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recensiva l’opera dello studioso sardo Camillo Bellieni, “La Sardegna e i Sardi nella civiltà dell’Alto medioevo”

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Premesse

Obiettivo di questo lavoro di tesi è fornire un’immagine d’insieme della realtà storica della Sardegna nell’età tardoantica e altomedievale, così da poter delineare quali furono il ruolo dell’Isola nel Mediterraneo e le sue relazioni con l’esterno, nel passaggio fra l’Antichità e il Medioevo.

Quando nel 1973 il medievista Marco Tangheroni

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recensiva l’opera dello studioso sardo Camillo Bellieni, “La Sardegna e i Sardi nella civiltà dell’Alto medioevo”

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, definiva l’età altomedievale il periodo più oscuro della storia sarda. Oltre alla scarsezza delle fonti, sempre lamentata da chi si confronta con questo periodo della storia isolana, ricordava altre due cause dei limiti della conoscenza storica: il carattere occasionale con cui gli storici si sono dedicati a questo periodo e il mancato aiuto dell’archeologia medievale, unica disciplina in grado di poter contribuire in maniera decisiva al progresso della ricerca storica per un’età così carente di fonti scritte

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.

Come il Bellieni si dedicarono alla storia isolana altri due studiosi privati: il perito agrario F. Cherchi Paba

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e il francescano G. Piras

5

, le cui opere sono di qualche interesse per lo studio della Chiesa greca e dell’influsso culturale bizantino in Sardegna.

Con le difficoltà proprie dell’analisi di questo periodo storico si era già confrontato, nel secolo precedente, lo storico Giuseppe Manno. Nei primi due volumi della sua “Storia di Sardegna”

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, comparsi in prima edizione tra il 1825 e il 1826, etichettava ancora quei secoli con l’aggettivo “oscuri”. L’opera del Manno supera l’impostazione annalistica di quella del Fara

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, padre della storiografia sarda, e costituisce un’eccezione all’interno della produzione dell’Ottocento perché precedente alla falsificazione della Carte di Arborea

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. Come nota Attilio Mastino

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, gli studi del Manno precedono però anche le

1 Tangheroni M., Recensione a Bellieni C. Storia dei Sardi e della Sardegna, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1973, 4, pp. 1137-1139.

2 Bellieni C., La Sardegna e i Sardi nella civiltà dell’Alto Medioevo, Editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1973.

3 L’esiguità di fonti scritte che si protrae fino all’XI secolo aveva scoraggiato anche l’infaticabile L. A.

Muratori, sul quale si veda l’articolo di Solmi A., “L. A. Muratori e la storia sarda” in «Archivio Storico Sardo», II, 1906, pp. 326-330, 437-440.

4 Cherchi Paba F., La Chiesa greca in Sardegna, Editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1963. ID., La repubblica teocratica sarda nell’Alto Medio Evo, Editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1971.

5 Piras G., Aspetti della Sardegna bizantina, Cagliari, T.E.F., 1966.

6 Manno G., Storia moderna della Sardegna di Giuseppe Manno premessovi un compendio di storia antica dello stesso autore, Felice Le Monnier, Firenze, 1858, pp. 23-38.

7 Fara G. F., De rebus Sardois liber primus, Calari, 1580.

8 Insieme di pergamene, di codici cartacei e di documenti riguardanti il periodo dal VI al XV secolo che, a partire dal 1845, furono messi in vendita dal frate Cosimo Manca del Convento di Santa Rosalia in 1

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grandi scoperte archeologiche ed epigrafiche del canonico Giovanni Spano, padre dell’archeologia della Sardegna. Tuttavia, nonostante i molti limiti, «l’impianto dell’opera appare solido,fondato com’è su una conoscenza amplissima delle fonti classiche

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La storia della Sardegna medievale continua a essere oggetto di indagine degli storici all’inizio del XX secolo. Si tratta di due grandi storici del diritto, Enrico Besta

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e Arrigo Solmi

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, e dello storico dell’antichità Ettore Pais. La sua Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano

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appartiene alla prima fase della sua produzione, quella più regionalista che considerava la conquista romana un deprecabile colpo di mano che avrebbe posto fine a un alto grado di civiltà e cultura

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. Oggi, nella lettura dell’opera, si tende ad apprezzare e rivalutare la sua straordinaria erudizione.

