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1. LA VALUTAZIONE DEL MERITO CREDITIZIO: I NUOVI PRINCIPI DI BASILEA 2.

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1. LA VALUTAZIONE DEL MERITO CREDITIZIO: I NUOVI PRINCIPI DI BASILEA 2.

1.1 Il ricorso al canale bancario.

Uno dei fattori fondamentali per l’esercizio dell’attività economica è il capitale, che, insieme al lavoro, consente ad ogni impresa, dalla più piccola alla più grande, di andare avanti nello svolgere la propria attività.

Il capitale è una risorsa fondamentale per lo sviluppo aziendale, allo stesso tempo è però anche una risorsa critica nel suo reperimento e nella sua disponibilità.

È necessario che l’azienda abbia ha disposizione il capitale giusto, al momento giusto e nella forma giusta. La scelta della fonte di approvvigionamento non è però solo a discrezione della compagine aziendale, ma è anche influenzata da interlocutori esterni che fungono da finanziatori; particolare attenzione va quindi posta alle fonti di finanziamento, ovvero ai canali attraverso cui l’azienda può reperire capitali.

Le fonti di finanziamento si distinguono in due grandi categorie: fonti esterne e fonti interne.

Le fonti esterne sono le forme di raccolta di capitali che consentono di ottenere disponibilità liquide al di fuori dell’azienda; tra questi si distinguono i capitali di rischio (capitali forniti dal titolare dell’azienda o dai soci), i capitali di prestito (capitali forniti da persone o da enti al di fuori dell’azienda) e capitali d’uso (capitali forniti da società esercitanti la cosiddetta locazione finanziaria o leasing ed immessi in azienda sotto forma di beni strumentali, impianti, macchinari,…).

Le fonti interne sono invece forme di raccolta di capitali realizzate ricorrendo

alle risorse dell’azienda stessa; si distinguono in autofinanziamento (eccedenza di

utili rispetto a quelli distribuiti che vengono reimpiegati in azienda), eccedenza di

ammortamenti (qualora l’ammortamento venga effettuato secondo una procedura

accelerata e non ordinaria si vengono a creare degli accumuli di fondi di importo

superiore al necessario) ed eccedenza di accantonamenti (anche qui se gli

accantonamenti effettuati per fronteggiare eventi negativi od esborsi futuri

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eccedono le effettive necessità possono costituire, così come per gli ammortamenti, una forma di autofinanziamento).

Le fonti interne sono quelle preferite dall’azienda perché per esse non è previsto il rimborso e quindi il costo sostenuto è nullo; di contro però non è sempre possibile incorrere in esercizi che presentano eccedenze di utili, queste sono molto spesso situazioni temporanee su cui è impossibile fare affidamento per l’implementazione di piani futuri. L’azienda deve allora necessariamente ricorrere a fonti di finanziamento esterne. Tra le fonti esterne l’alternativa è fra il capitale di rischio ed il capitale di prestito; la scelta ottimale dovrebbe considerare sia le caratteristiche aziendali (ad esempio in taluni casi l’emissione di nuove azioni può creare problemi in termini di controllo aziendale) sia la struttura finanziaria dell’impresa (entro certi limiti il ricorso al capitale di prestito è vantaggioso perché consente di sfruttare la leva finanziaria). Anche in questo caso molte volte la scelta è, però, obbligata. Infatti non sempre l’imprenditore (od i soci) è in una situazione tale da emettere nuovo capitale di rischio e quindi è necessario richiedere il supporto dei soggetti terzi.

L’alternativa tra le fonti di prestito è tra il ricorso al canale bancario, l’emissione di obbligazione, il ricorso al mercato e la partecipazione nella compagine aziendale di altri finanziatori esterni che apportano capitale di rischio (venture capitalist e business angel in primis).

Per quanto riguarda il capitale di rischio raccolto sul mercato l’incidenza di tale forma di finanziamento nel nostro paese è molto bassa

1

sia perché lo sviluppo del mercato borsistico in Italia si è avuto solo in tempi molto recenti

2

, sia perché, per

1 Il rapporto tra il valore delle società quotate ed il PIL è nettamente inferiore non solo a quello dei paesi anglosassoni, ma anche a quello della Francia. In Italia il rapporto capitalizzazione di borsa e PIL è pari al 18%, la media europea si aggira intorno al 30-40% e se si guarda ai paesi OCSE essa sale all’80%. In USA e Giappone il rapporto sale fino al 70% e nel Regno Unito arriva addirittura oltre il 100%, Dati del Consiglio di borsa del 1994.

Unitamente a ciò se guardiamo il numero delle società quotate notiamo come le più grandi piazze finanziarie (Londra, New York ) hanno circa 10 volte i titoli quotati che ha le Borsa di Milano, ma anche la Svizzera ha un numero di titoli doppio del nostro. Per maggiori approfondimenti vedere: Dessy A. e Vender J., Capitale di rischio e sviluppo dell’impresa, EGEA, Milano, 1996.

2 La nascita di un mercato ad hoc per le PMI è legata alla creazione del METIM (Mercato Telematico per le Imprese) avvenuta nel 1994 e del Nuovo Mercato, un mercato principalmente per le imprese della New Economy, nato nel 1999. Dessy A. e Vender J., Capitale di rischio e sviluppo dell’impresa, EGEA, Milano, 1996.

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lungo tempo, i costi da sostenere per la quotazione (costi relativi alla documentazione, costi di natura fiscale, costi per la valutazione dell’operazione), unitamente a tempi relativamente lunghi ed a regole di tutela degli azionisti di minoranza abbastanza rigide, hanno sfavorito l’entrata sul mercato di imprese di piccole e medie dimensioni. Oltre a ciò esistono remore diffuse nella cultura imprenditoriale italiana che fanno percepire come rischiosa l’operazione di quotazione; si possono infatti avere perdite del controllo societario, l’ingerenza nell’attività aziendale di terzi estranei, la necessità di certificare il bilancio dell’azienda e di seguire criteri di maggior trasparenza nella gestione e nell’informazione societaria, la rinuncia alla commistione tra patrimonio familiare e patrimonio della società.

Il ricorso agli investitori in capitale di rischio ha trovato un po’ più spazio soltanto in tempi recenti. Il venture capitalist in Italia è un soggetto che gestisce prevalentemente fondi bancari e che quindi è già di per sé meno propenso ad investire in attività molto rischiose, al contrario di quanto avviene in Inghilterra o negli Stati Uniti dove il venture capitalist è un operatore finanziario oramai affermato. Inoltre tale finanziatore investe in importi abbastanza rilevanti

3

che non collimano con le esigenze finanziarie delle piccole e medie industrie italiane.

Il business angel va invece ad investire in importi minori ed ha una conoscenza maggiore della realtà operativa e del network in cui l’impresa agisce

4

; risulta quindi un soggetto più idoneo per supportare la crescita della realtà industriale del nostro Paese, anche se l’incidenza di tali finanziamenti è ancora molto lontana rispetto agli standard europei e mondiali

5

.

Ecco che allora la scelta del finanziamento è spesso orientata verso il ricorso al canale bancario.

La struttura finanziaria del nostro Paese contribuisce fortemente a mantenere l’indebitamento su livelli elevati; ciò è infatti favorito da una struttura fiscale favorevole, da carenze nel mercato dei capitali, dal peso rilevante di imprese

3 Di solito non inferiori a 500000 euro.

4 Di solito il business angel è un imprenditore che opera od ha operato nel settore in questione. È conosciuto dall’ambiente ed ha competenze professionali maggiori del venture capitalist.

5 Nel 2004 i business angel a livello europeo erano 12767 ed a livello italiano solo 557.

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pubbliche con indebitamento molto elevato e dalla propensione di imprese piccole e giovani a ricorrere al finanziamento esterno per le loro esigenze di crescita.

