Opera più importante:
Theatrum veritatis et iustitiae (1669-1673) in quindici libri, più altri quattro di supplemento (1677-1678), che raccoglie oltre 2.500 pareri nei più diversi campi del diritto.
Fu stampato diciotto volte in Italia, Francia e
Germania. E’ la base dei vari scritti successivi di carattere divulgativo.
Non può tuttavia considerarsi una vera e propria enciclopedia, giacché il materiale contenuto, pur
calato in una sommaria partizione sistematica, non è trasfuso in una trattazione astratta, come avverrà nelle opere successive Il Dottor Volgare e la Summa Theatri.
Grandissima parte di tali pareri risultano resi in cause presso magistrature romane, come la Sacra Rota, la Camera apostolica, la Segnatura di Giustizia, la
Cancelleria apostolica, la Sacra Consulta, la Congregazione del Buon Governo ed altre
congregazioni della curia pontificia o, ancora, presso giudici delegati. Talvolta si tratta di cause presso il Sacro Regio Consiglio di Napoli, oppure presso
tribunali di altri Stati italiani (Genova, Firenze, Mantova, Piacenza ecc.).
De Luca condusse tra il 1676 ed il 1680, su incarico di Innocenzo XI, una linea
riformatrice coerente ed incisiva, divenuta improcrastinabile per:
-
la crisi del papato nello scenario politico internazionale,
-
il grave dissesto economico,
-
le disfunzioni nel governo del territorio
la soppressione di tribunali particolari,
la razionalizzazione delle giurisdizioni,
l’abolizione del nepotismo,
la soppressione di cariche ritenute inutili,
la restrizione dell’immunità e dei privilegi dei patentati dell’Inquisizione
Le sue proposte, di portata epocale, incontrarono una resistenza agguerrita da parte di un compatto gruppo di Cardinali delle congregazioni dell’Inquisizione e dell’Immunità (tra cui Francesco Albizzi, Decio
Azzolini e Pietro Ottoboni, il futuro papa Alessandro VIII), che condussero nell’immediato ad un
accantonamento degli interventi più audaci, come quello dell’abolizione del nepotismo.
Le opinioni di De Luca furono accusate di essere prossime all’eresia, in quanto contrarie alla libertas Ecclesiae ed in sintonia con le dottrine protestanti
Nel 1690, sette anni dopo la morte del loro autore, vari libri del Theatrum furono sottoposti ad esame dalla Congregazione dell’Indice, pur tuttavia non seguendo alcuna riprovazione ufficiale
Il Dottor Volgare (stampato per primo dall’editore
Corvo di Roma nel 1673), può considerarsi una sintesi di ‘alta divulgazione’ del Theatrum, ma con un taglio libero dalle esigenze forensi, e dunque più consono a lasciar affiorare il pensiero dell’autore sulle varie
tematiche
Offre una rappresentazione precisa, penetrante e
spesso critica della vita del diritto nel tardo Seicento e soprattutto del mondo della giustizia e dei tribunali
E’ la prima trattazione colta, e realmente
enciclopedica, dello scibile giuridico in volgare
Abbonda di metafore
E’ un grande affresco barocco del tardo diritto comune
Ripete la struttura del Theatrum
LE ALTRE OPERE IN VOLGARE
Dello stile legale
Del giuoco dell’Ombre
Difesa della lingua italiana
Il cavaliere e la dama
Il Vescovo pratico
Il Religioso pratico
Il Cardinale della S. R. Chiesa pratico
Il Principe cristiano pratico
L’Istituta civile(incompiuta, pubblicata postuma nel 1733
dedicato alla regina Cristina di Svezia
Dello stile legale, cioè del modo, col quale i professori della facoltà legale, così avvocati e
procuratori, come giudici e consiglieri, ed anche i cattedratici, o lettori, debbano trattare in iscritto ed in voce delle materie giuridiche, giudiciali e
stragiudiciali
Edito a Roma da Dragondelli nel 1674.
