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Animali domestici e danno di affezione - Judicium

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Academic year: 2022

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PAOLA SIMONA BRACCHI

Animali domestici e danno di affezione

Premessa

Talune persone, compreso chi scrive, ritengono necessaria la compagnia di un animale domestico, per lo più un cane od un gatto. Usando un’espressione, forse banale, ma veritiera, questi animali entrano a far parte della vita di una persona e, quando muoiono, si soffre e se ne resta profondamente turbati, soprattutto se vi è stata condivisione di un lungo vissuto insieme. La morte di una bestiola, che “cresce e vive“ con delle persone, provoca sofferenza emotiva ed angoscia per la perdita del legame - che, certamente, si può definire di natura affettiva -, condizionando in peggio l’esistenza quotidiana della famiglia ospitante. Invero, il cane (od il gatto) non rappresenta un valore patrimoniale per il padrone, ma un essere vivente nei confronti del quale sono rivolte attenzione, cure, gioia, affetto ed organizzazione della propria quotidianità. Tant’è che la Suprema Corte ha stabilito che, a seguito della morte del proprio animale, “il proprietario può chiedere il ristoro dei danni patrimoniali e morali subiti”1.

La giurisprudenza in merito al cosiddetto danno da affezione non è, in verità, univoca, ma la sentenza, che qui si commenta,2 ha delineato - in maniera assai esaustiva - i contorni della problematica, inerente alla perdita dell’animale domestico. Nella fattispecie sottoposta all’attenzione del Giudice, un cane meticcio, di piccola taglia, portato ad un parco locale, durante una passeggiata, veniva aggredito da un mastino non tenuto al guinzaglio e senza museruola. In seguito alle lesioni riportate nell’evento de quo, la bestiola, essendo stata azzannata violentemente alla gola dal mastino, moriva poco dopo. Uno dei proprietari del cane ucciso, e precisamente quello presente al fatto, aveva dovuto ricorrere, appena dopo la dolorosa perdita dell’amato animale “di compagnia”, alle cure del locale nosocomio, dove gli veniva diagnosticata una “reazione d’ansia”. L’altro proprietario, a seguito del trauma subito,

1 cfr. Cass. Civ., sez. III, 3 agosto 2001, n. 10679

2 sentenza n. 239/11 (n. 368/2006 R.G.), emessa dal Giudice Unico del Tribunale di Cremona in data 9 giugno 2011 e depositata il 13 giugno 2011

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dopo avere appreso le modalità cruente con cui la bestiola aveva trovato la morte, aveva dovuto ricorrere al proprio medico curante, intensificando la cura di antidepressivi.

Recente orientamento giurisprudenziale

Com’è noto, la giurisprudenza di merito riconosce che il fatto illecito, che cagiona la morte di un animale di compagnia, come nel caso in esame, costituisce “fatto produttivo di danni morali nei confronti di chi lo accudiva e ne aveva cura, in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l’uomo e l’animale domestico comporta, dell’efficacia di completamento e arricchimento della personalità dell’uomo e quindi dei sentimenti di privazione e di sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito”; altresì, si afferma che

“lo stato di angoscia derivante dalla morte del proprio animale domestico costituisce un danno biologico, da porsi a carico del soggetto responsabile”3 del decesso dell’animale.

Nell’episodio in esame, non sussiste dubbio alcuno che vi sia stata una responsabilità esclusiva in capo al proprietario del cane “aggressore”, avendo costui lasciato piena libertà di movimento ad un animale, cane di razza mastino, il quale può diventare anche aggressivo in certe occasioni (e proprio in presenza di altri cani), senza guinzaglio né museruola. Quindi, si è in presenza di una condotta colposa, che si è estrinsecata in una mancata osservanza degli obblighi di controllo e di sorveglianza dell’animale da lui detenuto (non tenendolo al guinzaglio, né dotandolo di museruola). All’uopo, una sentenza di legittimità - peraltro, non recente - si ritiene attagliare al caso di specie (nonostante tratti il tema della responsabilità per lesioni colpose cagionate dal morso di un cane): “In tema di custodia animali, l’obbligo sorge ogni qual volta sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l’animale e una data persona, posto che l’art. 672 c.p. relaziona l’obbligo di non lasciare libero l’animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell’animale …”4. Secondo il Supremo Collegio, l’obbligo di controllo incombe di diritto sul proprietario, adottando le prescritte cautele, quali,

3 cfr., ex multis, Giud. Pace Foggia, sentenza 11 maggio 2009 (in tema di danno morale); Giud. Pace

