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La Confederazione elvetica nel XVII e XVIII secolo

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Academic year: 2022

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(1)

M6

La Confederazione elvetica

nel XVII e XVIII secolo

1.

(2)

La linea del tempo Indice

...

13

...

20

...

23

...

M6 La Confederazione elvetica nel XVII e XVIII secolo 1 La vecchia Confederazione

2 Le nuove idee illuministe

3 Le condizioni di vita nella Svizzera e nelle terre ticinesi del Settecento

XVII secolo

1600

Illuminismo

1700 1800

1618 -1648 Guerra dei Trent’anni

1755 Rivolta della Leventina

1762 Pubblicazione dell’Emilio e del Contratto sociale di Rousseau Terre ticinesi, baliaggi dei cantoni svizzeri

Guerre di religione

Ancien Régime

XVIII secolo

1668 Defensionale di Wil

1789 Rivoluzione francese

1798 Crollo della vecchia Confederazione Repubblica elvetica 1653

Guerra dei contadini in Svizzera

Rivoluzione in Francia Regno di Luigi XIV

1751-1772 Pubblicazione dell’Encyclopédie

(3)

A partire dal Cinquecento la Svizzera assume la forma territoriale e politica che conserva fino al 1798, quando l’invasione delle truppe france- si dà inizio alla Repubblica elvetica.

Con la conquista da parte di Berna del territorio vodese nel 1536, i confini dello stato sono tracciati e sono simili a quelli attuali. La fisiono- mia della Svizzera che conosciamo risale dunque all’inizio del XVI secolo.

Per tutta l’epoca moderna, resta invece molto divisa e frammentata l’organizzazione politico-istituzionale interna. Dalla carta appaiono tre grup- pi territoriali ben distinti: cantoni sovrani, paesi alleatie paesi soggetti o baliaggi.

Bormio, Valtellina e Chiavenna, dopo quasi tre secoli di apparte- nenza alla Confederazione elvetica, sono persi definitivamente nel 1797.

Anche lo stretto e lungo legame di Rottweil e Mulhouse con gli Svizzeri si interrompe: lo statuto di alleato diventa inconciliabile con quello di città imperiale per la prima, mentre la seconda viene annessa alla Francia.

Osserva le due carte e svolgi gli esercizi.

La Confederazione svizzera dal 1536 al 1797

1 La vecchia Confederazione

Paese alleato: territorio sovrano che usufrui- sce della protezione di tutti o di parte dei cantoni ai quali fornisce in cambio aiuto mi- litare; svolge un ruolo secondario alla Dieta, se è rappresentato.

Baliaggio: territorio conquistato e sottomes - so all’autorità di uno o più cantoni sovrani o alleati. Nel caso l’autorità sia di un solo can- tone sovrano, vi è un landfogto che ammini- stra la giustizia e preleva le tasse. Se invece un territorio appartiene a più cantoni, prende il nome di baliaggio comune e la carica di land - fogto è, in questo caso, a rotazione.

1.

Caseificio e contadini di montagna.

Particolare di una carta settecentesca dell’Entlebuch nel cantone Lucerna.

E58

(4)

Baliaggio Amministrazione

...

Leventina Uri

...

Bellinzona Uri, Svitto, Nidvaldo Blenio

Riviera

...

Lugano Uri, Svitto, Untervaldo, Lucerna, Zurigo, Zugo, Mendrisio Glarona, Berna, Friborgo, Soletta, Basilea, Sciaffusa Locarno

Valle Maggia

...

I baliaggi svizzeri in Italia

(5)

a. Quanti sono i cantoni sovrani?

b. Osserva la situazione di Lucerna e indica in che rapporto è

la campagna rispetto alla città. Quali altri cantoni sovrani sono in una situazione simile?

c. In giallo è colorato un altro gruppo di territori che compongono la Confederazione svizzera. Come sono definiti? Indica il nome di alcuni di loro.

d. In che rapporto sono la Valtellina e il basso Vallese rispettivamente con il Libero Stato delle Tre Leghe e l’alto Vallese?

e. Come appare dunque la vecchia Confederazione dal punto di vista territoriale? Scegli le risposte corrette.

Un mosaico frammentato e molto complicato Un insieme omogeneo fatto di territori tutti uguali Un complesso territorio con realtà rurali e urbane Uno stato composto unicamente da cantoni sovrani Uno stato nazionale unitario

Un insieme di territori caratterizzato da importanti disuguaglianze f. Osserva i territori che formano oggi il cantone Ticino. Cosa puoi

rilevare a proposito della Leventina, della Riviera e di Mendrisio?

