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Domenica 19 Aprile :29 - Ultimo aggiornamento Sabato 27 Febbraio :28

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di Federico Decli

Società interamente partecipate da enti pubblici e paternariato pubblico-privato: limiti legislativi, incertezze giurisprudenziali e problematiche irrisolte.

Il lavoro si propone di illustrare, peraltro senza pretese di completezza ma con sufficiente attenzione a tutte le problematiche più rilevanti, i recenti interventi legislativi che hanno

profondamente inciso sul campo di azione delle società a capitale interamente pubblico o misto pubblico-privato. In primo luogo il d.l. 223/2006 (conv. in l. 248/2006) ha sancito il divieto di attivita c.d. extraterritoriale per le società strumentali delle regioni e degli enti locali, escludendo dalla propria sfera d’applicazione i servizi pubblici locali. Successivamente, l’art. 23-bis d.l.

112/2008 (conv. in l. 133/2008) ha riformato il sistema dei servizi pubblici locali, dettando inter alia stringenti limiti – oggettivi e soggettivi – in materia di affidamento (o riaffidamento) dei servizi medesimi.

SOMMARIO

Parte I: I nuovi limiti all’attività extra moenia delle società strumentali degli enti locali e territoriali.

Parte II: Orientamenti giurisprudenziali in materia di affidamento diretto di contratti pubblici a società a capitale misto.

Parte III: La riforma dei servizi pubblici locali e il connesso divieto di partecipazione alle gare.

PARTE I

I nuovi limiti all’attività extra moenia delle società strumentali degli enti locali e territoriali Come noto, l’affidamento in-house è un modello organizzativo mediante il quale la pubblica amministrazione reperisce prestazioni a contenuto negoziale non già sul mercato bensì al proprio interno, servendosi di un proprio ente strumentale, da essa giuridicamente distinto sul solo piano formale. Come ripetutamente chiarito dalla Corte di Giustizia delle Comunità

Europee (1), affinché simili affidamenti non contrastino con il diritto comunitario, è necessario il soddisfacimento di due condizioni, sinteticamente definite «controllo analogo» e «destinazione prevalente dell’attività» (2). 

Oltre agli affidamenti in-house appena descritti, si riscontrano nella prassi affidamenti di

contratti pubblici anche a società in cui il capitale è detenuto sia dal pubblico che da privati (c.d.

società miste): come recentemente chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato , su cui più diffusamente (3)

infra (4)

(2)

, quest’ultimo modello deve essere tenuto distinto dall’

in house providing

, dovendosi invece inquadrare nel concetto di paternariato pubblico-privato

: infatti, la sola presenza di capitale privato è, di per sé, idonea ad impedire che si verifichi la(5) condizione del «controllo analogo»

.(6)

Quanto al requisito della «destinazione prevalente dell’attività», esso non si traduce – a livello comunitario – in una «vocazione esclusiva» della società intesa come destinazione delle

prestazioni unicamente in favore dell’ente. Eppure – in ambito nazionale – si è a lungo dibattuto circa la possibilità per siffatti soggetti, di estendere il proprio raggio d’azione anche all’esterno delle competenze dell’ente di riferimento, ad esempio partecipando a gare per l’affidamento di contratti pubblici indette da altri enti(7). Si fronteggiavano principalmente tre tesi: la prima insisteva sulla terzietà meramente formale del soggetto partecipato rispetto all’ente partecipante e, dunque, immedesimava l’attività di tale soggetto con quella dell’ente di pertinenza; una

seconda tesi, invece, propendeva per l’effettiva terzietà degli organismi di cui sopra,

consentendone pertanto le attività c.d. extra moenia. 

Un terzo orientamento del Consiglio di Stato, successivamente ricordato anche da decisioni posteriori all’art. 13 l. 248/2006 (8), attenuando in modo significativo la portata del vincolo di strumentalità, riteneva che occorresse verificare in concreto se l’attività extra moenia delle società in questione fosse effettivamente idonea a distrarre apprezzabilmente risorse e mezzi dalla collettività di riferimento: solo in tale caso essa doveva considerarsi proibita.

