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La mediazione obbligatoria e i provvedimenti cautelari conservativi ante causam: il giudice di merito si confronta con le prime questioni applicative - Judicium

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ILARIA TREVISAN

La mediazione obbligatoria e i provvedimenti cautelari conservativi ante causam: il giudice di merito si confronta con le prime questioni applicative *

Sommario: 1. Il fatto. – 2. Gli scenari prospettati dal giudice di merito. – 3. L’approccio al tema della dottrina. – 4. L’opzione preferibile. – 5. Suggestioni “costituzionalmente orientate”.

1. Il fatto

L’ordinanza del Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di Francavilla Fontana, accende i riflettori su una delle prime questioni applicative relative al procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1, d. lgs. n.

28/2010: cosa accade infatti con riferimento all’instaurazione del giudizio di merito, successivo alla concessione di quei provvedimenti cautelari ante causam, conservativi – che necessitano dunque dell’attivazione della fase di merito nei sessanta giorni successivi alla pronuncia in udienza o alla comunicazione, pena l’inefficacia del provvedimento cautelare stesso – in materia di diritti che rientrano nell’ambito applicativo della neonata mediazione obbligatoria (sub specie, nel caso in questione, i diritti reali, attenendo la controversia ad una domanda di rilascio di un fondo occupato sine titulo dall’ex coniuge del ricorrente)?

In data 27 gennaio 2011 veniva depositato un ricorso per sequestro giudiziario, accolto con ordinanza comunicata il 26 aprile 2011.

Il sequestrante, disponendo di sessanta giorni per l’instaurazione del giudizio di merito, lo attivava tempestivamente in data 23 giugno 2011, nelle forme ordinarie, con atto di citazione.

Nelle more della concessione del provvedimento di sequestro, in data 20 marzo 2011, entrava in vigore il d. lgs. n. 28/2010; determinandosi così la piena operatività della condizione di procedibilità della domanda giudiziale (obbligo di attivazione della mediazione), in ordine al diritto di cui era causa1.

* Al momento in cui si rassegna il presente lavoro mette conto segnalare che è intervenuta, medio tempore, la declaratoria di illegittimità costituzionale del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 per eccesso di delega (sub art. 76 Cost.), nella parte in cui prevede il carattere obbligatorio del tentativo medio-conciliativo, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 5).

In attesa della pubblicazione della motivazione della pronuncia (per ora è infatti solo fruibile un comunicato stampa, sul sito ufficiale della Corte Costituzionale), non perdono d’attualità le considerazioni che seguono, in particolare le suggestioni di cui all’ultima sezione che, in ogni caso, si collocano in una prospettiva di ponderata critica sull’imposizione, sempre e comunque, del tentativo di media-conciliazione.

1 Il decreto legislativo n. 28/2010, di cui oggi si può predicare la piena vigenza è in effetti entrato in vigore in tre steps successivi: il 20 marzo 2010, una prima parte; il 20 marzo 2011, una seconda, la più significativa, in relazione alla maggior parte dei diritti ricompresi nell’elenco di cui all’art. 5, comma 1, d. lgs. n. 28/2010; il 20 marzo 2012, con riferimento alle controversie in materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti.

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Instaurata dunque nei termini la fase di merito, il giudice incaricato del procedimento veniva investito di un’eccezione di improcedibilità spiccata dalla controparte, atteso che, trattandosi di controversia attinente ai diritti reali, ed essendo medio tempore entrato in vigore il decreto legislativo in questione, che per esse prevede l’obbligatorietà della mediazione (art. 5, comma 1, d. lgs. n. 28/2010), la domanda proposta nelle forme ordinarie e senza la previa attivazione della mediazione non poteva dare luogo ad un regolare processo di merito.

Nel caso de quo, il Tribunale ha risolto (almeno apparentemente) in maniera piuttosto agevole la quaestio iuris sottoposta alla sua attenzione, per una mera circostanza concreta, riconducibile al principio del tempus regit actum.

Infatti, richiamando l’orientamento emerso in relazione ai procedimenti possessori per come regolati anteriormente alla novella del 2005, che in essi ha ravvisato delle ipotesi di procedimento unitario a struttura bifasica, l’istanza giudicante ha ritenuto di estendere tale qualificazione ai procedimenti cautelari conservativi proposti ante causam (con necessità di instaurazione della fase di merito, pena l’inefficacia del provvedimento cautelare concesso, artt. 669 octies e novies c.p.c.) assumendo, quale riferimento temporale per dirimere la questione dell’applicabilità o meno del decreto delegato al procedimento pendente, in una col già richiamato principio del tempus regit actum, la data di deposito del ricorso cautelare. Attesane infatti l’anteriorità rispetto alla data di entrata in vigore della mediazione obbligatoria (27 gennaio 2011, contro 20 marzo 2011), il Tribunale ha concluso per il rigetto dell’eccezione di improcedibilità, risultando il giudizio al suo esame instaurato prima dell’operatività del richiamato decreto, e soggiacendo dunque alla disciplina previgente.

2. Gli scenari prospettati dal giudice di merito

Il giudice di merito non ha tuttavia omesso di rilevare le criticità che l’esame di una vicenda siffatta ha messo in luce, in special modo con riguardo alla distonia ravvisata tra il termine perentorio previsto per l’instaurazione del giudizio di merito (i sessanta giorni di cui all’art. 669 octies c.p.c.) e il termine di durata del procedimento di mediazione (non superiore a quattro mesi2, art. 6, d. lgs. n. 28/2010).