Ortona, sentenza 28 maggio 2007 (in tema di danno esistenziale); Giud. Pace Roma, sentenza 30 settembre 2004 (in tema di danno morale); Conc. Udine, sentenza 9 marzo 1995, che parla espressamente di danno biologico

4 cfr. Cass, Pen., sez. III, sentenza 16 novembre 1998 n. 599

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appunto, museruola e guinzaglio; in altri termini, il proprietario ha una posizione di garanzia, essendo il medesimo il detentore dell’animale, ossia l’unico soggetto che dispone dell’animale e può - e deve - controllare le sue reazioni. In proposito, la Cassazione ha sancito, tra l’altro, che “il proprietario di un animale (o di chi ne abbia l’uso) risponde ai sensi dell’art. 2052 c.c. sulla base non già di un proprio comportamento o di una propria attività, ma sulla base della mera relazione (di proprietà o di uso) intercorrente fra lui e l’animale, nonché del nesso di causalità sussistente fra il comportamento di quest’ultimo e l’evento dannoso, fattori - questi - di cui deve dare prova il danneggiato …5”; onere che si ritiene, peraltro, sia stato assolto da parte attrice6.

Infatti, dati oggettivi e provati, sia testimonialmente che documentalmente, alla base della presente vicenda, sono i seguenti:

- il cane di proprietà dei signori X-Y è morto a seguito dell’aggressione di un altro cane, di razza mastino;

- il mastino non era sorvegliato dal proprietario ed era privo di museruola e non era tenuto al guinzaglio;

- sussiste una responsabilità, in capo al convenuto, dell’omesso controllo del mastino;

- i danni subiti dai proprietari del cane deceduto sono documentati da certificazione medica e riconducibili alla perdita dell’animale domestico.

Un Giudice di Pace7 ha osservato, in proposito, che “l’animale … pur essendo considerato dal codice civile, un semplice bene in quanto possibile oggetto di diritti, ex art.

810 c.c., in realtà è un bene che si differenzia dagli altri in quanto non inanimato. Per sua natura lo stesso è soggetto a spostamenti e movimenti, con conseguente obbligo del custode di approntare un rifugio idoneo alla custodia priva di rischi … In tal senso, il codice civile, all’art. 2052, disciplinando il danno cagionato da animali, dispone che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in custodia, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o sfuggito, salvo che provi il caso fortuito …””.

5 cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza 9 gennaio 2002 n. 200

6 difesa da chi scrive

7 cfr. Giudice di Pace Palermo, sentenza del 9 febbraio 2010, in materia di custodia da parte di un dog- sitter

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Vi è, tuttavia, come dianzi anticipato, giurisprudenza contraria: ad esempio, una sentenza del Tribunale civile di Sant’Angelo dei Lombardi in data 12 gennaio 20118 ha stabilito che “se il cane muore ucciso al parco da altri cani il proprietario non ha diritto ad alcun risarcimento economico”, sentenza che chi scrive non condivide, poiché la perdita di un animale domestico provoca un danno, che si estrinseca in una ripercussione negativa a livello morale ed affettivo, ossia “un patema d‘animo collegato alla scomparsa dell‘animale …”9. Interessante è la nota alla menzionata sentenza10, che propone un “excursus” della definizione degli animali secondo vari diritti (Italiano, Tedesco, Statunitense), sottolineando che, secondo il codice italiano, “gli animali sono cose” (a differenza del BGB). Tuttavia chi scrive ritiene più aderente alla realtà il giudice che, con ottica lungimirante, li considera “qualche cosa” in più, arrivando a dare valenza al rapporto affettivo (esistente nel concreto) fra persona ed animale.

Si ritiene, infatti, di condividere l’assunto della Pretura di Rovereto, la quale aveva statuito che: “L’atto illecito che determina la malattia o la morte di un animale di compagnia è fatto produttivo di danni morali nei confronti di chi lo accudiva e ne aveva cura, in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l’uomo e l’animale domestico comporta, dell’efficacia di completamento e arricchimento della personalità dell’uomo e quindi dei sentimenti di privazione e di sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito

…“11.