Il problema si poneva in particolar modo per le società partecipate o costituite da regioni ed enti locali che volessero estendere la propria attività al di fuori del territorio degli enti medesimi.

Infatti, il terreno di elezione dei modelli organizzativi sopra menzionati è costituito dalla gestione dei servizi pubblici, in ispecie quelli di cui agli artt. 112 ss. T.U.E.L. (D.Lgs. 18 agosto 2000, n.

267) (9), pur adoperandosi tali modelli anche in ulteriori campi dell’azione amministrativa.

In tale quadro si è iscritta la normativa di cui all’art. 13, primo comma del d.l. 223/2006

«Bersani», in forza del quale «Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo

svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, debbono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti». Questo il testo precedente alla legge di conversione n. 248/2006, che ha provveduto ad inserire, dopo la parola «attività» l’inciso «con esclusione dei servizi pubblici locali». Successivamente, la norma è stata modificata dalla legge di conversione del d.l. n.

185/2008, altrimenti noto come «decreto anticrisi», n. 2/2009, che inserisce nel testo, dopo l’inciso appena riportato, la frase «e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163».

Gli scopi perseguiti dal legislatore sono esplicitati dalla rubrica e dall’incipit della disposizione: si tratta essenzialmente di ridurre i costi legati ai modelli in-house e PPP e di tutelare la

(3)

concorrenza ed il mercato, attraverso una garanzia di parità (almeno formale) di tutti gli operatori economici.

Il significato pratico della norma, ad ogni modo, non è di immediata percezione, attesane anche la struttura piuttosto complessa: si pone pertanto spontaneo il quesito circa l’individuazione dei destinatari della norma stessa. La giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi in diverse occasioni su quali siano le persone giuridiche a cui si applica l’art. 13 l. 248/2006 cit., sia sotto il profilo soggettivo (composizione e partecipazioni delle società stesse), sia sotto il profilo

oggettivo (attività svolte).

Dal punto di vista soggettivo è di primario interesse un parere reso dal Consiglio di Stato su richiesta del Presidente della Regione Toscana (10). I termini del problema sono chiaramente esplicitati dal primo paragrafo del parere, che si riporta di seguito.

«Ritiene l’Amministrazione riferente che l’uso della generica locuzione «costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali» apra spiragli di incertezza sulla corretta individuazione dei destinatari degli obblighi ivi previsti.

Se da un lato l'accostamento delle amministrazioni pubbliche regionali con quelle locali

sembrerebbe far intendere che la norma si riferisca solo alle Regioni e agli enti locali territoriali, dall’altro, il mancato utilizzo dell’aggettivo «territoriali», alla luce della ratio della norma in parola tesa alla riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali, nonché tenuta nella debita considerazione la normativa comunitaria in tema di tutela della concorrenza, fa propendere per un’interpretazione estensiva tesa ad assoggettare alla disciplina dell’art. 13 del cd. decreto Bersani anche le società costituite o partecipate dagli enti locali non territoriali.

Il problema – sempre secondo la Regione Toscana – non è di poco conto, dal momento che esiste sul mercato, nei vari settori merceologici, una pluralità di società costituite o partecipate da enti locali non territoriali che hanno acquisito nel tempo competenze e quote di mercato consistenti, tanto da risultare vincitrici in gare per la fornitura di beni e/o servizi alle pubbliche amministrazioni.

In definitiva l’Amministrazione regionale chiede: a) se con la locuzione «amministrazioni

pubbliche ... locali», contenuta nell'art. 13, sopra citato, il legislatore abbia inteso far riferimento a tutti gli enti locali oppure solo agli enti locali territoriali; b) se, in subordine, le Camere di Commercio sono qualificabili come enti pubblici locali».

A questi rilievi il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa risponde con le statuizioni che seguono. 

