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1. L'Inghilterra al tempo di Shakespeare:

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Academic year: 2021

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Premessa

Il giorno 15 gennaio 1559 Elisabetta Tudor salì al trono come Regina di Inghilterra e d'Irlanda, e tale incoronazione portò la sovrana ad acquisire un ruolo che aveva causato tensioni politiche e religiose sin dalla morte del padre, Re Enrico VIII.

Nata dal matrimonio di Enrico con Anna Bolena, Elisabetta risultò alla nascita unica erede presunta alla successione, poiché Maria venne dichiarata illegittima in seguito all'annullamento del matrimonio tra il sovrano e la prima consorte, Caterina d'Aragona.

La sorte di Anna Bolena fu segnata da accuse di tradimento e stregoneria con conseguenti ripudio, prigionia nella Torre di Londra e decapitazione nella primavera del 1536. Il sovrano poté così sposare la nuova compagna, Jane Seymour, unica tra le sei mogli ad avergli dato un figlio maschio, Edoardo.

In questo susseguirsi di eventi, anche Elisabetta risultò illegittima perdendo il titolo di erede al trono, e fu educata lontana dalla corte con la sorellastra Maria;

entrambe furono poi riavvicinate dal padre grazie all'intervento dell'ultima moglie, Catherine Parr, e, in base all'Atto di Successione sancito dal Parlamento nel 1544, ottennero nuovamente il diritto di ascesa al trono. Tuttavia, essendo esse ritenute illegittime, il decreto stabiliva che la priorità assoluta spettasse all'erede maschio, Edoardo, e riconosceva, inoltre, la piena e assoluta facoltà di decisione del re, confermando così a Enrico il diritto di determinare in totale libertà l'ulteriore successione al trono.

Morto Enrico VIII nel 1547, il figlio ereditò la corona prendendo il nome di Edoardo VI; aveva soltanto nove anni, e questo gli impedì di esercitare il potere effettivo. I sedici esecutori che formavano il Consiglio di Reggenza scelsero così il Duca Edward Seymour, zio del sovrano, come Lord Protettore del Regno. In base alla volontà di Enrico VIII e al sopracitato Atto di Successione, in mancanza di un discendente diretto, ad Edoardo sarebbe succeduta la sorellastra Maria; se anche quest'ultima non avesse avuto figli, la corona sarebbe passata ad Elisabetta e, in assenza di suoi eredi diretti, sarebbe spettata a quelli della sorella defunta di Enrico,

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Maria Tudor.

Tuttavia, in punto di morte all'età di sedici anni, costretto a designare un successore al trono, Edoardo contraddisse le disposizioni del padre ordinando che sia Maria sia Elisabetta venissero escluse in quanto illegittime, così come la figlia di Maria Tudor; egli designò invece Lady Jane Grey1 , che alla sua morte fu dichiarata regina. Nessuna norma però prevedeva, come nel caso di Enrico VIII, che anche Edoardo potesse scegliere liberamente l'erede al trono. Appellandosi a tale vizio legale, Maria fece deporre e condannare a morte Lady Jane Grey, disponendo la propria incoronazione. Al momento della sua morte, l'assenza di discendenti permise ad Elisabetta di salire al trono di Inghilterra.

Elisabetta I fu degna erede del padre, e governò per un lungo periodo attuando una politica di pieno sostegno alla Chiesa d'Inghilterra. Infatti la religione fu uno dei principali interessi e preoccupazioni per la sovrana, e da questo ambito provennero le maggiori difficoltà che dovette affrontare. Poté contare sul sostegno costante di William Cecil2, da lei designato Primo Consigliere.

Alcune delle maggiori riforme compiute da Elisabetta riguardarono l'approvazione dell' “Atto di Supremazia” e “Atto di Uniformità”, entrambi del 1559;

quest'ultimo prevedeva la promulgazione e la divulgazione del Book of Common Prayer3 come testo ufficiale e guida spirituale per i servizi religiosi4. Con tali Atti, la regina assunse il titolo di “Supremo Governatore della Chiesa d'Inghilterra”, abolendo a tutti gli effetti il controllo papale sulla Chiesa stessa; cercò di realizzare

1 Lady Jane Grey fu regina del regno d'Inghilterra e d'Irlanda per soli nove giorni. Nipote di Maria Tudor e pronipote di Enrico VIII, era quarta nella linea di successione al trono.

2 William Cecil (Bourne 1520- Londra 1598) fu impiegato inizialmente nell'amministrazione delle proprietà terriere dell'allora principessa Elisabetta, la quale, una volta salita al trono, lo nominò Segretario di Stato, divenendo uno dei più importanti ministri del suo regno. L'obiettivo di Cecil era promuovere un'attività politica volta all'unificazione delle Isole britanniche sotto l'unica fede Protestante, obiettivo da raggiungere con la conquista dell'Irlanda e la creazione di un'alleanza anglo-scozzese. Egli mantenne un certo distacco dai provvedimenti religiosi repressivi presi da Elisabetta I, sebbene fosse sua l’influenza decisiva nell'esecuzione di Maria di Scozia, in cui dimostrò la sua grande fedeltà alla Regina. Alla morte gli successe il figlio, Robert Cecil.

3 Il testo si proponeva la sintesi tra la tradizione cattolica e quella protestante; esprimeva una garanzia di tolleranza religiosa attraverso l'uniformità tra la confessione ufficiale, quella anglicana, e le altre fedi praticate in Inghilterra.

4 Il Book Of Common Prayer fu frutto di una delle più grandi riforme liturgiche del XVI secolo, paragonabile solo a quella attuata delle chiese Luterane più fedeli alle origini in Germania, e a quella della Chiesa cattolica con il Concilio di Trento. Era un'autentica guida al culto per fedeli, ambiva ad essere unica e autorevole e doveva sostituire, in volgare, una lunga serie di riti latini precedenti la Riforma e spesso diffusi solo a livello locale. La definizione stessa di Common Prayer implicava una concezione pubblica e comunitaria del culto.

Il Book of Common Prayer si distinse per il suo rifiuto di espressioni o immagini atte a suscitare atteggiamenti religiosi emotivi, condizionati dai sentimenti del credente.

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un equilibrio religioso tale da rafforzare l'autorità dello stato e porre un freno all'insubordinazione sociale e politica dei puritani.

Il consolidamento dei poteri secolare e temporale ad opera della Supremazia Regale, però, innescò diversi conflitti politici e religiosi durante il regno di Elisabetta e nei decenni successivi. Inoltre, le difficoltà a cui era soggetto il paese a causa delle tensioni con la Spagna, di quelle interne5 e della situazione economica, fornirono ai nobili le giustificazioni per opporsi alla corona. Alcuni di essi divennero capi o ideatori di cospirazioni contro di essa ed il suo simbolo più esposto, la regina in persona. Anche il tessuto sociale era tale da favorire l’instabilità: gli appartenenti ai ceti popolari, che non avrebbero mai osato ribellarsi da soli contro il sistema politico- istituzionale, si sentirono affiancati dai potenti e, quindi, in grado di agire. Sfruttando tali tensioni, cattolici e spagnoli speravano di poter conseguire i propri obiettivi con le congiure e con gli intrighi.

L’eredità politica di Enrico VIII dunque condizionò pesantemente l’epoca successiva, durante la quale le lacerazioni interne alla società assunsero contemporaneamente la forma tradizionale del conflitto politico tra élites locali e governo centrale, e quella del conflitto religioso tra fedeli di credi diversi. Per quanto riguarda gli assetti economici e sociali, l'intervento dei Tudor sui possedimenti ecclesiastici fu pesante: la Corona, sin dalla prima metà del XVI secolo, aveva incamerato proprietà della Chiesa che ammontavano ad un quarto della superficie del paese, per poi rivenderle al fine di pagare le spese per il potenziamento dell’apparato statale e militare. Inoltre le tensioni locali aumentarono vistosamente, specialmente nelle campagne, a causa del forte squilibrio provocato dall’affermarsi del modello sociale tripartito definito dalla triade proprietari, fittavoli ricchi e braccianti senza terra.

Beneficiaria di tale assetto fu la gentry, i cui membri, cresciuti esponenzialmente, concentrarono nelle proprie mani potere, influenza e proprietà.

Lo spostamento della ricchezza fondiaria dalla Chiesa alla Corona e la sua successiva ripartizione determinarono così un forte cambiamento dell'equilibrio

5 I malumori principali erano causati dall'omissione da parte della regina della nomina di un erede al trono, in quanto non coniugata e senza figli; Elisabetta I non avrebbe mai designato un successore in quanto certa che ciò avrebbe provocato ulteriori conflitti interni e creato nemici della Monarchia. Altra rilevante questione correlata alle vicende religiose inglesi riguardava la lotta contro i ribelli scozzesi ed irlandesi, di cui era capo temuto Shane O'Neill; essi fronteggiavano il potere della Regina, considerata da loro illegittima.

