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in data se il parere attitudinale per il conferimento dell’ufficio direttivo o semidirettivo abbia in ogni caso validità quadriennale ai sensi dell’art

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OGGETTO: Pratica num. 24/VQ/2021. Quesiti formulati dal Consiglio Giudiziario di ... su questioni interpretative preliminari inerenti l'espressione del parere per il conferimento di ufficio semidirettivo (Risposta a quesiti su validità PAS).

(delibera 16 giugno 2021)

Il Consiglio,

vista la nota del 26.1.2021 con la quale il Presidente della Corte d’appello di ... ha sottoposto i seguenti quesiti formulati dal Consiglio Giudiziario di ... in data 13.1.2021:

“1) se il parere attitudinale per il conferimento dell’ufficio direttivo o semidirettivo abbia in ogni caso validità quadriennale ai sensi dell’art. 57 Testo Unico Dirigenza o se tale validità sia limitata alle ipotesi di parere positivo, in assenza di elementi negativi sopravvenuti, e non anche alle ipotesi di parere negativo;

2) qualora sia riconosciuta validità quadriennale al solo parere positivo, quali siano i presupposti in presenza dei quali occorre procedere a nuova valutazione del magistrato a fronte di un parere attitudinale negativo espresso nel quadriennio precedente;

3) se il Consiglio giudiziario che ritenga “errato" o, comunque, non condivisibile, per ragioni di fatto o di diritto, un precedente parere (positivo o negativo) per il conferimento dell’ufficio direttivo o semidirettivo adottato nel quadriennio precedente, sia legittimato a compiere una nuova valutazione di merito e ad emettere nuovo parere;

4) se, successivamente alla scadenza di validità quadriennale di un parere positivo, il Consiglio giudiziario possa, per esprimere parere negativo, prendere in considerazione fatti precedenti al primo parere e non sopravvenuti ad esso”.

Osserva

La risposta ai quesiti formulati dal Consiglio Giudiziario di ... non può prescindere da una breve disamina delle fonti normative di natura primaria e secondaria vigenti in materia di dirigenza giudiziaria.

Come noto, con il decreto legislativo n. 160/2006, emanato in seguito alla legge di delega n.

150/2005, e soprattutto con la successiva legge n. 111/2007, il legislatore ha modificato in profondità l’ordinamento giudiziario vigente, introducendo importanti innovazioni anche in tema di dirigenza degli uffici.

Le più importanti novità in tale ultimo ambito sono costituite: dal superamento del mero criterio dell’anzianità quale parametro principale; dalla indicazione, quale criterio di riferimento, dell’attitudine direttiva diversamente declinata a seconda della tipologia dell’incarico; e dalla temporaneità delle funzioni dirigenziali, con possibilità di un prolungamento dell’incarico, per una sola volta, per ulteriori quattro anni, all’esito di una procedura di conferma basata sulla valutazione dell’attività svolta (artt. 45 e 46 del D.Lgs. n. 160/2006).

L’evoluzione della normativa primaria è stata accompagnata da quella della disciplina secondaria.

In particolare, la circolare 14858, c.d. “Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria", approvata con deliberazione del 28 luglio 2015, ha messo a punto un articolato sistema di indicatori “generali”

(artt. 6-13) e “specifici" delle attitudini direttive (artt. 14-23), parametrati ai diversi incarichi oggetto di conferimento. Le successive disposizioni contenute nel Capo II, dedicato alla valutazione comparativa, definiscono i criteri di valutazione per il conferimento delle singole tipologie di incarico.

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Il T.U. ribadisce dunque che all’anzianità nel ruolo va dato rilievo soltanto residuale, nel caso di equivalenza dei profili professionali (essendone esclusa la rilevanza quale parametro di valutazione:

art. 24), e che le esperienze maturate dai diversi aspiranti vengono valutate sulla base di dati concreti, misurabili e verificabili, in modo da individuare, attraverso un procedimento di

“valutazione comparativa degli aspiranti” (artt. 25 ss.), il profilo più idoneo, “per attitudini e merito”, a ricoprire l’incarico e giustificare, sotto il profilo motivazionale, il relativo conferimento.

