• Non ci sono risultati.

(Delibera del 22 dicembre 1999)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "(Delibera del 22 dicembre 1999)"

Copied!
4
0
0

Testo completo

(1)

Nota in data 15.3.99 con la quale il Collegio Istruttorio del Comitato Nazionale di Parità e Pari opportunità nel lavoro chiede al C.S.M., al fine di una eventuale regolamentazione in materia, di considerare l'aspetto deontologico della questione, affrontata nel proprio parere del 12.2.99, in merito all'esposto-denuncia di una avvocatessa di rinvio di una udienza motivata da ragioni di "astensione obbligatoria per maternità".

(Delibera del 22 dicembre 1999)

Comunico che il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 22 dicembre 1999, in merito alla nota in oggetto, ha adottato la seguente deliberazione:

<<Con un esposto inviato al Collegio istruttorio del Comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro, istituito presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, l’avv.

... ... lamentava la mancata concessione del rinvio di una udienza fissata, dinanzi al pretore del lavoro di Roma, per il 18 ottobre 1997 in una controversia in cui ella rappresentava il datore di lavoro, convenuto in giudizio da una sua ex dipendente.

La richiesta di rinvio, di oltre tre mesi, effettuata con una istanza scritta depositata circa quindici giorni prima dell’udienza, era motivata dal trovarsi ella in un periodo di “astensione

obbligatoria per maternità”; ed un suo collaboratore, nell’udienza suddetta, aveva poi certificato che il parto sarebbe presuntivamente avvenuto il 28 ottobre successivo.

Al rinvio si era opposto il difensore della controparte (una lavoratrice licenziata dal

convenuto, che azionava pretese di carattere economico) ed il Pretore, di sesso femminile, non lo aveva concesso ed aveva, così, escusso i testimoni indicati in precedenza dalla lavoratrice, presenti in udienza.

Le doglianze - presentate pure al Consiglio nazionale forense che nessun addebito di natura deontologica aveva ritenuto di doversi muovere agli autori della vicenda - sono state esaminate dal suddetto Collegio istruttorio soltanto sotto il profilo della violazione delle leggi a tutela della maternità e della discriminazione di genere, da costei lamentata, prescindendo dai problemi di carattere deontologico dalla medesima sollevati in ordine al comportamento del difensore della controparte e del Pretore, ritenuti di specifica competenza di altri organismi (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e C.S.M.). Nel merito, poi, lo stesso Collegio ha ritenuto priva di fondamento la tesi sostenuta dall’avv.ssa ..., secondo cui ella vanterebbe un obbligo/diritto all’astensione dal lavoro per maternità a norma delle leggi n.1204 del 1971 e n.903 del 1977, dal momento che le leggi

invocate concernono solo il lavoro dipendente, ove vi è un soggetto contrattuale (il datore), eventuale autore della discriminazione (e/o della violazione dei diritti della lavoratrice in gravidanza), che può essere convenuto in giudizio ai fini della rimozione della discriminazione e/o del rimedio alla violazione di legge effettuata, non il lavoro autonomo.

Ed è così, perché la tendenza espansiva dell’ordinamento lavoristico e la connessa tendenziale unificazione delle tutele dei rapporti di lavoro non può che essere rimessa al legislatore, che, d’altro canto, quando si è posto il problema della maternità delle lavoratrici autonome e delle professioniste non ha potuto che operare sul piano economico (addossando sugli enti previdenziali il costo delle indennità previste), senza statuire obblighi o diritti di astensione dal lavoro, così dando per scontato che l’organizzazione delle attività e le problematiche dello svolgimento e dell’astensione dal lavoro vengano da quelle lavoratrici autonomamente affrontate e gestite. Né è ravvisabile, alcuna

discriminazione di sessi in relazione alla legge n. 903/77, la cui violazione non può proprio configurarsi nella fattispecie. Ebbene, a parere della Commissione, al di là delle considerazioni in precedenza svolte, valide in gran parte anche in relazione alla legge 903/77, è da rilevarsi, in particolare, che nel rapporto processuale (che è altro rispetto a quello di lavoro) non è individuabile un soggetto che possa operare una discriminazione antifemminile connessa al lavoro, punibile ai sensi della normativa suddetta.

