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Riflessioni in tema di inammissibilità della domanda di nullità del contratto - Judicium

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www.judicium.it MMARARTTAA MMAGAGLLIIUULLOO

Riflessioni in tema di inammissibilità della domanda di nullità del contratto

Introduzione. Con la sentenza in commento, il Tribunale di Roma, pronunciando in tema di intermediazione mobiliare, offre lo spunto per una riflessione sui risvolti applicativi di norme cardine del nostro sistema processualcivilistico.

Oggetto del giudizio è la domanda di accertamento della nullità di un contratto. Si direbbe (almeno prima facie) una questione non particolarmente complessa: tre ex soci di una S.r.l.

convengono in giudizio la Banca X per veder accertata la nullità di un contratto di Interest Rate Swap stipulato tra la Banca e la Società.

Gli attori dichiarano di agire in via diretta, legittimati in qualità di soggetti interessati ex art.

1421 c.c., ed in via surrogatoria, esercitando diritti spettanti alla S.r.l. nei confronti della Banca con riguardo al contratto de quo. Viene dunque correttamente convenuta in giudizio, in qualità di litisconsorte necessaria, anche la S.r.l. debitrice cui gli attori intendono surrogarsi ex art. 2900, secondo comma, c.c. La Società si costituisce tardivamente, formulando – si sottolinea - conclusioni letteralmente coincidenti con quelle degli attori.

Il Tribunale non entra però nel merito della questione, limitandosi ad una pronuncia di inammissibilità delle domande formulate tanto dagli attori quanto dalla convenuta S.r.l.

Nello specifico, se da un lato, con riferimento all’azione surrogatoria, il Tribunale respinge le richieste avanzate dai soci ritenendo non provate le ragioni di credito da essi vantate nei confronti della Società, dall’altro, anche la domanda di accertamento della nullità del contratto proposta in via diretta è dichiarata inammissibile, in ragione della mancata prova di un loro concreto interesse ad agire.

Sul punto, nel solco di un consolidato orientamento della Suprema Corte1, il giudicante afferma che la legittimazione generale all’azione di nullità di cui all’art. 1421 c.c., non implica di per sé il venir meno dell’onere di provare in giudizio la sussistenza di un concreto interesse ad agire;

sicché, se è vero che la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, ciò non esime l’attore dal dimostrare la necessità di dover ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e un danno alla propria sfera giuridica.

1 Ex multis Cass., 4 maggio 2012, n. 6749; Cass., 15 aprile 2002, n. 5420; Cass., 7 gennaio 2002, n. 88; Cass., 9 marzo 1982, n. 1475.

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A tal fine, nel caso in esame, gli ex soci deducono l’esistenza di obbligazioni su di essi gravanti, dipendenti dal contratto e sorte in occasione della cessione delle loro quote in favore di una S.p.A. terza: gli attori si erano impegnati con tale Società acquirente a trasferire il contratto di Interest Rate Swap, ma tale impegno, non avendo la Banca consentito la cessione, era rimasto inadempiuto, esponendoli così all’obbligo di eseguire i pagamenti richiesti dall’acquirente delle quote.

Tuttavia, le richieste di pagamento di tali obbligazioni (nonché le ricevute di pagamenti già effettuati), prodotte in giudizio dagli attori, vengono ritenute dal giudicante del tutto inidonee a dimostrarne l’esistenza. Da qui, l’inammissibilità della domanda.

La pronuncia conclude nel senso dell’inammissibilità anche sulla domanda di nullità del contratto de quo formulata dalla convenuta litisconsorte necessaria: alla mancata costituzione entro il termine di cui all’art. 166 c.p.c., consegue, anche per il litisconsorte necessario, la decadenza dalla possibilità di formulare domande autonome nei confronti delle altre parti del giudizio. La preclusione opera nei confronti di qualsiasi domanda del convenuto tardivamente costituito che non si risolva nella mera richiesta di accoglimento o di rigetto delle domande già proposte dagli attori.

A fronte di tali conclusioni, appaiono opportune alcune considerazioni.

Profili problematici. La vicenda così come ricostruita dal Tribunale di Roma non consente al lettore di aver piena contezza della quaestio facti. Tuttavia, per quanto possibile, merita una riflessione la prima parte della pronuncia relativa all’azione di nullità del contratto di Interest Rate Swap proposta in via diretta dagli attori ex 1421 c.c.