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sociale preesistente.

I contraccolpi di questo processo rafforzarono i nemici della Corona, che li sfruttarono quale pretesto per ordire complotti contro di essa; i più pericolosi si rivelarono la Scozia, governata da Maria Stuart e dal marito, il re di Francia Francesco II, i ribelli irlandesi6 e la cattolica Spagna7.

Durante il regno di Elisabetta I ebbe un ruolo centrale l’incremento delle attività commerciali, della cultura e dell’artigianato che, unitamente al progresso dell'istruzione, permisero l’avvio di un vigoroso processo di sviluppo .

La letteratura ed il teatro furono sostenuti dalla Corona sino a diventare simboli stessi di un'età in cui l'Inghilterra fu patria di artisti illustri, dai quali fu fondata e definita l'identità artistica nazionale.

Le decisioni politiche della sovrana ebbero una grande influenza sullo sviluppo dei tratti peculiari nuovi dell'arte a lei contemporanea. La loro affermazione si dovette anche al mutamento dei valori, che divennero più secolari. Infatti l'ideologia ufficiale, secondo la quale Chiesa e Nazione dovevano essere legate in uno Stato sovrano al servizio di Dio, era funzionale soprattutto agli interessi e alle aspettative del laicato8.

6 Il principale conflitto tra ribelli irlandesi ed Inghilterra prese il nome di Guerra dei Nove Anni, conosciuta anche come Rivolta dei Tyrone; combattuta tra le forze gaeliche dei capi irlandesi ed i loro alleati contro la regina Elisabetta I, la rivolta ebbe come teatro gran parte dell'isola, concentrandosi principalmente nell'Ulster nel suo sviluppo iniziale, e nella fascia meridionale irlandese nella sua conclusione. La Guerra dei Nove anni ebbe per causa immediata la collisione tra l'ambizione del capo gaelico O'Neill e la politica di espansione territoriale inglese per il controllo della zona nota come “The Pale”, dalla quale era possibile dominare l'intera isola.

7 Inghilterra e Spagna sono state protagoniste di numerosi e lunghi scontri, motivati da cause sia religiose che economiche. Il primo punto di collisione riguardava l'opposizione di Elisabetta I alla Chiesa Cattolica;

rendendo obbligatoria ai sudditi l'appartenenza alla Chiesa di Inghilterra, puniva coloro che frequentavano messe cattoliche. Inoltre, gli inglesi cercarono di sostenere la causa protestante nei Paesi Bassi, dove aumentava l'opposizione al governo della Spagna. Le attività dei corsari inglesi (considerati pirati dalla Spagna) lungo le coste dell'Atlantico, consentirono loro di depredare più volte i tesori spagnoli. Per tali ragioni, la Guerra Anglo-Spagnola si protrasse ad intermittenza tra il 1585 ed il 1604 con varie battaglie, la più rilevante delle quali fu la sconfitta dell'Invincibile Armata. Gli spagnoli ebbero il sostegno degli Irlandesi, che però venne meno con il Trattato di Pace del 1604, in base al quale la Spagna si impegnava a ritirare il suo sostegno ai ribelli, mentre l'Inghilterra faceva altrettanto con i protestanti olandesi.

8 Cfr. Sanders, A., Storia della letteratura inglese. Dalle origini al secolo XVIII, Sancasciano, Mondadori Università, 2001, Vol. 1.

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1. L'Inghilterra al tempo di Shakespeare:

i complotti contro Elisabetta I

Shakespeare visse tra il 1564 e il 1616; fu testimone di tutto il regno di Elisabetta I e di parte di quello di Giacomo I di Inghilterra. Le vicende della propria patria, i mutamenti interni che avvenivano al suo interno e le ripercussioni dei rapporti con gli stati esteri furono per lui esperienza diretta di vita e fonte di ispirazione per le sue opere. Il quadro storico a lui contemporaneo è caratterizzato da tendenze e dinamiche che non delineano solo la situazione inglese di quel momento, ma sono destinati a fondamentali proiezioni nel futuro.

Un aspetto importante nella storia del regno di Elisabetta I è lo sviluppo dell'economia e dei commerci, strettamente connesso alle mire espansionistiche oltremanica e alla conquista di colonie in America, che la regina concepiva come annessioni all'Inghilterra; le terre al di là dell'oceano la attraevano, suscitando in lei una volontà di conquista volta anche all'acquisizione di prodotti e materie prime.

Tra il 1570 e il 1580 l'Inghilterra iniziò a concepire un proprio impero in grado di rivaleggiare con quello spagnolo; geografi, cartografi e navigatori si impegnarono tenacemente per trovare nuove rotte che portassero alla scoperta di mondi inesplorati.

Il più temerario e abile dei navigatori inglesi fu Francis Drake, il quale solcò i mari del mondo depredando le ricchezze spagnole. Egli portava con sé gli acts and monuments (in una edizione impreziosita da tavole a colori), e si dichiarò profondamente offeso dal giudizio di Filippo II, che lo aveva definito un pirata; per lui, ogni attacco ai beni spagnoli era un attacco contro Roma, mentre ogni scoperta era un omaggio alla gloria della regina e di Dio.

Le Americhe, divenute il simbolo della conquista, promettevano ricchezze incommensurabili: una volta sbarcati, gli inglesi dovevano trovare manodopera per sfruttare le terre coltivabili ed imbarcare i prodotti destinati alla madrepatria. Le loro rivendicazioni si basavano sul presupposto che le terre del Nuovo Mondo erano occupabili perché non soggette ad alcun principe cristiano, ma essi vi trovarono popolazioni governate da capi tribù, le cui relazioni con i colonizzatori dovevano

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essere definite.

Gli obiettivi dei coloni erano la conquista di territori, la coltivazione delle terre, i commerci e la diffusione della religione cristiana; essi si sentivano in una condizione di superiorità, e sfruttavano i nativi atteggiandosi a “signori” detentori di autorità e potere.

Orientata da queste certezze, la politica espansionistica elisabettiana conobbe momenti di gloria che resero il popolo inglese, da quel momento fino ai secoli successivi, uno dei grandi colonizzatori della storia.

Tali tendenze in atto nella società furono ben percepite da Shakespeare. Ai suoi tempi, buona parte del mondo era stata già scoperta e si narravano storie di terre lontane, miti di cannibali che vivevano in isole remote e di città ideali. In The Tempest, Shakespeare compie una profonda riflessione sul tema delle scoperte e sulla moralità del colonialismo ricorrendo a diversi punti di vista, tra cui emergono quelli di Prospero e Calibano.

L'isola quasi inabitata sulla quale viene esiliato Prospero rappresenta la possibilità di approdo in mondi nuovi per chiunque lo desideri. Prospero l'ha trovata, ha considerato le caratteristiche geografiche che le sono proprie, ma l'ha individuata anche come luogo ideale in cui vivere con la figlia Miranda. Calibano diviene suo schiavo, e spesso si lamenta della propria condizione, ripensando ai momenti in cui era il solo e unico signore di se stesso.

Questi elementi chiariscono la situazione che si è delineata. L'isola di cui Prospero è padrone incontrastato non è come tante altre, poiché non è soggetta alle comuni leggi del destino, ma ogni suo elemento naturale è controllato da Prospero con l'uso delle arti magiche, grazie alle quali egli ottiene i risultati da lui desiderati.

L'antico padrone sconfitto e reso schiavo per aver rifiutato l'educazione impartita dal nuovo signore, l'uomo “rozzo”, indigeno, che si oppone alla civiltà, ai suoi costumi e alla sua etica, fa parte di una categoria umana inferiore che Prospero, esponente di una moralmente superiore, ha il diritto di soggiogare. Calibano, colpevole e innocente al contempo, è astuto e rozzo, è ingenuo e perfido a modo suo. Tale malvagità dipende dalla sua discendenza naturale da una condizione primitiva, che gli conferisce una componente di bestialità evidente, ma meno grave della violenza raffinata degli uomini civili verso i loro simili, impersonata dai nemici di Prospero.

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Shakespeare si serve di questi personaggi e della magia dell'isola per rappresentare l'atteggiamento degli inglesi una volta approdati sulle terre da conquistare: Prospero incarna colui che ne colonizza gli abitanti, mentre Calibano rispecchia i comportamenti dei colonizzati.

