di ogni anno e numero degli ingressi in istituto.

Tav. 1

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

La raccolta dati parte dal 2007, e cioè almeno un anno prima del trasferi- mento della sanità penitenziaria, per una comparazione tra il prima ed il dopo, tenendo conto che la gestione ASL solo a partire dal 2009 si affranca definitivamente.

Dal 2007 ad oggi, pur aumentando progressivamente la presenza dei dete- nuti, rimane costante il numero di ricoveri ospedalieri. Sappiamo che il numero dei ricoveri in luoghi esterni di cura rispetto alle presenze costitui- sce una variabile indipendente, ma il numero stabile, anno dopo anno dei ricoveri, pur con aumento costante delle presenze (uno scarto del 40% tra il 2007 ed il 2011) ci dice che cambiando gestione della sanità l’ospedalizza- zione non è aumentata, né con i ricoveri urgenti, né con quelli programma- ti. Non è quindi su questo fronte che può sussistere conflittualità.

Invece le visite ambulatoriali esterne aumentano costantemente di anno in anno. Il loro aumento dal 2007 al 2008 (più 139) può essere collegato al progressivo aumento di detenuti (più 202) ma non necessariamente ai flus- si di ingresso durante l’anno 2008 (più 649); infatti negli anni successivi alle maggiori presenze, corrispondono flussi di ingresso costanti, ma le visite ospedaliere continuano ad aumentare.

Nell’ultimo anno di gestione “penitenziaria” prima della sanità si registra un aumento delle visite simile a quello degli anni 2009-2011. I numeri assoluti dicono 1303 visite esterne nel 2011 a fronte di 719 nel 2007, ma come non si può tener conto del citato aumento del 40% delle presenze?

Nell’immaginario collettivo (degli operatori penitenziari) incidono senz’altro anche una quota di visite esterne che in questi ultimi anni sono state neces- sitate dalla fase di adattamento degli ambulatori interni che non riuscivano a rispondere a tutte le richieste di accertamenti in sede, ma nonostante ciò, come si vede, l’aumento annuale delle visite esterne è stato costante sia con la vecchia che con la nuova gestione.

Sarebbe interessante, anche a livello nazionale, rilevare come altre emer- genze, quali in particolare la carenza di personale di polizia penitenziaria, portano in sofferenza la gestione dell’istituto, invece un elemento di novità esterno, ma variabile indipendente, come la visita ospedaliera che richiede una scorta, viene visto quale causa anziché effetto di un altro disagio

14

. Nel gioco dei ruoli l’uso improprio di scelte sanitarie mette in crisi la sicu- rezza, ma dall’altra parte le necessità terapeutiche sono penalizzate dalla carenza di personale di polizia penitenziaria. A questo punto si rischia di confondere ruoli e competenze, soprattutto quando i comportamenti degli

14Possono intervenire altre variabili particolari. Si nota un aumento anomalo delle visite nelle settimane e nei giorni successivi a notizie di stampa su presunti casi di “malasanità” accaduti nell’istituto.

(21)

“altri” vengono assunti come alibi per la criticità della propria organizzazio- ne.

Ci troviamo, in sostanza, ad affrontare un passaggio fondamentale per tutta l’organizzazione penitenziaria. E’ stato osservato che le organizzazioni, pub- bliche in particolar modo, hanno due scopi fondamentali: il conseguimento del compito primario e la difesa dei loro membri dalle cc.dd. “ansie origina- rie di base”

15

. Questo secondo aspetto emerge prepotentemente quando gli operatori fanno un uso difensivo dell’organizzazione stessa affinchè non si ripresentino le esperienze dolorose evocate per esempio, dall’ ansia perse- cutoria, sensazione di essere soffocati da eventi che ci impediscono di svi- luppare la nostra capacità, dall’ansia depressiva, sentimento di colpa e di inadeguatezza per aver fallito il proprio compito, l’aver tradito la fiducia che la struttura organizzativa aveva riposto in loro. Come fa un’organizzazione, troppo spesso purtroppo, ad annullare o limitare le ansie? Facendo annulla- re l’angoscia dei propri operatori dalla paura dell’ altro .