Con Enrico Besta si aprì un’importante pagina negli studi del diritto sardo nel Medioevo, tema prima affrontato dagli studiosi solo in maniera occasionale. Nel 1909 il Besta rielaborò i suoi studi di storia giuridica sarda pubblicando la grande sintesi de La Sardegna medievale, articolata in due volumi. Otto anni dopo fu edito a Cagliari il volume di Arrigo Solmi, Studi Storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, in cui l’autore sostiene che la singolarità delle istituzioni sarde medievali debba essere

Cagliari. Il frate sosteneva la provenienza dei documenti dagli Archivi dei giudici d’Arborea di Oristano (che non hanno niente a che vedere con la Carta de Logu della giudicessa Eleonora d’Arborea). Questi documenti colmavano molti vuoti della storia altomedievale e modificavano l’interpretazione storica della dominazione romana. La grande epopea della storia della Sardegna fu consacrata nel volume di Pietro Martini del 1863. La falsità delle iscrizioni contenute nelle Carte fu provata nel 1870 da Theodor Mommsen. L’attenzione degli studiosi si è poi spostata sulle motivazioni che indussero un gruppo di intellettuali isolani a sostenere il mito di una Sardegna patria di eroi, di filosofi e di poeti, sia pure per un malinteso amor di patria; e ciò in un momento critico e di passaggio tra la «Sardegna stamentaria» e lo

«Stato italiano risorgimentale», quando secondo Giovanni Lilliu «si incontrarono e subito si scontrarono la “nazione” sarda e la “nazione” italiana al suo inizio».

Per una trattazione completa della vicenda vd. Mastino A., Ruggeri P., “I falsi epigrafici romani delle Carte d’Arborea. Santu Antine”, Sassari, 1996, vol. I, pp. 101-135; Zucca R., Le Carte d’Arborea, in AA.VV., Falsi e falsari della Sardegna, mostra documentaria, Villanovaforru, 29 ottobre 1988 – 28 maggio 1989, pp. 16-19.

9 Mastino A., La Sardegna dalle origini all’età vandalica nell’opera di Giuseppe Manno, in «Studi Sardi», XXXIV, 2009, pp. 271-300.

10 Mastino A., La Sardegna dalle origini all’età vandalica nell’opera di Giuseppe Manno, cit., p. 279.

11 Besta E., La Sardegna medioevale. Le vicende politiche dal 450 al 1326, Arnaldo Forni Editore, Bologna, 1966, ristampa anastatica dell’edizione di Palermo, Reber, 1908-1909, pp. 1-44.

12 Solmi A., Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, Edizioni la Zattera, Cagliari, ristampa anastatica dell’edizione 1917, pp. 1-34.

13 Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, 2 voll., cura di A. Mastino, Illisso, Nuoro, 1999, riedizione dell’opera Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, 2 voll., Nardecchia editore, Roma, 1923.

14 Dalla voce Pais, Ettore di Antonino Pinzone in Enciclopedia Treccani.

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ricercata nell’età romana. Il Solmi sottolinea il profondo e antico legame tra Sardegna e romanità così da giustificare l’inserimento della storia sarda all’interno di quella italiana. Tuttavia, anche il maggiore teorico dell’ “italianità” isolana credette al mito di una civiltà «vissuta per lunghi secoli appartata», immutata e primitiva

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.

Gli studi del Besta e del Solmi furono ripresi negli anni Settanta e Ottanta da Alberto Boscolo

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e André Guillou

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i quali affrontarono le problematiche della Sardegna bizantina con un taglio metodologico nuovo. Ad Alberto Boscolo, che del medioevo sardo studiò soprattutto la fase che va dall’influenza di Pisa e Genova alla dominazione aragonese, si deve un’appassionata promozione dell’archeologia medievale, disciplina alla quale allora ci si iniziava a interessare a livello europeo. Nel convegno del 1982 della Deputazione di Storia Patria si auspicava una sollecita introduzione delle cattedre di archeologia medievale in Italia. Boscolo, insieme con Giovanni Lilliu, fece pressione sugli atenei isolani, e con successo: l’Università di Cagliari fu la prima in Italia ad istituire una cattedra di questa disciplina. Alla sua attività si deve inoltre il superamento dell’isolamento in cui si trovava la storia della Sardegna, da allora invece proiettata in ambito nazionale, europeo e mediterraneo

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. Uguale merito va all’infaticabile archeologo Giovanni Lilliu, noto soprattutto come massimo conoscitore della civiltà nuragica, fautore di una visione mediterranea della storia sarda

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.