Il governo della Confederazione si basa sull’ampia autonomia delle diverse comunità locali. All’interno delle stesse sono però poche famiglie patrizieche controllano il potere: nel 1797 se ne contano 67 a Berna, 71 a Friborgo, 34 a Soletta, 29 a Lucerna. In altre città, come a Zurigo, a Basi- lea e a Sciaffusa, governano le corporazioni nate in epoca medievale per la difesa degli interessi professionali. Nei cantoni della Svizzera centrale sono soprattutto le famiglie contadine più ricche che amministrano il potere po- litico. I trattati di alleanza che uniscono tutte queste realtà sono di natura molto diversa.

Famiglie patrizie: famiglie presenti da lungo tempo in una località o in un cantone. I ma- schi di queste famiglie sono cittadini che godono di tutti i diritti politici e civili.

2.

2.

Famiglia Bodmer di Zurigo, 1643.

(6)

3.

La Dieta a Baden nel 1531. Acquaforte di autore anonimo. Al centro dell’immagine il tavolo del cantone direttore che presiede la seduta con a destra un ambasciatore straniero. Sui tre lati si trovano i delegati dei cantoni sovrani e degli alleati. In basso a sinistra, in piedi, un amministratore dei baliaggi o landfogto con il suo luogo- tenente; in basso a destra, seduti al tavolo, tre segretari.

La Dieta, assemblea dei delegati dei cantoni sovrani e di alcuni allea- ti, si riunisce per discutere gli affari comuni. Quasi tutte le decisioni, per di- ventare operative, devono essere accolte all’unanimità. Inoltre si pratica il sistema delle istruzioni, secondo il quale un delegato esprime il voto del pro- prio cantone che deve poi ratificare la decisione adottata dalla Dieta. Le ten- sioni fra città e cantoni rurali prima, la divisione religiosa poi rendono più difficili le scelte comuni.

Il Seicento in Europa è un secolo di guerre, di rivolte, di epidemie di peste e di carestie. Sul piano politico si afferma la supremazia del re di Fran- cia Luigi XIV, simbolo dell’assolutismo, mentre su quello religioso la divi- sione tra territori protestanti e cattolici prende forma definitiva. Tra il 1618 e il 1648 si combatte la Guerra dei Trent’anni, ultima guerra di religione che coinvolge molti stati europei e provoca devastazioni e numerose vittime.

Anche la Confederazione svizzera rischia di essere trascinata nel con- flitto. Di fronte a tale situazione, in politica estera essa assume un atteggia- mento molto prudente e riesce a far rispettare l’inviolabilità del suolo svizzero, che il diritto internazionale di allora non riconosceva. È soprattutto l’alle- anza con la Francia, rinnovata nel 1777, la migliore garanzia di sicurezza per la Confederazione elvetica.

La Dieta si occupa poco di faccende militari: unica eccezione è il ser- vizio mercenario. Non esistono importanti forze armate organizzate in modo stabile dalla Confederazione poiché la difesa è compito dei singoli canto- ni. Uno dei principali obiettivi dei patti federali è tuttavia quello di assicu- rare la protezione comune del territorio. I firmatari sono tenuti a prestarsi reciproco aiuto e sostegno militare: i contingenti cantonali vengono invia- ti sul campo di battaglia al momento del bisogno.

Nei secoli XVII e XVIII i tentativi di creare un esercito confederale non giungono a buon fine anche se, a seguito dello scoppio della Guerra dei Trent’anni, si fa strada l’esigenza di rafforzare la difesa dei confini. A tale scopo, la Confederazione decide di creare un esercito con la parteci- pazione di tutti i cantoni; l’accordo, conosciuto come “Defensionale di Wil”, è però ben presto dimenticato. Nel 1668 la Dieta di Baden approva un nuo- vo Defensionale che rappresenta l’unica legge militare stabile della Confe-

3.

(7)

derazione. Le divisioni interne, le diffidenze confessionali e il difficile ap- poggio dei baliaggi comuni fanno sì che il nucleo difensivo elvetico si limi- ti ai cantoni cittadini di Zurigo, Berna, Lucerna, Basilea, Friborgo, Soletta e Sciaffusa.

Dopo aver letto gli estratti dal Defensionale promulgato dalla Dieta il 18 marzo 1668 e osservato l’immagine, rispondi alle domande.

In considerazione delle grandi difficoltà sorte nelle relazioni quoti- diane […] abbiamo concordato e deciso il seguente ordinamento di guer- ra, […], per la salvaguardia e la tutela della nostra benamata Patria e delle splendide libertà acquisite a così alto prezzo dai nostri cari avi. […]

Articolo 2

Si ritiene necessario che tutti i Cantoni della Confederazione e i loro Alleati vengano fermamente esortati, affinché tutte le truppe siano muni- te di armi difensive e offensive, di polvere da sparo e munizioni […].