Per il direttore o per il poliziotto penitenziario l’ altro potrà essere il medico che richiede troppi accertamenti, per gli operatori sanitari sarà invece un’am- ministrazione penitenziaria disposta a sacrificare le esigenze di salute del paziente.

Il risultato è che abbiamo così due organizzazioni, con un compito primario comune, e quel che è più grave è che la “mancanza”

16

di ciascuna si tradu- ce nel meccanismo difensivo dell’istituzionalizzazione, dove si creano delle no man’s land comuni basate sulla difesa dei ruoli e sulle rinunce ad investire invece su una piattaforma importante, che non può che essere quella della relazionalità.

Bisognerà comprendere a mio avviso, prima o poi, che all’esistenza giuridi- ca di due organizzazioni si deve sovrapporre, un sistema penitenziario che si arricchisce e non si depriva grazie alla multiprofessionalità, che ha la capacità di guardare al bene dell’individuo all’interno di un quadro com- plesso dove sono in gioco altri fattori come il trattamento penitenziario, la sicurezza e l’immagine che di sé trasmettono le istituzioni alla comunità esterna. Su questa criticità il mondo penitenziario è in compagnia delle altre istituzioni pubbliche

17

15Fonti D., Varchetta G., l’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Milano 2001, pag. 67 e ss.

16V. Forti D., Varchetta G., ct., pag. 72 e ss, con una serie di suggestioni, la mancanza esprime l’incompletezza, e come tale l’incapacità da parte dell’uomo di garantirsi la sopravvivenza senza interventi supportivi esterni.

L’organizzazione risponde a questa incompletezza.

17Il dramma di Stefano Cucchi, morto nel reparto di degenza ospedaliero per detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini in Roma, tra i tanti aspetti dibattuti metteva in risalto che una dozzina di contatti qualificati della persona con le istitu- zioni non avevano consentito di impedire la morte.

(22)

Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

Organizzazione e gestione. La prevenzione

La direzione giusta per tracciare un buon modello di intervento deve pren- dere origine dalle scelte normative che sono state fatte. Non si può prescin- dere da questo approccio che permette di definire:

- Quali scelte si devono fare in termini di politica sanitaria - Quali attori devono essere messi in campo

- Quali competenze si vogliono fare interagire

Sul piano normativo vi è un collegamento armonico tra il modello disegna- to dal “Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario”

18

e l’allegato A) del D.P.C.M. 1.4.2008 che definisce le “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei dete- nuti e degli internati negli istituti penitenziari e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale”.

In sostanza l’impianto che si voleva definire con la riforma del d. lgs.

230/99 viene confermato, ribadito e proseguito.

La mappa delle fonti da tenere come riferimento è oggi la seguente Tav. 2

18D.M. 21.04.2000, emanato in attuazione dell’art.5 D.Lgs. n. 230/1999.

D. lgs. n. 230/1999

D.M. 21.4.2000 (Progetto obiettivo)

D.P.C.M. 1.4.2008 con All. A e All. C.

Accordi Conferenza unificata Stato-Regioni

Accordi e Protocolli di intesa di livello Regionale (Regioni e Provveditorati)

Accordi e Protocolli territoriali (Aziende Sanitarie e Direzioni istituti penitenziari)

Accordi di zona (con il coinvolgimento di enti locali e terzo settore) per interventi

specifici e particolari

(23)

Le fonti normative alla base di tutte le fonti pattizie di cui alla tav. 2 danno per presupposto il principio del diritto dei detenuti e degli internati, al pari dei cittadini in libertà, all’erogazione di tutte le prestazioni sanitarie previste nei “livelli essenziali e uniformi di assistenza”, i cc. dd. LEA.

Si tratta, allora, in accordo con il Piano sanitario nazionale, di partire dai LEA e dagli obiettivi di salute, i quali richiamano fortemente il piano della prevenzione ancor più che quello della diagnosi e cura della malattia.

Si avverte la comprensione che nel luogo carcere si deve operare innanzi- tutto su due grandi assi

- Promozione dello “stare bene”, attraverso i programmi di prevenzione, e quindi la buona informazione, ma anche attraverso le azioni mirate alla salubrità degli ambienti e ai progetti specifici per categorie di persone (anziani, tossicodipendenti, sieropositivi etc.).

- Prevenzione da rischi specifici. Il rischio suicidario in particolare, attra- verso l’individuazione dei fattori di rischio.