Il tema è quello del c.d. interesse legittimante, vale a dire della legittimazione ad agire riconosciuta a chiunque vi abbia interesse2, come nella disciplina dell’azione di nullità di cui

2 Rilevano le difficoltà interpretative di tale norma a causa della estrema genericità della formula "chiunque vi abbia interesse". Sebbene non manchino opinioni discordanti in dottrina, la locuzione sembra da leggersi alla luce del principio generale di cui all’art. 100 c.p.c.in base al quale “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”. La dottrina dell’interesse ad agire, in più occasioni pronunciatasi con riferimento alle norme che concedono di agire a chiunque vi abbia interesse, ha ritenuto che con tale formula il legislatore non abbia inteso operare un rinvio all’interesse ex art. 100 c.p.c. Non è mancato tuttavia chi, pur riconoscendo la distinzione tra i concetti di interesse e legittimazione, ha sottolineato che nei tassativi casi in cui la legge consente di agire a chiunque ne ha interesse, “l’interesse ad agire possa presentarsi come elemento di integrazione della fattispecie della legittimazione ad agire…condizione non solo necessaria ma anche sufficiente della titolarità dell’azione”, SASSANI, voce Interesse ad agire, I, Diritto processuale civile, Enc. Giur., XVII, Roma, 1989.

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all’art. 1421 c.c. (“salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”)3.

Sebbene astrattamente la norma conferisca un’ampia legittimazione ad agire4, un consolidato orientamento giurisprudenziale ha ridimensionato la portata della previsione, precisando che, sul piano pratico, la legittimazione all’azione di nullità “non esime il soggetto che propone la relativa azione dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire” per cui l'azione stessa non è proponibile in mancanza della dimostrazione, da parte dell'attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica5.

In particolare, l’interesse ex art. 1421 c.c. sussiste ogniqualvolta vi sia incertezza obiettiva sull’esistenza di un diritto proprio - un diritto afferente la propria sfera giuridica correlata allo specifico motivo di nullità fatta valere6 - o sull’inesistenza di un diritto altrui7. Più specificamente, parte della dottrina individua l’interesse dei terzi nella titolarità di un diritto dipendente dal contratto nullo e da esso pregiudicato8.

Oltre a ciò, la giurisprudenza sostiene la necessità di dimostrare che tale incertezza sia produttiva di un danno giuridicamente rilevante e che, a sua volta, “la pronunzia richiesta sia rilevante ai

3 Dottrina e giurisprudenza riconoscono un particolare rilievo all’interesse ad agire nelle azioni di mero accertamento, v. PROTO PISANI, Dell’esercizio dell’azione cit., 1075; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Padova, 2012, 224 ss.; VERDE, Diritto processuale civile, Bologna, 2012. In particolare, CONSOLO (a cura di), voce Interesse ad agire, in Codice di procedura civile commentato, 2013, 1112: “è proprio facendo leva sulla regola di cui all’art. 100 c.p.c. che si ammette la possibilità di poter accedere in via generale alla tutela di mero accertamento, cioè al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge… escludendo che nel nostro sistema giuridico viga la tipicità delle azioni di cognizione, viene rimessa alla regola dell’interesse ad agire il ruolo di filtro (di ammissibilità) per l’accesso a tale tutela”.

4 La giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di precisare che la locuzione “chiunque vi abbia interesse”, che l’art. 1421 c.c. usa per individuare i soggetti legittimati all’azione di nullità, si riferisce ai terzi che non avendo sottoscritto il contratto, sono rimasti estranei ad esso e non già alle parti stipulanti che, in quanto tali, sono sempre legittimate all`esercizio di detta azione essendo "in re ipsa" il loro interesse all`accertamento della nullità, cfr. Cass., 27 luglio 1994, n. 7017.

5Ex multis, Cass., 7 gennaio 2002, n. 88; Cass., 7 marzo 1995, n. 2622. Cass., 23 dicembre 2007, n. 27151; Cass., 23 novembre 2007, n. 24434. Generalmente, la giurisprudenza si è limitata ad escludere la sussistenza di un interesse in relazione alle c.d. azioni di iattanza, vale a dire a fronte di iniziative processuali adottate riguardo a fattispecie solo ipotetiche o, in ogni caso, prive di diretta relazione in ordine al provvedimento richiesto, così negando la possibilità di sottoporre al vaglio giurisprudenziale questioni puramente di principio o accademiche.