Articolo 4

Affinché in casi urgenti il raduno delle truppe possa avvenire con ra- pidità, in ogni Cantone si dovranno tenere pronti i tre contingenti con tut- to l’occorrente, specialmente le munizioni, in modo da poter intervenire sollecitamente laddove vi sia necessità […].

Articolo 7

Ogni compagnia consta di 200 uomini, cioè 120 moschettieri, 30 lan- cieri con armatura, 30 lancieri senza armatura e 20 alabardieri. Queste in- dicazioni non sono però vincolanti; ogni Cantone deciderà come riterrà opportuno.

Articolo 13

[…] Come in precedenza, anche in questa occasione [per designare il comando supremo delle due armate], si demandano le decisioni specifi- che alla competenza dei singoli Cantoni […]. Ogni Cantone dovrà nomi- nare sollecitamente un comandante in capo e darne comunicazione a Zurigo.

a. Quali sono gli ostacoli che impediscono la creazione di un esercito federale?

b. Commenta l’immagine in cui è raffigurato l’esercito svizzero.

4.

Immagine satirica di F. N. König (1789) che raffigura l’esercito nazionale.

E59

4.

(8)

Nel Seicento comincia a farsi strada l’idea che gli Svizzeri sono un po- polo felice, che vivono in una regione privilegiata d’Europa. Ecco un pas- saggio tratto dal romanzo L’avventuroso Simplicissimus dello scrittore tedesco Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen (1621-1676).

Durante la Guerra dei Trent’anni, un vagabondo (Simplicio) giunge assieme al suo precettore (Herzbruder) nella Svizzera tedesca che così de- scrive:

Il paese, in confronto ad altri territori tedeschi, mi apparve strano come se mi trovassi in Brasile o in Cina. Vedevo la gente vivere e lavorare in pace;

le stalle erano piene di bestiame; nelle fattorie razzolavano in gran nume- ro polli, oche e anatre; le strade erano percorse con sicurezza dai viandan- ti; le locande erano piene di gente che si divertiva; non esisteva il terrore del nemico, non la preoccupazione di saccheggi, non il timore di perdere i pro- pri averi, la propria vita, il proprio corpo.

Ognuno viveva sicuro sotto la sua vigna e il suo fico e, a quanto si poteva arguire in confronto alle altre regioni tedesche, in piena gioia e le- tizia; cosicché presi quella terra per un paradiso terrestre, sebbene apparis- se di natura alquanto aspra. Per tutta la strada non feci che guardarmi in giro mentre Herzbruder sgranava il rosario, e per questo ricevetti da lui pa- recchi rabbuffi perché voleva che pregassi come lui, cosa alla quale non mi potevo abituare.

Tuttavia anche la “pacifica” Confederazione non sfugge a tensioni e conflitti interni. La prima metà del Seicento è un periodo positivo per l’eco- nomia del paese, ma al termine della Guerra dei Trent’anni i prezzi crolla- no e molti soldati mercenari, tornando in patria, si ritrovano senza occu- pazione.

Per superare la crisi, le borghesie cittadine aumentano le imposte e ac- centrano il potere nelle loro mani, subordinando al loro volere le popola- zioni rurali. Ma anche nei cantoni alpini le cariche più importanti sono in misura crescente occupate da una sempre più ristretta cerchia di famiglie influenti.

5.

5.

Scena di vita nei campi, XVI secolo.

Aratura, mietitura, fienagione, sarchiatura della vigna. Disegno a penna dalla grande Cronaca Svizzera, del 1576, di Christoph Silberysen, abate del convento cistercense di Wettingen nel cantone di Argovia.

(9)

L’avvenimento che segna una profonda cesura nella storia della Con- federazione è la guerra dei contadini del 1653. Partita dall’Entlebuch, la ri- bellione si estende ai cantoni vicini. Oppressi da debiti e imposte, i contadini rivendicano la restituzione dei diritti consuetudinari. La Dieta decide di stron- care il movimento con le armi a cui segue una repressione severa con ese- cuzioni capitali, condanne all’ergastolo ed esilii.

Il periodo dal 1700 al 1798 è caratterizzato in Svizzera da numerosi conflitti. Nelle città hanno luogo lotte contro le famiglie che detengono il potere; le campagne sono invece agitate da ribellioni di contadini schiac- ciati da eccessivi oneri fiscali.

Ci sono poi movimenti che vogliono salvaguardare i diritti e i privi- legi locali acquisiti in passato come nel caso della “rivolta” di Leventina del 1755. L’episodio prende avvio dalla volontà di Uri di far presentare i con- ti dei minori rimasti orfani, i cui averi sono affidati ai “curatori” dalle sin- gole comunità leventinesi. I valligiani rifiutano però di dare seguito agli ordini.