Sempre in quegli anni vedono la luce i contributi di Letizia Pani Ermini, punto di partenza di ogni ricerca sul periodo vandalico. Con la studiosa romana l’archeologia diventa la vera protagonista della ricerca sull’alto medioevo sardo

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. È autrice di studi sulla topografia e l’urbanistica delle città, sul fenomeno dell’incastellamento, l’organizzazione degli spazi funerari e la diffusione delle istituzioni a carattere cristiano.

15 Cadeddu M. A., Prefazione a A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo, Nuoro, 2001, riedizione dell’opera A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo, Cagliari, Società Storica Sarda, 1917.

16 Boscolo A., La Sardegna bizantina e alto-giudicale, Editrice sarda Fossataro, Sassari, 1978.

17 Guillou A., La lunga Età bizantina. Politica ed economia, in Aa. Vv., Dalle origini all’Età bizantina = Storia della Sardegna e dei Sardi, I, Milano, 1988, pp. 329-371. ID., La diffusione della cultura bizantina, in Aa. Vv., Dalle origini all’Età bizantina = Storia della Sardegna e dei Sardi, I, Milano, 1988, pp. 373- 423.

18 Demontis L., Alberto Boscolo. Uno storico fra Mediterraneo e Atlantico, in «Mediterranea. Ricerche storiche», n° 29, Anno X, 2013, pp. 553-574.

19 Per gli studi archeologici si veda Moravetti A. a cura di, Sardegna e Mediterraneo negli scritti di Giovanni Lilliu, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2008.

20 Pani Ermini L., La storia dell’altomedioevo in Sardegna alla luce dell’archeologia, in Francovich R., Noyé G. a cura di, La storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia.

Convegno internazionale (Siena, 2-6 dicembre 1992), Firenze, All’Insegna del Giglio, Biblioteca di Archeologia Medievale 11, 1994, pp. 387-401.

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Ha avuto la direzione di scavi archeologici in ambito urbano e in complessi episcopali

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. Per la conoscenza dell’età bizantina moltissimo si deve agli studi del suo allievo Pier Giorgio Spanu

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, autore di un lavoro che inserisce in un quadro unitario e organico i molteplici aspetti storici e archeologici della Sardegna bizantina. Manca ancora una simile sintesi per l’età vandalica, un periodo storico di circa ottanta anni al quale però P.

G. Spanu non può che prestare attenzione nel suo lavoro.

Riguardo al periodo vandalico, pur mancando una sintesi di ampio respiro, abbiamo numerosi studi particolari che si giovano della specifica attenzione che, ormai da tempo, si presta nelle operazioni di scavo ai cosiddetti strati di abbandono, in precedenza scarsamente considerati, oscurati dall’interesse per le fasi romane.

A partire dalla letteratura esistente e dai risultati delle più recenti indagini archeologiche mi propongo di illustrare la realtà storica della Sardegna tardoromana, vandalica e bizantina al fine di delineare quale fu il ruolo dell’isola nel passaggio dal mondo antico romano a quello medievale che per la Sardegna fu molto meno “barbarico” che per il resto dell’Europa. Per questa trattazione ho scelto di seguire la periodizzazione europea che distingue tra età antica, tardoantica (da Costantino alla caduta dell’Impero romano d’Occidente) e medievale (a sua volta distinta in tre periodi: alto, medio e basso medioevo). Ricordo che per la storia sarda è stata proposta dal prof. Francesco Cesare Casula una periodizzazione differente che prolunga l’età antica fino al 900 d.C. quando, terminata la dominazione bizantina, si conclude la fase della Sardegna coloniale iniziata nel 1000 a.C. Con questa periodizzazione si fa dunque iniziare il medioevo con l’istituzione dei “giudicati”, prima espressione della statualità in Sardegna

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. La teoria

21 Per la Sardegna si devono ricordare quelli di: Cagliari, complesso di S. Saturno e cittadella giudicale di S. Igia; Cornus (Cuglieri, OR), complesso episcopale; S. Antioco (CA), catacomba omonima; Castro (Oschiri, SS), insediamento fortificato romano-bizantino; Porto Torres (SS), complesso di S. Gavino;

Sardara (CA), castello di Monreale.