«[…] L’enfasi del dettato normativo cade non tanto sulle caratteristiche soggettive dell’ente (ente terrioriale o ente locale). Come si evince anche dal riferimento sostanziale allo

«svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza». E si tratta di locuzione – amministrazione pubblica locale – sia nel significato proprio delle parole che nella connessione di esse, indubbiamente ampia, di cui l’interprete deve prendere atto. Pare dunque al Collegio che il riferimento normativo alle «amministrazioni pubbliche locali» ricomprenda le attività poste in essere dalla generalità delle amministrazioni che perseguono il soddisfacimento di interessi pubblici locali. In sostanza, è l’ambito spaziale – locale – dell’attività pubblica che rende operativa la norma e nulla più. Con la conseguenza che la disposizione in esame, nella sua complessità, si riferisce a tutte le amministrazioni pubbliche che perseguono il

soddisfacimento di interessi pubblici entro un dato ambito territoriale». In conclusione, nelle preclusioni di cui alla norma in esame ricadono non soltanto gli enti locali territoriali e le amministrazioni regionali, ma anche le Camere di commercio e le Unioni tra di esse, nonché altri enti pubblici operanti a livello esclusivamente locale o regionale. Il parere del Consiglio di

(4)

Stato offre dunque l’occasione per riflettere a quali altri enti locali non territoriali sia applicabile l’articolo in commento. A questo proposito si possono elencare, a titolo meramente

esemplificativo: le Aziende pubbliche di Servizi alla Persona (c.d. A.S.P., di cui al D.Lgs.

207/2001), i consorzi amministrativi tra enti locali (art. 31 T.U.E.L.); le aziende sanitarie ed ospedaliere locali (11).

Sempre sotto il profilo soggettivo, si è posta la questione circa l’ammissibilità di attività c.d. extra moenia da parte di società «di terzo grado» o «di terza generazione»: si tratta di quei soggetti di cui sono soci non già gli enti territoriali o locali, bensì società da questi partecipate. È stato ritenuto che simili soggetti debbano sottostare alle restrizioni di cui alla disposizione in parola, in virtù della ratio della normativa stessa, che mira a salvaguardare non soltanto i principi di

concorrenza e di trasparenza, ma anche – e soprattutto – quello di libertà di iniziativa economica ex art. 41, comma 1 Cost.: tale principio verrebbe inevitabilmente frustrato dalla presenza dei soggetti poc’anzi menzionati, i quali godono di asimmetrie informative di notevoli dimensioni, in grado di alterare la par condicio con gli altri operatori agenti nello stesso mercato e di eludere sostanzialmente il rischio di impresa (12).

Chiarita la questione soggettiva, occorre dunque interrogarsi sull’ambito oggettivo, ossia su quali siano le attività che svolgono i soggetti a cui la norma si riferisce:

produzione e/o scambio di beni e/o servizi strumentali all’attività dell’ente pubblico;

nei soli casi consentiti dalla legge, esternalizzazione dell’attività amministrativa dell’ente medesimo.

Dalla norma sono espressamente esclusi i servizi pubblici locali, che seguono un percorso di riforma autonomo, ex art. 23-bis l. 6 agosto 2008, n. 133, su cui v. infra(13). In questa sede è tuttavia il caso di concretizzare – sia pur sinteticamente – la nota definizione di servizio pubblico locale ex art. 112 D.Lgs. 267/2000

. Il compito è quantomai ingrato poiché non vi è univocità di opinioni già sulla nozione stessa di(14)

«servizio pubblico» in dottrina

e in giurisprudenza. Emblematiche a tale ultimo proposito sono due sentenze, temporalmente(15) contigue, di due distinti TAR

: i fatti da cui le decisioni prendono le mosse sono diversi, ma la questione giuridica è(16)

pressoché identica. Si tratta di capire se il servizio di igiene urbana e ambientale costituisca o meno un s.p.l. Orbene, il TAR Campania propende per la soluzione positiva, escludendo così l’applicazione dell’art. 13 l. 248/2006, mentre il TAR Milano, muovendo da una concezione soggettiva di «servizio pubblico», nega che tra i s.p.l. sia annoverato anche il servizio in parola.

Il contrasto è di non poco conto anche a seguito della legge 133/2008, poiché la relativa disciplina – come sarà in seguito evidenziato – differisce sensibilmente da quella di cui art. 13

«legge Bersani» cit.

In seconda istanza, si riferisce come il c.d. «servizio calore», secondo il TAR Brescia non rientri nei s.p.l. ai fini dell’applicazione dell’articolo in commento (17). 