Sentenza del Tribunale di Cremona

Il Giudice ha sottolineato, in primis, che: “… La condotta del convenuto, sotto il profilo

8 pubblicata su Giurisprudenza di Merito (n.3/2012)

9 cfr. Trib. Rovereto, sentenza in data 12 ottobre 2009 (depositata il 18 ottobre 2009), di indirizzo diverso rispetto a quella citata del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la cui fattispecie riguardava una non adeguata custodia da parte di società titolare di una pensione per animali ed il cane ivi ospitato veniva aggredito ed ucciso da altro cane presente nella suddetta pensione

10 nota “Il riccio e il volpino. La morte dell’animale d’affezione sotto l’incubo della ragionevole durata” - in Rivista cit., pagg. 558 e segg.

11 cfr. Pretura Rovereto, sentenza in data 15 giugno 1994, in Nuova Giur. Civ. comm., 1995, I, 133

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dell’antigiuridicità, è espressamente sanzionata dall’art. 672 c.p., che punisce chiunque lascia libero o non custodisce con le dovute cautele animali pericolosi (tale deve considerarsi il mastino del convenuto) da lui posseduti. Trattasi comunque di condotta rientrante nella fattispecie dell’art. 2052 c.c., per il quale il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in custodia è responsabile dei danni da esso animale cagionati …”.

Peraltro, il Giudicante del Tribunale di Cremona “anticipa”quello che assumerà, alcuni mesi dopo, come posizione di principio di diritto la Suprema Corte, la quale individua come responsabile il soggetto che aveva in custodia un cane di grossa taglia, che, senza museruola, aggredisce quello piccolo12.

Sul punto, parte convenuta ha contestato che la perdita dell’animale domestico possa essere fonte di risarcimento del danno di natura non patrimoniale, ma il Giudice ha respinto tale confutazione sulla base di una lineare ed acuta argomentazione: “… Essa infatti non tiene conto che la lesione di interessi giuridicamente rilevanti a contenuto non patrimoniale (o, in maniera più semplice, il danno alla persona, precisandosi che qui si fa riferimento all’evento di danno e non alle conseguenze pregiudizievoli) può discendere non solo direttamente, quale conseguenza diretta della condotta antigiuridica, ma anche indirettamente, quale conseguenza ulteriore di un evento di danno diverso, che si potrebbe definire evento ponte. In altre parole la condotta antigiuridica può palesarsi come plurioffensiva, il che avviene ogniqualvolta essa cagioni dapprima un evento di danno (ponte), ad es. di carattere patrimoniale come nel caso di specie, che a sua volta, attraverso un nuovo rapporto di causalità naturale, cagioni un ulteriore evento di danno, questa volta alla persona …”. Ecco, quindi, l’introduzione di una costruzione giuridica logica, che qualifica la condotta antigiuridica dell’omessa custodia dell’animale, nella fattispecie in esame, “plurioffensiva” e, come tale, in grado di cagionare una sorta di doppio danno, uno diretto - definito dal Giudice “evento ponte” - ed uno indiretto. Ed ancora, di particolare interesse è la parte motiva, laddove si legge: “… Premesso che, nel rapporto tra evento di danno e danni conseguenza non è necessario accertare l’esistenza di un vero e proprio rapporto di causalità materiale, bensì semplicemente un rapporto di causalità giuridica ex art. 1223 c.c., ossia un rapporto di regolarità, adeguatezza e proporzionalità, l’attenzione dovrà concentrarsi sulla destinazione economico sociale del bene perduto.

12 cfr. Cass. Pen., sentenza 3 agosto 2011, n. 10679

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Quando detta destinazione non sia rivolta a soddisfare, nella comune e usuale accezione, solamente bisogni di carattere materiale, ma anche spirituale ed affettivo, è normale conseguenza della perdita del bene che si verifichino dei pregiudizi non patrimoniali. Il che è nel caso dell’animale d’affezione, il quale è destinato a soddisfare bisogni spirituali ed affettivi della persona, di tal che è conseguenza adeguata e proporzionata all’uccisione dell’animale stesso e, dunque, del tutto regolare e prevedibile, che il proprietario del’animale ucciso ne tragga una sofferenza, che costituisce pregiudizio sul piano morale. …”.

Sarebbe quanto mai opportuno riflettere sui parametri di stringente logica giuridica indicati nella suddetta sentenza, la quale, tra l’altro, appare rispettosa dei sentimenti delle persone e della funzione degli animali di compagnia; non a caso, infatti, il Giudice ha definito il danno da perdita dell’animale d’affezione non “pregiudizio bagatellare, essendo qualcosa di ben più grave del mero fastidio, disturbo et similia con riferimento ai quali la Corte13 ha solitamente ravvisato il carattere bagatellare dei pregiudizi“.

13 La sentenza si riferisce al “dictum di SS.UU. 11.11.2008”

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