Si rileva, l’attenzione all’ambiente detentivo come macrocomunità, oltre che come struttura che deve erogare servizi a singoli individui, ed ancora una volta emerge la necessità di una lettura complessa ed interdisciplinare dei fenomeni.

Infatti le analisi sulla salubrità degli ambienti e sull’idoneità dei vitti sommi- nistrati alla popolazione detenuta, per citare solo alcuni items, costituiscono oggetto di azione congiunta dei due soggetti istituzionali; spesso gli stan- dard indicati dagli organi sanitari si scontrano con i deficit strutturali degli istituti penitenziari, ma anche con norme e archetipi che l’Amministrazione Penitenziaria si è data da anni.

Un esempio valga per tutti. La costruzione dei menù per i pasti giornalieri dei detenuti dovrebbe essere realizzata insieme al competente settore del- l’azienda sanitaria, ma ciò mal si concilia con la strutturazione dei capitola- ti di appalto per il vitto detenuti. Questi definiscono bisogni generalizzati, generi vittuari e loro qualità, dovendo fare letteralmente i conti con diarie giornaliere estremamente basse, gli operatori sanitari invece concentrano la loro attenzione esclusivamente sui valori nutrizionali e sulla possibile elasti- cità dei menù.

In un ambito ancora circoscritto ma così importante della vita quotidiana di un carcere si può quindi creare un nuovo modello di intervento, fornendo ai sanitari che si occupano dei vitti per l’azienda sanitaria tutti gli elementi

“culturali” del carcere, all’Amministrazione Penitenziaria spetterà il compito

di darsi, tra l’altro, strumenti giornalieri più flessibili e nuovi processi opera-

tivi nel confezionamento e nella distribuzione del vitto. Per es. ha ancora

un senso stabilire l’obbligo di erogazione di almeno 2400 Kilocalorie al

giorno per detenuto?

(24)

Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

Lo sviluppo delle azioni di prevenzione dovrà andare di pari passo con l’in- centivazione dei meccanismi di partecipazione. Attraverso momenti di for- mazione, attività di gruppo, seminari, ma anche conferenze periodiche si devono creare contatti qualificati soprattutto con la massa dei detenuti a media o lunga permanenza, perché così si crea la cultura di una partecipa- zione che serve a mettersi in una migliore relazione di aiuto e nello stesso tempo a leggere periodicamente i bisogni che il macro-aggregato esprime.

Non è un caso, infatti, che fino ad oggi si fatica ad avere delle analisi affida- bili sui bisogni che la massa dei detenuti vive all’interno del penitenziario in tema di salute.

Organizzazione e gestione. La cura

C’è una scelta normativa ben precisa di pensare all’organizzazione degli interventi sanitari finalizzati alla cura delle persone detenute sviluppando quattro settori, molto corposi, di intervento

- Valutazione dello stato di salute dei nuovi ingressi (la c.d. accoglienza) e monitoraggio e vigilanza di tutte le situazioni a rischio in particolare nel- l’ambito del disagio psichico, o emergenziali

- Qualità di tutte le prestazioni specialistiche - Cura e riabilitazione per le dipendenze patologiche

- Tutela della salute di categorie specifiche (donne, immigrati, minori) Su questa traiettoria non è un caso che si registri una sostanziale condivisio- ne da parte della categoria medica

19

.

Cerchiamo di sviluppare alcune considerazioni sui due primi settori.

• Accoglienza

Si è sviluppata sempre di più in questi ultimi anni la comprensione che per erogare i livelli essenziali di assistenza è necessario creare attenzione e posizionare risorse sul momento del primo ingresso in istituto. Qui emergo- no due bisogni: la necessità di conoscenza della persona per avviare un percorso di assistenza sanitaria; la necessità di intercettare subito le situazio- ni a rischio

20

.

Per questo è importante superare la vecchia divisione tra valutazione medi- ca e valutazione psicologica, che pur se negata in linea di principio, si ricrea nel momento in cui l’organizzazione dell’accoglienza è affidata quasi

19V. in proposito la ricerca di Marina Marchisio, basata su questionari somministrati a Dirigenti sanitari e Medici degli istituti penitenziari, C’era una volta la salute, p. 84 e ss, in Antigone in carcere, terzo rapporto sulle condizioni di detenzione, Roma 2002.