22 Spanu P. G., La Sardegna bizantina tra VI e VII secolo, in Mediterraneo tardoantico e medievale.

Scavi e ricerche. 12, editrice S’Alvure, Oristano, 1998.

23 L’idea di F.C. Casula è infatti quella di riscrivere la storia della Sardegna seguendo la dottrina della statualità. Egli lamenta il carattere regionale della storiografia precedente che condanna la storia sarda ad un valore relativo, in quanto storia di un’entità geografica, oggetto territoriale di entità statuali esterne durante l’intero arco della sua storia, senza mai proprie identità istituzionali e proprie civiltà nell’ambito di parte o di tutta la regione. Sceglie quindi di seguire la dottrina della statualità, elaborata a partire dal 1980, che fa leva sulle entità giuridiche che si sono formate in Sardegna. Tali entità non si formarono durante l’età antica in cui l’Isola fu sempre una delle terre periferiche di uno Stato esterno, un oggetto giuridico, ma nel medioevo quando nacquero i “giudicati”. Il medioevo sardo non dovrebbe quindi più dividersi in: Sardegna vandalica (456 c. - 534), bizantina (534 - 1000 c.), pisana e genovese (1000 c. - 1323) ed infine aragonese (1323 - 1479), ma in Regno o “giudicato” di Calari (900 c. - 1258), Regno o

“giudicato” di Torres (900 c. – 1259/1272), Regno o “giudicato” di Gallura (900 c. – 1288 - 1447), Regno 4

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storiografica di F.C. Casula intende dare rilievo ai periodi di statualità dell’Isola trasformando così la sua storia da locale e secondaria a generale e primaria. In questo modo la storia della Sardegna, a partire dall’età medievale, godrebbe del diritto d’entrare a pieno titolo nei libri scolastici nazionali insieme a quella di tutti gli altri Stati europei coevi

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. Condivido con F.C. Casula la necessità di far rientrare nei manuali scolastici la storia della Sardegna giudicale, le cui vicende sono intrecciate con quelle di Pisa, Genova e dei re catalano-aragonesi, ma non la periodizzazione proposta per il medioevo sardo, ritenendo valido anche per la Sardegna il 476 d.C. come spartiacque tra età tardo antica e medievale. Anche l’Isola fu infatti coinvolta in quei processi che riguardarono i territori in precedenza appartenuti all’Impero romano d’Occidente:

perdita di una fiscalità centrale, assenza di lavori di manutenzione di infrastrutture e di opere pubbliche, diffusione del cristianesimo, trasformazione di strutture precedenti in edifici di culto (ad. es. le terme) e nascita di sedi episcopali con ruolo poligenetico. Ciò che la Sardegna non condivise con gran parte del continente europeo fu la formazione di una società romano-barbarica: la dominazione vandalica durò circa 80 anni e non portò all’integrazione degli elementi sardo, sardo-punico, romano e vandalico. Questo perché l’interesse dei Vandali, limitato all’occupazione delle zone costiere e quindi al controllo dei traffici nel Mediterraneo centrale, portò ad una scarsa presenza dell’elemento barbarico nell’Isola. L’influenza culturale dei Vandali in Sardegna fu tra l’altro ancora più effimera perché qui, al contrario che in Africa, non adottarono quella politica religiosa repressiva con la quale intendevano diffondere l’arianesimo, elemento cultuale di cui si erano serviti per darsi un’identità etnico-culturale che li differenziasse dall’aristocrazia romanizzata,allora detentrice di un ruolo egemonico

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. Concludendo:

seppur in questo aspetto, come d’altronde in altri,l’alto medioevo sardo si differenzi da

o “giudicato” di Arborea (900 c. – 1324), la Sardegna parziale pisana (1258 – 1324), il Regno o

“giudicato” di Arborea (1324 – 1420), il regno di “Sardegna e Corsica” in epoca catalano-aragonese (13271420 – 1479). Cfr. Casula F. C., Introduzione a La storia di Sardegna, I, L’Evo antico, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1994.