Gli Urani, che in tutti i disordini che agitano la vecchia Confedera- zione sono in prima fila nella repressione dei sudditi, colgono l’occasione per intervenire in modo molto duro. Essi occupano militarmente il baliag- gio e, il 2 giugno, sulla piazza di Faido, fanno decapitare alcuni notabili ri- tenuti responsabili della protesta: Giovanni Lorenzo Orsi, Giovanni Anto- nio Forni e Giuseppe Sartore.

6.

La decapitazione sulla piazza di Faido, autore ignoto, 1755.

6.

(10)

Il XVIII è detto Secolo dei Lumi a seguito della diffusione di una cor- rente di idee nota come Illuminismo; molti intellettuali e philosophes sot- topongono a critica le società dell’Ancien Régime. L’opera più significativa di questo rinnovamento culturale è l’Encyclopédie ou Dictionnaire raison- né des Sciences, des Arts et des Métiers, curata da Denis Diderot e Jean Bap- tiste D’Alembert. L’assolutismocrea risentimenti soprattutto tra le classi sociali escluse dal potere le quali rivendicano maggiore libertà. Come in al- tri paesi d’Europa, anche nella Confederazione elvetica rivolte locali ven- gono duramente represse dalle autorità. Nel contempo nascono tuttavia numerose associazioni, come la Società elvetica. A questa aderiscono mol- ti intellettuali influenzati dalle nuove idee che circolano tra i filosofi, nel- le accademie, nei caffè e nei salotti europei: essi desiderano promuovere il progresso e creare maggiore unità all’interno del nostro paese. Sull’esem- pio della grande enciclopedia francese, anche in Svizzera viene pubblicata l’Encyclopédie d’Yverdon tra il 1770 e il 1780.

Ciononostante, l’influenza dell’Illuminismo resta limitata a un’élite colta, mentre la maggior parte della popolazione svizzera ed europea rima- ne esclusa da questo rinnovamento culturale.

Nasce a Ginevra nel 1712. Figlio di un modesto orologiaio, resta or- fano di madre pochi giorni dopo la nascita. Autodidatta, svolge numerosi mestieri; durante l’esilio in Savoia dal 1728, sotto la protezione di Mada- me de Warens, si dedica intensamente agli studi. Trentenne, Rousseau si tra- sferisce a Parigi dove è conosciuto come letterato e musicista; frequenta gli enciclopedisti e collabora alla loro impresa.

Al suo primo importante contributo filosofico, dal titolo Discorso sul- le scienze e sulle arti (1750), ne fa seguire un secondo Sull’origine e i fonda - menti della disuguaglianza fra gli uomini (1755). Dopo la rottura con l’ambiente degli enciclopedisti, scrive alcune opere fondamentali. Nel 1761 esce il romanzo La nuova Eloisa, l’anno successivo vengono pubblicati L’Emi- lio, un trattato sull’educazione e Il contratto sociale. Rousseau è costretto alla fuga da Parigi: si rifugia a Yverdon, poi a Môtiers nel principato di Neu- châtel. Contrasti con la chiesa locale lo costringono a lasciare quest’ulti- ma località per Parigi, quindi per Londra. Ritorna infine nella capitale francese. Muore improvvisamente il 2 luglio 1778.

2 Le nuove idee illuministe

Illuminismo: movimento filosofico-cultura- le europeo del XVIII secolo, che si propo ne di combattere l’ignoranza, il pregiudizio e la superstizione attraverso l’uso della ra gio ne in tutti i campi dell’esperienza umana.

Ancien Régime: insieme degli ordinamenti politico-giuridici, economici e sociali della Francia fino alla rivoluzione del 1789. Per esten sione si applica al periodo della storia europea compreso all’incirca tra il XVI e il XVIII secolo.

Assolutismo: teoria politica in cui il potere del sovrano è considerato senza limiti e con- trolli.

7.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778).

8.

Casa natale e targa commemorativa di Rousseau nella città vecchia di Ginevra, al numero 40 della Grand-Rue.

Jean-Jacques Rousseau

7. 8.

A18

(11)

E60

Leggi i cinque estratti di grandi opere scritte da illuministi e completa la tabella.

Charles de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755)

Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà; perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi ti- ranniche per eseguirle tirannicamente. E non vi è libertà neppure quando il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo o da quello ese- cutivo.

Lo Spirito delle leggi, 1748.

