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Alla luce di quanto approfondito finora, è senz‟altro innegabile la problematicità dell‟argomento trattato, problematicità che, del resto, si sviluppa su più dimensioni.

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CONCLUSIONI

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Analisi critica di fattibilità: i vantaggi e gli svantaggi potenziali di un allargamento dell´Ue verso il Medio Oriente

Alla luce di quanto approfondito finora, è senz‟altro innegabile la problematicità dell‟argomento trattato, problematicità che, del resto, si sviluppa su più dimensioni.

L‟analisi empirica ci conferma che l‟integrazione della Turchia nel sistema-Europa ha molte più ombre del previsto, che interessano e complicano trasversalmente i vari aspetti del negoziato.

Soffrendo forse l‟influenza del loro retaggio storico, la Turchia e i Paesi europei si alternano nel guardarsi talora con reciproco sospetto, talora con fiduciose speranze. Purtroppo preconcetti di lunga data contribuiscono ad infondere un generale clima di sfiducia, soprattutto oggi che le ombre del terrorismo islamico mantengono l‟Occidente ancorato ad un innato istinto di autoconservazione, che lo spinge a guardarsi bene da aperture troppo incondizionate a Est.

La religione, poi, sembra ai più il fattore maggiormente pregiudicante l‟ingresso della Turchia: questa, in effetti, sarebbe il primo e l‟unico Paese non cristiano ad entrare nell‟Ue.

Già l‟eliminazione dal Trattato di Lisbona della dicitura che fondava l‟Europa su comuni radici “religiose”, oltre che sociali e culturali, ha costituito un importante caposaldo antidiscriminatorio. Evidentemente ciò non è stato sufficiente a spogliare il discorso della Turchia in Europa da remore storico-religiose, che a tratti continuano ad influenzare finanche le leadership politiche europee, oltre che l‟opinione pubblica.

Mi è capitato, a tal proposito, di leggere un volume di uno studioso autorevole che,

dopo aver proposto un approccio scientifico e privo di pregiudizi alla questione, ha concluso

la sua analisi con un appello alla “luce della Verità” e a «Colei che […] è ancora venerata con

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il titolo di Auxilium Christianorum»

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. Nello stesso saggio l‟autore arriva finanche a paventare il rischio di “islamizzazione strisciante”: questa, infatti, dopo esser stata protagonista della vita politica turca degli ultimi anni, porterebbe realisticamente arrivare a dilagare, sebbene con iniziale discrezione, anche in Europa, facendo leva sulla forte concentrazione di immigrati musulmani.

Ora, è sotto gli occhi di tutti che simili ipotesi, oltre ad avere sfumature lievemente xenofobe, non costituiscono argomentazioni oggettivamente credibili, né il tanto conclamato approccio scientifico necessario a stabilire l‟opportunità o meno di un ingresso della Turchia in Europa.

Allo stato attuale, le questioni che realmente costituiscono un ostacolo critico sono essenzialmente la questione di Cipro e il rispetto dei criteri politici di Copenhagen.

La questione di Cipro, con molta probabilità, resterà un problema irrisolto per lungo tempo. Dato che l‟Ue ha accolto Cipro tra i suoi membri, la contesa turco-cipriota ha assunto connotati ancora più complessi, poiché adesso i due Paesi e l‟Ue stessa si trovano in una situazione decisamente contraddittoria. Sia Ue che Turchia si devono, infatti, dividere tra due priorità, contrastanti ma per loro ugualmente importanti: l‟Ue è quasi costretta a scegliere tra l‟allargamento a est, di importanza strategica per tutte le ragioni che abbiamo analizzato, e la tutela dello spazio vitale di uno dei suoi Membri. La Turchia, d‟altro canto, si trova a dover scegliere tra la protezione di una porzione del suo territorio e della sua sovranità e la membership europea, che rappresenta sì un interesse di vecchia data, ma al quale

recentemente essa sta trovando dei surrogati di tutto rispetto, rivolgendosi a Est.

Cipro, invece, trovandosi ad essere l‟ultimo Stato europeo con una capitale divisa in due ed una popolazione per buona parte “rifugiata”, non può fare altro che mantenere sempre alta l‟attenzione internazionale su di sé. E‟ Cipro, infatti, la ragione per la quale la maggior

154 De Mattei R., Op. cit., p.123.

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parte dei capitoli del negoziato europeo è ancora chiusa e lo rimarrà ancora chissà per quanto se la situazione dovesse permanere inalterata, ad una fase di stallo.