Ripubblicato nel 2010 dal Mulino, nella collana della Storia dell’Avvocatura in Italia.
Tratta non solo di un miglioramento formale e stilistico, ma anche di un vero
rinnovamento metodologico
Indica come ci si deve correttamente
appellare alle rationes ed alle opiniones, le
due basi su cui poggia il discorso giuridico
in assenza di legge chiara
I giuristi “prammatici” condannano lo stile
“discorsivo” o “raziocinativo”, asserendo che
“nella facoltà legale sia rossore e vergogna il parlare senza l’autorità delle leggi e dei
dottori”.
Al contrario i giuristi “neoterici” o
“raziocinatori” ritengono che ci si debba
regolare sempre più con la ragione che con il detto degli altri, del resto la ragione è
l’anima della legge.
Negli estremi di queste posizioni si
annidano, secondo De Luca, gravi equivoci.
Dove vi è legge chiara si chiudono o si riducono molto gli spazi sia per i discorsi raziocinanti, che per le allegazioni di opinioni.
Ma il problema è che le leggi raramente sono a tal
punto chiare da non sollevare opinioni discordi, e
specialmente quelle romane, scritte molti secoli fa
per una realtà sociale, economica e culturale ormai
scomparsa.
Riguardo alle rationes, “non si deve intendere di quelle che a ciascuno persuada il suo cervello,
ovvero il proprio discorso e lume naturale”, come molti credono, perché “non ritrovandosi stabilito nel mondo quale sia la vera e la certa ragione delle cose, ciascuno se la figura o la suppone a suo
modo (...); ma s’intende delle ragioni derivanti da princìpj legali, e non naturali solamente”.
Scettico verso i princìpi filosofici universali di ragione dei contemporanei giusnaturalisti, De Luca sembra piuttosto riaffermare la concezione che della ratio ebbero i maestri della scuola del Commento, come spirito della norma impresso dalla volontà del
legislatore, come anima racchiusa in cortice verborum e correlata ai princìpi giuridici basilari del diritto
comune. Una ragione sottratta dunque al dominio di filosofi, teologi e moralisti.
Riguardo alle allegazioni di auctoritates, ovvero di opere dottrinali, si deve evitare “di fare di ogni erba un fascio”, tipico della “plebe leguleica”, che procede ad un affastellamento sconsiderato di opinioni, senza
valutare il grado di autorevolezza ed affidabilità, le circostanze del caso in cui furono espresse, il loro
accoglimento o meno da parte del giudice, soprattutto l’effettivo fondamento giuridico.
Il buon giurista non deve rinunciare alle allegazioni dottrinali (tipico argumentum ab auctoritate), che possono veramente testimoniare una linea
interpretativa tradizionalmente accolta (e divenuta
dunque ius commune), un orientamento meritevole di essere seguito; ma deve ponderarle, sceglierle, e
dunque limitarle al necessario.
Si dovranno evitare nelle scritture giuridiche le consuete prolissità (homo longus raro sapiens) e superfluità (definite “escrementi”).
Si dovranno prioritariamente ricercare concisione,
chiarezza e comprensibilità, modulando il linguaggio a seconda delle circostanze e del tipo di uditorio: come insegnava Bartolo, “con i letterati si deve parlare
letteratamente, e con i volgari volgarmente”, cercando semmai di ridurre “le asprezze e le amarezze de’
barbarismi legali, senza però partire dal parlare proprio della facoltà”.
Il sistema di diritto comune, secondo De Luca, ha al suo apice un nucleo di diritto divino-naturale
inderogabile.
Al di sotto di questo sono individuati ratione materiae tre grandi ambiti, civile, canonico e feudale, che si
articolano ciascuno su più livelli caratterizzati da diverse fonti di produzione.
DIRITTI IMMUTABILI
diritto divino: precetti del Vecchio e Nuovo testamento
diritto delle genti: patti e convenzioni tra popoli (es. dir.
marittimo, pesca), trattati di pace
diritto naturale: deriva dall’istinto naturale: allevare prole, auto-difesa, uso delle cose comuni, occupazione ecc.