Anzi, l’istanza giudicante puntualizza che, laddove la questione avesse avuto rilevanza per il caso al suo esame (circostanza esclusa, come supra evidenziato, in ragione dell’operatività del principio del tempus regit actum) non si sarebbe potuto esimere dal sollevare una questione di legittimità costituzionale3.

2 Termine non perentorio, bensì ordinatorio. Sul punto TISCINI, Il procedimento di mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, in www.judicium.it, p. 16, la quale in particolare evidenzia che “Il fatto che sia ordinatorio induce a ritenere che: a) le parti possono fissare consensualmente un termine diverso, pure inferiore; b) il procedimento può durare più di quattro mesi, ma; c) può durare anche meno se già nel primo incontro si ravvisa l’impossibilità di conciliare (il che può accadere ad esempio quando non vi sia partecipazione bilaterale alla procedura)”.

3 Auspicando che la “parziale antinomia” possa essere “armonizzata de iure condendo (anche mediante un intervento correttivo o additivo della Corte Costituzionale sull‘art. 669-octies, comma 1 c.p.c. in virtù di una lettura

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Il Tribunale evidenzia infatti che allo stato attuale della disciplina, e per una

“parziale antinomia” ravvisata tra i termini di instaurazione del giudizio di merito (sessanta giorni) e di durata della mediazione (quattro mesi), la parte che abbia ottenuto un provvedimento cautelare conservativo ante causam, anche laddove volesse ottemperare al disposto di cui all’art. 5, comma 1, d. lgs. 28/2010, attivando la mediazione, non sarebbe esentata dalla presentazione della domanda giudiziale nel termine di cui all’art. 669 octies c.p.c. La domanda di mediazione infatti, nella prospettiva del giudice pugliese, non varrebbe a “metterla al sicuro” dal rischio della perdita di efficacia del provvedimento cautelare, potendo la procedura medio- conciliativa manifestare (del tutto legittimamente4, art. 6, d. lgs. n. 28/2010) una durata superiore ai due mesi.

Dal che discenderebbero, quale conseguenza della mancata attivazione del giudizio, la possibile perdita di efficacia del sequestro giudiziario ai sensi dell’art.

669 novies c.p.c. e, quale corollario onde evitarla, la necessità di instaurare parallelamente anche il giudizio di merito.

Accanto alla prospettazione di tale scenario, che, a detta del giudice di merito mette in luce le criticità discendenti dall’instaurazione della mediazione tout-court, presentandola quale opzione insoddisfacente, l’istanza giudicante passa dunque a delineare le altre due soluzioni possibili, in ordine alle quali comunque non omette di rilevare profili di riconducibilità al paradosso.

La prima, alla quale il Tribunale di Brindisi giunge logicamente, dopo aver considerato i rischi ai quali sarebbe esposta la parte a cagione dell’instaurazione della sola mediazione (possibile durata eccedente i due mesi con conseguente perdita di efficacia del provvedimento cautelare conservativo ottenuto), come già anticipato viene ravvisata nella parallela attivazione del giudizio di merito e della mediazione stessa.

Tuttavia, “specie ove la mediazione si dovesse concludere positivamente, la parte avrebbe sopportato invano anche le spese per introdurre il giudizio, poi non più necessario”.

La seconda, viene individuata nell’instaurazione a contrario del solo giudizio di merito, cui tuttavia sarebbe connaturata la pronuncia di improcedibilità alla prima udienza, con conseguente invito a procedere con la mediazione e a sopportarne i relativi costi.

Tali “altre due strade ipotizzabili” produrrebbero dunque, ed evidentemente, un “irragionevole aggravio per il diritto di difesa”.

Onde, nell’ottica del giudice pugliese, delle due l’una: o la parte accetta il rischio della perdita di efficacia del provvedimento cautelare conservativo concesso ante causam a cagione di una durata ultrabimestrale della mediazione (attivata nel

costituzionalmente orientata al rispetto con l’art. 24 della Carta Fondamentale, che nella specie non può tuttavia essere sollecitato per difetto di rilevanza della questione ai fini del giudizio)”.

4 Ma in ogni caso si tratta di termine ordinatorio ed extraprocessuale; si veda ancora TISCINI, op. cit., p. 16, in www.judicium.it.

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rispetto della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1, d. lgs. n.

28/2010); o, sopporta gli ulteriori costi processuali discendenti dalla parallela attivazione delle due vie; instaurazione, quest’ultima, volontaria e ab inizio; o imposta dal giudice, con la declaratoria di improcedibilità alla prima udienza per l’ipotesi di attivazione del solo merito giudiziale.

Tertium non datur.

Come da taluno5 correttamente evidenziato, nel caso di specie, il giudice – pur in virtù del supra richiamato principio del tempus regit actum e della riconduzione dei procedimenti cautelari conservativi alla fumosa categoria dei procedimenti unitari a struttura bifasica – sembra aver avallato la soluzione scelta dal ricorrente, ovverosia l’instaurazione in termini del merito giudiziale, ché, se avesse ritenuto preferibile l’attivazione della mediazione, avrebbe accolto l’eccezione spiccata ed avrebbe invitato le parti ad esperire il relativo tentativo nel termine di quindici giorni.

3. L’approccio al tema della dottrina

Il disposto del decreto delegato che più da vicino riguarda la fattispecie in questione è l’art. 5, comma 3: “lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari”.