François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778)

Il commercio, che ha arricchito i cittadini inglesi, ha contribuito a ren- derli liberi, e questa libertà ha sviluppato a sua volta il commercio; così si è formata la grandezza dello Stato. […]

In Francia è marchese chiunque lo voglia; e chiunque giunga a Pari- gi dal fondo d’una provincia con denaro da spendere […] può dire “un uomo come me, un uomo della mia qualità”, e disprezzare sovranamente un com- merciante; questi a sua volta sente parlare così spesso della sua professio- ne con disprezzo, ch’è tanto sciocco da arrossirne. Eppure io non so chi sia più utile a uno Stato, se un signore bene incipriato che sa con precisione a che ora il re si alza e a che ora si corica, e che si dà arie di grandezza facen- do la parte dello schiavo nell’anticamera d’un ministro, ovvero un commer- ciante che arricchisce il proprio paese […] e contribuisce al benessere del mondo.

Lettere filosofiche, 1734.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778)

Che si deve dunque pensare di questa educazione barbara che sacri- fica il presente a un avvenire incerto, che carica un fanciullo di catene di ogni specie, e comincia col renderlo miserabile, per preparargli, in un lon- tano avvenire, non so qual pretesa felicità, di cui, com’è a credere, non go- drà mai? […] L’età della gaiezza passa in mezzo ai pianti, ai castighi, alle minacce, alla schiavitù. […] Uomini, siate umani, è il vostro primo dove- re. […] Amate l’infanzia; favorite i suoi giuochi, i suoi piaceri, il suo ama- bile istinto. […] Perché volete riempire di amarezza e di dolori questi primi anni così rapidi, che non ritorneranno per essi più di quello che possano ri- tornare per voi?

Emilio o dell’educazione, 1762.

Cesare Beccaria (1738-1794)

Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, ed inutili sono i tor- menti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, e’ non devesi tor- mentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i cui delitti non sono provati. […]

Non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uo- mini. […] Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pub- blica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pub- blico assassinio.

Dei delitti e delle pene, 1764.

9.

10.

9.

Frontespizio dell’edizione olandese dell’Emilio di Rousseau, scritto e pubblicato nel 1762.

10.

Incisione su una delle edizioni del trattato di Cesare Beccaria.

(12)

Scrivi per ogni autore:

il titolo dell’opera l’idea principale del testo la critica alla società del tempo

...

Montesquieu

...

Voltaire

...

Rousseau

...

Beccaria

...

Kant

...

.....................................

Emmanuel Kant (1724-1804)

L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intellet- to senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere gui- dati da un altro. Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza! È que- sto il motto dell’Illuminismo. […] Per accedere ai lumi, non occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! L’ufficiale dice: non ragionate, fate eser- citazioni militari ! L’intendente di finanza: non ragionate, pagate! L’eccle- siastico: non ragionate, credete!

Che cos’è l’Illuminismo? 1784.

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(13)

E61

Durante il XVIII secolo l’aumento della popolazione elvetica provo- ca anche una trasformazione dell’economia: gli Svizzeri sostituiscono in par- te la cerealicoltura con la coltivazione della patata e si dedicano maggior - mente all’allevamento e alla produzione di formaggio.

Nel Nord-Est del paese si diffonde la lavorazione della lana e del lino, a Basilea si afferma l’industria della seta e della tintura dei tessuti. A Neu- châtel, Ginevra e Giura si insedia invece l’industria orologiera.

Malgrado i progressi economici e culturali di questo periodo, le con- dizioni di vita di buona parte della popolazione svizzera, come peraltro di quella europea, restano misere.

Una preziosa testimonianza delle condizioni di vita dei ceti bassi e dei con- tadini del XVIII secolo, è fornita da Ulrich Bräker (1735-1798) che, pur avendo una scarsa formazione scolastica, ha lasciato un interessante testo autobiografico: Il poveruomo del Toggenburgo.

Con colori diversi sottolinea le parti del testo che parlano della fa- miglia, dell’agricoltura, dei mestieri, dell’alimentazione, dell’abbigliamen- to, della povertà e dell’educazione.

So che mio padre e mio nonno erano povera gente con ben poco di che sfamarsi. So che mio padre non ereditò un soldo, che le ristrettezze lo afflissero tutta la vita e che non di rado ebbe a gemere sotto il peso dei de- biti, che pur non erano così rilevanti. A quei tempi tutti i generi alimenta- ri erano a buon mercato, ma anche il guadagno della gente era scarso. La carestia e la guerra del 1712 erano ancora vive nella memoria della gente.