Su tutte le altre questioni di cui si è parlato nel presente studio, è facile notare che una soluzione di compromesso sarebbe facilmente raggiungibile in pochi anni. L‟adeguamento economico-finanziario, quello politico relativo ai criteri di Copenhagen, l‟adozione di riforme e misure che tutelino i diritti umani e le minoranze: abbiamo visto come questi settori siano stati interessati in un lasso di tempo piuttosto breve da riforme di straordinaria portata, senza precedenti nella passata storia politica turca.

Cipro, d‟altra parte, rappresenta per la Turchia una presa di posizione a tutti gli effetti, sulla quale difficilmente, allo stato attuale delle cose, si troverà una soluzione d‟intesa a breve termine.

Il partito AKP al governo in Turchia ha cercato poi, durante i suoi due mandati, di mettere a segno traguardi del tutto rivoluzionari rispetto al passato politico post-golpista. Le difficoltà che anche qui si incontrano sono notevoli: l‟AKP lotta con una buona fetta della società turca ancora saldamente legata ai vecchi stereotipi politici, fiduciosa nella classe politica militare e fortemente scettica circa l‟ “utilità” della membership europea.

L‟adesione all‟Ue, d‟altro canto, è vista troppo spesso come un mezzo per scongiurare rischi diversi in politica interna: per gli islamici rappresenta uno scudo contro lo strapotere dei militari, che andrebbe necessariamente ridimensionato per incontrare le richieste europee. Per i militari sarebbe altrettanto utile, al fine di arginare quell‟islamizzazione della società, da molti temuta anche in Europa.

La verità è che forse l‟Europa in sé, come entità politica pluralistica, suscita ancora

troppo poco entusiasmo nella società turca. E‟ necessario che l‟adesione cominci ad essere

percepita come un traguardo che, oltre a richiedere sacrifici, arrecherà benefici, rendendo

perciò auspicabili le riforme impegnative che l‟Europa esige.

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Ma quali sarebbero a tal proposito, sia per l‟Ue che per la Turchia, i vantaggi e gli svantaggi potenziali di questo allargamento?

L‟Ue guadagnerebbe sicuramente un partner affidabile in una zona storicamente critica, fulcro di gravi instabilità internazionali. La Turchia è, infatti, un caso unico al mondo:

uno Stato islamico ma “democratico” (o almeno che prova ad esserlo), che segue un approccio politico laico ma che tuttavia riesce a dialogare efficacemente con Paesi islamici come Iran e Iraq ma anche con Israele. La Turchia, insomma, detiene un potenziale di negoziato notevole in tutto il Medio Oriente, che gioverebbe senz‟altro all‟Ue nel rafforzamento del suo ruolo di potenza pluralistica e mediatrice di conflitti.

Oltre ai vantaggi politici e geostrategici, poi, per l‟Europa si mettono anche in conto significativi vantaggi economici; in particolare se si pensa alla grande mole di forza lavoro turca, giovane e che è recentemente in via di specializzazione anche nei settori industriali. La Turchia è, poi, il primo Paese terzo da cui l‟Europa importa in maggior quantità: i vantaggi economici di un ingresso andrebbero a sommarsi, così, a quelli dell‟unione doganale già formalmente introdotta dall‟Accordo di Associazione del „63.

Per la Turchia, d‟altro canto, i vantaggi riguarderebbero, nell‟immediato, una crescita del prestigio politico internazionale (un fine da sempre perseguito guardando a occidente sin dall‟avvento di Atatürk) e una significativa distensione in politica interna; dopo un certo periodo di “assestamento” arriveranno senz‟altro anche i vantaggi economici e di stabilità finanziaria.

L‟Ue rappresenterebbe, infatti, non soltanto l‟occasione per estendere il potenziale

diplomatico sullo scenario internazionale ma, soprattutto, in prima battuta, la Turchia

trarrebbe i benefici più importanti in termini di stabilità interna: attraverso il riequilibrio delle

forze politiche e il ridimensionamento del potere dei militari, imposto dai criteri politici

europei, il governo turco si troverebbe finalmente nelle condizioni di poter governare senza

interferenze.