20Sul rischio suicidario e sulla gestione degli eventi critici V., da ultimo, La prevenzione dei suicidi in carcere, in –quaderni ISSP n.8; in particolare sui percorsi che ha sviluppato in questi anni l’Amministrazione Penitenziaria V. Buffa P., ivi, p.7 e ss.

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esclusivamente all’Amministrazione Penitenziaria con un presidio psicologi- co che agisce da consulente della direzione dell’istituto.

Il modello di intervento più corretto oggi deve prevedere l’immediata presa in carico dell’azienda sanitaria sia sulla valutazione più strettamente medica che su quella psicologica.

Da lì si parte per costruire il percorso di cura, o quantomeno di periodico controllo della persona, e sempre da lì si avvia l’accompagnamento dei casi a rischio durante la permanenza in carcere.

• Qualità delle prestazioni specialistiche

E’ evidente che una buona parte delle risposte alla domanda di qualità sani- taria è affidata all’efficienza del sistema di prestazioni specialistiche.

L’indicazione data dal citato all. A del D.P.C.M. dell’1.4.2008 in proposito insiste sul fatto che “le prestazioni specialistiche devono essere realizzate su richiesta del medico responsabile o di altro specialista, da erogarsi all’inter- no dell’istituto di pena ovvero nel rispetto delle esigenze di sicurezza, pres- so gli ambulatori territoriali o ospedalieri”.

Vi è una ragionevole sintesi tra tutela della salute e sicurezza, ancora una volta a confronto, laddove si parte da ambulatori interni capaci di risponde- re con prontezza alle richieste mediche, ma si tiene conto ovviamente di alcuni standard che possono essere soddisfatti solo presso le strutture ester- ne.

In questo senso l’Accordo della Conferenza Unificata del 26.11.2009

21

sotto- linea che “l’evento patologico acuto non può essere trattato all’interno delle strutture detentive, se non di lieve entità……… in particolare la terapia chi- rurgica in regime ordinario non è attuabile all’interno del sistema peniten- ziario, soprattutto in relazione alle procedure anestesiologiche in narcosi o assimilabili“. Ma si prevede anche che “ devono piuttosto essere potenziate le possibilità di chirurgia ambulatoriale e di day-surgery…… le patologie c.d. “croniche” devono trovare adeguato spazio di cura anche in ambito detentivo”.

In questa direzione una buona medicina penitenziaria si potrà sviluppare anche utilizzando modalità nuove e originali quali l’assistenza sanitaria non necessariamente interna, ma di “prossimità”: TAC mobile o l’odontoambu- lanza, che comportano dei costi di investimento, ma che se pensate come servizi che l’azienda sanitaria garantisce in alcuni giorni della settimana o del mese, non solo al carcere ma anche alla collettività del territorio circo- stante meno garantita ( anziani, portatori di handicap), allora possono con-

21Pubblicato in G.U. del 04.01.2010.

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

tribuire a disegnare un intervento medico complesso sul territorio che avvi- cina e rende compatibili i bisogni di tutta la comunità, dentro e fuori del- l’istituto penitenziario.

Le competenze

Avendo abbandonato un modello dove le competenze ed i ruoli erano tas- sativamente definiti dall’Ordinamento Penitenziario, si avverte qualche fati- ca nella corretta comprensione della situazione attuale.

Con la delegificazione della materia, ad opera della L. n. 244/2007, si è regi- strato un ulteriore passaggio che ha portato alla centralità degli accordi ad opera della Conferenza Unificata Stato-Regioni. Ad essa l’art. 7 del citato D.P.C.M. affida il compito di definire le forme di collaborazione relative alle funzioni della sicurezza e i rapporti di collaborazione tra l’ordinamento sanitario e l’ordinamento penitenziario.

Ma la delegificazione non poteva non portare, come ultima stazione, agli accordi territoriali, che acquistano importanza nella misura in cui le due parti intendono intervenire insieme sulla modifica e sull’accelerazione dei processi operativi.

L’accordo 20.11.2008, attuativo del citato art. 7 D.P.C.M. non fa altro che rimandare al livello territoriale e non si è detto tutto quando si è affermato in linea di principio che “l’organizzazione dei servizi sanitari deve tenere presenti le esigenze di sicurezza legate alle diverse tipologie detentive”.