Lo sfondo in cui l'azione si proietta dunque non è un isola reale soggetta alle leggi civili europee, le cui caratteristiche erano ben note; il padrone dell'isola stessa, Prospero, è un mago che utilizza le pratiche occulte per le sue attività di governo, riversando gli effetti della magia sulla natura e sulla percezione che se ne ha. L'isola stessa è magica.

Le allusioni di Shakespeare alle pratiche esoteriche a cui ricorreva Prospero non erano, ancora una volta, casuali: la regina Elisabetta stessa era affascinata dalla filosofia dell'occulto, dall'esoterismo e dall'ermetismo. Riponeva così una grande fiducia in John Dee9, al quale si rivolgeva quando era in procinto di effettuare scelte importanti.

In un'epoca in cui il segreto degli intrighi e dei complotti aveva tanta parte nella vita pubblica e culturale, non è un caso che le dottrine ermetiche suscitassero un interesse così diffuso. L'ermetismo, nella sua accezione di pratica occulta, di filosofia destinata solo a ristrette cerchie di persone e accessibile a pochi, può essere considerato come un complemento intellettuale della politica clandestina, di cui 9 Dee fu un pensatore emblematico di questi anni dell'età elisabettiana. Figlio di un funzionario della corte di Enrico VIII, nacque alla vigilia della rottura con Roma. Alcune figure con cui ebbe rapporti durante la prima parte della vita appartenevano alla nobiltà più influente, in particolar modo i membri della famiglia Dudley, ferventi sostenitori della riforma religiosa. Era di origine gallese e si riteneva discendente di un antico principe britannico, dichiarandosi imparentato con i Tudor e dunque con la regina stessa. Muovendo da queste premesse, egli applicò i suoi studi matematici alla realtà fornendo consulenze e istruzioni a navigatori, artigiani e tecnici; scelse di porre i suoi studi al servizio di chi stava creando la potenza del suo paese e dell'espansione dell'Inghilterra elisabettiana. Il programma politico-religioso di Dee era incentrato sul destino imperiale della regina: questo non riguardava soltanto l'espansione nazionale, ma le implicazioni spirituali di una “tradizione imperiale” a cui era intrinseca una religione purificata da propagare col sostegno di una monarchia riformata.

La glorificazione della monarchia Tudor intesa come istituzione imperiale a carattere religioso, poggiava sulla riforma anglicana, che aveva eliminato il Papa e reso il monarca capo supremo sia della Chiesa sia dello Stato.

Dee fece tutto il possibile per sostenere questa concezione. I suoi orientamenti relativi al destino imperiale britannico sono esposti nel General and rare memorials pertayning to the perfect art of navigation del 1577, nel quale il potenziamento della flotta militare e la politica elisabettiana di espansione sui mari si collegavano all'obiettivo di grandi imprese non solo europee. Elisabetta I teneva molto conto dei consigli di John Dee, tanto che egli divenne suo uomo di fiducia sin dall'inizio del regno (pare che sia stato lui stesso ad organizzare il protocollo dell'incoronazione della sovrana), e suo consigliere in materia di affari pubblici, ma anche privati.

La vita di Dee subì un drastico mutamento dopo che ebbe lasciato l'Inghilterra per recarsi in Polonia e successivamente a Praga, dove entrò a far parte della corte di Rodolfo II; qui sviluppò il suo interesse per l'occulto, nato negli anni della sua giovinezza dalle letture dei maggiori scritti relativi all'argomento. Al suo ritorno in Inghilterra, fu ricevuto dalla regina, ma non tornò a ricoprire la posizione antecedente alla sua partenza; fu emarginato, costretto a vivere in povertà e, divenuto vittima di una caccia alle streghe, fu perseguitato ed imprigionato. John Dee morì nel 1608 e fu testimone di tutto il regno elisabettiano, alla cui crescita culturale e intellettuale contribuì in modo considerevole.

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riproduce anche la natura di aggregazione elitaria e segreta.

L'abilità di Shakespeare nell'utilizzare strategie letterarie per porre in risalto i problemi e le tendenze della sua epoca nelle rappresentazioni teatrali appare dunque anche ne La Tempesta. Egli portava sulla scena la vita, o meglio la problematica a lui contemporanea, senza soffermarsi sui loro termini concreti, ma concentrandosi sul messaggio che gli spettatori avrebbero potuto ricavare dai drammi alla fine dello spettacolo.

La cronaca degli eventi, talvolta, da oggetto principale diviene un “pretesto”

per ricostruire le vicissitudini e le personalità dei personaggi. I loro ruoli si mescolano con la trama, le storie si intrecciano non con le azioni dei protagonisti in sé, ma con la loro psicologia. Shakespeare utilizza molti monologhi non solo e non tanto per narrare gli eventi, quanto per far conoscere allo spettatore la mente del loro autore, i suoi princìpi e le sue paure, dotando così i drammi anche di un robusto aspetto psicologico.

L'arte dell'orazione, a cui Shakespeare fa ampio ricorso, è un punto nodale della sua strategia drammatica: egli attribuisce ai personaggi principali un'eloquenza che li sovrappone agli altri compagni di scena. Infatti solitamente il protagonista ha un carattere autorevole e, con il suo dominio della parola, riscuote i consensi di coloro che gli gravitano intorno: per questo motivo, il testo delle orazioni è costruito con estrema attenzione e risulta determinante ai fini dell'intreccio, di cui le vicende politiche sono parte integrante.

L'attenzione privilegiata che Shakespeare concede al tema della congiura conferma la sua conoscenza degli ambienti di corte e dei loro protagonisti. Infatti in Julius Caesar, Coriolanus, The Tempest e nelle opere della “Seconda Tetralogia”, appare spesso un elemento comune nonostante le differenze di ambientazione e di intreccio: più volte si allude, sia pure vagamente, alle continue cospirazioni che minacciavano il trono di Elisabetta.

Gli eventi reali che sollecitavano questa trasposizione della realtà in chiave letteraria erano numerosi.

Il territorio inglese era profondamente diviso: il sud dell'isola, protestante e sottoposto al diretto controllo di Elisabetta e dei suoi fedeli, appariva contrapposto alle regioni del nord, all'Irlanda, alla Scozia, spalleggiate dalle potenze estere a lei

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avverse: Francia, Spagna, Curia Romana. Le cause delle maggiori tensioni sono riconducibili alla gestione elisabettiana della vita religiosa e delle sue implicazioni, nonché al suo disinteresse per la nomina di un successore e ad alcuni fattori di natura economica. Infatti, a partire dalla fine degli anni '80, il clima divenne pesante in primo luogo perché la situazione economico-sociale non contribuiva alla stabilità del paese.

Il periodo antecedente al 1585 era stato contrassegnato da pace e benessere, la popolazione era cresciuta con ritmo incalzante tanto da trasformare Londra da città in metropoli10. Gli inglesi che gravitavano attorno alla capitale nell'intento di soddisfare i propri bisogni primari erano numerosi: crebbero così le bocche da sfamare, le opportunità, ma anche i pericoli.

Nelle campagne molti yeomen (affittuari, agricoltori o liberi proprietari) e membri della gentry (piccola nobiltà terriera) cominciarono ad utilizzare sistemi di coltivazione intensivi e ad incrementare la produzione in modo da destinarne il surplus ai mercati: per riuscirvi, essi inglobarono nelle loro tenute le terre comuni, sulle quali i loro vicini più poveri avevano fatto affidamento per ricavarne il necessario per vivere. Essi sfruttarono l'aumento demografico per aumentare la manodopera ed iniziarono una fase caratterizzata dalla costruzione di immobili sontuosi, simbolo della loro ricchezza. Gli yeomen e i membri della gentry detenevano, pertanto, la proprietà dei terreni più vasti, i quali venivano affittati a prezzi sempre più insostenibili. Tutto ciò determinava condizioni di grande precarietà per la popolazione, sia in città che in campagna.

Durante i primi trent'anni del regno di Elisabetta, ad eccezione del 1586, la produzione agricola era stata sufficiente a soddisfare la domanda interna. Ma, tra il 1594 e il 1597, le pessime condizioni climatiche dovute al freddo fuori stagione e alle piogge distrussero quattro raccolti; per i poveri, la cui vita economica era basata sulla propria forza lavoro, lo sconvolgimento del mercato del grano ebbe conseguenze disastrose. Nel 1594 i prezzi del cereale subirono un'impennata incontrollabile, determinando l'insorgenza di una vera e propria carestia.

La carenza di cibo, conseguenza dei cattivi raccolti, determinò un tasso di

10 “Nel 1548 la popolazione contava circa 60000 persone dentro le mura della City e nei distretti nord e sud del Tamigi; alla morte di Elisabetta, la popolazione della metropoli raggiungeva circa le 200000 unità.”, Bridgen, S., Alle Origini dell'Inghilterra Moderna. L'età dei Tudor (1485-1603), Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2003, cit., p. 202.