6 Cass., 28 maggio 2012, n. 8234; Cass., 15 aprile 2002., n. 5420; Cass., 12 luglio 1991, n. 7717; Cass., 9 marzo 1982, n. 1475.

7 Cass., 17 maggio 2006, n. 11536; Cass., 24 giugno 1995, n. 7196; Cass., 7 ottobre 1968 n. 3127;

8 PROTO PISANI, Dell'esercizio dell'azione, in Commentario al codice di procedura civile, p. 1081, Torino, 1973;

RICCI, Sull’accertamento della nullità e della simulazione come situazioni preliminari, RDProc., 1994, pp. 661 ss.

Secondo FILANTI, il pregiudizio che l’azione mira a rimuovere è rappresentato «dall’intralcio (che il negozio nullo cagiona) alla disponibilità, da parte dell’effettivo titolare, delle situazioni giuridiche che sarebbero trasferite o modificate se l’atto avesse prodotto i suoi effetti», FILANTI, voce Nullità, in Enc. Giur., XXI, 8 - 9, Roma, 1988.

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fini della decisione della lite”9. Tale ultimo requisito si ritiene tendenzialmente soddisfatto10 laddove l’utilità del provvedimento domandato sia pratica ed immediatamente tangibile11, vale a dire direttamente spendibile quale titolo di diritti, poteri, obblighi o, più genericamente, di comportamenti delle parti12.

A tale orientamento si uniforma la sentenza in commento.

Come accennato, nel caso di specie, gli attori deducevano l’esistenza di obbligazioni su di essi gravanti - dipendenti dalla validità ed efficacia del contratto IRS stipulato tra la Banca e la S.r.l. - come presupposto del loro interesse ad agire.

Tali obbligazioni erano sorte in occasione della cessione delle quote della S.r.l. in possesso degli attori, in favore di una S.p.A. terza. In tale circostanza, erano intercorsi specifici accordi tra le parti, accordi nell’ambito dei quali i soci avevano assunto, con la S.p.A. acquirente delle loro quote, l’impegno di trasferire a terzi il contratto IRS stipulato con la Banca.

Tuttavia, non avendo la Banca consentito la cessione, l’impegno era rimasto inadempiuto, con la conseguenza di esporre gli attori all’obbligo di eseguire i pagamenti richiesti dalla S.p.A.

acquirente con riferimento al contratto di Interest Rate Swap.

Al fine della dimostrazione dell’esistenza di dette obbligazioni (vale a dire, al fine di soddisfare l’onere di provare la sussistenza in concreto del loro interesse ad agire), gli attori producevano la richiesta di pagamento ricevuta dalla S.p.A. acquirente, nonché le ricevute di alcuni pagamenti da loro già effettuati in favore della S.r.l.

Ciò premesso in fatto, occorre distinguere due profili della decisione: da un lato, la posizione del giudicante in merito alla sussistenza di un interesse ad agire dei soci attori per veder accertata la nullità del contratto de quo, dall’altro, il giudizio di inidoneità della prova di tale interesse da loro fornita.

Sotto il primo profilo, il Tribunale riconosce che le obbligazioni dipendenti dal contratto in questione avrebbero costituito, se provate, presupposto dell’interesse ad agire degli attori. E ciò non poteva essere messo in dubbio, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali cui il giudicante mostra di uniformarsi.

9 Cass., 7 gennaio 2002, n. 88; cfr., ex multis, Cass. 11 gennaio 2001, n. 338; Cass., 27 luglio 1994 n. 7017; Cass., 1 luglio 1993, n. 7197; Cass., 12 luglio 1991, n. 7717;

10 Ex multis, Cass., 25 maggio 1982, n. 3198; Cass., 7 febbraio 1979, n. 830;

11 Per questa ragione, tendenzialmente, l’inammissibilità di azioni di mero accertamento, con conseguente impossibilità per le parti di accedere all’esame del merito della domanda, è pronunciata con riferimento a domande concernenti situazioni future o ipotetiche, prive di una reale incidenza sulla situazione giuridica delle parti (si pensi, ad esempio, all’azione volta ad ottenere solamente l’affermazione circa l’interpretazione di norme giuridiche).