Infatti gli accordi tra Azienda Sanitaria e Direzione dell’istituto dovranno poi trovare le “interazioni tra le attività complessive, comprese quelle che coin- volgono operatori non appartenenti all’Amministrazione Penitenziaria”

22

. In sostanza la riforma ha valorizzato il momento del confronto e delle inte- se tra le due parti.

Una ricaduta fondamentale di questa nuova direzione si ravvisa nella gestione dei dati sanitari, dei flussi informativi e quindi della cartella clinica anche informatizzata.

In materia si dovrebbe pervenire ad un processo di questo tipo

22V. p. 3 dell’Accordo Stato-Regioni citato

(27)

Tav. 3

Accordo tra Direzione e Azienda per il trattamento dei dati sensibili sanitari

Questo schema porta a modificare le procedure relative all’accesso ai docu- menti (chi autorizza, come garantire l’accesso e a quali condizioni)

23

. Pertanto si potranno avere gestioni del tutto diverse secondo il territorio, pur in presenza di una cartella informatizzata con un sistema informativo nazionale, di cui, per la verità, fino ad oggi non si ha traccia.

L’accordo della Conferenza Unificata in materia non dice però come rag- giungere un assetto di competenze chiaro nel momento in cui Direzione e Azienda non trovano un’intesa.

Dallo scambio di informazioni con molte altre realtà si avverte una resisten- za diffusa degli interlocutori sanitari ad ammettere che una serie di operato- ri penitenziari possano essere ammessi al trattamento dei dati, se non addi- rittura alla loro custodia; si dovrebbe invece sviluppare un accordo più complesso con cui costruire un percorso teso a disciplinare l’interelaziona- lità non solo verso i dati sanitari, ma, da parte degli operatori sanitari, verso i dati della sicurezza. Non bisogna dimenticare infatti che il canale di diffu- sione dei dati sanitari dei detenuti alle Autorità Giudiziarie e Amministrative è quello della Direzione dell’istituto, né, soprattutto che esiste un concetto molto ampio di “sicurezza e rispetto delle regole” ex art. 2 D.P.R. n.

230/2000, che vede nel Direttore dell’istituto il responsabile del suo mante- nimento.

Direzione sanitaria dell’istituto responsabile del trattamento dati

Direzione dell’istituto abilitata al trattamento dati per i compiti

del suo ufficio

Su proposta della Direzione, individuazione degli operatori penitenziari

abilitati al trattamento dati

23V. Accordo Conferenza unificata Stato-Regioni del 26.11.2009 sui dati sanitari, flussi informativi e cartella clini- ca anche informatizzata.

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Riforma della sanità penitenziaria - Carmelo Cantone

Ma questi micro-conflitti, così come tutto lo sviluppo della collaborazione interistituzionale a livello locale, devono trovare il loro interlocutore più efficace nell’Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, costituito a livello regionale

24

.

Non si vuole certo disconoscere l’importanza del Tavolo di consultazione permanente nazionale, ma il livello di confronto regionale appare essere quello che più immediatamente può incidere sull’eliminazione dei nodi cri- tici del territorio e sul rafforzamento delle buone prassi.

Nei territori della sanità penitenziaria. Alcune “isole critiche” nei rapporti interistituzionali

Muovendoci verso il futuro presentiamo una serie di riflessioni in alcune

“isole“ di rapporti interistituzionali di particolare delicatezza.

• Il disagio psichico

Dietro il termine “disagio psichico” insiste una massa di criticità, di rimandi, di nodi mai risolti. Ma andiamo con ordine.

Possiamo dividere in due questioni il tema del disagio psichico. Da una parte visto all’interno del carcere come condizione di disagio del soggetto detenuto, dall’altro sul versante della pericolosità sociale, attribuita a sog- getti sottoposti alla misura di sicurezza detentiva.

Sul primo versante registriamo la sempre più elevata, ed ingombrante, pre- senza in carcere di detenuti con patologie psichiatriche.

Ma per chi vive in carcere il disagio psichico può avere una cifra meno mar- cata, border-line e comunque espressione di disturbi di personalità che condizionano fortemente lo stato detentivo.