A tal fine, il “giudizio attitudinale” (art. 26) deve essere formulato “in maniera complessiva ed unitaria” e deve costituire il frutto di una “valutazione integrata e non meramente cumulativa”

degli indicatori attitudinali, in relazione al singolo posto a concorso.

La giurisprudenza amministrativa ha da tempo affermato che nel conferimento degli incarichi dirigenziali, il C.S.M. gode di un apprezzamento che è sindacabile in sede di legittimità solo se inficiato da irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione (Cons. Stato, Sez. V, 7.1.20, n. 71; 27.6.18, n. 3944; 11.12.17, n. 5828; 16.10.17, n.

4786).

Il Consiglio di Stato (Sez. V, 16/11/2020, n. 7096), nel ribadire che “Resta preclusa al sindacato giurisdizionale la valutazione dell'opportunità o convenienza dell'atto dell'organo di governo autonomo. La legge assegna al C.S.M. un margine di apprezzamento particolarmente ampio ed il sindacato deve restare parametrico della valutazione degli elementi di fatto compiuta dall'amministrazione…” ha precisato che “…nel procedere a una tale valutazione va assicurata la puntuale ed effettiva verifica del corretto e completo apprezzamento dei presupposti giuridico- fattuali costituenti il quadro conoscitivo posto a base della valutazione, la coerenza tra gli elementi valutati e le conclusioni cui è pervenuta la deliberazione, la logicità della valutazione, l'effettività della comparazione tra i candidati, e dunque, in definitiva, la sufficienza della motivazione”.

Nell’ottica di garantire la completezza del quadro conoscitivo, funzionale alla coerenza e alla logicità della decisione, il parere attitudinale redatto dal Consiglio Giudiziario assume, allora, un rilievo centrale, poiché rappresenta lo strumento attraverso il quale vengono veicolate al Consiglio Superiore della Magistratura le informazioni e i dati relativi al merito ed alle attitudini del candidato.

L’art. 56 del T.U. sulla Dirigenza stabilisce che il parere attitudinale specifico deve contenere i dati riguardanti gli indicatori specificati al Capo I, Parte II del T.U. (indicatori generali e specifici), mentre la valutazione relativa al merito è sostituita da un richiamo alla corrispondente valutazione contenuta nell’ultimo parere, in senso cronologico, per il conseguimento della valutazione di professionalità, salvo che siano sopravvenuti elementi curriculari negativi di cui è richiesta specifica indicazione e valutazione.

Quanto all’efficacia del parere, l’art. 57 del T.U. stabilisce che esso è valido per un quadriennio a decorrere dalla data in cui esso è stato reso.

La norma non specifica se la validità quadriennale del parere attitudinale sia riferita solo al parere positivo o se invece essa riguardi, in generale, tutti i pareri attitudinali, e dunque anche il parere negativo, né dalla norma primaria, come visto, discende un’indicazione in tal senso.

A fronte di una formulazione ampia dell’art. 57, l’art. 58 del T.U. prevede che qualora il parere attitudinale non debba essere richiesto dall’aspirante in ragione della permanente validità di altro precedentemente reso, il candidato comunica la domanda di partecipazione al concorso al dirigente dell’ufficio di appartenenza e trasmette la documentazione integrativa. Il dirigente dell’ufficio di appartenenza e il Consiglio giudiziario provvedono, rispettivamente, alla redazione del rapporto informativo ed alla formulazione del parere solo nell’ipotesi in cui risultino elementi negativi che incidano sulla valutazione finale; nell’ipotesi contraria, il dirigente dell’ufficio segnala l’insussistenza di tali elementi al Consiglio giudiziario, che ne dà comunicazione al Consiglio Superiore nei limiti in cui condivida tale segnalazione.

Alla stregua del dato testuale dell’art. 58, deve concludersi che il parere attitudinale sicuramente perde la sua validità quadriennale, ove sia stato in precedenza positivo, se emergono elementi

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negativi; viceversa non sono espressamente previste eccezioni all’efficacia quadriennale del parere nel caso in cui esso sia stato negativo.

Nella norma non si rinviene infatti la possibilità per il dirigente dell’Ufficio e per il Consiglio giudiziario, in caso di parere negativo, di fornire elementi positivi che possano incidere sulla valutazione. Tale asimmetria appare irragionevole, perché l’esigenza di acquisire elementi utili a rendere completo il quadro conoscitivo posto a base della decisione si configura anche in relazione ad elementi positivi, potenzialmente idonei a incidere sulla stessa.