[…] La filatura del cotone si diffuse nel nostro villaggio verso il 1740 e mia madre deve essere stata tra le prime a filare il cotone […]. Quando ero bam- bino vennero piantate in paese le prime patate […]. Mio padre era uno spi- rito nomade, che io in parte ho ereditato. In quell’anno (1741) comprò un vasto podere dove si potevano allevare otto mucche estate e inverno, chia- mato Dreyschlatt, nel comune di Krynau, proprio in fondo a un bosco, vi- cino ai pascoli. […] Anche mio nonno, che sin da giovane faceva il vaccaio, aveva approvato questa decisione. Ma il mio povero padre si era bendato il dito sano, e non possedendo nulla da investire nel podere, sprofondò in tali e tanti debiti da dover gemere, poi, per tredici anni. […] Mio padre non abbandonò il lavoro al salnitro, pensando di poterci almeno ricavare quel tanto per pagare gli interessi. Ma per un podere come Dreyschlatt occor- revano braccia e schiene allenate. Noi bambini non eravamo di nessun aiu- to. Il nonno aveva il suo lavoro con il bestiame e mia madre doveva accudire alla casa. Si dovette perciò prendere a servizio un lavorante e una ragazza di fatica. […] La nostra famiglia continuava a crescere. Puntualmente ogni due anni nasceva un bambino. Tutte bocche buone per la minestra, ma di nessun aiuto per il lavoro. Perciò occorrevano sempre molti giornalieri. […]

D’inverno io e gli altri fratelli e sorelle più grandi dovevamo andare alla scuo- la di Krynau. Ma la scuola funzionava solo per dieci settimane, e anche di queste alcune saltavano perché la neve era troppo alta. Inoltre potevo già essere utilizzato per piccoli lavori. Anche noi figli dovevamo cominciare a

3 Le condizioni di vita nella Svizzera e nelle terre ticinesi del Settecento

11.

Il pittore lucernese Giuseppe Reinhard (1749-1824) realizza alla fine del XVIII secolo una serie di ritratti di contadini delle campagne situate tra il lago di Costanza e il lago Lemano.

Nell’immagine Ulrich Bräker con la moglie Salomè.

11.

(14)

guadagnare qualcosa durante l’inverno e nostro padre ci fece provare ogni tipo di filatura: lino, canapa, seta, lana, cotone. Ci insegnò anche a petti- nare il cotone e fare calzerotti e cose simili. Ma nessuno di questi lavori era redditizio. Si cominciò a risparmiare sul cibo. Perlopiù mangiavamo solo latte e poi ancora latte e vestivamo stracci.

[…] Poi cominciai il mio onorato servizio. […] Dapprincipio le ca- pre (ne avevo circa una trentina a cui badare) non volevano saperne di me.

Io mi infuriavo e tentavo di far loro intendere a suon di bastone e sassate che il padrone ero io. Ma furono le capre a farlo intendere a me. […] Muo- vendo dal nostro Dreyschlatt, ogni mattino marciavo almeno un’ora pri- ma di permettere ad una sola bestia di brucare un filo d’erba. […] Ogni giorno cambiavo posto, andando ora verso oriente, ora verso occidente. A mezzo- giorno mangiavo la mia pagnotta e quello che, se c’era, mia madre mi ave- va dato furtivamente. Avevo anche la mia capretta personale da cui succhiare il latte. Gli occhi delle capre erano il mio orologio. Verso sera riprendevo la stessa strada verso casa.

Portavo sempre una piccola roncola e con essa tagliavo giovani abe- ti, salici o olmi. Allora le capre correvano a frotte e brucavano tenere fo- glioline. Se poi gridavo op op, arrivavano al galoppo e mi assediavano.

Assaggiavo anche io ogni erba e foglia di cui si cibavano le capre e alcune erano molto saporite. Per tutta l’estate c’era abbondanza di fragole, mirtil- li, lamponi e more. […]

Non che la vita del pastore sia tutta rose e fiori! No, perbacco! Ce n’era, e anche troppo, di che lagnarsi!

Per me la sofferenza più acuta era quella di abbandonare così di buon ora il mio caldo lettuccio e marciare a piedi nudi sulla terra gelida, specie se inzuppata di brina perché una fittissima nebbia gravava sui monti. […]

Intanto la famiglia era cresciuta. Adesso eravamo otto figli. Ma più il tem- po passava, più mio padre affogava nei debiti.

[…] La primavera seguente (1751) si ripropose il problema di come far lavorare tanti ragazzi. […] Era autunno quando un giorno aiutavo mio padre ad abbattere nel bosco un bel faggio. Era lì ad aiutare anche un cer- to Laurenz Aller der Schwellbrunn, che fabbricava forconi e rastrelli e ne avrebbe comprato i pezzi migliori. Discorrendo si parlò anche di me. “Hans”

disse Laurenz “tu hai un mucchio di ragazzi. Tu non possiedi niente e nes- suno di loro conosce un mestiere. Fai male a non mandare i più grandi per il mondo. E invece potrebbe essere la loro fortuna. Guarda i figli di Hans

12.