Sotto questo aspetto dal 1999

25

in poi l’Amministrazione Penitenziaria aveva scelto di potenziare il servizio di psichiatria negli istituti, facendolo caratte- rizzare negli istituti medio-grandi con l’intervento giornaliero e non più set- timanale. Vi è stata una virata a favore di un apporto del consulente psichia- tra all’équipe dell’osservazione, perché il disturbo comportamentale, ma più genericamente il disagio psichico, veniva visto non solo come necessitante di una terapia medica, ma anche come un elemento di ostacolo al percorso di rielaborazione del condannato.

Non credo che in questi anni, anche con il trasferimento del servizio sanita- rio penitenziario, si sia intrapresa con decisione la strada che vede protago- nista il servizio psichiatrico nello smantellamento delle dipendenze da far-

24 V. Accordo Conferenza unificata Stato-Regioni del 20.11.2008, in attuazione dell’art. 7 D.P.C.M.

dell’01.04.2008, sulle forme di collaborazione.

25V. lett.circ. del D.A.P. n. 577373 del 03.06.1999

(29)

maci psichiatrici e nella costruzione di percorsi terapeutici che siano da sti- molo anche alla costruzione di un carcere più caratterizzato dalla cultura della “costruzione del benessere”. Allo psichiatra si chiede in questo senso di “tallonare” l’istituzione e non di “tranquillizzarla”. Non può sfuggire, infatti, come troppe volte il consulente psichiatra sia chiamato a sedare pazienti di difficile gestione o comunque a mettere la sua tecnicità al servi- zio di una presa in carico burocratica dei soggetti a rischio.

Allo stato dell’arte non sembra neanche molto incoraggiante l’esperienza finora realizzata nelle sezioni di osservazione psichiatrica ex art. 112 D.P.R.

n. 230 del 2000, in attuazione del PEA “Indirizzi e modalità per l’attuazione dei programmi esecutivi d’azione. Realizzazione reparti per osservazione psichiatrica di cui all’art. 112 D.P.R. 230/2000 in ogni Provveditorato”.

E’ bene che con questi reparti ci si sia indirizzati verso la territorializzazione anche per quei detenuti che devono essere sottoposti ai 30 giorni di osser- vazione psichiatrica, e ancor di più questa scelta ha un senso perchè con- fermata dal D.P.C.M. dell’1.4.2008 All. c, con la c.d. “prima fase” delle azio- ni a tutela della salute mentale, che prevede addirittura una presenza più capillare all’interno di ogni regione di sezioni detentive per l’accertamento delle infermità psichiche. Purtroppo si continuano a nutrire delle perplessi- tà su alcuni possibili usi dello strumento del periodo di osservazione.

Addirittura nello stesso documento illustrativo del sopracitato PEA, quando si precisa che l’osservazione si deve concludere nel più breve tempo possi- bile e “questo è necessario in quanto il trasferimento …….viene richiesto non solo quando il recluso manifesta reali segni di patologia psichica, ma anche in caso di tensioni od insofferenze all’interno del carcere”, si presta il fianco ad una lettura poco trasparente dell’istituto ex art. 112 D.P.R. n. 230 del 2000, quasi ad affiancarlo come strumento al regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis O.P.

Mentre scriviamo queste righe il Parlamento ha approvato la conversione in legge del D.L. n. 211 del 2011 che in tema di Ospedali Psichiatrici Giudiziari ha previsto entro il 31 marzo 2013 la loro definitiva chiusura, con una scelta ancora più forte rispetto a quella prevista nella c.d. “terza fase”

dell’All. C. del D.P.C.M. 1.4.2008, dove strutture OPG “con livelli diversifica- ti di vigilanza” venivano considerate soluzioni possibili.

Il futuro della persona considerata socialmente pericolosa, e pertanto necessitante di cure psichiatriche, è destinato ad essere la struttura ospeda- liera diretta dal SSN, presente in ogni Regione, con la sorveglianza esclusi- vamente esterna della Polizia Penitenziaria.

Non sarà facile concepire strutture con queste caratteristiche, ma, già da

oggi, la norma in questione viene attaccata da due fronti opposti. Il primo

non ritiene corretto superare il “contenitore” OPG per i soggetti classificati

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