Oltre a queste caratteristiche strutturali il ricorso al canale bancario consente anche di risolvere due problemi insiti nella concessione del finanziamento:

l’asimmetria informativa tra creditore e debitore

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, problema fortemente sentito soprattutto nei confronti delle imprese più nuove e più giovani, ed il conflitto d’interesse tra azionisti ed obbligazionisti.

Il sistema bancario italiano ha subito nel corso degli anni una serie di evoluzioni che vanno ad impattare anche sul rapporto intrattenuto con l’impresa. A limitare l’influenza esercitata dalla banca nei confronti dell’impresa avevano contribuito due caratteristiche della legislazione bancaria introdotta nel 1936

7

che vietava l’assunzione di partecipazioni dirette nel capitale delle imprese da parte delle banche e differenziava gli istituti di credito in banche specializzate nel credito a breve e quelle specializzate nel credito a medio lungo termine. Il primo vincolo ha ostacolato possibili sinergie derivanti dalla contemporanea presenza di rapporti di credito, di consulenza e di partecipazione; la specializzazione ha invece limitato la possibilità della banca di avere una visione unitaria dell’attività e della posizione finanziaria dell’impresa. Era diffusa in questi anni la prassi del multiaffidamento che mal consentiva alla banca una conoscenza della realtà imprenditoriale e limitava la concessione dell’affidamento ad analisi prettamente quantitative.

I provvedimenti di liberalizzazione creditizia, valutaria e di insediamento succedutisi dalla metà degli anni ’80 insieme all’introduzione del Testo Unico del 1993 hanno però modificato le peculiarità del sistema bancario dando alla banca una nuova disciplina giuridica più flessibile e dinamica. Si assiste in quegli anni ad un aggressiva concorrenza sul mercato del credito che insieme ad una normativa volta ad ampliare il mercato finanziario da nazionale a sopranazionale comporta una revisione del sistema bancario italiano in modo da adeguarlo agli

6 La banca è un finanziatore che possiede capacità ed incentivi per raccogliere le informazioni sul debitore e può, in parte, risolvere il problema dell’asimmetria informativa.

7 Si fa qui riferimento al Testo Unico Bancario.

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standard europei e da renderlo maggiormente competitivo. Nasce il modello della banca universale, si vengono cioè a creare grandi banche, nate da operazioni di accorpamento e merger&acquisition, che possono meglio sfruttare il perseguimento di economie di scala e di scopo ed usufruire di un rapporto più diretto con la clientela in modo da superare il problema delle asimmetrie informative attraverso l’instaurarsi di un rapporto duraturo e stabile

8

. Ciò comporta notevoli vantaggi anche per l’impresa che può far forza su un rapporto privilegiato con la banca, non più orientata al breve termine, ma a ritorni di profitti che si espandono su un orizzonte temporale più ampio. Alcune evidenze empiriche sembrano avvalorare questa tesi sottolineando come una migliore conoscenza dell’impresa, favorita da un rapporto approfondito e duraturo, permetta alla banca di garantire continuità nell’offerta di credito, rinunciare a chiedere garanzie e quindi offrire credito anche ad imprese meno patrimonializzate ma con buone prospettive di reddito, intervenire attivamente nella gestione della crisi d’impresa e svolgere un ruolo complementare rispetto al mercato dei capitali, segnalando le imprese meritevoli di finanziamento

9

. Inoltre il rapporto con un unico finanziatore dovrebbe consentire all’impresa di minimizzare l’onerosità del debito

10

.

Negli anni ’92-’95 si assiste però ad una crisi delle banche italiane legata principalmente ad un incremento dei crediti in sofferenza

11

. Ciò incentra l’attenzione delle banche verso una più attenta valutazione e mitigazione del rischio di credito ed introduce una tecnologia ad hoc per la valutazione del merito creditizio.

8 Per maggiori approfondimenti vedere: Capece S., saggio: L’evoluzione della vigilanza internazionale:

brevi osservazioni sul nuovo accordo del comitato di Basilea ne Il rischio di credito e le implicazioni di Basilea 2, Giuffrè editore, Milano, 2004.

9 La continuazione del rapporto con la banca fa recepire l’impresa come meno rischiosa da parte del mercato.

10 L’esclusività della relazione riduce i costi di coordinamento e di monitoraggio e la migliore conoscenza del debitore fa diminuire il rischio di controparte.

11 Nel 1995 il tasso di espansione delle sofferenze era superiore a quello degli impieghi.

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1.2. L’istruttoria bancaria.

La delibera relativa alla concessione di credito all’azienda è un complesso iter burocratico-amministrativo in cui la banca va a focalizzare l’attenzione sia sulle caratteristiche economico-patrimoniali sia su aspetti più qualitativi (ad esempio il rapporto con l’imprenditore, il settore d’appartenenza, ecc.) che possono portare o meno alla delibera di fido. Il rapporto creditizio è basato sulla fiducia e, a differenza di altri servizi bancari, spesso scaturisce da un giudizio composito fatto d’intuito, esperienza, conoscenza oltre che da analisi formali e sostanziali.

La fase d’istruttoria è una fase di analisi e valutazione che consente alla banca di attestare il rischio cui effettivamente va incontro e di decidere le forma tecniche di concessione del credito più aderenti alle caratteristiche del cliente. In questa fase la banca va non solo ad analizzare la situazione attuale presente in azienda, ma anche a cercare di prevedere come l’entità del patrimonio e la redditività aziendale potrebbero evolvere in futuro.

L’istruttoria è un’analisi composita costituita da diversi elementi: elementi formali, volti ad individuare la posizione giuridica dell’azienda, elementi sostanziali, inerenti alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria, elementi di accertamento, che consentono di verificare quanto detto dal richiedente, ad esempio le visure catastali od alla Camera di Commercio, ed elementi informativi e di controllo interno, informazioni da fornitori abituali, da altre banche,ecc..

Visto che l’azienda è in continuo evolversi e mutamento l’istruttoria, secondo quanto previsto della legge bancaria per far fronte a norme di prudenza e correttezza, viene ripetuta ogni anno od ad ogni eventuale rinnovo fido

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.

12Per maggiori approfondimenti vedere: De Marchi G., I fidi bancari. Aspetti operativi, tecnici, giuridici e finanziari. Procedure di istruttoria, garanzie, contratti. Criteri di valutazione del costo del credito, II edizione, Giuffrè editore, Milano, 1996.

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1.2.1. La domanda di fido.

La domanda di fido è la prima fase dell’istruttoria. Nella richiesta di affidamento il soggetto deve indicare diverse informazioni che servono alla banca per una prima fase di analisi e valutazione e che differiscono qualora si tratti di un privato o di una società.

Gli elementi fondamentali che la richiesta di affidamento deve contenere sono:

• generalità del richiedente (o denominazione sociale) e domicilio (o sede legale);

• ammontare del fido richiesto e forma d’utilizzo;

• destinazione del fido richiesto;

• garanzie offerte.

Per quanto attiene le sole società si deve inoltre indicare:

• generalità dei soci e dei membri del consiglio d’amministrazione;

• notizie relative agli immobili, strumenti ed impianti, indicando la consistenza dei cespiti ed eventuali ipoteche che vi possono gravare;

• affidamenti bancari in essere o richiesti.

La domanda di fido va inoltre completata con altri documenti che consentono alla banca di effettuare una prima valutazione. Nel caso di un privato la documentazione richiesta si riduce a:

• certificato di iscrizione alla Camera di Commercio;

• copia dell’atto di matrimonio e delle relative convenzioni patrimoniali;

• atti d’acquisto delle proprietà immobiliari.

Nel caso si tratti di una società la documentazione è invece più complessa ed è costituita da:

• certificato d’iscrizione alla Camera di Commercio;

• certificato d’iscrizione al registro delle imprese;

• copia dell’atto costitutivo, dello statuto, dei verbali del consiglio d’amministrazione e dell’ ultimo bilancio approvato.

Solo quando la banca ha tutti questi documenti procede con la vera e propria fase

d’analisi.