La regola della stabilità nel quadriennio degli effetti del parere attitudinale, che risponde ad un’esigenza di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, laddove non vi siano elementi di novità, rispetto alla valutazione precedentemente espressa, deve essere, infatti, adeguatamente bilanciata con quella di fornire al Consiglio un quadro conoscitivo completo e aggiornato del profilo del magistrato, esigenza questa sottesa alla regola enunciata al comma 2 dell’art. 58, T.U. sulla dirigenza.

Del resto è principio generale che gli atti valutativi, per essere razionali, logici e coerenti, debbono essere preceduti da una cognizione manifesta, completa ed adeguata degli elementi da valutare (Cons. Stato, V, 4 giugno 2019, n. 3759; 5 giugno 2019, n. 3817; 9 gennaio 2020, n. 192; e già Cons. Stato, V, 18 giugno 2018, n. 3716; 27 giugno 2018, n. 3941, 3942 e 3944); in questo senso appare corretto prevedere che, anche nel caso di parere negativo, il dirigente dell’ufficio ed il Consiglio giudiziario possano comunicare elementi positivi significativi, provvedendo rispettivamente alla redazione di un nuovo rapporto ed alla formulazione di un nuovo parere.

Tale aspetto restituisce logicità al sistema complessivo delle valutazioni, rendendo simmetrica la disciplina relativa ai pareri attitudinali con quella delle valutazioni di professionalità negative o positive.

Si pone però, a questo punto, la questione circa l’individuazione degli elementi in presenza dei quali, in costanza di parere negativo, è dovuta la comunicazione da parte del dirigente dell’ufficio ed il Consiglio giudiziario deve procedere ad una nuova valutazione.

Ebbene, se da un canto l’esigenza di completezza del quadro conoscitivo giustifica l’ingresso di nuovi elementi di valutazione, che consentono al Consiglio giudiziario di maturare il parere in aderenza a tutti i dati conoscitivi esistenti, d’altro canto la necessità di garantire speditezza ed economicità al procedimento valutativo e stabilità al provvedimento finale inducono a circoscrivere la portata di tale previsione, limitandola esclusivamente ad elementi oggettivi, afferenti al medesimo parametro precedentemente considerato, idonei, per la loro significativa pregnanza, a disarticolare la precedente valutazione negativa.

Non ogni elemento sopravvenuto ha questo carattere di novità, ma solo quello in grado di sovvertire un precedente parere negativo. Esemplificando, potrebbe trattarsi dell’intervenuta assoluzione da un addebito disciplinare pendente nella fase di adozione del precedente parere contrario o dell’annullamento, in sede di contenzioso, di una valutazione di professionalità negativa che aveva determinato il precedente parere contrario, ovvero di una valutazione di professionalità positiva dopo la precedente negativa o non positiva.

Deve quindi ritenersi che il parere attitudinale reso dal Consiglio giudiziario per il conferimento di ufficio direttivo o semidirettivo conserva validità quadriennale, ai sensi dell’art. 57 T.U. sulla dirigenza, sia nell’ipotesi di parere positivo, sia nell’ipotesi di parere negativo.

I nuovi elementi che, a norma dell’art. 58, c. 2, T.U., possono giustificare, nel quadriennio, un rinnovato parere attitudinale, sono solo quelli inerenti a fatti che, avuto riguardo al precedente parere, hanno fondato la decisione e sono potenzialmente idonei per la loro capacità dimostrativa a sovvertire il precedente giudizio negativo.

Quanto alla possibilità di riedizione del parere attitudinale, in mancanza di elementi nuovi, nel caso in cui si reputi non condivisibile per ragioni di fatto o di diritto la precedente decisione, questa deve ritenersi preclusa se detto parere lo si voglia emendare sulla base di una diversa valutazione dei medesimi dati e in assenza di fatti nuovi.