12.

La produzione della tela di lino a domicilio nel cantone San Gallo, acquarello del primo Ottocento.

(15)

Joggeli che hanno subito trovato lavoro nel bernese. Non è passato nem- meno un anno da quando son partiti e ora ritornano a casa come veri si- gnori a farsi ammirare coi loro cappelli dal bordo d’oro. A nessun costo resterebbero qui”. “Ah” disse mio padre “i miei sono troppo zucconi ed inet- ti, mentre quelli di Hans Joggeli, invece sono maliziosi e sanno il fatto loro.

E poi sanno leggere, scrivere, cantare e suonare il violino”. […] “Dio ne scam- pi!” disse Laurenz “Non dire così, Hans! Anche da loro si può cavare del buono. In particolare quello lì, il più grande, è cresciuto bene. Sa leggere e scrivere e di certo non è un baccalà. […] Hans ti do la mia parola che, tem- po un anno, torna a casa con stivali e speroni e un mucchio di soldi […]”

Fu dunque stabilito di metterci in cammino, nel nome di Dio, la sera del sabato 27 settembre 1755. “Marceremo di notte e con la nebbia” disse Laurenz […] “metti il vestito buono, non occorre altro”.

[…] Ed eccomi stivali e speroni, tutto nuovo e luccicante dalla testa ai piedi: un bel cappello con bordatura, cravatta di velluto, livrea verde, panciotto e pantaloni di panno bianco, stivali nuovi e altre due paia di scar- pe […]. Quando per la prima volta uscii così agghindato in strada mi par- ve di essere il padrone di Sciaffusa. Tutti si levavano il cappello al mio passaggio e la gente della locanda mi guardava quasi fossi un signore. Il mio padrone che presto mi mostrò tanta benevolenza quasi io fossi suo fi- glio, mi insegnò come pettinarmi. Anzi dapprincipio mi pettinava lui stes- so aggiustandomi anche una bella treccia. Io non avevo altro da fare, se non servirlo a tavola, spolverargli i vestiti, passeggiare con lui in carroz- za, accompagnarlo a caccia e cose simili. Ah! Questa sì che era vita!

[…] Una volta (la mia bella) prese a dirmi che il mio sudicio lavoro alla bollitura del salnitro non le andava affatto a genio. Dillo a me! Perciò mi consigliò di intraprendere un piccolo commercio nella filatura di coto- ne, come aveva fatto un suo cognato con un certo successo. L’idea in qual- che modo mi piacque. Ma dove trovare il denaro? […] Fu lei ad offrirmi un po’ di denaro, ma non era abbastanza. Andai allora a chiedere un con- siglio a mio padre. Anche lui non ebbe nulla in contrario, anzi mi offrì 100 fiorini, che ancora gli toccavano della dote di mia madre. […] Nel marzo dell’anno seguente, era il 1759, cominciai effettivamente a comprare filato di cotone. […] Insomma ero diventato un commerciante di cotone, imma- ginandomi di essere diventato chissà che.

Tuttavia ancora per un anno continuai a lavorare al salnitro, perché il mio capitale era veramente modesto e io dovevo farlo circolare il più pos- sibile. Per questa ragione facevo frequenti viaggi a San Gallo e i miei affa- ri procedevano benino. […] Ma, ahimè, ecco la quarta sventura: la persona da me incaricata, invece di tornarsene con i soldi, mi portò la terribile no- tizia che il mio filato era stato sequestrato perché le fibre erano troppo cor- te e che per questo dovevo andare io stesso a San Gallo a giustificarmi dinnanzi ai Maestri della Corporazione.

[…] Il 1768 e il 1769 furono anni veramente infausti, con estati pio- vose e inverni lunghi e rigidi e tanta neve da far marcire le sementi e co- stringerci ad arare di nuovo in primavera. […] Quelli furono tempi d’oro per i mercanti, mugnai, fornai, che si arricchirono, o per lo meno misero da parte un bel gruzzolo. Invece il commercio di cotone languì rapidamen- te. […] Nel 1770, già a primavera, tutto cominciò a rincarare. Io avevo pian- tato una buona quantità di patate, ma ahimè!, mi vennero rubate. […] Poi arrivò il grande inverno, il più terribile che io abbia mai vissuto. Ora ave- vo cinque figli e nessuna entrata, a parte il modestissimo guadagno che mi veniva dalla filatura. […] La miseria fu tanta in quell’anno che la gente ve-

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Contadini che preparano la legna di Giuseppe Reinhard.