12 SASSANI, voce Interesse ad agire, cit.

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Se la legittimazione all’azione di nullità ex art. 1421 c.c. deve riconoscersi a chiunque vi abbia interesse, vale a dire al terzo che veda propri diritti pregiudicati dalla validità ed efficacia del contratto impugnato e da questo dipendenti, è evidente che il caso di specie costituisca un esempio tipico di (astratta) sussistenza di interesse ad agire in capo a terzi: la legittimazione ad agire per vedere dichiarata la nullità di un contratto va certamente riconosciuta in capo al soggetto, estraneo alla sua stipulazione, su cui gravino delle obbligazioni dipendenti dalla validità ed efficacia di detto contratto.

Nel caso di specie, le obbligazioni gravanti sugli attori a causa del mancato rispetto degli accordi intercorsi con la S.p.A. acquirente, ossia del mancato trasferimento a terzi del contratto IRS, sarebbero venute meno ove fosse stata dichiarata la nullità di detto contratto.

Come richiesto dalla giurisprudenza in materia di interesse ad agire, è qui senz'altro rintracciabile quell’esigenza di ottenere un risultato giuridicamente apprezzabile13, un vantaggio concreto, attuale nonché giuridicamente rilevante per l’istante14.

Ed invero, nella sentenza in commento, l’inammissibilità della domanda ex art. 1421 c.c. non discende da una dichiarazione di non sussistenza in astratto di un interesse ad agire dei soci, ma dal giudizio di mancato adempimento in concreto del relativo onere della prova.

Sotto questo secondo profilo, infatti, le richieste di pagamento ricevute dai soci, nonché le ricevute di alcuni pagamenti già effettuati, vengono ritenute dal Tribunale del tutto inidonee a dimostrare l’esistenza, le ragioni e l’esatto contenuto delle obbligazioni dipendenti dal contratto de quo.

Nel caso di specie, ai fini del corretto adempimento dell’onere della prova, sarebbe stato necessario fornire elementi probatori idonei a fare chiarezza sul contenuto di quegli accordi il cui mancato rispetto aveva esposto gli attori al pagamento delle obbligazioni in questione.

Secondo quanto rilevato dal giudicante, posto che le allegazioni degli attori, così come l’intimazione di pagamento, rinviavano a specifici accordi intercorsi tra questi e la S.p.A. in occasione della cessione delle quote dei primi alla seconda, la prova dell’esistenza delle obbligazioni non poteva desumersi dal contenuto dei documenti prodotti in giudizio, in assenza di qualunque prova volta a ricostruire con maggior trasparenza l’impegno assunto dai soci nei confronti della S.p.A.

13 SASSANI – VALERINI, Voce “Interesse ad agire”, in Commentario del Codice di procedura civile a cura di COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI, VACCARELLA, 2012.

14 Cass., 4 febbraio 2014, n. 2447; Cass., 17 dicembre 2013, n. 392; Cass., 25 settembre 2013, n. 21917.

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Rilievi critici. Assai meno convincente in punto di diritto appare la decisione del Tribunale di dichiarare inammissibile la domanda proposta dalla S.r.l. convenuta.

Come accennato, la Società era stata correttamente citata in giudizio in qualità di litisconsorte necessaria, secondo quanto disposto dall’art. 2900, secondo comma, c.c. in base al quale “il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi”.

Costituitasi oltre il termine di cui all’art. 166 c.p.c., la S.r.l. formulava conclusioni esattamente coincidenti con quelle spiegate dagli attori, chiedendo dunque che venisse accertata la nullità del contratto IRS e, per l’effetto, condannata la Banca alla restituzione di tutte le somme già corrisposte in forza di detto contratto.

Il Tribunale si affrettava a concludere nel senso dell’inammissibilità delle domande, argomentando dalla mancata costituzione entro il termine di decadenza di cui all’art. 166 c.p.c.

Più nello specifico, secondo il giudicante, al convenuto che si costituisca tardivamente sarebbe preclusa la possibilità di formulare qualsiasi domanda nei confronti delle altre parti della causa, e ciò in quanto solo la costituzione tempestiva consentirebbe di far valere domande autonome. In mancanza, la partecipazione al processo non può che risolversi nella richiesta di accoglimento o di rigetto delle domande formulate dagli attori.

Sfugge il senso della dichiarazione d’inammissibilità così come succintamente motivata dal giudice.

A ben riflettere, infatti, il mero rinvio all’art. 166 c.p.c., ed implicitamente alle decadenze di cui all’articolo successivo, anziché far chiarezza sulla ratio decidendi, confonde il quadro.