MA SECONDO DE LUCA IL VERO DIRITTO INDEROGABILE E’ IL DIRITTO DIVINO
Scetticismo verso un diritto naturale diverso dal diritto divino e superiore al di ritto positivo:
«non si sa vedere in quali volumi sì fatte leggi siano
registrate, quale sia il loro tenore, quali siano stati gli Autori e i Legislatori, e quale autorità avessero da obligare anche i Principi sovrani» (Il Principe cristiano pratico, p. 207).
DIRITTI COMUNI
diritto civile: diritti giustinianeo come creepito in uso
diritto canonico (Corpus iuris canonici meno il Decretum)
diritto feudale: Libri feudorum inseriti nei Libri legales
DIRITTI PARTICOLARI
diritto civile particolare: leggi, statuti e consuetudini locali
diritto canonico particolare: norme di Vescovi, Legati ecc.
diritto feudale particolare: consuetudini localmente vigenti
«Delle dieci parte di quel che si pratica, forse appena una sola nasce dalla chiara ed espressa disposizione delle suddette leggi antiche comuni, si che le altre
nove nascano da leggi o consuetudini, o pure da quelle regole e conclusioni, le quali ne tempi moderni per i Tribunali e per il senso più comune de professori si sono cavate da un gran miscuglio di diverse leggi, e dalla confusione di tante questioni e diversità
d’opinioni sopra l’intel ligenza e l’interpretazione delle
sudette antiche leggi comuni»
(Difesa della lingua italiana, Roma 1675, pp. 35-36)
PRINCIPIO DI SPECIALITA’: la norma più particolare deroga e sospende l’applicabilità di quella più generale.
INTERPRETATIO:
Legislatoris (generalis, necessaria)
Consuetudinaria (generalis, necessaria)
Iudicis (particularis, necessaria)
Doctorum (generalis, probabilis)
ARBITRIUM IUDICIS: discrezionalità regolata dai princìpi giuridici generali e dall’equitas
OPINIONES DOCTORUM: occorre distinguere il
diverso valore della letteratura giuridica (commentari, trattati, pareri pro-veritate, pareri pro-parte)
EQUITAS: deve essere sempre considerata dal giudice
«In quell’arbitrio che dà la legge, non vi ha parte al cuna
immaginabile la volontà, essendo queste due cose tra loro molto
diverse; attesoché la volontà è un’opera zione libera del proprio senso, nel fare per sua elezione più una cosa che l’altra, quando egualmente si possa fare l’una e l’altra: ma l’arbitrio è
un’operazione neces saria, da regolarsi da quello che dispongono le leggi; e quando queste siano dubbie, o veramente che non
abbiano potuto dare una regola precisa... in tal caso
quell’arbitrio, al quale le leggi si rimettono, s’intende dell’arbitrio d’un uomo buono, savio ed intero il quale con gli occhi chiusi, senz’affezione o inclinazione, e con quella scorta che gli danno le regole legali, o veramente le tradizioni de’ dottori, o gl’esempi de’
casi seguiti, dovrà eleggere e seguitare quello che gli suggerisca l’interno, che gli scrittori dicono aver quasi del divino; in maniera che niuna parte vi abbia l’operazione della propria volontà».
La suprema arte del giudicare, spiega un passo del Theatrum, è come l’arte figurativa del mosaico: è
necessario disporre esattamente le pietruzze di diversi colori con rigorosa geometria, ma per giungere alla
vera rassomiglianza con il soggetto raffigurato occorre un quid intellectuale che sta al di là della somma delle singole particole, pur ottimamente disposte. Così nel giudicare occorre saper connettere correttamente
«regulae iuris et doctrinae, sive probationes et circumstantiae facti»; ma senza la rispondenza
all’aequitas, alla ratio humana, non sarà vera giustizia.