La dottrina unanime ha evidenziato che, malgrado l’infelicità della formulazione adottata, la quale, letteralmente interpretata, potrebbe indurre a ritenere che l’accesso alla tutela cautelare sia consentito solo a mediazione attivata (arg. ex

“lo svolgimento della mediazione…”)6 è indubbio, anche alla luce della nota pronuncia della Corte Costituzionale, n. 190/19857, che la concessione di provvedimenti dettati da esigenze cautelari sia completamente svincolata da qualsivoglia condizione di procedibilità, pena l’illegittimità certa di una disciplina che ciò imponesse.8

Nulla quaestio dunque, e tale aspetto, come detto, non è controverso nemmeno in dottrina, quanto alla possibilità in generale di richiedere la tutela cautelare ante causam a prescindere dall’instaurazione del procedimento medio-conciliativo, con

5 Cfr. VALERINI, nella sua nota di commento alla medesima ordinanza, in Diritto & Giustizia, 17 gennaio 2012.

6 Così, ex multis, LUISO,Diritto processuale civile, V, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, VI ed., Giuffrè, 2011, pp. 64-64 e Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 1999, I, pp. 375, ss.; DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d. lgs. 28/2010, in Rivista di diritto processuale, 2010, pp. 575, ss. e, in particolare, p. 587; TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Giappichelli, 2011, p. 163;

SOLDATI,La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, a cura di BANDINI e SOLDATI, Giuffrè 2010, pp. 120-121; MINELLI, Commento all’art. 5, in AA.VV., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di BOVE, Cedam, 2011, p. 184; A.A.V.V., La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Cedam, 2010, pp. 91 e ss. E ciò in particolare ponendo mente alla diversa, e più chiara formulazione dell’art. 412 bis c.p.c. laddove si utilizza la più opportuna costruzione:“il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d’urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV”.

7 In Giur. It., 1985, p. 1297, con nota di NIGRO.

8 Come rileva TISCINI,op. cit., p. 162, nt. 205, l’esigenza di preservare la tutela cautelare è percepita in tutti i modelli di mediazione; così nelle controversie agrarie, in materia di telecomunicazioni e di subfornitura.

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riferimento alle ipotesi in cui l’attivazione della mediazione viene prevista quale condizione di procedibilità del merito.

Il problema per le misure cautelari sorge infatti in un secondo momento.9

Procedendo dunque nell’analisi dei rapporti tra mediazione obbligatoria e tutela cautelare ante causam dei diritti rientranti nella categoria di cui all’art. 5, comma 1, d. lgs. n. 28/2010, con particolare riferimento all’instaurazione della fase di merito successiva alla concessione del provvedimento cautelare stesso (in ordine alla quale più rileva lo studio delle modalità di coordinamento tra la condizione di procedibilità, l’attivazione della mediazione, e l’instaurazione del merito), risulta poi opportuno operare i dovuti distinguo con riferimento alle due categorie di provvedimenti cautelari, anticipatori e conservativi10, soffermandoci, per quel che rileva ai fini del presente contributo, sui secondi11.

Infatti, per quanto concerne i provvedimenti anticipatori, o a strumentalità attenuata, concessi ante causam, il problema dell’attivazione della fase di merito, come è noto, a partire dal 2006, potrebbe addirittura non porsi: gli interessati potrebbero ritenersi soddisfatti dall’assetto sostanziale12 creato dal provvedimento cautelare anticipatorio concesso e decidere di non instaurare il giudizio di merito. Per conseguenza, risulterebbe sminuito anche il problema dell’accesso diretto o filtrato da condizione di procedibilità al merito con riferimento a questa categoria di provvedimenti cautelari13. Si ritiene comunque, che laddove si opti per l’instaurazione della fase di merito, le norme sulla mediazione – e dunque, l’operatività della condizione di procedibilità – tornino ad applicarsi.14

Quel che più interessa tuttavia, con riferimento alla vicenda che ci occupa, è il coordinamento tra la a contrario necessaria – a pena di inefficacia – instaurazione del giudizio di merito nel termine perentorio di sessanta giorni (art. 669 octies c.p.c.) successivamente alla concessione dei provvedimenti cautelari conservativi ante

9 Così, testualmente, TRISORIO LIUZZI, La conciliazione obbligatoria e l’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv.

Dir. Proc., n. 4/2001, p. 983.

10 La distinzione, come è noto, fu introdotta a fini didattici daCALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, passim. Si veda in proposito anche PROTO PISANI, voce “Procedimenti cautelari”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1991, passim.

11 Con riferimento all’opportunità che il legislatore nel comma 3 dell’art. 5, d.lgs. 28/2010 si sia riferito ai

“provvedimenti cautelari” in generale, ovvero, sia a quelli conservativi che a quelli anticipatori, giacché “considerata la strumentalità attenuata o affievolita, evita che si possa sostenere l’esclusione della condizione di procedibilità solo per i provvedimenti conservativi. Infatti, in ipotesi si sarebbe potuta affermare l’operatività della condizione di procedibilità anche per i provvedimenti anticipatori, non essendo questi necessariamente seguiti dal giudizio di merito”, vedi MINELLI in AA.VV. La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di BOVE, Cedam, 2011, p.185.

12 Per la distinzione tra la natura dell’assetto discendente dal provvedimento cautelare anticipatorio, sostanziale e non già processuale (carattere che invece deve predicarsi con riferimento ai provvedimenti conservativi), si veda LUISO, Diritto processuale civile, IV, I procedimenti speciali, Giuffrè 2011, pp. 202, ss.