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Nell’analizzare la richiesta d’affidamento l’ente creditizio va a reperire numerosi altri dati provenienti da vari fonti:

• la visura alla Camera di Commercio

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: la banca va ad avvalorare con queste informazioni quanto dichiarato dal privato o dalla società in fase di richiesta di fido e va ad inquadrare esattamente l’azienda dal punto di vista formale. Viene qui indicata la denominazione sociale, la sede, la data di costituzione e d’iscrizione alla Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato e gli estremi sociali (oggetto sociale, capitale sottoscritto e versato, il numero ed il valore nominale delle quote e delle azioni, i soci od i proprietari, gli amministratori ed i loro poteri);

• l’iscrizione al registro delle società

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: la banca può qui risalire a tutti gli atti relativi alla società che interessa e verificare se quanto dichiarato corrisponde alla realtà vigente;

• il bilancio e la situazione patrimoniale: l’analisi, l’interpretazione e la verifica del bilancio è una parte fondamentale della valutazione. Il bilancio è infatti il documento che contiene analiticamente tutte le informazioni che consentono di quantificare non solo il patrimonio del richiedente, ma anche la sua redditività, la sua posizione finanziaria e la sua liquidità. La funzione di tale analisi è quella di valutare se l’azienda con la propria struttura economico-patrimoniale è in grado di sopportare l’onere del fido.

Nel fare ciò l’analista va a valutare il singolo bilancio, controllando ed analizzando le voci del passivo e dell’attivo dello stato patrimoniale e le componenti di ricavi e di costi del conto economico; un’analisi focalizzata solo sulla realtà aziendale presente risulta però essere incongrua in quanto non considera i parametri medi del settore; per sopperire a questa necessità fu costituita la Centrale dei Bilanci su iniziativa della Banca

13 Le visure camerali rilasciate dalle Camere di Commercio contengono dati relativi ad ogni società quali la data di costituzione, l’attività svolta, i nominativi dei soci e degli amministratori, il capitale sociale deliberato, sottoscritto e versato.

14 Tutte le società, ad eccezione delle società di fatto, sono tenute all’iscrizione presso la Cancelleria del Tribunale al registro delle Imprese, presso il quale devono anche essere registrati tutti gli atti legali che riguardano la vita della società.

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d’Italia e dell’ABI. L’attività della Centrale dei Bilanci è finalizzata a realizzare un insieme organico di informazioni economiche e finanziarie basato sia su schemi aggregati (settori) sia su schemi individuali (singole aziende). Nel fare ciò la Centrale si avvale di in sistema Computerizzato per l’ Elaborazione dei Bilanci delle Imprese, denominato sistema CEBI, che costituisce l’archivio elettronico dei bilanci ufficiali riclassificati

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relativi a tre esercizi di numerosissime società italiane.

Il servizio fornito dalla Centrale dei Bilanci dà una serie di informazione tra cui: i bilanci riclassificati degli ultimi tre esercizi di ogni società censita, i bilanci aggregati degli ultimi tre esercizi di gruppi di società e gli indici di bilancio sia settoriali che individuali. Questi dati consentono alle banche di effettuare una serie di analisi utili per arricchire l’indagine istruttoria preliminare alla decisione d’affidamento, in particolare: analisi d’impresa, analisi del settore merceologico, analisi di area geografica, analisi di mercato (si considerano aziende riclassificate per dimensioni o per altri parametri scelti dalla banca).

Oltre ai controlli esercitati sui singoli documenti la banca va ad effettuare anche verifiche volte a valutare lo stato attuale dell’azienda. I mezzi utilizzati per fare ciò sono costituiti da: raccolta di informazioni e visita agli stabilimenti. Per quanto riguarda le informazioni esse sono recepite presso fornitori, clienti e concorrenti che si ritiene siano in grado di fornire un quadro esatto della situazione dell’azienda. I fornitori possono dare informazioni relative al volume d’acquisti, alle dilazioni commerciali concesse, ad eventuali contestazioni sollevate ed alla puntualità dei pagamenti; i clienti danno indicazioni sull’entità del fatturato, sulle dilazioni commerciali concesse , sulla qualità della produzione e sulla puntualità delle consegne; per quanto riguarda i concorrenti essi forniscono informazioni sulla concorrenzialità, sulla quota di mercato,

15 La riclassificazione dello stato patrimoniale considera il criterio finanziario, quella di conto economico il principio di destinazione. La riclassificazione di stato patrimoniale può quindi fornire informazioni sull’equilibrio finanziario nel breve e nel medio-lungo termine andando a considerare la correlazione fonti-impieghi; la riclassificazione di conto economico è invece d’aiuto per verificare l’incidenza delle diverse aree (caratteristica, fiananziaria, extracaratteristica, straordinaria e fiscale) nella determinazione del reddito.

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sull’adozione di politiche di prezzo aggressive, sulla qualità di produzione.

Chiaramente queste informazioni devono essere valutate in maniera critica dalla banca in quanto taluni soggetti (ad esempio i concorrenti diretti) potrebbero trarre dei vantaggi a deformare la situazione reale.

La visita agli stabilimenti consente alla banca di vedere direttemene l’ambiente operativo, le strutture, le persone, i mezzi e di assistere alla produzione con l’obiettivo primario di vedere il complesso produttivo in funzione, di valutarne l’efficienza ed il livello d’aggiornamento tecnologico, il tipo d’organizzazione della produzione ed il grado di sicurezza sul lavoro. Alla visita viene anche abbinato un colloquio con i rappresentanti aziendali.

1.3. Basilea 2: principi base.

Una delle problematiche più complesse che riguardano l’attività imprenditoriale è quella di riuscire a valutare in maniera tempestiva il rischio di eventuali crisi e la possibilità che esse si manifestino.

Si è visto precedentemente come questa analisi è fatta sia all’interno dell’impresa per evidenziare criticità gestionali ed operative che possono eventualmente essere corrette, sia all’esterno dell’impresa, da parte dei soggetti finanziatori in primis, per valutare la rischiosità del loro investimento e l’incertezza legata alla restituzione ed alla remunerazione della somma prestata.

Negli ultimi anni a causa della crescente competitività del mercato internazionale e dell’avvento di nuove tecnologie i casi d’insolvenza a livello mondiale sono aumentati. A fronte di questa maggiore rischiosità il sistema si è mosso cercando da un lato di valutare in maniera più oggettiva e di meglio qualificare l’attività di selezione e controllo delle banche, dall’altro di rendere il sistema bancario internazionale più stabile e più competitivo.

Le banche hanno, infatti, considerato con interesse crescente alcuni studi che

propongono l’utilizzo di modelli quantitativi al fine di identificare

tempestivamente il rischio d’insolvenza. Questa attuale tendenza, nata in

Inghilterra, è stata fatta propria anche dalla Banca dei Regolamenti Internazionali

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che con il Comitato di Basilea

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del 1999 vuole sollecitare le banche verso una valutazione più oggettiva e più accurata del rischio di credito e del rischio complessivo di portafoglio.

Da più parti dunque si è sentita l’esigenza di adottare modelli d’analisi quantitativi in modo da rilevare e valutare le posizioni a rischio in maniera più rapida ed oggettiva, ma nonostante ciò l’utilizzo di tali strumenti all’interno del settore bancario è ancora relativamente limitato sia per la diffidenza culturale nel fidarsi di metodi non ancora chiaramente compresi nelle loro modalità di funzionamento e che molto spesso si scontrano cono quello che è l’abituale modus operandi della realtà bancaria

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, sia perché è difficile abbandonare uno schema di analisi ormai consolidato (analisi per indici e per flussi) ed implementarne uno totalmente innovativo; delle metodologie consolidate si conoscono ormai limiti ed affidabilità, lo stesso non si può dire di metodi che si basano su valutazioni di carattere probabilistico.

Come si è visto un punto di svolta focale nella rivalutazione dei modelli statistici di previsione delle insolvenze si è avuto con il Nuovo Accordo di Basilea sul capitale. L’obiettivo fondamentale del Comitato è stato quello di “elaborare uno schema che rafforzi ulteriormente la solidità e la stabilità del sistema bancario internazionale, mantenendo al tempo stesso una coerenza tale per cui la regolamentazione in materia di adeguatezza patrimoniale non produca significative distorsioni competitive tra le banche attive a livello internazionale”.