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mortalità molto alto: le persone si indebolivano, la malnutrizione riduceva le difese immunitarie provocando epidemie di tubercolosi, tifo e varie malattie epidemiche, tra cui la peste. Quest'ultima comportava conseguenze catastrofiche per l'intera collettività, poiché le attività lavorative cessavano, i commerci si facevano sempre più rari e a risentire maggiormente della situazione erano, ovviamente, i più poveri11. Il Consiglio della Corona12, riconoscendo l'insostenibilità della miseria e prendendone in considerazione le ripercussioni sul piano sociale e politico, intervenne per regolamentare il mercato del grano, della farina e del pane, controllandone i prezzi. I poveri, comunque, continuavano a soffrire la fame, soprattutto nelle zone settentrionali ed occidentali del paese, dove i procedimenti messi in atto per sostenere i meno abbienti dimostravano la loro inadeguatezza: le strade erano affollate da vagabondi in cerca di lavoro o carità, i quali, per non morire di fame, spesso erano costretti a rubare. In questo contesto, i princìpi di carità e solidarietà furono messi a dura prova dall'incremento vertiginoso di viandanti miserabili, ladri ed emarginati; considererò in seguito gli echi della mancanza di grano nel Coriolanus di Shakespeare.

Negli ultimi anni del XVI secolo l'inasprirsi della miseria coincise con l'aumento del numero di persone accusate di aver compiuto azioni criminose, soprattutto reati contro la proprietà come furti e rapine, e i giudici non esitarono a utilizzare la pena di morte come castigo esemplare.

Il regno di Elisabetta stava dunque vivendo una pesante crisi interna: era

11 Come spiega Susan Bridgen: “Secondo la cultura dell'epoca, quello che la ragione umana riusciva a osservare e comprendere era che l'ordine che Dio imponeva al creato si basava sulla regolarità delle leggi naturali: a suscitare un sentimento di stupore non erano i fenomeni che riflettevano un disegno armonioso – il susseguirsi alternato delle stagioni, la fertilità della terra – quanto piuttosto quelli che segnavano una rottura del benigno ordine della natura. La peste, in questo caso, obbediva al caso: colpiva un città, e non un'altra, sembrava inesorabile, eppure qualcuno riusciva a sopravvivere. Questa sua imprevedibilità era la riprova della sua origine divina. Sempre più spesso, però, dietro a tali calamità, si percepiva l'opera della stregoneria: proprio in questa fase si iniziò una persecuzione alle streghe che non contava precedenti.

Secondo i predicatori, il diavolo poteva essere sconfitto nei tribunali, facendo impiccare i suoi emissari in terra. La caccia alle streghe era accompagnata da orrori: la presunta strega (il fenomeno colpì prevalentemente le donne) era sempre una persona nota a chi l'accusava e di solito una presenza scomoda per la comunità. La sua persecuzione di una strega, all'interno di un villaggio, di solito riceveva l'approvazione di tutti e, in un'epoca in cui i mutamenti sociali creavano una maggiore distanza fra le diverse classi sociali e un impoverimento progressivo delle aree rurali, si guardava alla donna bisognosa come una minaccia alla stabilità del villaggio.” Cfr. Ead., Alle Origini..., op. cit., p. 213.

12 Susan Bridgen afferma ancora: “ Il Consiglio della Corona di Elisabetta inizialmente era formato da laici.

Pochi grandi signori, persino alcuni la cui lealtà era sospetta, rimasero quali 'naturali consiglieri' di sua maestà, ma il suo Consiglio fu ben lontano dall'essere baronale. Molti erano uomini formati alla gestione della vita pubblica nelle università e nelle Inns of Court. I veterani che avevano fatto parte dei Consigli di sua sorella, di suo fratello e addirittura del padre, vantavano una profonda esperienza politica e, avendo mostrato la saggezza di piegarsi a ogni corrente religiosa, adesso predicavano la prudenza.” Cfr. Ibidem, p.

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difficile superarla, e la politica della regina non pose rimedio alle privazioni e non risolse difficoltà tanto gravi.

La situazione dell'Inghilterra, quindi, appariva compromessa: le difficoltà economiche erano evidenti, le relazioni con gli stati esteri precarie e i conflitti che insorgevano nella società erano molti e di varia natura.

Shakespeare era un suddito inglese prima di essere uno scrittore e, come membro di una élite intellettuale sensibile al richiamo della realtà, percepiva con chiarezza le tensioni in atto, e talvolta si serviva del teatro per riprodurne gli echi. I suoi scritti, comunque, non erano mai volti ad un'esplicita denuncia di carattere politico o sociale, ma alludevano solo con alcuni accenni a problemi in atto che il pubblico poteva agevolmente individuare.

Un esempio di tale procedimento è la sua rappresentazione dell'attacco al potere monarchico, che troviamo nel Julius Caesar e nelle opere appartenenti alla Seconda Tetralogia. Tale potere viene sempre identificato con un personaggio, sia esso Cesare o Riccardo II. Shakespeare mette in scena l'opposizione violenta di alcuni nemici a colui che governa (o è in procinto di governare), nonché regnanti poco credibili o deboli, attorniati da una corte perfida e ostile. Quest'ultimo elemento appare non disgiungibile da alcune caratteristiche proprie della corte elisabettiana:

infatti, sebbene l'opera di Shakespeare come uomo di teatro fosse molto apprezzata dalla regina e dalla corte stessa, egli non si precludeva la possibilità di accennare, in modo garbato e intelligente, alle tensioni reali che vi avevano luogo: basti pensare al rilievo da lui concesso ai favoriti dei monarchi del passato.

La corte elisabettiana era suddivisa in fazioni13: i cortigiani non privilegiati dalla regina ambivano a stringere rapporti più intimi con lei in modo da avvicinarsi al trono o, al contrario, tramavano contro di lei per raggiungere i propri scopi; i suoi favoriti invece godevano di una protezione assoluta, di cariche e titoli nobiliari.

13 David Loades afferma: “England was governed from the court, because the monarch governed and the court was the monarch's immediate context. At the centre of this process lay the twin function of patronage and petition, like the two sides of the same coin.” Procedendo nella lettura della sua opera, egli spiega anche che la corte era uno delle maggiori cause di spreco di denaro: “Pradoxically, the most successful courtiers often accumulated the largest debts. When the thirs Earl of Sussex died in 1583, he owned £ 12000 to the queen, and £4000 to fellow courtiers, servants and tradesmen. […] Debts on this scale, of course, made withdrawal from court impossible, because only the monarch had the resources to alleviate the problem, or pardon the consequences. They were a form of investment in the regime, and Elizabeth used them, much as her grandfather had used bonds and recognisances, as a means of ensuring continued service. There came a point where the pardoning of debt became the most significant reward that a courtier could receive.” Cfr. Id., The Tudor Court, London, B.T. Batsford Ltd, 1986, cit., pp. 133-185.

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Oltre a William Cecil, altri due uomini conquistarono i favori della sovrana fino a diventarne i collaboratori più fidati: Robert Dudley e Robert Devereux, quest'ultimo il più famoso tra coloro che assunsero il titolo di Conte di Essex. Se Robert Dudley poté avvalersi della fiducia costante di Elisabetta, il conte di Essex ne fu privato dopo una campagna fallimentare contro i ribelli irlandesi durante la Guerra dei Nove Anni, a seguito della quale fu giustiziato con l'accusa di tradimento. Ma il pericolo maggiore per la regina era la vera e propria lotta contro di lei intrapresa dai suoi nemici politici e religiosi: Elisabetta era oggetto di minacce, complotti, trame nascoste che rasentavano pericolosamente la sua corte.

Qualunque fosse la motivazione che spingeva ad agire contro la sovrana, ogni occasione era valida per coloro che volevano detronizzarla, e l'eterogeneità dei loro moventi ideologici, politici e religiosi non impedì la messa a punto di piani eversivi condivisi, talvolta ben congegnati. Le comunità cattoliche, ad esempio, erano accomunate da una fede divenuta “illegittima” nell'Inghilterra governata da Elisabetta, e ciò induceva i loro membri ai contatti reciproci segreti e, in qualche caso, alla cospirazione. La soluzione adottata dalla regina per risolvere le contese religiose - l'imposizione dell'anglicanesimo ufficiale della corona -, fu anche causa di una pericolosa ribellione in Irlanda, sostenuta dalla Spagna e dalla Curia Romana.