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Ammettere che il Consiglio giudiziario possa “correggere” la precedente decisione, laddove la correzione si sostanzi in una mera rivisitazione degli stessi elementi o di elementi sopravvenuti che non intaccano e neppure scalfiscono il nucleo della precedente valutazione positiva o negativa, significherebbe, infatti, vanificare la regola della validità quadriennale del parere e condizionarne l’efficacia al personale punto di vista dei diversi componenti del Consiglio giudiziario, eludendo quell’esigenza di stabilità sottesa alla durata quadriennale del parere stesso. Si tratta di un’esigenza che va preservata al fine di garantire continuità all’azione amministrativa, che è principio strettamente correlato a quello del buon andamento dell’azione stessa, criterio che comporta che una valutazione fondata sui medesimi elementi già valutati non possa essere modificata nel corso del quadriennio, se non in conseguenza di elementi nuovi.

Inoltre, consentire al Consiglio giudiziario di riemettere, nel quadriennio, il parere, per finalità meramente revisionali, determinerebbe una sorta di autoannullamento del parere già espresso, snaturandone la funzione di contributo essenziale alla decisione del Consiglio Superiore, che giustifica la sua naturale tendenziale stabilità.

Tale evenienza, cioè la rivisitazione del parere attitudinale nel corso del quadriennio, per il solo fatto di accedere ad una diversa valutazione dei dati, rifluirebbe sulla decisione finale del Consiglio Superiore che quel parere ha recepito. Il parere rilasciato dal Consiglio giudiziario, pur se non vincolante, infatti, ha l’attitudine ad esprimere conseguenze che rilevano ai fini delle successive determinazioni del Consiglio Superiore, sicché il suo venir meno produrrebbe effetti anche sulla delibera consiliare che su quel parere, legittimamente adottato, si è basata.

Pertanto, deve ritenersi che al Consiglio giudiziario sia precluso, una volta che il parere sia stato emesso, procedere, nel quadriennio, ad una rivalutazione in senso diverso dei medesimi fatti, anche ove si ritenga “non condivisibile” il parere espresso in precedenza in corso di validità.

Diverso, invece, è il caso in cui, nel periodo di vigenza dell’efficacia del parere precedente, il Consiglio giudiziario, richiesto di procedere ad una nuova valutazione, si avveda che, nel formularlo, non è stato considerato un dato oggettivo, di sicura valenza, almeno in astratto, positiva o negativa, già esistente all’epoca in cui fu reso e ignorato per un errore di fatto o di diritto.

Esemplificativo in tal senso potrebbe essere il caso in cui non si è dato conto di una condanna disciplinare riportata dal magistrato, perché non conosciuta (errore di fatto), oppure perché non apprezzata alla stregua dell’art. 37 del T.U. sulla Dirigenza giudiziaria (errore di diritto), in base al quale la sanzione della perdita dell’anzianità o la condanna alla censura per fatti commessi nel decennio sono, di regola, preclusive al conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo.

Ed invero, ipotizzare che in un caso siffatto, al Consiglio giudiziario, investito di una nuova richiesta di parere, sia precluso valutare un dato rilevante, sol perché omesso o valutato in violazione di una norma primaria o secondaria in occasione di un precedente parere, significherebbe ampliare la portata della preclusione espressa dall’art. 58 del T.U., in contrasto con la sua ratio, che è quella di evitare la ripetizione di un’attività valutativa solo quando non vi siano elementi nuovi e, specularmente, di imporla quando invece sia necessario aggiornare la valutazione sulla scorta di elementi che non sono stati considerati nel precedente parere.

In questo caso, pertanto, al fine di rendere completo ed esaustivo il quadro informativo sottoposto all’attenzione del Consiglio Superiore, il Consiglio giudiziario deve esprimere un nuovo parere, dando conto dell’elemento pretermesso che, proprio in quanto tale, deve ritenersi nuovo rispetto a quelli già considerati, benché preesistente.

Infine, ove il Consiglio giudiziario sia chiamato ad esprimere un nuovo parere, per avere quello precedente perso validità, la valutazione deve ritenersi assolutamente ampia, con la conseguenza che potranno essere rivalutati, anche con diverso esito, fatti oggetto del precedente parere.