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L’attività del Comitato si è quindi focalizzata su di una migliore gestione del rischio da parte del settore bancario internazionale fissando una soglia minima che a livello bancario deve essere utilizzata come “riserva cuscinetto” per

16 Il Comitato di Basilea è stato costituito nel 1974 ed ha il compito di promuovere la cooperazione fra le Banche Centrali dei paesi del G10 (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti) allo scopo di definire i regolamenti comuni necessari per assicurare la stabilità del sistema creditizio.

17 I modelli di valutazione delle insolvenze possono portare ad un risultato oggettivo e razionale che si scontra con quello che la banca fa abitualmente: ad esempio l’ esito della valutazione statistica può dare una risposta negativa alla concessione di credito ad un certo soggetto, ma ciò può scontrarsi con la scelta della banca di concedere il finanziamento per motivazioni qualitative che non vengono considerate dal modello medesimo.

18 Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi.

Nuovo schema di regolamentazione, introduzione, punto 4, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria.

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fronteggiare il rischio d’insolvenza, lasciando alle Autorità di vigilanza nazionali la possibilità di superare con le proprie normative tale limite.

In qualunque impresa il patrimonio funge infatti da garante verso i terzi creditori, per le imprese il livello di patrimonializzazione è di solito fissato in maniera autonoma (tranne per le società di capitali dove il codice civile prefissa alcuni limiti minimi di capitalizzazione), per le banche, invece, esiste una specifica normativa sul livello minimo del capitale sia per tutelare i depositanti, sia per limitare gli impatti negativi nel sistema dei pagamenti causati dall’insolvenza bancaria, sia per disciplinare la concorrenza a livello di sistema internazionale

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. L’attività del Comitato di Basilea è quindi volta principalmente a ridimensionare tale valore così da consentire una patrimonializzazione bancaria adeguata alla componente di rischio assunta.

La banca è un’azienda “particolare” in quanto va a raccogliere risparmio tra il pubblico ed a concedere credito

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; per tutelare i depositanti è dunque previsto che il patrimonio di vigilanza non possa scendere al di sotto di certi limiti.

Lo Stato Patrimoniale di una banca vede nella parte dell’ attivo gli impieghi derivanti dall’attività creditizia (i prestiti) i quali trovano copertura nel passivo in parte con le risorse raccolte tra il pubblico (i depositi) ed in parte con capitale proprio (patrimonio netto).

19 Ci si colloca qui nell’approccio della vigilanza prudenziale. Passando dalla vigilanza per soggetti a quella per finalità si assiste ad una cambiamento sostanziale dalla vigilanza strutturale, basata su barriere all’entrata quali l’autorizzazione all’attività, ai controlli prudenziali, basati in larga misura sui coefficienti patrimoniali. La vigilanza prudenziale fa parte di uno dei tre dettami della vigilanza, la vigilanza

regolamentare che, insieme alla vigilanza ispettiva ed a quella informativa, costituisce l’intera normativa in termini di vigilanza all’interno del Testo Unico Bancario.

20 Secondo l’art. 10 del TUB: “La raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa”.

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TABELLA 1.a.

ATTIVO PASSIVO DEPOSITI (RACCOLTA) PRESTITI

PATRIMONIO NETTO

Fonte: nostra elaborazione.

Affinché la banca sia in grado di restituire ai risparmiatori i depositi raccolti è necessario che l’attivo mantenga invariato il proprio valore (fatte salve le normali fluttuazioni di mercato e le correzioni di natura meramente contabile). In quest’ottica è naturalmente necessario che i soggetti che hanno ottenuto un prestito dalla banca adempiano alla loro obbligazione, e cioè restituiscano alla data convenuta la relativa somma. Se il debitore non adempie alla sua obbligazione (si verifica cioè un default) la banca subisce una perdita riducendo il valore dell’attivo e conseguentemente le risorse disponibili per rimborsare i depositi dei risparmiatori ed il patrimonio netto.

Al fine di tutelare i depositanti il patrimonio netto della banca deve avere una consistenza tale da assorbire le eventuali perdite. Su ciò si basa il trattato di Basilea: fare in modo che il patrimonio sul quale scaricare le perdite sia sufficientemente capiente da non compromettere i depositanti. In sostanza si richiede una adeguata patrimonializzazione delle banche. Ma che cosa si intende per adeguata patrimonializzazione? Il patrimonio cui fa riferimento Basilea 2 non coincide esattamente con il patrimonio netto ma comprende, oltre quest’ultimo, altre poste di bilancio quali il fondo rischi bancari generali od il fondo garanzia su crediti. In quanto “di vigilanza” (e di garanzia) su questo patrimonio devono essere scaricate le perdite derivanti dai prestiti erogati: proprio per questo motivo Basilea 2 impone alle banche di calcolare con attenzione i rischi cui sono

sottoposte (quindi le perdite potenziali) ed impone regole precise e stringenti per

la definizione del patrimonio di vigilanza.

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Immaginiamo un istituto creditizio con un patrimonio di vigilanza sufficiente ad assorbire il default di una operazione (vedere figura 1.a.).

FIGURA 1.a.

Fonte: sito www.studiamo.it

A seguito del default dell’operazione, la banca registra una perdita su crediti che riduce il valore dell’attivo: essendosi però dotata di un patrimonio di vigilanza sufficiente per assorbire le perdite rimane nelle condizioni per rimborsare tutti i depositi ed una parte del patrimonio netto.

Immaginiamo, invece, un caso analogo ma in una banca che sia dotata di un patrimonio di vigilanza insufficiente (figura 1.b.).

FIGURA 1.b.

Fonte: sito www.studiamo.it

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In questo caso il patrimonio di vigilanza è insufficiente ad assorbire la perdita e la banca non riesce a rimborsare una parte dei depositi.

Il Nuovo Accordo offre una serie di opzioni per determinare i requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito ed operativo, così da adattare gli standard alle pluralità di condizioni del mercato e da consentire alle banche ed alle Autorità di vigilanza di scegliere le modalità più adatte alle loro attività ed alle loro infrastrutture.

1.3.1. Come si è arrivati a Basilea 2.

L’excursus storico che ha portato alla realizzazione del Nuovo Accordo sul capitale muove fondamentalmente dalla necessità di modificare l’accordo del 1988.

Gli obiettivi del Capital Accord

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erano principalmente tre: la circolazione del modello al di fuori del G-10, il rafforzamento del sistema bancario internazionale ed un’applicazione omogenea del quadro di riferimento nelle varie nazioni.

Come si vede l’obiettivo di contenimento del rischio (legato anche alla stabilità del sistema) non è qui posto come obiettivo ufficiale, ma funziona come strumento per implementare le strategie precedenti. Infatti in base a tale accordo un gruppo bancario deve detenere capitale per almeno l’8% dei propri attivi ponderati per il rischio assunto (risk-weighted assets). Sono dunque state previste delle griglie di ponderazione di modo che l’importo nominale del prestito viene moltiplicato per un coefficiente da zero ad uno tanto maggiore quanto più elevata è la rischiosità della controparte.

22

21 Il Capital Accord è l’accordo del 1988.

22 Il totale degli impieghi della banca vengono ponderati per fasce di rischio omogenee (0, 20, 50 e 100%) in base alla loro intrinseca rischiosità. Queste fasce sono così individuate:

0%( rischio nullo) 20% 50% 100% 200%

Cassa e valori

assimilati Crediti v banche multilaterali di sviluppo

Mutui

residenziali con garanzie reali

Crediti v imprese

private Partecipazioni in

imprese non finanziarie con perdite negli ultimi 2 esercizi

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La banca va in questo modo a calcolare il rischio assunto e prevede a fronte una copertura patrimoniale pari all’8% del valore individuato.