Uno dei maggiori esempi di insubordinazione violenta fu la Rivolta dei papisti, una sollevazione contro Elisabetta avvenuta nel 1569. Organizzata da forze cattoliche dell'Inghilterra settentrionale, fu diretta dal Duca di Norfolk, dal conte di Westmorland e dal conte di Northumberland, intenzionati a deporre la sovrana in carica per incoronare Maria Stuart di Scozia. I cattolici inglesi si sentivano oppressi dalla regina e dall'impatto delle sue decisioni sulla società: esse minacciavano di allontanare il popolo dal cattolicesimo, e questo provocava forti ostilità fra i seguaci di Roma. Per far fronte all'eresia inglese, il papa Pio V favorì la ribellione cattolica.

Egli nel 1569 scomunicò la regina, liberò i sudditi dall'obbligo di obbedienza nei suoi confronti e la dichiarò deposta tramite una bolla papale, la Regnans in Excelsis, che però fu promulgata soltanto dopo che la ribellione era stata domata. Dopo tale provvedimento, Elisabetta non avrebbe potuto continuare la politica di tolleranza religiosa, e iniziò a perseguitare i suoi nemici, provocando ulteriori cospirazioni cattoliche ordite nell'intento di privarla del trono.

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L'opposizione religiosa al regno protestante non fu opera dei soli cattolici inglesi residenti nell'isola. Sin dai primi anni del decennio 1570-1580, l'Inghilterra fu raggiunta da missionari della Compagnia di Gesù provenienti dal continente. Erano giovani esiliati che frequentavano il collegio inglese diretto dal gesuita William Allen a Douai, nelle Fiandre, dove studiavano, oltre alla teologia cattolica, anche gli esercizi spirituali di Ignazio da Loyola14. Nel 1574 sbarcarono i primi preti missionari formatisi presso questa scuola, con il compito non tanto di convertire i protestanti quanto di preservare i cattolici dall'eresia. Dovevano promulgare la ricusazione, ovvero il rifiuto e l'allontanamento dalla pratica religiosa protestante, quale dovere morale di ogni cattolico, e sostenere i fedeli, segretamente ed illegalmente, per tutto il tempo necessario. I missionari gesuiti non furono i primi a introdurre la prospettiva di una comunità cattolica separata dal resto dei sudditi, ma il loro arrivo rese più concreta questa possibilità e comportò alcuni pericoli. Riconciliare i fedeli inglesi con la chiesa di Roma, dalle autorità era considerato tradimento, e fautore di tradimento chiunque offrisse il proprio appoggio a simili tentativi. Per poter operare, i preti, che agivano clandestinamente, avevano bisogno di un sostegno locale, fornito loro dalla nobiltà terriera cattolica, la quale rinnegava così la propria fedeltà alla regina. Essi andavano segretamente di casa in casa a celebrare la messa, correndo il rischio di essere traditi e scoperti.

Fino alla metà degli anni '70 i cattolici furono trattati con notevole tolleranza, poiché la regina era contraria all'uso della violenza contro le coscienze, ma dopo la scomunica e con l'arrivo in Inghilterra della Compagnia di Gesù il cambiamento fu radicale.

I Gesuiti erano guidati da Edmund Campion e Robert Persons, due esponenti di rilievo dell'Ordine. La loro capacità di persuasione e la loro tenacia erano garanzia di una missione efficace. I due arrivarono in Inghilterra separatamente per non destare sospetti, Persons sotto le mentite spoglie di militare, Campion di mercante; si incontrarono per pochi giorni a Londra per definire i rispettivi obiettivi. Mentre Persons rimaneva nella capitale per poter seguire le vicende politiche, mettere a

14 Per quanto riguarda la bibliografia inerente alla parte storica dedicata ai Gesuiti, i testi presi in

considerazione sono: Bridgen, S., Alle Origini..., op.cit; Bianchi, D., “L'intero libro di Dio chiamato Bibbia.

Alle origini dell'identità puritana”, Questioni di storia inglese tra Cinque e Seicento: cultura, politica e religione, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2006; Crosignani, G., “Thomas Wright, i suoi scritti ritrovati e il dibattito con Robert Parsons, S.J., sulla partecipazione al servizio e al sermone anglicano”, Ibid.; Tutino, S., Law and Coscience Catholicism in Early Modern England 1570-1625, Burlington, Ashgate, 2007, pp. 1-80.

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punto le strutture della missione e tenere i contatti con gli esponenti più rappresentativi dell'Inghilterra cattolica, a Campion furono affidati i compiti propriamente pastorali della missione stessa. Egli si diresse verso le zone rurali del Berkshire, Oxforshire e Northamptonshire, allo scopo di promuovere la fede romana tra la popolazione e amministrare i sacramenti, in particolare la confessione, elemento centrale nella pratica gesuita.

Campion e i suoi seguaci viaggiavano di paese in paese espandendo sempre più la propria sfera di azione, in modo che la loro presenza potesse divenire un punto di riferimento per il popolo cattolico; gli spostamenti erano frequenti, tanto che rimanevano nella stessa località per brevi periodi. Le attività nelle zone di campagna erano alternate a incontri con Persons nella capitale, per verificare la validità e l'efficacia delle strategie e dei piani. Grande importanza fu attribuita alla pubblicazione di opuscoli religiosi che venivano letti ai fedeli ed erano occasione di discussione con gli eretici, i quali non erano esclusi dal progetto della missione, al cui interno era previsto uno spazio per i dibattiti sulle nozioni dottrinali. Il momento preferito dai gesuiti per parlare ed interagire con i fedeli era l'ora dei pasti, che essi vedevano come momento di aggregazione a cui conferivano un significato particolare in ragione della coesione familiare e comunitaria di cui erano simbolo.

Questa ventata di Cattolicesimo, però, non restò a lungo senza ostacoli: i protestanti vedevano come un pericolo l'integrazione dei gesuiti all'interno della società, non soltanto per cause religiose, ma anche perché essa rischiava di fornire al popolo mezzi per divenire intellettualmente autonomo dalla cultura ufficiale, e questo avrebbe potuto provocare una ribellione contro il sistema vigente.

Campion, così, fu tradito: il suo servitore, George Eliot, informò gli agenti della regina del luogo in cui si trovava, e fu accusato di cospirazione, catturato e imprigionato nella Torre di Londra il 17 luglio 1581. Qui, dopo numerosi interrogatori durante i quali non cedette mai alle torture, fu ucciso nel dicembre dello stesso anno15. Egli proclamò fino all'ultimo la sua fedeltà alla Chiesa Cattolica.

Questa esecuzione sancì la fine della prima missione gesuita e l'inizio della persecuzione e del martirio dei cattolici. La propaganda romana e spagnola fece leva

15 “Campion dichiarò rivolto agli inglesi che i gesuiti avrebbero continuato nella loro azione 'finché ci sarà qualcuno di noi lasciato a godersi il vostro martirio a Tyburn, o a patire i tormenti da voi inflitti, o a consumarsi nelle vostre prigioni. Il prezzo da pagare è noto, la campagna è cominciata.” Cfr. Bridgen, S., Alle Origini..., op. cit., p. 357.

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su quanto aveva subìto Campion e iniziò una campagna di denuncia, narrando in testi scritti di vario genere il martirio del gesuita. La più importante di tali opere fu il De persecutione Anglicana libellus di Persons (1581), che riscosse un enorme successo, tanto da essere ripubblicato l'anno successivo alla stampa in lingua latina, in Italia, Francia e Spagna, nelle rispettive traduzioni. Il libro comprendeva anche una parte dedicata all'esaltazione della fede cattolica che Persons aveva sempre professato.

Se Campion nelle campagne aveva diffuso il cattolicesimo ed i princìpi della Compagnia di Gesù, a Persons, che si trovava a Londra, era affidato il compito di dirigere la missione. La sua responsabilità era di grande rilievo, giacché egli doveva fungere da elemento di connessione tra le iniziative da lui dirette e le vicende politico-diplomatiche dell'Europa del tempo16.

Persons decise di lasciare definitivamente l'Inghilterra nel 1581 per trasferirsi in Francia, poiché i Gesuiti erano ormai i primi nella lista dei ricercati dagli agenti della sovrana. In Francia prese contatto con molti personaggi cattolici spagnoli, francesi e scozzesi. Grazie a lui, questi iniziarono a frequentarsi e a intrattenere rapporti epistolari che sfociarono nell'ideazione di un piano inteso a deporre Elisabetta per sostituirla con il figlio di Maria Stuart, Giacomo.