13 Così anche TISCINI,op. cit., p. 164; nonché DIANA,La mediazione civile e commerciale, UTET Giuridica, 2011, p.

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14 AA.VV. La mediazione nelle controversie civili e commerciali,a cura di CASTAGNOLA e DELFINI, Cedam, 2010, p.

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causam, e l’operatività della condizione di procedibilità prevista, per i diritti di cui al comma 1, dall’art. 5, d. lgs. n. 28/2010.

Se cioè la parte che abbia ottenuto – in relazione ad un diritto ricompreso fra quelli per i quali la mediazione è prescritta come obbligatoria – un provvedimento cautelare conservativo ante causam, debba attivare la procedura medio-conciliativa o la fase di merito, o entrambe, e in che termini.

La soluzione non si rinviene nella legge.15

Collocandoci nell’ottica dell’ordinanza commentata, la conclusione parrebbe dipendere dalla prospettiva dogmatico-ricostruttiva adottata in ordine a tali procedimenti cautelari: se in essi si ravvisino cioè dei “procedimenti unitari a struttura bifasica” o due autonome e distinte “fasi”16, con la particolarità del nesso tra loro unidirezionalmente intercorrente, di strumentalità (tra cautela e merito).

Tutto discenderebbe allora, e a ben vedere, da come si intende la natura dei procedimenti cautelari conservativi ante causam: se cioè si considera il giudizio di merito completamente autonomo; o se li si inscrive, come si è preteso di fare nel caso in esame, nell’alveo dei – per vero, non meglio identificati – procedimenti unitari a struttura bifasica.

Giacché, nel secondo caso – e pur in virtù di un insolito ribaltamento di prospettiva, che vede il merito “accedente” (a dispetto del “dogma” della strumentalità della cautela al merito) ad un procedimento unitario, quello “cautelare”

in senso lato, preservato in toto e senza specificazioni di sorta dal comma 3 dell’art.

5, d. lgs. n. 28/2010 – la disciplina afferente a tali procedimenti (quella “uniforme”, per intendersi) dovrebbe a ragione essere in tutto e per tutto applicata, risultando

“immune” dalla “contaminazione” della normativa sulla mediazione, e non già derogata, come previsto dall’espressa clausola escludente.

Quasi che la richiesta di un provvedimento cautelare ante causam conservativo costituisse una variante sul tema, un modo differente ma qualificato e qualificante di esercizio dell’azione di merito, preordinata, sempre e comunque, all’accertamento. 17

15 Così, testualmente, TRISORIO LIUZZI,op. cit., p. 983. L’A. esclude l’estensione dell’applicazione dell’art. 669 octies, IV comma c.p.c. alle controversie di lavoro privato, ché il disposto “è sin troppo chiaro per consentire un’interpretazione estensiva di questa disposizione alle controversie di lavoro “privato”. Probabilmente è esatto dire che si tratta di un difetto di coordinamento, dovuto al susseguirsi frenetico di decreti legislativi; ma è anche vero che l’interprete non può superare il dato testuale”. Se l’applicazione analogica di tale disposto è esclusa nell’ambito della stessa materia, potrebbero trarsi argomenti utili a suffragio della pari inestensibilità a settori disomogenei.

16 Laddove lo stesso termine “fase” è equivoco, perché rinvia necessariamente a un quid di unitario.

17 Conclude isolatamente in questi termini, seppur con riferimento all’operatività della condizione di procedibilità del tentativo di conciliazione nelle controversie di lavoro dei pubblici dipendenti, TRISORIO LIUZZI, op. cit., p. 984: “Ne deriva che dopo la concessione della misura cautelare il ricorrente deve dare inizio al giudizio di merito entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento, pena la sua inefficacia.(…) In tal caso, peraltro, il giudice non deve fissare un termine per la proposizione della richiesta conciliativa. Infatti, la proposizione dell’azione giudiziaria, sia pure nelle forme sommarie cautelari, e ancora di più la pronuncia di un provvedimento anche se provvisorio, rendono ormai superfluo il tentativo di conciliazione stragiudiziale. L’art. 410 c.p.c. contempla il tentativo come un istituto che deve operare prima che il giudice emani una decisione; anzi, prima ancora che il giudice abbia la possibilità di trattare la causa; nel caso di specie, invece, vi è già un provvedimento giudiziale, sia pure sommario”.

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Dal che discenderebbe la circostanza in virtù della quale, l’instaurazione del giudizio di merito, necessaria ai sensi dell’art. 669 octies c.p.c. a pena di inefficacia del provvedimento cautelare concesso, non sarebbe subordinata ad alcuna condizione di procedibilità, con esclusione dell’operatività delle norme sulla mediazione e conseguente obbligo di attivazione del merito nei sessanta giorni, secondo la disciplina ordinaria.

E tuttavia, la dottrina maggioritaria riconosce la piena autonomia del giudizio di merito nel contesto di tali procedimenti18, essendo quest’ultimo preordinato ad una missione diversa da quella cui è orientata la fase cautelare; pur risultando alla stessa coordinato laddove sia stata attivata per esigenze di urgenza e pericolo nel ritardo, con ogni evidenza differenti da quelle di accertamento.

Da tale autonomia del giudizio di merito discenderebbe la sua completa assoggettabilità, laddove instaurato dopo il 20 marzo 2011, alle norme sulla mediazione e in particolare, alla condizione di procedibilità nelle ipotesi in cui la mediazione sia prevista come obbligatoria.