Com’è noto, la disposizione richiamata fissa un termine al convenuto per costituirsi in giudizio, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente, tra l’altro, la comparsa di risposta di cui all’art. 167 c.p.c. Ed è altrettanto noto che tra le attività difensive da svolgersi a pena di decadenza nella comparsa di risposta tempestivamente depositata vi sia l’eventuale proposizione di domanda riconvenzionale.

Dunque, il Tribunale, applicando la preclusione di cui all’art. 166 c.p.c. al caso di specie, ha inteso la domanda proposta dalla S.r.l. convenuta come domanda riconvenzionale, e come equivalenti fra loro le espressioni qualsiasi domanda, domanda autonoma e domanda riconvenzionale.

Certamente il caso non è usuale: in un giudizio il cui oggetto è comune tra le parti, se il litisconsorte convenuto formula, data appunto la comunanza della lite, domande identiche a

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quelle già esperite dagli attori, senza apportare novità alla materia del contendere, è corretto intendere tali domande come riconvenzionali ed applicare ad esse la preclusione di cui all’art.

167 c.p.c.?

Si può subito anticipare una risposta negativa: la qualificazione della domanda esperita dalla Società convenuta in termini di riconvenzionalità appare discutibile sotto molteplici profili.

Come accennato, oltre alla chiamata in giudizio di terzi, nella comparsa di risposta ex art 167 c.p.c. il convenuto a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali o di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Ora, mentre la proposizione di un’eccezione arricchisce la materia del contendere ma non l’ambito dell’accertamento, che resta confinato al diritto fatto valere con la domanda, con la riconvenzionale il convenuto propone a sua volta una “contro-domanda” avente ad oggetto l’autonomo l’accertamento di una data situazione giuridica sostanziale e volta ad ottenere un provvedimento a sé favorevole e sfavorevole alla controparte. In questo caso, la parte convenuta non si limita ad assumere una posizione di mera difesa né a domandare il rigetto della domanda originaria, ma amplia l’ambito del giudizio con un’istanza che potrebbe proporsi anche separatamente in altro processo e che determina un ampliamento oggettivo del giudizio e del conseguente giudicato.

La domanda nuova si cumula alla domanda originaria dell’attore: il processo nato con un solo oggetto, acquista un oggetto ulteriore sul quale la sentenza dovrà parimenti pronunciare15.

Non è certamente questo il caso delle domande esperite dalla Società convenuta.

A ben vedere, le domande di nullità del contratto IRS e di condanna alla restituzione delle somme versate in forza del contratto già costituivano l’oggetto del giudizio, in quanto formulate originariamente dagli attori.

Dunque, tali domande, a prescindere dalla loro tardiva proposizione, non potevano qualificarsi come nuove, né poteva parlarsi di cumulo oggettivo: oggetto del giudizio rimaneva il diritto già dedotto dagli attori, diritto tra l’altro comune alle parti, a maggior ragione dato il litisconsorzio necessario.

Su tale comunanza della lite non vi è alcun dubbio. Si ha infatti litisconsorzio necessario proprio nei casi in cui la decisione non può essere resa se non in confronto di più parti, sicché queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo (art. 102 c.p.c.). Un’ipotesi tipicamente prevista dalla legge ricorre appunto in materia di azione surrogatoria, per cui se il creditore che

15 SASSANI, Lineamenti del processo civile di italiano, 2012, p. 178 ss.

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agisce giudizialmente non cita anche il debitore cui intende surrogarsi, e tale vizio non sia rilevato durante il processo, la sentenza pronunciata sarà inutiliter data, inidonea a produrre effetti nei confronti delle parti e dei terzi pretermessi vista l'inscindibilità del rapporto sostanziale e del relativo giudizio.

L’applicazione alle domande esperite dalla S.r.l. della preclusione riservata dal codice di rito alle riconvenzionali non convince anche sotto un altro profilo.

La riconvenzionale, infatti, tendenzialmente è una domanda proposta dal convenuto nei confronti dell’attore.

Può accadere, ed accade nel caso di specie, che la domanda sia invece proposta dal convenuto nei confronti di un altro soggetto convenuto nello stesso processo ma non è affatto pacifico che a tali domande sia applicabile la disciplina di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.