Contemporaneamente ai lavori di Basilea inizia a livello comunitario un forte processo di produzione normativa che produce effetti sui Paesi membri; in Italia il recepimento delle direttive comunitarie porta alla realizzazione del nuovo Testo Unico Bancario e del Testo Unico Finanziario, nonché a una forte produzione in termini regolamentari.

Il Capital Accord subisce nel tempo numerosi interventi, nati dalla consapevolezza che le regole patrimoniali da sole non possono essere l’unico strumento per il contenimento del rischio e che le procedure sono altrettanto importanti.

23

Negli anni ’90 si evidenziano numerosi e diffusi episodi di crisi bancarie che dimostrano come empiricamente il modello sia inapplicabile. La vigilanza prudenziale basata sui soli coefficienti patrimoniali non era più sufficiente in un sistema finanziario che vedeva accresciute le proprie fragilità e la propria complessità, è dunque necessario un ripensamento completo.

L’approccio del 1988 presenta chiaramente dei pregi legati al fatto che il modello di misurazione dei requisiti patrimoniali è semplice ed immediato, si provvede così a rafforzare la solidità patrimoniale del settore creditizio mondiale ed a favorire la capitalizzazione bancaria; sono circa 100 i paesi che hanno aderito a Basilea 1. I limiti principali riscontrati nell’approccio del 1988 si rifanno invece al fatto di considerare fortemente irrealistico che tutti i prestiti alla clientela possano essere ponderati allo stesso modo (100%) senza tener conto del merito creditizio della controparte. Ciò produce alcuni effetti indesiderati: la Banca potrebbe essere orientata verso la concessione di prestiti qualitativamente

Crediti v banche centrali dei paesi OCSE

Crediti v banche

dei paesi OCSE Leasing su

immobili Partecipazioni in imprese private Titoli di stato emessi

da paesi OCSE

Crediti v enti del settore pubblico

Crediti v banche e paesi non OCSE

23 Nel tempo il Comitato di Basilea suggerirà che i modelli di misurazione del rischio vengano sottoposti a back-testing, cioè venga valutata per certi periodi di tempo la corrispondenza delle previsioni del modello con la manifestazione reale degli eventi.

(17)

peggiori, sia perché a fronte di un uguale accantonamento di capitale riceverà tassi attivi più elevati, sia perché i crediti di qualità migliore possono essere più facilmente ceduti sul mercato secondario. Inoltre i requisiti tengono conto dei rischi di credito e di mercato, ma non tengono conto dei rischi operativi e di altre forme di rischio altrettanto importanti, così come gli standard patrimoniali previsti non considerano le coperture, la diversificazione e le differenze nelle tecniche di gestione dei rischi.

A queste critiche di carattere operativo che incrementano l’instabilità del sistema, ne vanno aggiunte altre di stampo concettuale:

a) la rigidità del sistema non ha incentivato l’adozione di tecniche in grado di ridurre il rischio di credito;

b) i fattori di ponderazione del rischio sono arbitrari e basati su serie storiche obsolete;

c) il sistema ignora gli effetti di correlazione.

Altro grande tema che si è sviluppato in tempi recenti e che è stato posto all’attenzione dei regolatori è lo sviluppo dei cosiddetti conglomerati finanziari

24

. Per queste realtà si sentiva infatti la necessità di unire un approccio di vigilanza globale ad una valutazione ed un controllo delle singole entità operative che formano il gruppo.

In particolare quello che era il principale pregio di Basilea 1, ovvero la semplicità e l’immediatezza nell’applicazione, diventa anche il suo maggior difetto non consentendo al sistema bancario di stare al passo con un contesto industriale in rapida crescita.

Il Basel Comittee on Banking Supervision decise nel 1999 di rivedere il Capital Accord del 1988 in modo da creare un nuovo schema operativo che potesse muoversi di pari passo con le recenti innovazioni del sistema. Il Comitato di Basilea 2 intende stabilire una più stretta correlazione tra la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale ed i principali elementi di rischio dell’attività

24 Gruppi di società sotto controllo comune che abbiano per attività esclusiva o preponderante la prestazione di due dei tre tipi di attività tra quella bancaria, assicurativa e mobiliare.

(18)

bancaria , così come vorrebbe fornire alle banche incentivi per il potenziamento della loro capacità di gestione e misurazione dei rischi.

Nel documento di consultazione del 1999 il Comitato indica gli obiettivi che si poneva con l’elaborazione di un approccio globale alla regolamentazione del patrimonio e nel 2001 li ribadisce dichiarando che l’Accordo deve:

- continuare a promuovere la sicurezza e la solidità del sistema finanziario, mantenendo un livello patrimoniale del sistema pari almeno a quello attuale;

- continuare a favorire la parità concorrenziale;

- prevedere criteri di adeguatezza patrimoniale sensibili al rischio;

- essere destinato alle banche attive internazionalmente, ma i principi di base dovranno applicarsi anche a banche con caratteristiche diverse.

1.3.2. Le innovazioni di Basilea 2.

Basilea 2 nasce dunque da una proposta del 1999, successivamente modificata, e si applica a livello consolidato “alle banche con operatività internazionale (…), alle società holding a capo dei gruppi bancari per assicurare che vengano rilevati i rischi presenti a livello di intero gruppo

25

, (…) a tutte le banche a ciascun livello sottostante il vertice del gruppo bancario che siano attive su scala internazionale, (…) poiché uno dei principali obiettivi della vigilanza è la tutela dei depositanti (…), le autorità di vigilanza dovranno verificare che le singole banche siano adeguatamente capitalizzate su base individuale”

26

.

Il framework del Nuovo Accordo è dunque quello degli obiettivi classici, la stabilità del sistema ed il mantenimento della parità concorrenziale; all’interno di questo quadro viene però proposta una nuova definizione dei requisiti patrimoniali, finalizzata ad una migliore misurazione dei rischi ed estesa a componenti di rischio aggiuntive rispetto a quelle di credito e di mercato. Inoltre

25 Per gruppo bancario si intende un gruppo che svolge prevalentemente attività bancaria.

26 Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi.

Nuovo schema di regolamentazione, parte 1: Ambito di applicazione, punto 1, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria.

(19)

nell’ambito di ristrutturazione del sistema bancario l’Accordo mira ad allargare la sua applicabilità ad un numero più ampio di intermediari ed a considerare il problema anche in termini consolidati.

1.3.3. La struttura del Nuovo Accordo.

Il nuovo accordo di Basilea si basa su tre pilastri chiave:

• Requisiti patrimoniali minimi obbligatori

• Controllo prudenziale

• Disciplina di mercato

Il Comitato ritiene infatti che il miglioramento dello schema di adeguatezza patrimoniale possa recare importanti benefici sia elaborando una regolamentazione che ricomprenda non solo i requisiti patrimoniali minimi, ma anche il controllo prudenziale e la disciplina di mercato, sia accrescendo significativamente la sensibilità al rischio dei coefficienti patrimoniali minimi.

Il nuovo schema è infatti volto a conferire maggiore rilevanza alla gestione del rischio ed a promuovere il potenziamento di tale struttura di valutazione all’interno della banca; tale risultato può essere raggiunto solo se si prevede una maggiore interrelazione tra l’istituto di credito e l’Autorità di vigilanza ed una maggiore trasparenza nei confronti del mercato. Questo è dunque il legame logico tra i tre pilastri base dell’Accordo: i requisiti minimi di capitale aumentano l’importanza della gestione del rischio da parte della banca, il controllo prudenziale aumenta la collaborazione tra istituto bancario ed Autorità di vigilanza e la nuova disciplina di mercato fa sì che tutti possano conoscere tali nuovi requisiti.

Andiamo adesso a vedere rapidamente i contenuti del secondo e terzo pilastro,

per soffermarci poi più a lungo sul primo pilastro, attinente i nuovi requisiti

patrimoniali.

