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Entrambi cercano di creare nuovi spazi e nuovi mondi, di creare nuove dimensioni per riuscire a ipotizzare il mondo del futuro (Chlebnikov) e per educare a esso la nuova classe proletaria (Tatlin).

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Academic year: 2021

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Conclusioni.

Tatlin e Chlebnikov, nonostante la differenza dei mezzi di comunicazione scelto, sono due artisti profondamente simili. Nei lavori di entrambi si nota un simile impiego ora della parola, ora del materiale plastico per creare arte.

Entrambi cercano di creare nuovi spazi e nuovi mondi, di creare nuove dimensioni per riuscire a ipotizzare il mondo del futuro (Chlebnikov) e per educare a esso la nuova classe proletaria (Tatlin).

Le idee di Chlebnikov riescono però solo in parte a raggiungere lo scopo.

La difficoltà nella comprensione delle sue opere lo renderanno inviso al pubblico per parecchio tempo. Le sue costruzioni verbali, seppur giudicate dai critici e dagli artisti suoi contemporanei geniali, saranno ritenute dai più incomprensibili. E, cosa ancora più importante, la stesura su carta delle parole chlebnikoviane rende, paradossalmente, il testo impossibile da capire. Per riuscire a comprendere appieno la poetica del poeta (che ha la sua apoteosi in Zangezi) bisogna trasporlo sulla scena. Chlebnikov lo sapeva bene: l’unico modo per creare un mondo nuovo attraverso la parola è quello di recitarla, non semplicemente di scriverla. Solo la glossolalia razionale del teatro poteva rendere reale queste nuove realtà. La creazione del mondo è un atto verbale e quindi musicale, che ha radici anche nelle religioni («In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»).

Consapevole di questo fatto, Chlebnikov inizia fin dal 1916 a collaborare con Tatlin per mettere in scena alcune sue opere (cfr. Syrkina 1988, in Zhadova 1988, pag. 160).

La messa in scena di Tatlin, nonostante il fallimento avuto, è comunque il

sistema più valido che si poteva utilizzare per rendere comprensibile al

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grande pubblico la forza espressiva della poesia chlebnikoviana. Recitate sul palco, con il movimento del materiale scenico a ritmo della voce dell’attore, lo spettatore poteva comprendere i reali effetti della parola sul mondo che lo circonda. È la parola a creare la realtà che ci circonda e non viceversa. Zangezi stesso ne è un esempio: tenta di comunicare a chi lo ascolta il mondo che è stato, che è e che sarà. La palingenesi mitopoietica effettuata in Zangezi viene adattata in piccolo sul palcoscenico, per cercare di riprodurre in scala più piccola il cosmo creato da Chlebnikov.

Anche Tatlin raggiunge, con questa messa in scena , un livello mai

raggiunto (e che non raggiungerà più forse) di perfezione artistica. I

concetti da lui elaborati sulla materia e sulla costruzione della vita

dell’uomo attraverso l’arte qui raggiunge i suoi massimi risultati. Come lui

stesso scrive, l’artista deve diventare «un organizzatore della vita di tutti i

giorni» (Tatlin 1929, cit. in Zhadova 1988, pag. 267) e quindi preparare al

futuro la nuova classe dirigente. Attraverso la rappresentazione di Zangezi

Tatlin vuole rappresentare un futuro prossimo, in cui la tecnologia e la

natura non saranno divise, ma unite per riuscire a trasformare

profondamente la realtà umana. Le opere dinamiche sul palco e la

dinamicità impressa alla scena sono indici del desiderio di Tatlin di

rappresentare la vivacità dell’epoca in cui viveva, una società che si muove

quasi in modo liquido, che punta verso un futuro non più irraggiungibile,

ma realizzabile in qualsiasi momento. La rappresentazione teatrale in sé,

inoltre, nel suo amalgamare sulla scena diversi stili, narrazioni e linguaggi,

diventa un’opera teatrale “perfetta”, dove con “perfetta” si intende

l’osservazione in toto della realtà che circonda (o può circondare) l’essere

umano. La sintesi di linguaggi e la messa in scena di essi diventa il sistema

per l’edificazione della realtà e dell’uomo.

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Scrive a proposito Harrison Roman:

«Tatlin attempate to address himself to both aspects – idyllic and technological – in his stage designs for Zangezi. The faktura of the wood and the tektonika of forms that suggested an arboreal environment enabled Tatlin to preserve the

“forestly” nature of the play’s setting, while the konstruktsija, according to spatial dynamics and kinetic forms suggested the achievement of a New World through technology. These conceptions espresse dominant social and esteti themes in Russia during the teens and twenties. Despite problems of its original presentation in 1923, Zangezi survives to us today as one of the primary documents of the Russian avant-garde’s “higher vision”.» (Harrison Roman 198, pag. 124)

Tramite Zangezi, sia Tatlin che Chlebnikov diventano un tutt’uno e si

ergono come portavoce delle avanguardie russe del tempo, che non

volevano altro che portare il futuro nel tempo presente. Grazie alla messa in

scena di Tatlin dell’opera di Chlebnikov, questo è stato possibile.

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