In tal caso, infatti, il Consiglio giudiziario è titolare di un ampio potere valutativo dovendo esprimere un giudizio complessivo, che, diversamente da quanto previsto per le valutazioni di professionalità per le quali viene in considerazione l’attività svolta dal magistrato nell’ultimo quadriennio, è riferito all’intero percorso professionale dell’aspirante avuto riguardo alle caratteristiche dell’ufficio richiesto.

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In tale ipotesi, tuttavia, ove siano diversamente apprezzati gli stessi elementi già considerati nel precedente parere, occorre porre mente al pericolo che possa risultare integrato un vizio di legittimità dell’azione amministrativa nella figura dell’eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa.

Per scongiurare tale rischio, occorre che il Consiglio giudiziario, laddove intenda rivalutare, con esiti diversi, fatti già considerati in un precedente parere attitudinale, provveda ad assolvere all’onere motivazionale rendendo una motivazione sul punto rafforzata.

La diversa decisione dovrà contenere una completa e più persuasiva motivazione che dia conto della maggiore o diversa valenza conferita a ciascun elemento di valutazione alla luce del ricostruito, complessivo profilo professionale del magistrato, in relazione allo specifico ufficio semidirettivo richiesto.

Nessuna lesione del principio dell’affidamento può poi ravvisarsi quando il mutato orientamento si manifesti, decorsi quattro anni dal precedente parere, con argomenti che si rivelino pertinenti, puntuali e basati su riscontri obiettivi e documentati: e ciò perché la scadenza del prefissato periodo temporale di validità del parere attesta la sua perdita di significatività per l’ordinamento giuridico di settore e, quindi, la sua insuscettibilità a rappresentare situazione di fatto consolidata, fonte di affidamento ragionevole.

Il rilievo attribuito alle esigenze di speditezza del procedimento valutativo e di stabilità del parere attitudinale, che impediscono la riedizione del parere nel corso del quadriennio, in assenza di elementi nuovi, non esclude che decorso il termine, certamente congruo e predefinito, di quattro anni, i poteri del Consiglio giudiziario possano essere esercitati in tutta la loro ampiezza.

Scaduto, infatti, il termine previsto dalla norma, il parere reso dal Consiglio giudiziario è da considerarsi privo dell’efficacia attribuitagli dalla legge; peraltro, la decorrenza del termine non ne impedisce comunque tout court la rilevanza e un siffatto parere può comunque essere considerato ai fini della ricostruzione della carriera del magistrato, ma perde il carattere di significativa pregnanza ai fini della valutazione attitudinale che il Consiglio giudiziario dovrà esprimere ex novo.

Per tali motivi,

delibera

di rispondere ai quesiti formulati dal Consiglio Giudiziario di ... nei seguenti termini:

a) Il parere attitudinale espresso dal Consiglio giudiziario per il conferimento di un ufficio direttivo o semidirettivo, ai sensi dell’art. 57 T.U. sulla Dirigenza, ha valenza quadriennale sia che si tratti di parere positivo, sia che si tratti di parere negativo, risultando ciò funzionale a garantire celerità e speditezza al procedimento valutativo e stabilità alle decisioni del Consiglio giudiziario, per loro tendenziale natura poste a fondamento della decisione del Consiglio Superiore.

b) Il Consiglio giudiziario procede, in costanza di quadriennio, alla riedizione del parere attitudinale solo in presenza di elementi nuovi (sopravvenuti o preesistenti, ma omessi o valutati in conclamata difformità da norme primarie o secondarie), positivi o negativi, quando questi siano in grado di incidere sul nucleo di fatti che hanno motivato il precedente parere.

c) Il presupposto essenziale della novità, nel senso testé indicato, esclude che il Consiglio giudiziario, in assenza di elementi nuovi, solo per effetto di una diversa valutazione dei medesimi dati preesistenti, possa riemettere il parere, risultando tale evenienza in contrasto con la regola generale della validità quadriennale del parere.

d) Diversamente, una volta decorso il periodo di vigenza del parere attitudinale, il Consiglio giudiziario rivaluta integralmente il profilo professionale del magistrato, potendo così attribuire diversa valenza anche ad elementi già apprezzati, ma, in tal caso, ove siano diversamente valutati fatti precedenti, si profila un onere di motivazione rafforzata al fine di evitare vizi di eccesso di potere per contraddittorietà o illogicità dell’azione amministrativa.

Riferimenti

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