(20)

1.4. Il Controllo prudenziale.

Il secondo pilastro promuove la collaborazione attiva tra le banche e le Autorità di vigilanza chiamate ad esprimere un giudizio sull’adeguatezza del controllo dei rischi messo a punto.

Banca d’Italia, Autorità di vigilanza preposta per l’Italia, verifica la compatibilità dei metodi adottati dalle singole banche, del rispetto dei vincoli organizzativi e delle procedure di gestione del risparmio previsti dal Comitato di Basilea. Il secondo pilastro porta ad accrescere i poteri ispettivi e discrezionali delle singole Autorità di vigilanza, affiancando ai requisiti minimi, verificabili attraverso un semplice calcolo algebrico, un insieme di vincoli operativi ed organizzativi che la banca dovrà porre in essere e che saranno analizzati nella loro congruità e nel rispetto di quanto previsto dall’Accordo.

Il Nuovo Accordo muove da un presupposto chiave e cioè il fatto che la copertura dei rischi di una banca possa essere tanto più efficace quanto più solidi sono i suoi strumenti interni di controllo, in modo che la banca possa valutare appieno l’adeguatezza patrimoniale in base all’ammontare dei rischi assunti, e quanto più le Autorità di vigilanza siano in grado di verificare tali valutazioni e di assumere opportune azioni correttive.

1.5. La disciplina di mercato.

Il terzo pilastro prende in considerazione la disciplina del mercato, definendo i contenuti e le modalità di comunicazione delle banche in base ai rischi assunti ed ai metodi usati nella loro misurazione, valutazione e gestione. Il pubblico degli investitori ha infatti un interesse forte ed immediato a quantificare l’ammontare dei rischi insiti nel bilancio di una banca, è dunque necessario che i gruppi creditizi forniscano informazioni tempestive e dettagliate al mercato in modo che esso possa effettivamente valutare la rischiosità del proprio investimento.

La disciplina di mercato mira a fornire al mercato tutte le informazioni necessarie

per “sanzionare” le banche che dispongano di una dotazione patrimoniale

(21)

insufficiente o di un complesso di procedure inadeguate a fronteggiare i rischi posti in essere. A tal fine obbliga le banche a rendere pubbliche alcune informazioni fondamentali di carattere quantitativo e qualitativo. Per evitare che il mercato venga sopraffatto da informazioni inutili il Comitato individua alcune informazioni rilevanti

27

e fornisce un elenco dei principali dati da rendere pubblici. Le segnalazioni hanno di norma cadenza semestrale. Vengono escluse dall’obbligo di trasparenza le informazioni esclusive e confidenziali.

Sia il controllo prudenziale che la disciplina di mercato sono regolatori di un rapporto che scaturisce tra la banca ed altri soggetti, Autorità di vigilanza da un lato e il mercato dall’altro; vengono quindi imposti tramite l’Accordo di Basilea degli obblighi agli istituti di credito volti a disciplinare questi rapporti.

È probabile che nel tempo anche la vigilanza sarà sottoposta ad un processo di specializzazione e di divisione dei compiti che sta caratterizzando oggi l’intero sistema finanziario. Alle Autorità centrali verrà sempre più richiesto di vigilare sui rischi sistemici per prevenire crisi generalizzate, per il governo dello sviluppo del sistema economico e per evitare pericolosi “contagi” tra le diverse fonti e natura delle crisi.

Il secondo ed il terzo pilastro assumeranno quindi un’importanza futura crescente essendo legati ad un processo di vigilanza che sta evolvendosi: da un lato sulle diverse aree di rischio saranno necessari controlli sempre più “personalizzati” e pervasivi, dall’altro, per le grandi banche quotate, il controllo svolto capillarmente e quotidianamente dal mercato diverrà sempre più incisivo.

Considerando però in via prioritaria il rapporto banca-impresa è forse opportuno concentrare l’attenzione sul primo pilastro, riguardante i requisiti patrimoniali minimi, che va anch’esso a disciplinare l’attività bancaria, ma di riflesso impone degli adeguamenti anche all’impresa. Il primo pilastro appare rilevante per i suoi riflessi sull’operatività del sistema bancario.

27 Sono ritenute rilevanti quelle informazioni tali che la loro omissione od errata indicazione potrebbe modificare od influenzare il giudizio o le decisioni di chi su di esse fa affidamento. Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo regolamento, giugno 2004.

(22)

1.6. I requisiti patrimoniali minimi.

Il primo pilastro riguarda i requisiti patrimoniali. È su questo punto che viene principalmente focalizzata l’attenzione per una serie di motivi: è il punto che ha avuto una trattazione ed è la disciplina che più influenza il rapporto con l’impresa, inoltre le regole qui considerate vanno ad influenzare anche gli altri due pilastri.

L’attenzione è posta sul patrimonio di vigilanza

28

o capitale di vigilanza, cioè il

“cuscinetto”di sicurezza a tutela dei creditori della banca dagli effetti di perdite dovute ad eventi rischiosi. Basilea 1 considerava che il rapporto tra il capitale di vigilanza e l’ammontare dell’attività ponderate per il rischio, secondo la griglia di ponderazione prevista, non doveva essere inferiore all’8%. La logica sottostante prevede che la banca vada ad accantonare un certo ammontare di capitale in grado di fronteggiare le eventuali perdite, e quindi garantire gli investimenti dei depositanti, legati ad attività rischiose.

Il Total capital ratio veniva dunque così calcolato:

TOTAL CAPITAL RATIO= Capitale di vigilanza >=8%

Tot. Attività ponderate per il rischio

Basilea 2 non modifica questo indice ma apporta delle correzioni al denominatore. Rimane invariato sia il capitale di vigilanza che il valore dell’indice, ma le attività rischiose vengono sensibilizzate maggiormente alla componente di rischio che esse incorporano.

Vengono considerati tre tipologie di rischio:

28 Il patrimonio di vigilanza è costituito dal patrimonio di base e dal patrimonio supplementare. Nel primo confluiscono il capitale versato, il sovrapprezzo di emissione, le riserva ed i fondi rischi bancari generali come elementi positivi, il capitale sottoscritto non versato, le azioni proprie, l’avviamento, le altre immobilizzazioni e le perdite d’esercizio come elementi negativi. Il patrimonio supplementare comprende tra gli elementi positivi i fondi rischi su crediti, i prestiti subordinati, le riserve di rivalutazione e gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, tra quelli negativi le minusvalenze nette su titoli.

(23)

• Rischio di credito: è il rischio di perdite future su un credito per insolvenza del debitore, rischio di non esposizione o del deterioramento della “qualità” del debitore.

• Rischio di mercato: è il rischio di perdite originate da variazioni sfavorevoli di alcuni valori finanziari (tassi d’interesse, di cambio, corsi obbligazionari, ecc.).

• Rischio operativo: è il rischio di perdite derivanti da errori umani, problemi tecnici o di procedura, comune comportamento dei debitori od eventi di mercato.

La nuova formula per il calcolo del patrimonio di vigilanza può essere dunque così esemplificata:

Patrimonio di vigilanza>= Patrimonio a copertura del rischio di mercato +Patrimonio a copertura del rischio operativo+0,08*Attivo ponderato per il

rischio di credito

Basilea 2 incorpora tutte queste componenti di rischio in un unico risultato qualitativo che è il rating. Il rating è un giudizio sulla capacità attuale e futura del debitore di far fronte ai propri impegni finanziari

29

. Questo parametro consente di meglio qualificare il rischio della controparte e di prevedere, in base al valore da esso assunto, dei tassi di ponderazione diversificati in relazione alle fasce di rating previste.

La storia del rating interni alle banche è diversa da quella dei rating ufficiali, anche se presenta una scala di giudizio conforme ed omogenea.

Il sistema interno di rating viene definito dallo stesso Comitato di Basilea come un insieme di elaborazioni che consente di pervenire, data l’informazione di rating, alla stima della perdita anticipata e del capitale economico ad essa associato.