Il che deve a ben vedere ritenersi ragionevole; altrimenti si introdurrebbe in via surrettizia e al di fuori da qualsiasi appiglio normativo, una differenziazione tipologica in seno alle controversie in materia di diritti di cui all’art. 5, comma 1, d.

lgs. n. 28/2010; fra quelle per le quali si opti per la tutela cautelare (e in relazione alle quali l’instaurazione del giudizio di merito successivo alla concessione del provvedimento sarebbe esentata dall’assolvimento della condizione di procedibilità);

e quelle che, per ragioni afferenti alle peculiarità del caso concreto, nonché a scelte di opportunità operate dalla parte, non beneficino di una tutela cautelare ante causam, atteggiandosi quali giudizi ordinari di cognizione sin dall’inizio.

Avallando quest’ultima tesi, e ritenendo che il giudizio di cui all’art. 669 octies c.p.c. sia un giudizio di merito a tutti gli effetti, oltreché autonomo, rimane solo da comprendere come poi operi, in concreto, la condizione di procedibilità, e come si coordini alla previsione del termine di sessanta giorni per l’instaurazione del giudizio di merito, prevista dall’art. 669 octies c.p.c.

Autorevole dottrina ha chiarito, con espresso riferimento all’instaurazione del merito nei procedimenti cautelari ante causam, che “qualora, per la proposizione della domanda di merito, sia prescritto l’espletamento di un tentativo di conciliazione, o più in generale sussista un’ipotesi di giurisdizione condizionata, occorre tener conto dell’ostacolo che il legislatore pone alla proposizione della domanda”.19

Ma in che modo occorrerebbe tenerne conto nei casi de quibus?

La dottrina è divisa sul punto; tuttavia, le posizioni a riguardo possono essere così schematizzate20:

18 Così anche VALERINI nel commento supra richiamato, che evidenza proprio l’esistenza di due litispendenze diverse, una cautelare; l’altra, di merito.

19 Così LUISO, Diritto processuale civile, IV, I procedimenti speciali,VI ed., Giuffrè, 2011, p. 201.

20 Allo stesso modo DIANA , op.cit., UTET Giuridica, 2011, pp.135 ss.

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a) chi postula un’estensione analogica alle fattispecie de quibus del disposto di cui all’art. 669 octies, IV comma, c.p.c.21; con conseguente sospensione del termine per l’attivazione del merito (sessanta giorni) e relativa decorrenza solo da quando la domanda sia divenuta procedibile (a seguito del fallimento del tentativo di mediazione, o di decorrenza dei quattro mesi); o, a prescindere dall’espletamento del tentativo di mediazione, afferma la possibilità di instaurare il giudizio di merito decorsi trenta giorni dalla concessione della misura cautelare, con operatività di tutti i meccanismi di sanatoria processuale del caso, con riferimento al giudizio successivamente attivato;22

b) chi, pur giungendo agli stessi risultati sub a), e cioè, alla generalmente necessaria previa attivazione della mediazione, risolve il coordinamento con la previsione del termine perentorio per l’instaurazione del merito – termine che inizierebbe a decorrere dalla concessione del provvedimento cautelare e cioè da subito, senza sospensioni – in virtù del disposto di cui all’art. 5, u.c., d.lgs. n.

28/2010, ritenendo che nel termine perentorio di sessanta giorni debba procedersi non già alla propulsione del giudizio, bensì all’attivazione della mediazione, la quale sospende le decadenze una sola volta (sul modello del disposto dell’art. 410, comma 2, c.p.c.); e ritiene dunque che, per l’ipotesi in cui la mediazione non vada a buon fine, si determini un mero “congelamento” dei termini per l’attivazione del merito, che ricomincerebbero a decorrere nella loro integralità dalla data di deposito del verbale di infruttuosa mediazione;23

c) chi infine, nell’incertezza, come ha concluso il giudice del caso che ci occupa, lanciando un monito pro futurum, suggerisce alla parte di attivare ambo le vie, o meglio, sostiene che la parte non potrebbe esimersi dall’instaurazione del giudizio di merito, pur al solo fine di vederlo sospendere nell’attesa della definizione della mediazione, risultando il disposto di cui all’u.c. dell’art. 5, d. lgs. n. 28/2010, riferibile alle sole prescrizioni e decadenze sostanziali e non già o non anche a quelle processuali.24

4. L’opzione preferibile

21 Ravvisando, ivi, un principio di applicazione generale, recte, un “principio di ausilio interpretativo”. Tale orientamento, emerso con riferimento all’ipotesi del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie tra pubblici dipendenti e P.A., è stato postulato da CONSOLO RECCHIONI, sub art. 669 octies, in Codice di procedura civile commentato, a cura di CONSOLO LUISO, 3° ed., vol. III, Ipsoa, 2007, pp. 4782 ss.

22 Cfr. MINELLI,op.cit., p.187, ove ci si chiede cosa accade se, successivamente al decorso dei trenta giorni, quando la domanda sarebbe comunque procedibile, venga iniziata la mediazione.

23 Ex multis TISCINI,op. cit., p. 164.

24 Così CUOMO ULLOA,La mediazione nel processo civile riformato, Zanichelli, 2011, p. 139.

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Orbene, accantonando da subito la terza delle opzioni delineate, per la sua evidente irragionevolezza (in altri termini, e come già evidenziato, si chiede alla parte di attivare la fase di merito per poi vederla immediatamente sospesa) e per l’inconsistenza dell’obiezione mossa alla tesi sub b) – ché, a ben vedere, gli istituti della prescrizione e della decadenza avrebbero da un certo punto di vista una natura ineludibilmente processuale, incidendo non già sulla titolarità o l’esistenza del diritto, bensì sulla possibilità di farlo valere in giudizio25 – resta da scegliere quale opzione preferire tra la prima e la seconda.