In dottrina, con riferimento alla natura di tali istanze, vi è chi parla di domande lato sensu riconvenzionali, vale a dire di“domande provenienti da chi è parte del processo e dirette contro altro soggetto che parimenti ha già precedentemente acquisito la qualità di parte”16, e chi invece disconoscendo la riconvenzionalità di tali pretese, preferisce parlare di domande incidenti fra convenuti17.

Dunque, ci troviamo dinanzi ad un caso limite sotto i entrambi i profili citati: la domanda esperita dal convenuto tardivamente costituito non amplia la materia del contendere, non si cumula a quella originaria, perché è con essa coincidente, e non è proposta nei confronti dell’attore (alla cui posizione la Società aderisce) ma nei confronti di un altro soggetto convenuto nello stesso processo (i.e. la Banca convenuta).

Per trovare il bandolo della matassa si deve necessariamente ragionare in termini di ratio degli istituti, concentrandosi sulla ragion d’essere della preclusione di cui all’art. 167 c.p.c.

Il termine di decadenza fissato dal codice di rito per l’eventuale proposizione di domanda riconvenzionale da parte del convenuto è funzionale alla definizione del c.d. thema decidendum, a sua volta strumentale ad un corretto svolgimento dialettico del contraddittorio tra le parti.

La domanda riconvenzionale può essere proposta solo nella comparsa di risposta tempestivamente depositata al fine di garantire all’attore la possibilità di prendere posizione rispetto ad essa. Ed infatti, all’udienza di prima comparizione e trattazione della causa, il giudice, su richiesta delle parti, può concedere loro un termine perentorio per proporre le domande e le

16 Si veda BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994.

17 CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale, Le tutele, 2012, 230.

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eccezioni che sono la conseguenza delle domande ed eccezioni già proposte (art. 183, comma sesto, c.p.c.).

La norma garantisce in tal modo il diritto di replicare alla presa di posizione del convenuto nella comparsa di risposta. E a maggior ragione, tale termine è fondamentale laddove il convenuto nella comparsa abbia ampliato l’oggetto del giudizio, facendo valere (con la riconvenzionale, appunto) proprie autonome e nuove pretese rispetto al diritto dedotto dall’attore.

L’udienza di trattazione è infatti la sede per la reconventio reconventionis, vale a dire per l’eventuale nuova domanda che l’attore voglia proporre in conseguenza della riconvenzionale proposta dal convenuto.

Se il legislatore non avesse provveduto a fissare al convenuto un termine perentorio entro cui proporre tale domanda, non sarebbe stato a sua volta garantito all’attore un ragionevole termine per replicare alla stessa, con manifesto pregiudizio al suo diritto di difesa.

Evidentemente, dunque, qualora il convenuto non proponga domande nuove, ma domande già esperite e note alle altre parti del processo (in quanto coincidenti tra l’altro con quelle degli attori), non si vede come possa ad esse essere applicato un termine di decadenza la cui ratio è strettamente connessa alla novità delle domande esperite. Ed appunto, nel caso in commento, le domande dichiarate inammissibili erano in realtà già pienamente note alle altre parti del processo, in particolare alla Banca convenuta contro cui esse erano state originariamente proposte dagli attori.

In definitiva, se non ha alcuna ragione d’essere l’applicazione della preclusione di cui all’art. 167 in assenza di novità e di ampliamento dell’ambito del giudizio, la dichiarazione di inammissibilità delle domande proposte dalla S.r.l. appare qui priva di qualunque fondamento giuridico.

Ciò non stupisce se si inquadra correttamente la decisione in un contesto connotato da tempo da un uso distorto del regime delle preclusioni.

La pronuncia ci regala un affresco realistico del nostro attuale sistema giudiziario, ricordandoci come la “perversa logica delle preclusioni” stia da tempo avvelenando il processo civile italiano18.

Il meccanismo delle preclusioni, nato come strumento di accelerazione per rimediare alla lunghezza patologica dei giudizi, ha subìto nel tempo, gradualmente, un processo di eterogenesi

18 SASSANI, L’Onere della contestazione, in Giusto proc. civ., 2010, 2.

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dei fini. Una lenta trasformazione, rectius alterazione, per mano degli organi giudicanti. Da giustizia più veloce, a sempre meno giustizia.

La sentenza lo conferma, inserendosi come ennesimo tassello nell’ambito di un sistema intriso di formalismi, sempre meno attento a garantire tutela, perché troppo occupato a soddisfare esigenze, non sempre pregevoli ma certamente pratiche, di celerità e smaltimento dei carichi giudiziari.

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