29 Il rating si pone come un "insieme strutturato e documentabile di metodologie e processi organizzativi che permettono la classificazione su scala ordinale del merito di credito di un soggetto" e che quindi

"consentono la ripartizione della clientela in classi differenziate di rischiosità cui corrispondono diverse probabilità di insolvenza", definizione data dall'ABI.

(24)

Il rating offre dunque un fondato giudizio sulla probabilità che si verifichino situazioni d’insolvenza dell’affidato. Tale giudizio è:

a) quantitativo (rappresenta la probabilità che accada un evento, solitamente inteso come una inadempienza nell’assolvimento dei propri obblighi debitori),

b) rigoroso (individua, tra i molti eventi possibili, quello specifico che affligge le ragioni creditorie, distinguendolo dall’insieme di altri giudizi che possono essere formulati sul soggetto esaminato),

c) direttamente collegato ai fatti economicamente rilevanti per il creditore (anch’essi misurabili come il danno derivante dall’ inadempienza verificata),

d) oggettivo ed omogeneo (la discrezionalità dei giudizi e la possibilità che vengano avanzate visioni parziali od incomplete viene limitata notevolmente, si rende confrontabile il giudizio di diversi valutatori e si migliora il processo complessivo di assunzione del rischio).

Il rating è un giudizio che spiega il modo attraverso cui la banca percepisce, descrive e rappresenta il rischio, ne affronta la gestione e ne valuta le conseguenze. Si viene dunque a modificare il rapporto tra banca ed impresa e, più in generale, il modo della banca di stare sul mercato e di competere con gli altri intermediari finanziari. Per quanto attiene il rapporto con la clientela nel lungo periodo le banche saranno stimolate a proporre alle imprese clienti azioni che intervengano sulla propria struttura finanziaria allo scopo di riportare o mantenere il rischio sotto controllo. Lo strumento del rating, in tal senso, è sicuramente più affidabile, efficiente e rigoroso delle valutazioni del passato, con indubbi miglioramenti analitici ed operativi.

È prevedibile un rafforzamento dei legami tra le banche e le imprese di miglior

“standing”ed un reciproco coinvolgimento nello sviluppo di strategie finanziarie

concordate. Di conseguenza, nei rapporti con le imprese di miglior qualità

creditizia, saranno sempre meno ammessi comportamenti “opportunistici” da

parte dei finanziatori e sempre più i finanziatori stessi dovranno dimostrare le

proprie capacità distintive di fronte ai clienti, attraverso la proposta di servizi,

(25)

opportunità e soluzioni innovative. Si tratta di un processo che è inevitabilmente destinato ad interagire anche con le pressioni sulle aziende dal lato “reale”

dell’economia, obbligando le banche a “seguire”le proprie imprese clienti nelle loro esigenze di rafforzamento competitivo con la produzione di giudizi, opportunità e forme di finanziamento anch’esse evolute.

Il rating è calcolabile secondo diversi criteri e prende in considerazione vari parametri di valutazione. Nella realtà italiana saranno oggetto di valutazione il bilancio civilistico, il livello di capitalizzazione dell'impresa (ad esempio il ROE), la centrale dei rischi, i coefficienti andamentali, la redditività e la capacità di autofinanziamento (il ROI ed il cash flow operativo), l'indice di copertura degli interessi passivi, i parametri qualitativi, settoriali e strategici (scenario competitivo, principali concorrenti, previsioni sul settore di appartenenza), eventuali elementi pregiudizievoli e dati comportamentali (qualità del management, storia della società, reputazione degli azionisti).

Si viene dunque a configurare un sistema in cui è necessario qualificare il rating in maniera puntuale e precisa in quanto questo viene ad assumere un ruolo discriminante sia nella possibile concessione del finanziamento, sia nella determinazione del pricing, sia nell’individuare la quantità di capitale che la banca deve accantonare per fronteggiare i propri impegni, e dunque nell’ottica di tutelare il pubblico dei risparmiatori.

Per quanto riguarda l’approccio dei rating interni il Comitato di Basilea ha adottato un metodo graduale, cosiddetto spectrum approach, di riconoscimento dei modelli che permetta alle banche di procedere progressivamente nell’uso delle stime interne, fondando, quanto più possibile, i requisiti di capitale su tali stime e valutazioni.

In merito allo “spectrum approach” i sistemi interni di rating dovrebbero essere concepiti per banche che si trovano a diversi stadi dello sviluppo dei propri modelli:

• Primo stadio: la banca è in grado di dimostrare che il processo di

allocazione delle controparti alle diversi classi di rischio è fondato su

stime verificabili e robuste ed adeguatamente monitorate.

(26)

• Secondo stadio: la banca è in grado di misurare la probabilità di default delle controparti e dispone al suo interno di adeguate stime per quantificare le perdite in caso di inadempienza.

• Terzo stadio: la banca è in grado di generare una curva delle perdite anticipate puntuale per ciascuna controparte basata su modelli e dati interni.

• Obiettivo di lungo termine: riconoscimento a fini regolamentari anche del modello interno di portafoglio secondo metodologie integrate di credit risk management.

La banca potrebbe entrare in ciascuno dei differenti stadi e vedersi riconoscere uno standard di requisiti patrimoniali conseguente, inoltre potrebbe trovarsi in stadi differenti per diversi portafogli di clientela a seconda del livello di sviluppo raggiunto dai propri modelli.

Il giudizio di rating rappresenta sia il passaggio fondamentale per la valutazione del capitale a rischio di credito

30

, sia la base per il calcolo del pricing del credito, quindi per inserire nelle decisioni correnti quegli elementi di selezione che consentono la formazione di un portafoglio correttamente remunerato in base al rischio assunto.

1.7. Il rischio di credito.

Il rischio di credito assume tradizionalmente un ruolo rilevante; esso tocca all’incirca il 75% degli attivi bancari delle banche commerciali continentali e copre comunque quasi il 50% degli attivi delle banche d’affari di tradizione anglosassone, difficilmente scende sotto il 30% se si considerano anche gli impegni fuori bilancio. Si tratta di una componente di rischio in cui è difficile introdurre innovazioni tecniche per l’estrema varietà delle diverse forme contrattuali in uso, per i rapporti con la clientela sottostante, per i legami operativi, per i ricavi non finanziari che ne derivano, per i servizi accessori. Le

30 Il capitale dovrebbe infatti fungere da ammortizzatore per coprire le perdite inattese la cui probabilità di manifestazione è correlata al valore in termini di rating assunto dalla controparte.

(27)

tecniche valutative tradizionali inoltre hanno raggiunto grande spessore, hanno formato specialisti altamente professionali, hanno creato un mercato fortemente orientato al servizio personalizzato, alla consulenza, all’intreccio di comuni obiettivi tra banca ed impresa. Proprio in questo contesto le tecniche di credit risk management possono apportare un grande valore: esse consentono di formulare giudizi di rating che avvalorano un rapporto solido e rigoroso con la clientela.

Il rischio di credito può essere definito come “il rischio che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei confronti della quale esiste una esposizione generi una corrispondente variazione inattesa del valore della posizione creditoria”

31

. Per limitare l’impatto che il rischio di credito ha nei confronti della banca e, di riflesso, nei confronti dei depositanti, Basilea 2 introduce una normativa volta a misurare il rischio in maniera precisa attraverso la quantificazione del rating .

La determinazione del rating può avvenire in due modi: le banche più piccole potranno far riferimento ai rating esterni (approccio standard), quelle di più grandi dimensioni potranno creare un sistema di calcolo del rating interno (approccio di base, per le banche con scarsa esperienza di rating, ed approccio avanzato, per quelle con strumenti di controllo raffinati ed affidabili).

1.7.1. L’approccio standard.

Rispetto all’Accordo vigente il metodo standard stabilisce ponderazioni fisse di rischio, corrispondenti a ciascuna categoria prudenziale, e si avvale di valutazioni esterne del merito creditizio al fine di rafforzare la sensibilità al rischio.