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Alla “modernizzazione” in campo politico, poi, si accompagnerebbe una conseguente modernizzazione nei settori economico e finanziario, poiché un Paese democratico, che lotti efficacemente contro la corruzione e gli abusi di potere e il cui sistema giudiziario risulti credibile e allineato agli standard internazionali, infonde senza dubbio un maggiore senso di fiducia e sicurezza anche agli attori esterni, politici ed economici, che si relazionano con esso.

Per quanto riguarda gli svantaggi, invece, per l‟Europa quelli di maggiore ed immediato impatto sarebbero rappresentati dalla cosiddetta “bomba demografica”, che investirebbe contemporaneamente diversi settori della vita politica ed economica europea.

Critico sarebbe, infatti, l‟adeguamento istituzionale europeo al nuovo ingresso, a fronte della problematica rappresentanza del nuovo Stato, che diventerebbe il più popoloso dell‟Unione.

Un‟altra criticità si rivelerebbe, inoltre, anche in termini di politica economica, soprattutto in relazione alla PAC e ai fondi strutturali, che verrebbero in gran parte dirottati verso la Turchia. L‟instabilità si manifesterebbe anche in termini di politiche del lavoro (data dall‟enorme mole di forza lavoro turca che affluirebbe in massa nei Paesi europei), di controllo e lotta alla criminalità organizzata, non dimenticando che i nuovi confini dell‟Ue, con il nuovo ingresso, toccherebbero a Est direttamente le frontiere dei Paesi del Medio Oriente, ponendo l‟Europa di fronte ad un confronto diretto con le fortissime crisi dell‟area.

Infine, un riferimento va fatto alle politiche economico-finanziarie: i recenti sviluppi, in seguito alla crisi greca circa, rendono infatti necessario un nuovo patto di stabilità in Europa che imponga la ridefinizione di nuovi criteri finanziari e monetari a tutti i Membri dell‟Ue, al fine di assicurare uno scudo contro nuove crisi internazionali e la stabilità del valore dell‟euro. Tutto ciò inserisce la Turchia come anello critico di questo equilibrio, poiché il suo ingresso comporterebbe senza dubbio l‟introduzione di un nuovo elemento di destabilizzazione monetaria in un periodo in cui la questione sembra già alquanto critica.

Per quanto riguarda i contraccolpi negativi in Turchia, infine, il problema maggiore

sarebbe sicuramente la forte sperequazione economica e sociale che già sussiste nel Paese e

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che un‟adesione all‟Ue accentuerebbe senza dubbio: i Turchi occidentali, infatti, sono già quasi totalmente integrati rispetto ad un tipo di società europeo; i Turchi dell‟Est sono invece del tutto più vicini, sia come cultura che come stile e tenore di vita, alle popolazioni arabe e asiatiche

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e pertanto si troverebbero stretti in una morsa di obblighi di modernizzazione economica e politica a cui non sono ancora del tutto pronti, perché il loro stesso Stato non ha finora provveduto ad integrarli pienamente.

In definitiva possiamo comunque affermare che, se allo stato attuale, sebbene l‟ingresso della Turchia nell‟Ue appaia ancora prematuro, e forse non del tutto auspicabile per diverse ragioni, ciò non implica che debba essere categoricamente scongiurato per il futuro. I vantaggi potenziali di questa adesione li abbiamo visti e sarebbero senz‟altro tangibili e significativi per entrambe le parti. Ciò che preme adesso è senza dubbio negoziare con gradualismo e forte spirito di collaborazione e reciproca fiducia.

Si rende necessario, inoltre, un dialogo europeo che coinvolga le società in primis e non rimanga chiuso nelle aule dei Consigli europei. Il processo, in sostanza, dovrebbe proseguire con un dialogo concertato su diversi livelli; esso non dovrebbe essere imposto dall‟alto, anche perché – lo abbiamo visto con riferimento alla stessa storia della nascita della Repubblica turca – un‟integrazione imposta dall‟alto non porterebbe che nuove diseguaglianze, disequilibri e anche un pesante senso di disadattamento ed estraneità rispetto alla propria classe politica.

155 Significativo il caso di Antakya o Hatay, al confine con la Siria, dove la gente parla arabo, e la vecchia generazione non conosce neppure il turco; la città, infatti, prima siriana, fu annessa alla Repubblica Turca per volere di Atatürk nel 1938.

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