Sulla prima tesi, come parte della dottrina ha già rilevato26, incombe l’obiezione capitale dell’abrogazione del tentativo obbligatorio di conciliazione per la materia del lavoro; di tal che, ancor prima che della sua applicazione analogica ai casi in questione, ci si potrebbe interrogare circa la sua avvenuta caducazione per incompatibilità; a tacer poi del fatto che la sua estrema specificità (applicabilità alle sole controversie relative ai dipendenti delle P.A.) insinuerebbe il dubbio sull’ammissibilità della relativa estensione applicativa alle fattispecie de quibus (art.

14 preleggi).

Più lineare27 risulta dunque la ricostruzione sub b) che, non imponendo inutili perdite di tempo e superflue attivazioni di tutela giurisdizionale (peraltro, esattamente contrastanti con la ratio della disciplina sulla mediazione, paladina di deflazione del contenzioso giudiziale) obbliga, nel termine di sessanta giorni dì cui all’art. 669 octies c.p.c., che decorre dalla concessione del provvedimento cautelare ante causam, all’attivazione della mediazione, la quale sospende le decadenze per una sola volta (art. 5, u.c., d.lgs. 28/2010).

Il risultato è tutto sommato accettabile, comportando il rispetto della condizione di procedibilità e, solo nel caso di mancato esito positivo della mediazione, l’attivazione della tutela giurisdizionale di merito.

A meno che non si ricorra all’espediente della fissazione di una durata

“convenzionale”28 della mediazione post-cautelare tra le parti; individuandola in un lasso temporale inferiore ai sessanta giorni; di modo che, il fallimento (del quale si

25 Cfr. GAZZONI,Manuale di diritto privato, XIV edizione, 2010, ESI, p. 110.

26 Cfr. TISCINI,op. cit., p. 164 e AVESANI-LUPANO, in AA.VV. La mediazione civile e commerciale, a cura di BESSO, Giappichelli, 2010, p. 333. Ma si veda anche DIANA,op. cit., p. 135-136, nonché TRISORIO LUZZI,op. cit., p. 983-984.

27 Si segnala la posizione mediana patrocinata da DE CRISTOFARO,nella sua nota di commento all’ordinanza della Corte Costituzionale, 16 aprile 1999, n. 122, Tutela cautelare ante causam, termine perentorio di instaurazione del giudizio di merito e condizioni di procedibilità (sullo sfondo della questione di compatibilità tra tutela cautelare e compromesso per arbitrato rituale) in Giur. It., 2000, p. 249. L’A. da un lato propende per la decorrenza del termine per l’instaurazione del tentativo di conciliazione in materia di r.c.a, dalla concessione del provvedimento cautelare;

dall’altro, ammette l’estensione dell’applicazione di tale disposto ad altre materie: “Più razionale dunque sarebbe stato prevedere un termine di inefficacia, analogo a quello contemplato dal 1° comma dell’art. 669 octies, anche per l’inoltro della richiesta di tentativo di conciliazione, destinato ad essere seguito, se rispettato, dall’ulteriore termine di trenta giorni per l’instaurazione del giudizio di merito in caso di fallimento del tentativo o di comunque sopravvenuta procedibilità della domanda: soluzione che crediamo debba imporsi per tutte le fattispecie di condizioni di procedibilità previste in materia diversa da quella specificamente disciplinata dal 4° comma dell’art. 669 octies”.

28 Discendente dalla configurabilità del termine entro cui chiudere la mediazione quale “ordinatorio” e non già perentorio. Vedi in proposito supra, la nota n. 2.

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potrebbero trarre indici sin da subito, valutando il comportamento delle parti durante la procedura conciliativa), o il mancato esaurimento della stessa nel termine concordato, determinando una “procedibilità convenzionale della domanda”, comunque nei termini di cui all’art. 669 octies c.p.c., non importino preclusioni di sorta in ordine al successivo ricorso alla tutela “ordinaria” di merito, salvando così capra e cavoli, e, in particolare, l’efficacia del provvedimento cautelare nel rispetto della condizione di procedibilità29.

Il pregio di tale ultima notazione è suscettibile di essere tuttavia immediatamente ridimensionato, non appena si ponga mente alla circostanza che il termine ex art. 6, d.lgs. n. 28/2010 è ordinatorio, e non ha natura processuale. Stesso carattere assumerebbe dunque, e a fortiori, il termine convenzionalmente stabilito tra le parti.

E’ opportuno evidenziare, comunque, che ammettere l’operatività della condizione di procedibilità per l’instaurazione del giudizio di merito all’esito della concessione di un provvedimento cautelare conservativo ante causam, non implica l’irragionevole obbligo di dover attendere, pur nell’evidente assenza di qualsivoglia collaborazione tra le parti, il decorso dei quattro mesi. Infatti, la mediazione può ritenersi fallita anche successivamente al primo incontro, laddove, in virtù dell’andamento fallimentare di quest’ultimo, non si intravedano prospettive di buon esito.