Le molteplici iniziative progettate da Persons ricevettero il sostegno dei paesi cattolici: strinse rapporti con il Duca di Guisa, che gli ordinò di andare a Roma, ma la scoperta del complotto di Throckmorton17 da parte degli agenti di Elisabetta causò il fallimento dei loro piani, e il duca tornò a dedicarsi alle questioni politico-religiose della Francia. Al suo posto subentrò Filippo II di Spagna, anch'egli interessato ad elaborare strategie ostili ad Elisabetta: egli, però, affidò il compito di attuarle al duca di Parma Alessandro Farnese18, limitando, in questo modo, il coinvolgimento di

16 Stefania Tutino sostiene che a Person era affidata la parte più politica del progetto: incontrava gli ambasciatori degli stati amici e coondivideva con loro idee e disegni per il proseguimento della missione.

Probabilmente Person incontrò anche Bernardino de Mendoza, ambasciatore di Filippo II di Spagna. I rapporti dei Gesuiti con gli spagnoli erano molto intensi e non riguardavano soltanto la missione in Inghilterra, ma essi parteciparono anche alla negoziazione del matrimonio tra Elisabetta e il Duca di Angiò.

Ead, Law and Coscience: The political significance of the first mission, Burlington, Ashgate Publishing Company, 2007.

17 Il complotto che prese nome dal suo ideatore, Francis Throkmorton, si proponeva di eliminare la regina Elisabetta I mentre Enrico duca di Guisa avrebbe condotto un'invasione dell'Inghilterra finanziato dal papato e dalla Spagna. Lo sbarco nell'isola avrebbe provocato l'insurrezione dei cattolici inglesi, sul trono sarebbe stata posta Maria Stuart ed ai cattolici sarebbero state rese tutte le libertà soppresse. Il complotto fu scoperto da Sir Walsingham il quale, sospettando dei comportamenti di Throckmorton, fece perquisire la sua casa e, tramite torture, lo fece confessare. L'impatto del complotto fu grande: Walsingham e Cecil emisero il Bond of Association , la cui sottoscrizione obbligava ogni firmatario a giustiziare chiunque fosse riuscito nell'intento di assassinare Elisabetta I.

18 Alessandro Farnese, Duca di Parma, fu un generale italiano per lungo tempo al servizio della Spagna come

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Persons.

I paesi cattolici erano concordi nel rafforzare la collaborazione con coloro che, dotati di contatti adeguati e spirito d'iniziativa, perseguivano l'obiettivo di colpire la regina.

Elisabetta dunque era oggetto dell'ostilità dei cattolici di tutta Europa, e i suoi provvedimenti legislativi in materia religiosa acuivano le tensioni: per attenuare lo stato di allarme, ma soprattutto per difendere la propria persona, la sovrana si circondò di persone fidate e le fece addestrare affinché la proteggessero dai temuti complotti. Si organizzarono agenti speciali, vere e proprie spie della monarchia, le quali, in seguito a segnalazioni o a comportamenti ritenuti sospetti19, indagavano sull'indiziato, perquisivano i luoghi che frequentava, lo interrogavano - spesso ricorrendo alla tortura - allo scopo di ottenere informazioni ed ammissioni di colpa.

Le reti di spionaggio, sempre controllate da Elisabetta e dal suo fedele William Cecil, erano dirette da Sir Francis Walsingham, diplomatico e politico che informava la corte sulle operazioni militari spagnole. Egli inoltre provvide a incrementare le risorse destinate alla flotta, ritenendola lo strumento che avrebbe consentito all'Inghilterra di divenire una grande potenza mondiale.

Ancora un volta Shakespeare trasse ispirazione dalla situazione inglese per riproporre in diverse sue opere i temi del complotto e della successione al trono.

Nell'Hamlet, Claudio incarna il re “machiavelliano” per eccellenza, calcolatore, manipolatore, lucido, riservato, sospettoso e circondato da cortigiani sottomessi e devoti. Elsinore, capitale della Danimarca, può essere paragonata a Londra: è disseminata di persone che origliano e riferiscono, che tramano e fanno il doppio gioco. Non vi è luogo in cui “regni l'innocenza”.

Shakespeare dunque non rinuncia ad alludere ad affinità tra la situazione in

comandante dell'Armata delle Fiandre, un esercito professionale costituito dalla fanteria di stanza nei Paesi Bassi dal 1567 fino al suo scioglimento nel 1706.

19 Così Lemon descrive i comportamenti sospetti: “Building on the language of Henry's 1534 act, a 1571 Elizabethan act expanded the form and type pf words considered treason: it will now be treason if a subject shall be writing, printing, preaching, speech, express words or sayings, maliciously, advisedly and directly publish, set forth, and affirm that the Queen our said sovereign lady Queen Elizabeth is an heretic, schismatic, tyrant, infidel or and an usurper of the crown. While Henry condemned 'words or writing', Elizabeth now specified a greater variety of forms in her category of treasonous words, a category that remained until 1628. This shift from Henry's language to Elizabeth's, from the more general 'writing' to the more specific 'writing, printing, preaching, speech', signals a proliferation rather than a diminishing of treasonous speech acts.” Lemon, R., Treason by Words, New York, Connell University Press, 2006, cit., pp.

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atto in Inghilterra e quella rappresentata: le corti20 sono luoghi di segreti e insidie, lo sfondo in cui si ordiscono i complotti.

Le cause dei continui pericoli che minacciavano Elisabetta furono dunque molteplici, prima tra tutte, motivo di accesi dibattiti e intrighi segreti, l'imprigionamento e la successiva decapitazione di Maria Stuart; in questo caso, alla causa religiosa anticattolica si intrecciava la ragione dinastica, poiché Maria era seconda nella linea di successione al trono inglese.

La condizione di Elisabetta, non coniugata, senza figli21 e senza erede da lei designato, creava malumori e tensioni anche tra i suoi sostenitori, ed incoraggiava gli avversari. I protestanti proiettavano le loro ansie sul futuro, temendo che il trono vacante offrisse ai nemici l'opportunità di agire a loro danno; i cattolici, dal canto loro, non avevano mai perso la speranza di far salire sul trono un loro rappresentante, e per riuscirvi non esitavano a cospirare. Essi auspicavano la successione di Maria Stuart, e avrebbero utilizzato qualsiasi mezzo per raggiungere tale obiettivo.

Maria lasciò la Francia, dove aveva vissuto dall'età di cinque anni, nel 1561, un anno dopo la morte del marito, il re Francesco II, per tornare in Scozia; qui l'attendeva lo scontro con i calvinisti, giacché il Parlamento scozzese aveva ratificato la modifica della religione di stato in senso protestante senza l'assenso della sovrana.

L'educazione ricevuta in terra francese le aveva fornito molte capacità, ma non

20 La corte viene così descritta da David Loades: “In some respects 'the court' was a highly amorphous entity, and the succession of ordinances and household books which were issued between 1445 and 1604 bear witness to the constant struggle to impose order, definition, and above all economy upon organism which was always threatening to get out of control.” Egli prosegue soffermandosi sulla descrizione dei luoghi di corte su cui agivano direttamente i suoi funzionari: le Stables, la Royal Barge, e il Wardrobe, che nel XIV secolo era stato la tesoreria reale, contenente abiti e stoffe di cui i cortigiani potevano far uso. Cfr. Id., The Tudor..., op. cit., p. 38.

21 Al contrario della madre, Anna Bolena, che era vista dai sudditi come simbolo di fertilità in quanto fu incoronata già in attesa della figlia, Elisabetta lasciava l'Inghilterra nel dramma ereditario. Secondo Susan Bridgen: “A pochi giorni dall'apertura del suo primo Parlamento la Camera Bassa supplicò la regina venticinquenne di sposarsi. Ma Elisabetta dichiarò che era stato ed era suo desiderio di non sposarsi mai:

restare in 'questo tipo di vita in cui ora mi trovo'. Se Dio poi avesse 'reso il suo cuore incline ad un altro tipo di vita', lei comunque non si sarebbe mai sposata contro l'interesse dei suoi sudditi: 'mettetevelo bene in testa'. Questa risposta, più gentile e meno sentenziosa di quelle che in seguito avrebbe dato alla stessa domanda, era ancora sufficientemente ambigua perché i Comuni potessero pensare di non aver sentito ciò che non volevano sentire. Elisabetta si lasciò andare ad una promessa che sarebbe stato più saggio non fare se non era sicura di poterla mantenere: qualora non si fosse sposata, un erede sarebbe stato scelto 'al momento opportuno'. Significativamente, ribadì ai rappresentanti della Camera: 'E, alla fine, sarà per me sufficiente che una lapide in marmo rechi in epitaffio che una regina in tempi simili visse e morì vergine'.