Ad ogni modo, oltre ai casi isolatamente considerati, alla soluzione dei problemi da ultimo prospettati giovano alcune decisioni, in particolare del TAR Veneto e del TAR Lazio - Roma, che legano, in rapporto di esclusione, i concetti di attività strumentale e di servizio pubblico locale (18). 

In sostanza, si definiscono come strumentali all’attività degli enti locali tutti quei beni e servizi

(5)

erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l’ente di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali: « [...] le società strumentali sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla p.a. e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali (per cui il decreto fa esplicita eccezione) che mirano a soddisfare direttamente e in via immediata esigenze generali della collettività » (19).

Il criterio ora descritto è stato successivamente adoperato dal TAR Veneto, per di decidere (in senso negativo) circa la legittimità della partecipazione alla gara – indetta da un comune – avente ad oggetto la concessione demaniale marittima finalizzata all’insediamento di

stabilimenti balneari, da parte di un R.T.I. avente come mandataria una società integralmente partecipata dal comune medesimo (20).

La legge di conversione del c.d. «decreto anticrisi», n. 2/2009 ha altresì provveduto ad eccettuare dal raggio d’applicazione della norma in parola anche i servizi di committenza apprestati a livello regionale o delle centrali di committenza regionali in favore:

- degli enti senza scopo di lucro

- delle amministrazioni aggiudicatrici, secondo l’accezione di cui al «codice dei contratti», D.Lgs.

n. 163/2006 e s.m.i., art. 3, comma 25.

Per quanto la formulazione letterale della menzionata eccezione lasci a desiderare, una esegesi razionale della normativa così modificata vuole che siano tenute indenni dall’applicazione del

«Bersani», in un’ottica di accentramento e razionalizzazione della spesa pubblica (cfr. anche l.

488/1999, art. 26 e s.m.i., nonché l’art. 2 del d.d.l. atto Senato n. 1082, nella sua prima versione e successivamente espunto), tutte le attività prestate dalle centrali di committenza in favore degli altri enti pubblici. Ne consegue – secondo questa interpretazione – che alle gare indette dalle centrali di committenza possono partecipare anche le società a capitale pubblico o misto (salvo ovviamente che queste si occupino di s.p.l., per cui vige l’art. 23-bis l. 133/2008).

Un importante arresto giurisprudenziale sull’art. 13 l. 248/2006 è costituito da C.d.S. 25 agosto 2008, n. 408021. Tale decisione, dopo aver ricordato l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale sul tema (22), statuisce che l’articolo in parola è espressione di un principio di ordine pubblico (tutela della concorrenza e della libera iniziativa economica, come sopra ricordato) e – pertanto – è inderogabile. Una simile natura si riverbera anche sui profili temporali di operatività delle preclusioni sancite dalla norma: le stazioni appaltanti sono infatti tenute ad applicarle quale che sia la fase del procedimento (valutazione dell’ammissibilità delle offerte, aggiudicazione

provvisoria o definitiva, approvazione, stipula del contratto).

L’imperatività della disposizione, d’altronde, si intuisce anche dal 4° comma dell’art. 13 cit., a mente del quale «i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli».

In ogni caso, oltre a provvedere per il futuro, l’art. 13 cit. si è preoccupato anche dell’esistente, prevedendo, al comma 3, che «al fine di assicurare l’effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite». Il termine è stato più volte prorogato, dapprima ad opera della legge «finanziaria per il 2007» (art. 1, comma 720, l. 296/2006) e da ultimo con l’art. 4, comma 7 D.L. 97/2008 conv. in l. 129/2008. Il testo, nella sua ultima versione, dunque, recava

«trenta» al posto del lemma «ventiquattro». Detto termine è venuto a scadere il 3 gennaio 200923.

(6)

(1) V., in primis, C.G.C.E., 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, inter alia in Urb. e app., 2000, p. 227. Più di recente, C.G.C.E., 17 luglio 2008, C-371/05, Commissione c. Italia, in

www.ipsoa.it/urbanisticaeappalti, con nota di C. Volpe, In house providing, Corte di giustizia, Consiglio di Stato e legislatore nazionale, in Urb. e app., 2008, pp. 1401 ss. Sull’in house

providing v. anche M. Comba, L’affidamento diretto ad organismo in house in caso di pluralità di soci: i vantaggi dell’ipotesi consortile per il controllo analogo, ib., 2008, pp. 549 ss.; S.