L’approccio standard prevede che la banca utilizzi rating esterni emessi da istituzioni specializzate, che dovranno soddisfare una serie di requisiti fissati dall’Autorità di vigilanza

32

. Una banca inoltre non potrà volta volta ricorrere al rating più conveniente, ma dovrà attingere il rating sempre da un’unica fonte.

31 Resti A., Misurare e gestire il rischio di credito nelle banche: una guida metodologica, Fondo Interbancario di tutela dei Depositi, Roma, febbraio 2001.

32 I criteri di idoneità affinché un fornitore di rating sia riconosciuti come ECAI (External credit assessment institution) sono: l’obiettività, l’indipendenza, l’accessointernazionale e la trasparenza, la pubblicità delle informazioni, le risorse e la credibilità Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria,

(28)

Il metodo standard ricalca l’impianto dell’accordo del 1988 con le seguenti innovazioni: le ponderazioni dei crediti risultano differenti in relazione al profilo di rischiosità di ciascuna categoria di controparte, vengono determinati sei profili di rischiosità (da AAA fino a AA-, da A+ a A-, da BBB+ a BBB-, da BB a B-, inferiore a B e senza rating) e vengono ampliate le categorie di rischio (prima era presente una ponderazione pari a 0% per i governi, 20% per le banche e 100%

per le imprese).

Standard & Poor’s propone lo schema di rating indicato in tabella 1.b.

Alcune precisazioni sono necessarie per quanto riguarda le singole categorie, in particole per le banche ed il segmento retail . Le banche possono essere valutate in base al rating dell’istituto bancario che riceve il prestito od in base al paese d’origine. La scelta tra queste due opzioni spetta all’Autorità di vigilanza nazionale ed una volta decisa dovrà essere applicata a tutte le banche. Per quanto riguarda il segmento retail questo ricomprende tutti in prestiti , di importo inferiore ad un milione di euro, nei confronti di privati e piccole imprese, questi vengono ponderati al 75% perché si considera che un portafoglio diversificato e con posizioni di importo unitario modesto sia meno rischioso del medesimo portafoglio composto da crediti verso corporate, che viene infatti ponderato al 100%.

Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo regolamento, giugno 2004.

.

(29)

TABELLA 1.b.

da AAA

a AA-

da A+

a A- da BBB+

a BBB-

da BB+

a BB-

da B+

a B-

Inferiore a B-

Senza rating

33

Scaduti

34

Corporate 20% 50% 100% 150% 100% 150%

Stati sovrani 0% 20% 50%

100%

150% 100%

Banche 20% 50%

100%

150% 50%

Banche:

paese d’origine

20% 50% 100% 150% 100%

Retail(privati e PMI)

75% 150%

Mutui residenziali

35% 100%

Mutui commerciali

da 100% a 50% a scelta delle Autorità nazionali 150%

Fonte: Banca Intesa, Consorzio Camerale, Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Milano, Centrale dei bilanci, Una guida a Basilea 2, consulenza scientifica Andrea Resti, Università di Bergamo, settembre 2003.

Basilea 2 prevede un trattamento particolare di queste ponderazioni qualora siano presenti garanzie.

Nel caso in cui si abbiano garanzie personali

35

(valide se emesse da Stati, enti pubblici assimilati, banche ed altre istituzioni finanziarie vigilate o società

33 Si ricomprendono qui quelle esposizioni per cui risulta impossibile reperire un giudizio emesso da un’agenzia abilitata. La ponderazione assume allora valore pari al 100%, ricomprendendo il credito nella categoria di prestito alla clientela.

34 Si ricomprendono qui i crediti per cui si riscontra un ritardo nel pagamento superiore a 90gg. Essendo questa morosità sintomatica di una difficoltà del debitore questa categoria viene ponderata con un peso del 150%, in linea con le classi di rating più rischiose.

(30)

private con rating pari almeno ad A- e se redatte in una forma che ne renda certa l’efficacia legale) vale il principio della sostituzione, la ponderazione del garante, ove risulti meno rischiosa, si sostituisce a quella del garantito.

Le garanzie reali sono invece sottoposte a due differenti valutazioni: l’approccio semplice, che comporta la sostituzione del risk-weigh del debitore con quello dello strumento dato a garanzia, applicabile a contanti, oro, azioni ed obbligazioni qualificate, fondi comuni che investano in questi beni; e l’approccio integrale, che prevede che la parte di prestito coperta dalla garanzia non sia sottoposta a nessun tipo di ponderazione ed è applicato anche alle azioni quotate.

In quest’ultimo approccio l’ importo della copertura viene “aggiustato” ed è pari al valore corrente diminuito di certo haircut in funzione della volatilità della copertura medesima.

1.7.2. L’approccio dei rating interni.

La valutazione del rischio creditizio in base all’approccio dei rating interni rappresenta la vera innovazione di Basilea 2 , consentendo alle banche di avere una struttura di vigilanza più malleabile, così da riuscire a seguire le tendenze innovative del mercato creando strumenti ampi ed omogenei e cercando di responsabilizzare il singolo istituto di credito nella valutazione del merito creditizio. Il metodo IRB

36

si discosta in misura sostanziale da quello standard in quanto a fungere da input primari per il calcolo del rating e la valutazione del patrimonio sono le valutazioni delle determinanti chiave del rischio effettuate dalle banche al loro interno. Proprio perché il metodo si fonda su valutazioni interne delle banche sussiste un notevole potenziale per ottenere requisiti patrimoniali più sensibili al rischio. Il metodo IRB non consente alla banca di determinare autonomamente la totalità degli elementi necessari a calcolare i propri coefficienti patrimoniali, le ponderazioni di rischio e, di conseguenza, i

35 Vengono compresi nelle garanzie personali anche i derivati creditizi, contratti attraverso cui una parte,venditore di protezione, si obbliga, dietro il pagamento di un premio, nei confronti di un’altra, compratore di protezione, a fornirle ristoro nel caso di perdite su obbligazioni contratte da un soggetto terzo.

36Per IRB si intende: Internal ratings-based approach.

(31)

requisiti di capitale vengono ricavati dalla combinazione di input quantitativi forniti dalle banche e di formule

37

indicate dal Comitato. L’approccio dei rating interni si suddivide a sua volta in approccio di base ed in approccio avanzato.

Entrambi gli approcci si basano su dei requisiti comuni, la banca infatti, nel creare internamente il proprio rating, deve considerare alcune componenti fondamentali del rischio di credito:

• il rischio di insolvenza, cioè il pericolo che il debitore risulti incapace od indisponibile ad onorare i propri impegni, misurato con la probability at default,

• il rischio di recupero, cioè l’incertezza riguardo all’ammontare che verrà effettivamente recuperato dalla banca al termine del contenzioso legato alla possibilità che il tasso di recupero connesso alle posizioni di controparti divenute insolventi si riveli inferiore a quanto originariamente stimato dalla banca, misurato attraverso la loss given default,

• il rischio di esposizione, cioè l’incertezza riguardo all’effettivo ammontare al momento dell’insolvenza, misurato con l’exposure at default,

• il rischio di migrazione o di retrocessione, cioè il pericolo che un credito che viene oggi valutato in un modo subisca in futuro un deterioramento.

Questo rischio è tanto maggiore quanto più lunga è la vita residua del prestito, ovvero la maturity.

Questo ammontare di rischio di credito così calcolato deve poi essere ponderato in base al coefficiente di rischiosità individuato per la controparte in questione ed aggiustato per il grado di diversificazione del portafoglio.

La banca deve quindi andare a calcolare quattro variabili fondamentali che compongono il rischio di credito: la probability at default (PD), la loss given default (LGD), l’exposure at default (EAD) e la maturity.

Le grandezze precedentemente elencate vengono calcolate dalla banca ovvero da altri soggetti esterni a seconda che venga adottato l’approccio di base o l’approccio avanzato.

37 Le formule o funzioni di ponderazione del rischio convertono l’input di una banca in uno specifico requisito patrimoniale. Sono basate su moderne tecniche di gestione del rischio che implicano una valutazione statistica della rischiosità.

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