Emerge, per tornare alla vicenda dalla quale ha preso le mosse questo discorso, che volge ormai al termine, che il trivio di scenari profilati dal Tribunale, pronto a mettere a ferro e fuoco la normativa de qua, paventando, se solo la questione fosse stata rilevante nel caso al suo esame, il sollevamento di una questione di legittimità costituzionale, ha omesso di considerare la rilevanza della disposizione che nella fattispecie commentata avrebbe fugato buona parte delle sue preoccupazioni, prevedendo, seppur, a tutto concedere con una forzatura ermeneutica, che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione impedisce la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 presso la segreteria dell’organismo”.

5. Suggestioni “costituzionalmente orientate”

La disamina degli scenari riportati, che tra cavilli formalistici e prospettazioni irragionevoli richiama alla mente la figura manzoniana dell’Azzeccagarbugli; per giunta in relazione alla tutela cautelare, così cara alla Corte costituzionale, non

29 Si segnala in proposito anche l’opinione di CHIARLONI, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega in materia di mediazione ex art. 60, legge n. 69/2009, su www.ilcaso.it , Sezione II, Dottrina, opinioni ed interventi, p. 10, il quale, con riferimento ai procedimenti ordinari di merito, ha ritenuto che il tentativo obbligatorio di mediazione potesse essere inserito in seno al termine di comparizione di cui all’art. 163 bis c.p.c.

Tuttavia, rispetto all’instaurazione della fase di merito di cui all’art. 669 octies c.p.v., il pregio della notazione scolora, atteso che, come è noto, esso è bimestrale e non già trimestrale.

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tranquillizza nel momento in cui fotografa uno stato di confusione sulle modalità di coordinamento tra la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5, comma 1, d. lgs.

n. 28/2010 e la necessaria instaurazione della fase di merito di cui all’art. 669 octies c.p.c.; in relazione dunque alla sorte dei provvedimenti cautelari conservativi ante causam, la cui ratio rischia di essere frustrata, se le cose non sono chiare, a cagione del relativo soggiacere alla spada di Damocle della perdita di efficacia.

Proprio l’esigenza di fugare compressioni di tutela irragionevoli, determinate dall’introduzione di elementi di complicazione nell’accesso alla giurisdizione, pur per deflazionarne il congestionamento, dunque, pur nella nobiltà degli intenti30, impone quantomeno di adottare un approccio critico.

Con riferimento infatti ai provvedimenti cautelari ante causam anticipatori, l’introduzione della mediazione obbligatoria non ha inciso in maniera drammatica, restando in facoltà delle parti di scegliere se accedere alla tutela di merito o meno; e, limitatamente a questa seconda eventualità, l’avvento della media-conciliazione si configura tamquam non esset, rimanendo il regime di tali provvedimenti immutato31.

Maggiore impatto ha esplicato, come visto, l’entrata in vigore della medesima disciplina sull’assetto dei provvedimenti conservativi ante causam.

È in effetti ben vero che il perdurare della loro efficacia è stato sempre subordinato, anche prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 28/2010, all’instaurazione della successiva fase di merito.

E tuttavia occorre evidenziare che non vi è una perfetta equipollenza delle condizioni del mantenimento dell’efficacia fra il prima e il dopo. Non vi è infatti alcuna certezza sul fatto che la mediazione vada a buon fine, e in tal caso dovrà comunque essere instaurato il giudizio di merito.

Ne risulta una generale impressione di aggravamento degli oneri a carico della parte per fruire della tutela giurisdizionale.

Imporre l’attivazione della mediazione dopo la concessione di un provvedimento cautelare32 che implica una certa “diffidenza” tra le parti33 – come il

30 E tuttavia, come sottolinea SANTAGADA,La conciliazione delle controversie civili, Cacucci, 2008, p. 96, nt. 39, la mediazione non dovrebbe essere imposta con l’obiettivo primario della riduzione del carico di lavoro giudiziario, ma perché essa rappresenta un migliore percorso di tutela per determinate controversie.

31 Così anche DIANA, op. cit., p. 134: “Le norme regolanti la materia della mediazione civile non hanno ingresso sintantoché le parti destinatarie di un provvedimento anticipatorio non facciano poi ricorso al giudizio di merito;

diversamente, invece, nel caso in cui le stesse optino per la via ordinaria”, pur ammettendo una qualche incidenza della mediazione poi eventualmente attivata, nei termini di una revocabilità del provvedimento cautelare concesso laddove la conciliazione sortisca un esito positivo diverso da quello sancito nel provvedimento stesso.

32 Mette conto ricordare la posizione (pur isolata) di TRISORIO LIUZZI, op. cit., p. 984: “Infatti, la proposizione dell’azione giudiziaria, sia pure nelle forme sommarie cautelari, e ancora di più la pronuncia di un provvedimento anche se provvisorio, rendono ormai superfluo il tentativo di conciliazione stragiudiziale. L’art. 410 c.p.c. contempla il tentativo come un istituto che deve operare prima che il giudice emani una decisione; anzi, prima ancora che il giudice abbia la possibilità di trattare la causa; nel caso di specie, invece, vi è già un provvedimento giudiziale, sia pure sommario”.