24 Da questo obiettivo trae origine la scelta storiografica di F.C. Casula che ha portato alla pubblicazione della sua La storia di Sardegna in ben tre diverse edizioni destinate a soddisfare diverse esigenze tra cui l’insegnamento della storia sarda nelle scuole media inferiore e superiore e negli atenei isolani.

Quest’opera nasceva infatti da un’iniziativa della Regione Autonoma della Sardegna, poi non portata a termine, di realizzare un manuale di storia per le scuole medie e superiori dell’Isola, ad integrazione del libro di testo che manca inspiegabilmente di qualsiasi riferimento alle nostre vicende.

25 La politica di repressione religiosa fu usata in Africa, dove la concorrente aristocrazia, romana e cattolica, era molto forte. Il diverso atteggiamento dei Vandali in Sardegna va ricondotto alla differente realtà dell’isola in cui mancavano sia un’aristocrazia cristiana forte, da sottomettere ed eliminare, sia uno stanziamento vandalo.

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quello del continente europeo, ribadisco la validità della periodizzazione europea anche per la storia della Sardegna che solo così può emanciparsi dal regionalismo ed inserirsi nella storia europea.

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La Sardegna in età romana e tardoantica

I. Dall’occupazione romana al Dominato26 I.1 Le vicende storiche

L’occupazione romana avvenne nel 238 a.C., all’indomani della fine della prima guerra punica (264-241 a.C.) in seguito alla rivolta dei mercenari cartaginesi nel Nord Africa.

Dopo un iniziale rifiuto, Roma decise di accogliere le richieste di intervento dei mercenari di stanza nell’Isola e occupò la Sardegna. La conquista dell’isola era infatti indispensabile per impedire all’avversario appena sconfitto di sedare la rivolta e ricostituire così le basi della propria potenza. A nulla servì l’ambasceria cartaginese inviata in Senato: Roma, sfruttando la sua posizione di forza, costrinse Cartagine ad abbandonare l’isola e a pagare un’indennità di guerra di 1.200 talenti, assicurandosi così un maggiore controllo del Mediterraneo centrale

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. L’operazione fu affidata al console Tiberio Sempronio Gracco il quale avrebbe occupato facilmente le piazzeforti cartaginesi,addirittura senza combattere, come si legge nella Epitome delle Storie del cronista bizantino Zonara, di evidente carattere propagandistico. È probabile che la conquista sia stata facilitata dal favore accordato al console della gens Sempronia dai mercenari campani e dalle antiche colonie fenicie, scontenti per la più recente politica cartaginese nei loro confronti.

Nelle regioni costiere i nuovi dominatori trovarono una società mista. In Sardegna, infatti, dopo gli splendori (a partire dal XVI-XV sec. a.C.) della civiltà nuragica, dopo

26 Per il periodo romano si vedano: Mastino A., La Sardegna romana, in Brigaglia M, Mastino A., Ortu G. G., a cura di, Storia della Sardegna. Dalle origini al Settecento Editori Laterza, 2006, pp. 33-57; ID., Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Nuoro, 2009; Meloni P., La Sardegna romana, Chiarella, Sassari,1975; Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano, a cura di Attilio Mastino, Illisso, Nuoro, 1999 (riedizione dell’opera Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano, tomi I-II, Roma, Nardecchia editore, 1923). Per la cronologia della storia romana in Sardegna vd. Mastino A., Cronologia della Sardegna romana, in Brigaglia M. a cura di, La Sardegna. V.

3:Aggiornamenti, cronologie e indici generali, Edizioni della Torre, Cagliari, 1988, pp. 411-419.