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ramente povera attese con trepidazione la primavera per andare a raccoglier radici ed erbe. Anche io ne misi in pentola in grande quantità e avrei pur sempre preferito nutrire i miei figli di foglie fresche piuttosto che imitare un mio infelice compaesano che vidi con i miei occhi insieme ai figli riem- pirsi un sacco con la carne, staccata con l’ascia, di un cavallo morto, di cui per giorni e giorni si erano cibati cani e uccelli.

Nella tabella riporta in forma sintetica le informazioni principali che hai già sottolineato nel testo.

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Famiglia

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Agricoltura

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Mestieri

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Educazione

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Povertà

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Alimentazione

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Abbigliamento

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Ecco una testimonianza di un landfogto basilese della metà del Set- tecento che descrive le misere condizioni di vita materiale degli abitanti del baliaggio di Locarno.

Assai povera è la maggior parte della gente del baliaggio, specie quel- la che abita le valli: ci sono persone tanto miserabili che devono essiccare le vinacce, per poi ridurle in polvere e usarle in luogo della farina; i nostri uscieri ne hanno scoperti altri che mangiano, bollite nell’acqua, le bucce di rapa fatte precedentemente disseccare. Ma anche presso i contadini un po’

più abbienti le castagne si sostituiscono spesso al pane. Coloro che vera- mente dispongono di qualche mezzo sono una minuscola parte della po- polazione, e solo pochi contadini sono veramente ricchi.

Anche nel borgo di Locarno ci sono molti abitanti poverissimi, che vivono miseramente: la loro vivanda quotidiana è una pappa fatta di ac- qua, granturco e farina di miglio, su cui si lascia cadere un po’ di burro: la chiamano bollenten [polenta], e spesso la mangiano senza burro, fatta sol- tanto con farina di castagne.

Ma il contadino medio vive un’esistenza di gran lunga più misera di quella dell’ospite di un nostro ricovero. Quando un pover’uomo – di do- menica, o nei giorni di festa – può comprarsi un po’ di carne, se ne va egli stesso dal macellaio e se ne ritorna a casa col suo pezzo di capra quasi mo- strandolo al pubblico in trionfo.

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Case contadine a Gordola. Si possono vedere i tipici muri a secco, qualche parete intonacata al piano superiore, una scala esterna di granito che serve almeno due abitazioni, i loggiati alti di legno con la biancheria della famiglia stesa ad asciugare, i tetti in beola.

Sulla sinistra una cascina aperta con un sacco, forse di grano, e la catasta di legna secca. Una donna è intenta alla mondatura di granaglie. Stese in filari

ai muri a essiccare le foglie di tabacco.

La fotografia risale al 1920 ed è stata scattata da Rudolf Zinggeler.

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Misere sono le vivande dei contadini e della povera gente, misere sono anche le loro abitazioni, i loro giacigli, tutto insomma.

L’intera abitazione del contadino consiste in una cucina, buia e af- fumicata, che spesso non ha che una finestra, chiusa d’inverno con della car- ta; in una stalla, con un minuscolo fienile; e – talora – in una cantinetta.

Quella dei poveri solo in una cucina. In questa cucina si abita, si lavora, si mangia, sia d’estate che d’inverno; è facile immaginare quanta miseria deb- ba regnare d’inverno in queste miserabili baracche. Fortuna loro che l’in- verno non è mai tanto rigido e lungo come da noi.

Anche il bestiame è tenuto male; invece della paglia gli si dà per gia- ciglio una sorta di lisca, simile a quelle canne palustri che noi usiamo per le stuoie in gesso; è pur vero che quella è tenera e sottile.

Ma è facile comunque immaginare quanto poco calore possano of- frire queste canne alle bestie, e su quale miserabile e duro giaciglio esse deb- bano stendersi.

Ma che sto io a parlare del letto del bestiame, quando sovente il pa- drone di casa non ne possiede uno migliore? I loro giacigli sono panche di legno, su cui si getta una bisaccia piena di foglie secche di castagno e di quer- cia; sul fogliame nudo dormono i poveri, ricoprendosi con gli stessi strac- ci che indossano. Quelli che se la passano un po’ meglio dormono dentro le lenzuola di lino, sotto una bella coperta di lana; chi sta meglio ancora stende sopra la bisaccia un materasso di lana, ed un guanciale di lana, una coperta di lana e, sopra tutto quanto, una trapunta. I ricchi hanno coper- te di damasco, di raso ecc. Ma anche presso le persone stimabili e agiate ra- ramente si trovano stanze riscaldate: la giustificazione più ricorrente è che non possono sopportare il puzzo delle stufe […] sicché anche il benestan- te deve accontentarsi alla meno peggio.

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Cucina tipica delle case popolari ticinesi dell’Ottocento. Anticamente, nelle abitazioni più povere, il focolare si trovava al centro del locale. Nei secoli più vicini a noi, invece, è posto contro la parete.

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