[…] La regina si vantava dei suoi potenziali mariti, non per vanità (in verità un po' anche per questo), ma perché tutti loro rappresentavano un esplicito avallo di ciò che molti mettevano in dubbio: il suo diritto a salire al trono. […] Mostrarsi invaghiti della regina era un principio cardine della politica elisabettiana. […]

Le regine non dovrebbero sposarsi per amore, ma c'era qualche timore che Elisabetta l'avrebbe fatto.

Pettegolezzi sprezzanti si diffusero presso le corti straniere sul fatto che Elisabetta avrebbe sposato il suo stalliere Dudley. […] Perché non scelse di unirsi a Dudley, neanche in seguito, e già allora, probabilmente di non prendere mai più marito, rimane un mistero.” Cfr. Ead., Alle Origini..., op. cit., pp. 300-304.

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quella di far fronte alla complessa e pericolosa situazione politica della Scozia: senza l'appoggio di Elisabetta, Maria avrebbe rapidamente capitolato. In quanto devota cattolica romana, fu guardata con sospetto da molti suoi sudditi, nonché dalla protestante regina inglese. Fu una sovrana molto tollerante, e questo contribuì ad aumentare il potere dei lord protestanti, che riuscirono a sottrarle il controllo del paese.

Nel 1567 la nobiltà scozzese si ribellò contro di lei, e fu imprigionata nel castello di Loch Leven. Il 24 luglio fu costretta ad abdicare a favore del suo unico figlio, Giacomo, che aveva soltanto un anno. Il 2 maggio 1568 Maria fuggì da Loch Leven, riuscì a radunare un piccolo esercito e partecipò coraggiosamente alla battaglia di Longside cavalcando alla testa dei soldati, esortandoli a seguire il suo esempio. Sconfitta, si rifugiò in Inghilterra, incoraggiata da una lettera di Elisabetta, sua cugina e antitesi, che le prometteva aiuto, ma fu catturata dagli ufficiali della sovrana inglese. Rimase imprigionata per quasi vent'anni, ed in questi due decenni furono organizzati molti complotti per uccidere Elisabetta e innalzare Maria al trono.

Durante la prigionia, la salute cagionevole della regina di Scozia iniziò a peggiorare; dopo il trasferimento nella residenza di Chatsworht House, compiuta nell'intento di migliorare le sue condizioni, Maria intrecciò un rapporto epistolare con Thomas Howard, IV Duca di Norfolk, l'unico duca inglese e cugino di Elisabetta.

Quando la sovrana venne a conoscenza delle trattative matrimoniali segrete tra la regina di Scozia e il duca, li fece imprigionare rispettivamente a Tutbury e nella Torre di Londra. A seguito della bolla di scomunica emessa da Papa Pio V, molti signori organizzarono un piano per liberare Maria, ma lei non vi prese parte poiché confidava ancora nella possibilità che Elisabetta la reinsediasse sul trono.

Questa serie di eventi costituì la premessa di quello che viene considerato uno dei più pericolosi complotti contro la regina inglese. Nel 1570 Norfolk fu liberato dalla Torre e, grazie ad un intermediario, il banchiere italiano Roberto Ridolfi, riuscì a prendere in moglie Maria Stuart con l'aiuto delle potenze cattoliche. Il suo piano prevedeva che il Duca d'Alba invadesse l'Inghilterra dai Paesi Bassi sostenuto da una sommossa dei cattolici inglesi, quindi, una volta catturata Elisabetta, Maria sarebbe salita sul trono insieme al nuovo consorte. Il Duca d'Alba e Filippo di Spagna non erano intenzionati a intervenire concretamente, soprattutto perché dubitavano della

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prevista sommossa della popolazione inglese. Elisabetta fu messa a conoscenza del piano dal Granduca di Toscana e, una volta scoperta la cospirazione, fece arrestare e decapitare Norfolk. La vicenda, detta complotto Ridolfi, provocò la reazione decisa dalla regina: nel 1572, con il suo incoraggiamento, il Parlamento approvò un disegno di legge che impediva a Maria l'ascesa al trono, ma Elisabetta, inaspettatamente, si rifiutò di avvallarlo col proprio consenso. Nel 1584, però, a seguito del complotto Throckmorton, promulgò un documento, il Bond of Association, finalizzato a prevenire l'eventualità che aspiranti al trono approfittassero del suo omicidio per ottenere la corona; i mandanti avrebbero dovuti essere condannati a morte. Dal momento che diversi complotti erano compiuti in nome di Maria, di fatto il documento si rivelò un'arma per colpire la regina di Scozia. La figura di Elisabetta era per molti un ostacolo da abbattere, e la minaccia gravava costantemente su di lei.

Secondo Mario Praz, Shakespeare stesso fu sospettato di partecipazione, sia pure non del tutto consapevole, ad un complotto, la congiura del Conte di Essex (febbraio 1601). La compagnia a cui egli apparteneva si sarebbe prestata, su richiesta di certi seguaci di Essex, a recitare Richard II, in cui compariva un re deposto dai sudditi per la sua incapacità di governare. Praz ritiene che Shakespeare avesse accettato tale richiesta indotto da un comune amico, il conte di Southampton, e che il fallimento della congiura, con le esecuzioni capitali che ne seguirono e l'imprigionamento del Southampton, influisse sulla concezione di Hamlet. Le parole di Orazio al morente Amleto: 'Buona notte, dolce Principe, e voli d'angeli ti conducano cantando al tuo riposo' sembrarono al grande critico Malone (alla fine del Settecento) contenere un'allusione a quelle simili pronunciate dall'Essex nel salire al patibolo il 25 febbraio 1601: 'Quando la mia vita si separerà dal mio corpo, manda i tuoi angeli beati a ricevere la mia anima e trasportarla alle gioie del cielo'. D'altronde, benché alcuni contemporanei vedessero certe analogie tra Riccardo ed Elisabetta (l'accostamento era stato divulgato dal gruppo di Essex, al quale sarebbe toccata la parte di novello Bolingbroke), la compagnia di Shakespeare nulla ebbe a soffrire dalla congiura. Shakespeare quindi, secondo Praz, sarebbe stato non solo un narratore, ma anche un sostenitore dei congiurati, seppure forse non del tutto consapevolmente.

Fra i numerosi complotti, fu assai significativo anche quello di Babington.

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Esso si sviluppò a partire dalla convergenza di diverse trame, ma di fatto si rivelò una trappola tesa a Maria da Sir Francis Walsingham, capo delle spie di Elisabetta, sostenuto dai nobili che come lui ritenevano inevitabile l'esecuzione della sovrana scozzese.

Alcuni agenti di Maria lo erano anche di Walsingham. Fra i cattolici idealisti, pronti al martirio, egli aveva infiltrato alcuni agenti, uomini disposti a vendersi al miglior offerente; per Walsingham, il prezzo pagato per essere informato non era mai troppo alto.

Nel 1585, dopo il trasferimento di Maria dal castello di Tutbury dove era imprigionata sotto la custodia di Amyas Paulet, ad una residenza del conte di Essex, Walsingham iniziò ad agire. Catturò Gilbert Gifford, un corriere reduce dalla Francia coinvolto in un piano per liberarla, e lo convinse a lavorare per lui organizzando una cospirazione per la falsa liberazione di Maria. A questa trappola si sovrappose il complotto effettivo ordito da alcuni giovani gentiluomini inglesi, che vedevano nella regina di Scozia una martire. Alla loro testa vi era Sir Anthony Babington; i congiurati si proponevano di uccidere Elisabetta e porre sul trono Maria.

Babington, inconsapevolmente, fece confluire il suo complotto in quello ordito da Walsingham. Maria fu rassicurata sul suo conto da persone a lei fedeli, ed iniziarono così una corrispondenza in codice in cui lui la informò del piano per farla fuggire e di quello per assassinare Elisabetta. Walsingham, decrittata la lettera di Babington, aspettò la risposta di Maria, che l'avrebbe indiscutibilmente resa colpevole di alto tradimento.

La regina di Scozia, confusa e indecisa sul da farsi, dopo aver chiesto un parere al suo segretario che la consigliò di lasciar perdere simili piani, rispose con una missiva in cui precisava le condizioni per accettare la propria liberazione, ma non fornì alcuna indicazione in merito all'attentato a Elisabetta. In questo modo, la colpevolezza di Maria non era dimostrabile, così il decrittatore di Walsingham aggiunse al testo un poscritto relativo all'assassinio della regina inglese. Appena ricevuta la lettera, Babington fu arrestato e condotto nella Torre di Londra; qui confessò il piano e, come gli altri congiurati, fu torturato, processato sommariamente e squartato22.