Colombari, Il modello in house providing tra mito (interno) e realtà (comunitaria), ib., 2008, 211;

R. Caranta, Dodo, Rondine o Fenice: quale futuro per l’in house?, ib., 2007, 1479; L.

Cameriero, Gli affidamenti in house, il valzer normativo e giurisprudenziale nella mauvaise époque, ib., 2007, 587; R. Goso, L’affidamento in house dei servizi culturali, ib., 2007, 95; M.

Urso, Il requisito del controllo analogo negli affidamenti in house, ib., 2006, 1417; P. Lotti, Corte di Giustizia e involuzione dell’in house providing, ib., 2006, 1047; R. Goso, Modelli di gestione dei servizi pubblici locali: affidamento mediante gara pubblica e in house providing, ib., 2006, 586; M. Didonna, Il caso, chiuso, degli affidamenti in house, ib., 2006, 377; M. Giovannelli, Divieto di affidamento di servizi pubblici senza gara a società mista e ulteriore restrizione dell’in house providing, ib., 2006, 157; P. Lotti, Concessioni di pubblici servizi, principi dell’in house providing e situazioni interne, ib., 2006, 31 e Affidamento in house nei servizi pubblici locali e pregiudizio per la concorrenza: la parola alla Corte di Giustizia, ib., 2005, 223; M. Galesi, In house providing: verso una concreta definizione del «controllo analogo»?, 2004, 930; M. Riccio, La dubbia sanabilità degli affidamenti «in house providing», ib., 2004, 689.

(2) Per «controllo analogo» si intende la circostanza in forza della quale l’amministrazione pubblica, che è un’amministrazione aggiudicatrice, esercita sull’ente giuridicamente distinto di cui trattasi un controllo analogo a quello che ha sui propri servizi, mentre con l’espressione

«destinazione prevalente dell’attività» si intende che siffatto ente svolge la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che lo detengono. Cfr. sentenze citate alla nota precedente.

(3) Cons. Stato, Ad. Pl., 3 marzo 2008, n. 1, in Foro it., 2008, III, 161; Corriere Merito, 2008, 636 (s.m.), con nota di M.L. Maddalena, In house providing, affidamento diretto e società miste, Urb.

e app., 2008, 1008, con nota di R. Rotigliano, Le società miste secondo la Plenaria e la Corte Europea; Contratti Stato e enti pubbl., 2008, 193; Foro amm-Cons. Stato, 2008, 740;

Ragiufarm, 2008, f. 105, 49; Giurisdiz. amm., 2008, I, 225; Giornale dir. amm., 1119 (s.m.), con note di R. Caranta, Ancora in salita la strada per le società miste, 1120 e G. Piperata, Modelli societari e compiti pubblici: un connubio all’insegna dell’incertezza, 1126; Guida al dir., 2008, f.

12, 87; Giust. amm., 2008, 335 (s.m.); Dir. e pratica amm., f. 4, 10 (s.m.) con nota di G. Scoca;

Ammin.it, 2008, 885; Ammin.it, 2008, 1542; Riv. Corte conti, 2008, f. 2, 324.

(4) Parte II, di prossima pubblicazione.

(7)

(5) V. Libro Verde della Commissione Europea sul Paternariato Pubblico Privato, 30 aprile 2004, COM(2004) 327 definitivo.

(6) C.G.C.E., 18 gennaio 2007, C-220/05, punto 64.

(7) F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2008, 544.

(8) T.A.R. Sardegna, 8 giugno 2007, n 1209 e relativa decisione d’appello C.d.S. 25 agosto 2008, n. 4080, su cui v. più puntualmente infra.