Dunque, vertendosi in materia di interpretazione e di applicazione della legge processuale - che nella specie comunque non prefigura rilievi circa il comportamento tenuto dal magistrato giudicante - appare al Consiglio che nessuna valutazione possa essere compiuta, quindi,

si delibera

(2)

il non luogo a provvedere, previa presa d’atto del deliberato del Collegio istruttorio del Comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro>>.

(3)

Quesito in ordine alla composizione del Consiglio Giudiziario di Lecce che deve esprimere parere sull’idoneità al conferimento di ufficio direttivo di quattro magistrati - tra cui il componente effettivo e supplente, eletti tra i magistrati di cassazione - che hanno inoltrato domanda per il posto di Presidente del Tribunale di Lecce. Nota in data 16 novembre 1999 n. 2854/99 C.G. del Presidente della Corte Vicario dott. ... ...o.

(Delibera del 19 gennaio 2000)

<<Il Consiglio,

- visto il quesito posto dal Consiglio giudiziario di Lecce il 16.11.99 in ordine alla composizione dell’organo, chiamato ad esprimere parere sull’idoneità al conferimento di un ufficio direttivo di quattro magistrati due dei quali rivestono, rispettivamente, il

ruolo di componente effettivo e di componente supplente di cassazione in detto Consiglio;

- considerato che nel quesito si richiede in particolare se ricorra per i due componenti in questione una causa di incompatibilità ai fini del parere da esprimere sugli altri concorrenti al medesimo posto cui aspirano e se sia possibile, di conseguenza, dovendosi provvedere alla loro sostituzione,

derogare all’ordinaria partecipazione dei componenti secondo le normali suddivisioni per qualifica di appartenenza;

- acquisito il parere dell’Ufficio Studi:

o s s e r v a

va premesso che pacifica, in dottrina e giurisprudenza, risulta la natura del Consiglio Giudiziario come collegio perfetto a componenti elettivi suddivisi rigidamente tra categorie, sia per quanto riguarda gli effettivi sia per i supplenti.

Da ciò lo stesso Consiglio Superiore ha tratto la conseguenza (v. delibere 21.11.79 e 21.5.86) che è impossibile per il Consiglio giudiziario tenere sedute quando il collegio non sia completo e ricorrere alla sostituzione “di un componente eletto in rappresentanza di una categoria di magistrato con il rappresentante (effettivo o supplente) di altra categoria”.

Altrettanto evidente, scendendo con ciò all’esame della specifica situazione prospettata nel quesito, è l’incompatibilità che intercorre fra il componente del Consiglio giudiziario ed il parere da redigere non solo su se stesso ma anche su altri concorrenti allo stesso posto cui aspira il

componente medesimo; situazione resa ancor più complessa dal fatto che anche il componente supplente, il quale di regola subentra all’effettivo “incompatibile”, rientra tra i candidati al posto in questione ed è quindi, a sua volta, “interessato” all’esito della pratica.

Comunque, come ritenuto correttamente nel parere dell’Ufficio Studi allegato “l’affermazione della natura di collegio perfetto del Consiglio giudiziario non significa certo che debba essere pretermessa l’esigenza di assicurare la funzionalità dell’organo, eventualmente compromessa dall’impedimento sia del componente titolare sia del componente supplente o, come nel caso del quesito proposto, dall’eventuale astensione di entrambi”, tanto più se si considera che la normativa sulla composizione e funzionamento del Consiglio giudiziario nulla dispone sull’astensione eventuale del componente; il che ha condotto una parte della dottrina a sostenere che il silenzio della legge sul punto è indice che la legge stessa non ha considerato incompatibile l’eventuale coincidenza dell’interesse personale del soggetto “con l’interesse zonale di cui egli è per volontà stessa della legge portatore e

rappresentante”.

Sulla base, dunque, di queste considerazioni, appare ragionevole individuare una soluzione che salvaguardi l’interesse prioritario all’efficienza del sistema di autogoverno locale evitandone la paralisi. Vanno, a tal fine, in primo luogo scartate due possibili soluzioni:

a) la decadenza del componente astenuto con conseguente applicazione dell’art. 6 comma 3 R.D.