33 Cfr. PROTO PISANI, voce “Procedimenti cautelari”, Enciclopedia Treccani, pp. 6-7, il quale, riprendendo la lezione di CALAMANDREI, evidenzia che la ratio dei provvedimenti cautelari conservativi, si ravvisa nel fatto che “in questi casi il provvedimento cautelare non mira ad accelerare la soddisfazione del diritto controverso, ma soltanto ad apprestare in anticipo i mezzi atti a far sì che l’esecuzione forzata di quel diritto (il pagamento di una somma, la consegna), quando

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sequestro giudiziario, funzionalizzato alla custodia34 del bene – e soprattutto laddove le prospettive di buon esito siano minime e la conflittualità tra le parti sia alta, equivale solo ad appesantire gli oneri per chi di quella tutela necessita, con buona pace del principio che il processo non deve andare a danno della parte che ha ragione.35

In questi casi dunque, l’immediato accesso alla tutela giurisdizionale costituirebbe concretamente forse la via più breve e scevra da appesantimenti superflui e derivanti da una lettura iper-formalistica e meccanica degli istituti processuali36, in contrasto con gli ultimi indirizzi della Corte EDU37.

Ragionando empiricamente, riesce in effetti difficile cogliere prospettive di buon esito in tentativi di conciliazione imposti successivamente alla concessione di provvedimenti cautelari, quantomeno conservativi.

Si dubita cioè che il soggetto richiedente l’ausilio di un’istanza imparziale e giudiziale per la risoluzione della crisi di cooperazione – data la nota competenza

“funzionale” del solo soggetto incaricato di ius dicere alla concessione della tutela cautelare – sia disposto a scendere a compromessi con l’altra parte.

L’eventualità che si ricorra all’intervento giurisdizionale presuppone infatti già avvenuto il superamento di una certa soglia di conflittualità (nel senso che quantomeno si esclude che le parti possano addivenire inter eas alla composizione della lite), evenienza per giunta corroborata dalla richiesta di un provvedimento cautelare, ex se sintomatica della volontà di correre il prima possibile ai ripari.

Chiudo con un’ultima suggestione, venutami tra le mani alla conclusione del presente contributo, e la cito, per rendere giustizia alle parole dell’Autore: “in questo momento non si riesce ad assicurare effettività alla tutela se non attraverso una compressione forte delle potenzialità della stessa; l’efficienza del sistema giustizia, o

sarà possibile, avvenga in modo fruttuoso, praticamente utile:ciò che è urgente, in altre parole, non è la soddisfazione del diritto, ma l’assicurazione preventiva (tramite il vincolo di indisponibilità nel sequestro conservativo, e la custodia o gestione temporanea nel sequestro giudiziario) dei mezzi atti a far sì che il provvedimento principale, quando verrà, sia praticamente efficace”. Più giù, con riferimento ai provvedimenti anticipatori: “Per pericolo da tardività si intende il pericolo che sia la mera durata del processo, col protrarre nel tempo lo stato di insoddisfazione del diritto ad essere causa di pregiudizio”. La tutela cautelare conservativa in altri termini, non rispondendo ad un’esigenza obiettiva di fugare il pericolo della tardività si colorerebbe di una certa “soggettività”, nel timore che l’infruttuosità della tutela discenda da un determinato comportamento del convenuto.

34 Tali procedimenti cautelari sarebbero infatti caratterizzati da un periculum molto leggero (LUISO,passim).

35 Secondo l’insuperata lezione di CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, rist. Napoli, 1960, p. 32.

36 Così BUFFONE, Diritto processuale della mediazione, in Giur. Merito, n. 10/2011, pp. 2355-2356, che cristallinamente chiarisce: “il rischio è quello di una applicazione automatica dell’art. 5, comma 1 cit. che conduca a risultati interpretativi palesemente incostituzionali: in particolare, là dove di imponga la mediazione c.d. obbligatoria nella consapevolezza che i litiganti non potranno comunque pervenire ad un accordo conciliativo. L’incostituzionalità si manifesta all’interprete in modo evidente, poiché viene frustrata la stessa ratio dell’istituto: operare come un filtro per evitare il processo; ma se il processo non è evitabile, l’istituto è un’appendice formale imposta alle parti con irragionevolezza (e, quindi, violazione dell’art. 3 Cost.)”.

37 Vedasi all’uopo l’orientamento emerso nella giurisprudenza della Corte EDU, la quale ha sanzionato l’eccesso di formalismo delle norme processuali, specie quando non sussista un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. (Casi ZVOLSKỲ ET ZVOLSKÀ, 12 novembre 2002 e FERRÉ GISBERT, 13 ottobre 2009).

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meglio la minore inefficienza, rischia di ottenersi a prezzo di una complessiva minore tutela effettiva delle situazioni giustiziabili”.38

38 Così SANTANGELI, Riduzione dei tempi della giustizia civile. Efficienza e effettività. L’impatto dell’ultima legislazione riformista, in www.judicium.it. Si segnala poi, sulla stessa linea d’onda, la posizione del CSM, nel suo Parere sullo schema di decreto legislativo, in particolare sull’inopportunità dell’operatività, sempre e comunque, della condizione di procedibilità per la tutela dei diritti di cui all’art. 5, comma 1, d. lgs. n. 28/2010, che “non sembra la soluzione migliore per assicurare la diffusione della cultura per la risoluzione alternativa delle controversie”; e l’opinione di DITTRICH,op. cit., p. 584, come riportata da SANTAGADA, Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, a cura di SASSANI SANTAGADA, Dike, 2011, p. 16: “solo se sostenuto da una reale volontà conciliativa, il tentativo di mediazione può avere successo, altrimenti esso si risolve in un adempimento meramente formale, ciò a maggior ragione se si considera che le materie di cui all’art.5, comma 1, sono profondamente disomogenee, non si prestano ad alcuna omologazione, neanche sotto l’aspetto della prognosi sulla loro preventiva conciliabilità”.

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