(9) Si tratta dei servizi pubblici locali, quali, ad esempio il trasporto pubblico locale (cfr. anche D.Lgs. 422/1997), gestione dei rifiuti, erogazione di acqua e gas. Si segnala che il servizio di distribuzione dell’energia elettrica non può essere annoverato tra i servizi pubblici locali in virtù del combinato disposto dell’art. 9 D.Lgs. 16 marzo n. 79, che prevede in materia la competenza ministeriale e dell’art. 112 T.U.E.L., comma 1, che qualifica come locali i servizi suscettibili di venir assunti dagli enti locali. In tal senso, anche B. Gilberti, Servizi pubblici locali: durata degli affidamenti, periodo transitorio e divieto di partecipazione alle gare, in Urb. e app., 2009, 148, n.

5.

(10) Cons. Stato, 25 settembre 2007, n. 322, in Foro it., 2008, III, 69 e in Urb. e App., 2007, 1515, s.m. con nota di S. Musolino, L’art. 13 del decreto Bersani: quale futuro per il modello della società mista?

(11) G. Bassi, Gli stringenti vincoli normativi per le società strumentali pubbliche non vanno interpretati restrittivamente su www.appaltiecontratti.it, 31 ottobre 2007.

(12) In tal senso, v. T.A.R. Lombardia, 31 gennaio 2007, n. 140, in Giurisdiz. Amm., 2007, II, 34;

Appalti & Contratti, 2007, f. 3, 84 (s.m.) con interessante n. di G. Bassi, Società strumentali di regioni ed enti locali (art. 13 decreto legge 223/2006 e s.m.i.): operatività indiretta del rapporto partecipativo pubblico ed estensione dell’obbligo di esclusività, in cui vengono puntualizzate – ai

(8)

fini in discorso – le differenze tra partecipazione, controllo e collegamento sostanziale ai sensi degli artt. 2497 ss. c.c. e, in ispecie dell’art. 2359 c.c.; Giust. Amm., 2007, 26 (s.m.) con n. di S.

Rostagno, L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina dell’art. 13 c.d. decreto Bersani:

prime indicazioni della giurisprudenza e prime perplessità; Foro it., 2008, III, 69; Nello stesso senso anche A.V.C.P., 9 maggio 2007, delib. n. 135. Contra, F. Caringella, Manuale, cit., p.

547, che ravvisa una difformità tra la delibera appena citata e la sentenza 140/2007 del TAR Lombardia.

(13) Parte III, di prossima pubblicazione.

(14) Art. 112, comma 1 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267: «Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo

economico e civile delle comunità locali».

(15) Per una rapida disamina, v. L. Delpino, F. del Giudice, Diritto Amministrativo, Napoli, 2006, 672. Per approfondimenti delle varie teorie, si rinvia a M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, I, Milano, 1993, 170 e a U. Pototschnig, I servizi pubblici, Padova, 1964, passim.

(16) T.A.R. Campania, sez. I, 1° agosto 2007, n. 7178, in Giur. it., 764; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 19 ottobre 2007, n. 6137, ibidem.

(17) T.A.R. Lombardia, Brescia, 27 dicembre 2007, n. 1373, in Foro Amm. - TAR, 2007, 3706.

(18) T.A.R. Lazio, Roma, 5 giugno 2007, n. 5192, in Urb. e App., 2007, 1518, con nota di S.

Musolino, cit.; T.A.R. Veneto, 31 marzo 2008, n. 788 in Giustizia Amministrativa

(19) Così T.A.R. Lazio, Roma, 5192/2007 cit.

(20) T.A.R. Veneto, ord. 7 maggio 2008, n. 305, in Urb. e App., 2008, 9, 1173, con n. di I.

(9)

Pagani, Società pubbliche e mercato, quale equilibrio alla luce dell’art. 13 del decreto Bersani?

(21) Inter alia, in Urb. e app., 2008, 1190 e in Dir. e pratica amm., 2008, 9, 65 (s.m.) con n. di R.

Cusmai e P. De Maria.

(22) Anche rispetto alle c.d. Società miste, su cui v. la parte successiva del «dossier», di prossima pubblicazione.

(23) Per approfondimenti, si rinvia a G. Bassi, Le società strumentali delle regioni e degli enti locali: qualche puntualizzazione a due anni dalla disciplina speciale, in Appalti & Contratti, 2009, 1-2, 55.

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