Legs. 31.5.46 n. 511 secondo cui “i magistrati che, per il numero di suffragi raccolti, seguono quelli risultati eletti, vengono, nell’ordine e in numero non superiore a tre per gli effettivi e due per i supplenti, chiamati a sostituire quelli che cessano dalla carica nel corso del biennio”. Si tratta, invero, di effetto “eccedente” il problema da rimuovere, che porterebbe alla irragionevole

(4)

eliminazione di un componente (e poi, quale? L’effettivo o il supplente?) non giustificabile sul piano del buon andamento dell’amministrazione;

b) la sostituzione del componente astenuto perché incompatibile con altro magistrato (già supplente o primo dei non eletti) appartenente ad altra categoria. L’ipotesi non è prevista da nessuna norma né appare utilizzabile, in via estensiva o analogica, il meccanismo di cui all’art. 6 comma 1 ult. parte R.D. Legs. 511/46 cit. secondo cui “nei distretti nei quali non è possibile eleggere i magistrati di Cassazione, i posti sono attribuiti a magistrato di Corte di Appello”: nel caso di specie, invero, non si è dinnanzi ad una impossibilità di elezione dei rappresentanti di una categoria ma solo ad un impedimento in relazione alla trattazione di una determinata pratica.

Ciò posto l’unico modo per evitare la paralisi dell’organo è quello di consentire la presenza del componente “incompatibile” partendo dalla distinzione tra partecipazione alla discussione preliminare e partecipazione alla votazione in modo da assicurare, al componente con un indiretto personale interesse alla trattazione di un affare (nella specie, tra l’altro, attività consultiva avente efficacia interna al procedimento e non vincolante sulle determinazioni finali del CSM), di astenersi soltanto dalla votazione in modo da assicurare l’integrità del quorum strutturale e, quindi, la validità dell’adunanza, pena altrimenti la paralisi dell’organo.

Conseguentemente, in conclusione, il Consiglio giudiziario potrà discutere i pareri sui concorrenti al posto direttivo, con esclusione di quello sul componente effettivo di cassazione, alla presenza di quest’ultimo e con la sua astensione motivata (per l’interesse indiretto di cui è portatore) al momento della votazione sul merito del parere. In occasione, viceversa, del parere sul componente effettivo, questi dovrà essere sostituito dal componente supplente il quale, per le stesse ragioni che precedono, potrà partecipare alla discussione astenendosi nella votazione finale.

Sulla base, pertanto, di queste conclusioni, il Consiglio d e l i b e r a

di rispondere al quesito del Consiglio giudiziario di Lecce nei termini di cui alla motivazione>>.

Riferimenti

Documenti correlati

in Verdei casi in cui la proposta ministeriale è condivisa dal CG ma non sembra condivisibile sulla base delle iscrizioni pro-capite(indicatore US&lt;proposta min.); in Blui casi

25 del 2006 “il Consiglio giudiziario istituito presso ogni Corte di appello è composto dal Presidente della corte di appello, dal Procuratore generale presso

“- letti i quesiti con i quali i presidenti delle Corti di appello di Bologna e di Firenze chiedono se debba essere riconosciuta ai giudici di pace già nominati con

“- vista la nota del Presidente della Corte di appello di Palermo con cui chiede quale criterio prioritario va applicato per la nomina dei rappresentanti dei giudici di pace

&lt;&lt;Con deliberazione del 20 novembre 2012, comunicatami il 28 novembre 2012, il Consiglio giudiziario di … ha formulato parere non favorevole - a

… in ordine alla “inesistenza dell'atto amministrativo - nel caso di specie il parere - fino al perfezionamento della procedura di verbalizzazione che ne integra la

3) il magistrato decaduto dall’impiego per mancata assunzione delle prime o delle successive funzioni si considera aver cessato di far parte dell’Ordine giudiziario

In particolare, se la riforma urgente è destinata ad operare solo temporaneamente, in attesa della completa riscrittura della Legge Fallimentare, va sicuramente tenuto nel debito