22 Susan Bridgen racconta: “Ai primi di luglio, Babington scrisse alla regina di Scozia mettendola al corrente del progetto di cospirazione e dei sei nobili gentiluomini pronti a compiere la tragica esecuzione. Era la richiesta del suo consenso e lei lo diede. Ogni lettera dell'epistolario segreto fra Maria e i suoi fedelissimi

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I giudici si trovarono invece in difficoltà nell'intentare il processo a Maria, poiché un sovrano straniero non poteva essere giudicato e, in un caso simile, avrebbe dovuto essere esiliato dal paese23.

La legge infatti prevedeva che un accusato venisse giudicato da persone sue pari, ma nessuno dei più alti lord inglesi lo era della regina scozzese, e la stessa Elisabetta non avrebbe potuto farlo perché parte in causa. I giuristi fecero leva sul fatto che il “crimine” era avvenuto in Inghilterra, e poterono così istituire un tribunale formato dai nobili di più alto rango.

Maria non voleva sottostare ad una simile soluzione, perché ciò avrebbe significato l'ammissione di essere soggetta alle leggi inglesi anche in ambito religioso. Qualora non avesse presenziato al processo, sarebbe stata comunque giudicata in absentia. Quando si rese conto della sua condizione di futura condannata a morte, capitolò, e il 15 ottobre 1586 fu processata con l'accusa di alto tradimento.

Elisabetta, turbata dalla prospettiva dell'esecuzione capitale di una regina consacrata, rinviò ripetutamente la firma dell'ordine di esecuzione, e chiese ad Amyas Paulet di inscenare un incidente per eliminare la sovrana di Scozia. Quando egli rifiutò, affermando di non voler lasciare una simile macchia sulla propria discendenza, il 1° febbraio Elisabetta firmò. L'8 febbraio 1587 Maria salì sul patibolo e fu decapitata.

La morte di Maria Stuart sembrava la soluzione di buona parte dei problemi di Elisabetta, ma fu motivo di ulteriori tensioni con la Spagna. Filippo II pianificava da tempo un'invasione allo scopo di porre Maria sul trono: secondo i cattolici ne aveva diritto, poiché essi consideravano Elisabetta illegittima, ed inoltre la regina scozzese avrebbe restituito l'Inghilterra a Roma. Con la morte della sovrana inglese Filippo, già “principe consorte” di Maria I, sarebbe divenuto erede al trono in quanto discendente da Edoardo III nella linea lancasteriana. Fino a quel momento, il re spagnolo non aveva mai avuto intenzione di dichiarare guerra all'Inghilterra, tanto

veniva nascosta in un barile di birra consegnato settimanalmente alla prigione di Maria, a Chatley, la dimora del conte di Essex nello Staffordshire, e ogni lettera fu intercettata, copiata e passata a Walsingham.

Il 17 luglio egli aveva in mano la risposta autografa di Maria a Babington: la prova della sua partecipazione al complotto, l'evidenza del suo tradimento. Babington e i suoi complici furono catturati, processati e condannati. Era noto che Elisabetta propendesse per la clemenza, ma quei cospiratori non potevano essere risparmiati. […] Sulla copia della lettera che svelava il tradimento di Maria, l'agente di Walsingham aveva tratteggiato tre linee che significavano morte per chiunque aveva letto il messaggio e, di certo, per la regina di Scozia.” Cfr. Ibidem, pp. 385-386.

23 Cfr. Ibidem, pp. 384.

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che quando Papa Sisto V, nell'estate del 1585, lo aveva sollecitato ad intraprendere imprese gloriose per la fede, aveva rifiutato. Ma successivamente cambiò idea, e si convinse dell'opportunità di una grande campagna per ristabilire la vera religione in Inghilterra.

Il viaggio di Drake intorno al mondo aveva innescato il timore di attacchi inglesi contro l'impero spagnolo, così a Lisbona nel corso del 1586 furono avviati i preparativi per la costruzione di una grande flotta. Il reclutamento di marinai e soldati spagnoli e italiani era iniziato, si stavano elaborando le rotte da seguire e ricercando alleati; il progetto era grandioso, ma carente nella pianificazione di alcuni aspetti24.

Nell'estate del 1586 Filippo aveva inviato un messaggio riservato al principe di Parma, con il quale lo informava che avrebbe dovuto comandare una spedizione da preparare nei Paesi Bassi; questa si sarebbe poi congiunta all'Armada per invadere l'Inghilterra attraverso il Kent.

Filippo aveva fatto incetta di polvere da sparo, armi, munizioni, e corrotto l'ambasciatore inglese a Parigi, Sir Stafford, in aperto contrasto con Leicester e Walsingham. Egli promise a Bernardino de Mendoza, il rappresentante spagnolo, che non una sola nave da guerra inglese sarebbe salpata senza che egli ne fosse informato. Nell'aprile dello stesso anno, infatti, Stafford gli rivelò un piano segreto:

per ordine della regina, Drake avrebbe fatto rotta verso la Spagna allo scopo di distruggere quante più navi e beni spagnoli avesse potuto. L'indicazione arrivò tardi, e non fu possibile impedire il susseguirsi degli eventi che sarebbero culminati nella spettacolare azione compiuta da Drake il 19 aprile a Cadice, che egli occupò e saccheggiò.

Nel gennaio successivo, Stafford inviò dispacci in Inghilterra informando che il progetto dell'Armada sembrava accantonato; in aprile comunicò che la flotta aveva fatto rotta verso Algeri, in giugno che era diretta nelle Indie, infine che era stata richiamata in Spagna: si trattava di false notizie trasmesse intenzionalmente, prova del tradimento del diplomatico in un momento delicato e molto pericoloso per l'Inghilterra.

Alla fine di maggio, l'Armada lasciò Lisbona al comando del duca Medina Sidonia. La flotta, composta da 130 navi, 18000 soldati e 7000 marinai, salpò nel

24 Per quanto riguarda il conflitto tra Inghilterra e Spagna ho consultato: Bridgen, S., Alle origini..., op. cit.;

Prosperi, A., Viola, P, Storia del Mondo Moderno e Contemporaneo, Torino, Einaudi Scuola, 2004, Vol. II.

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luglio del 1588, e nessuno in Inghilterra sapeva ancora quali ne fossero la destinazione e gli scopi.

Il 19 luglio l'Armada fu avvistata a largo delle isole Scilly: il lord ammiraglio Howard condusse la flotta inglese fuori dal porto di Plymouth, e il giorno successivo vide gli spagnoli risalire a vele spiegate il Canale della Manica in una formazione che si dispiegava progressivamente.

Il 21 luglio Howard inviò la Disdain a presentare l'atto di sfida al comandante spagnolo; l'Ark Royal, la nave ammiraglia inglese, guidò la battaglia con la flotta di levante, mentre il Revenge, comandato da Drake, il Victory ed il Trumph, attaccavano la retroguardia dell'Armada. Le navi inglesi erano più piccole di quelle spagnole, ma più veloci e in grado di bolinare meglio; nel momento cruciale, infatti, riuscirono ad avvalersi del vantaggio del vento.

Nei giorni successivi, gli inglesi seppero sfuggire alle manovre poste in atto dagli spagnoli per tentare di arrivare all'abbordaggio, e si mostrarono in grado di mantenere la distanza adatta a sfruttare il proprio armamento, superiore per tipologia e gittata.

Decidendo di lasciar passare l'Armada per poi inseguirla lungo il Canale, i comandanti inglesi si erano assunti una grande responsabilità: era difficile pensare di rompere lo schieramento serrato degli spagnoli. L'Armada navigava così verso Calais per attendere il duca di Parma. Egli disponeva di una forza di assalto di 17000 uomini, fra i quali molti dei migliori combattenti d'Europa; tuttavia, non credeva nella possibilità di riuscita dell'impresa, e desiderava fermarla.

Medina Sidonia gettò l'ancora fuori Calais, da dove pensava di scortare fino alle coste del Kent le navi destinate a trasportare le truppe del duca di Parma. Egli, però, non sapeva che il Farnese non era in grado di offrirgli aiuto, poiché era bloccato dalle navi olandesi che controllavano le coste delle Fiandre.

Mentre gli spagnoli erano in attesa dell'incontro, nella notte del 28 luglio avvistarono brulotti in fiamme che, spinti dal vento, si dirigevano verso l'Armada:

temendo che fossero ordigni esplosivi, la loro flotta si disperse in fretta.

La battaglia di Gravelines, iniziata in questo modo, fu molto violenta, persino più di quella di Lepanto, dove la Spagna aveva riportato una grande vittoria. Questa volta l'esito fu opposto: i combattimenti, svoltisi a distanza ravvicinata, si rivelarono

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