27 Polibio (28, 11) dà un duro giudizio sull’intervento romano: «A proposito del passaggio dei Romani in Sicilia abbiamo dunque concluso che esso non costituì una violazione dei patti; non si può invece trovare alcun pretesto, né alcuna causa ragionevole della seconda guerra che essi dichiararono a Cartagine, in seguito alla quale fu stipulato il trattato riguardante la Sardegna. Bisogna riconoscere che i Cartaginesi furono costretti dalle circostanze, contrariamente a ogni principio di giustizia, a ritirarsi dalla Sardegna e a pagare ai Romani la somma suddetta. A giustificazione del loro atto questi adducevano che i Cartaginesi avevano trattato ingiustamente, durante la guerra libica, i Romani che si erano spinti in Africa per ragioni di commercio […]». Giudizio che oggi viene temperato in rapporto all’ambiguo comportamento tenuto da Amilcare, forse intenzionato a riaprire lo scontro con i Romani. Cfr. Mastino A., Storia della Sardegna antica, cit., p. 65.

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l’arrivo (inizio I millennio) dei Fenici, che nel corso del IX a.C. consolidarono la loro presenza con la fondazione, di tipo commerciale, di città costiere come Nora, Sulcis, Caralis e Tharros, dopo l’arrivo dei Greci, sconfitti poi da Cartaginesi e Etruschi nella battaglia di Alalia del 535 a.C., e il tentativo degli ultimi nuragici di contrastare la potenza commerciale fenicio-punica, era iniziato un processo di integrazione che aveva portato alla creazione di una società mista sardo-punica.

L’integrazione interessò soprattutto, ma non solo, le zone costiere. Nelle terre dell’interno la penetrazione romana fu profonda, ma si scontrò con la resistenza opposta dai Sardi per motivi economici e territoriali (non culturali!). Le popolazioni dell’interno erano riuscite a mantenere la propria indipendenza politica durante il dominio punico e volevano continuare a farlo: la situazione di autogoverno offriva infatti migliori garanzie per mantenere anche l’indipendenza economica.

In Sardegna Cartagine aveva costruito un’economia di prevalenza cerealicola su basi latifondistiche finalizzata all’approvvigionamento di Cartagine stessa e dei suoi eserciti.

Roma ereditò e incentivò questo tipo di economia con il risultato che il continuo espandersi delle colture cerealicole minacciava l’integrità dei pascoli degli isolani dell’interno, la cui economia era invece basata soprattutto sulla pastorizia, ma anche sulla caccia e sulla raccolta di erbe e frutti spontanei, nonché sulla lavorazione di metalli, legni e tessuti.

Dal 235 al 231 a.C. ogni anno scoppiarono delle rivolte, sempre sedate dai Romani che invano chiesero a Cartagine, con la minaccia di intraprendere una guerra, di abbandonare le coste sarde e di rinunciare ad appoggiare i ribelli. Sono questi dunque gli anni dei trionfi dei consoli romani. Il primo trionfo de Sardeis è quello di Tito Manlio Torquato del 235 a.C. Seguono quelli di Spurio Carvilio Massimo (233 a.C.), di Manlio Pomponio Matone (232 a.C.

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) ed infine quello ottenuto dall’azione congiunta del console Matone (231 a.C.), impegnato nella Sardegna meridionale, e di Gaio Papirio Masone che, dopo aver combattuto con i Corsi della Gallura e della Corsica, negoziò una pace non tanto favorevole ai Romani, dato che il Senato gli negò l’onore del trionfo

28 Nel 232 a.C. le terre prese agli indigeni dell’interno furono riconquistate dai KÚrnioi che P. Meloni identifica con le popolazioni della Gallura, note da Plinio (Nat. Hist., III, 7, 85), Tolomeo (III, 3, 8) e Pausania (X, 17, 5: «Vi è un’isola non molto distante dalla Sardegna, chiamata KÚrnoj dai Greci e Corsica dai LibÚej che l'abitano. Da questa una parte non piccola degli abitanti, oppressa da una sedizione, venne in Sardegna, ed abitarono questa regione, stanziandosi tra i monti: dagli abitanti della Sardegna queste popolazioni sono chiamate Corsi, dal nome della loro patria. I Cartaginesi quando erano forti nella marina soggiogarono tutti quelli che si trovavano in Sardegna, ad eccezione degli Iliesi e dei Corsi, ai quali per non essere posti in schiavitù fu sufficiente la sicurezza dei monti.»).

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che Masone volle ugualmente celebrare, in forma meno solenne, il 5 marzo del 230 a.C., sul Monte Albano, con una corona di mirto anziché di alloro, perché aveva vinto i Sardi (i Corsi di Sardegna) in campis myrteis. Matone, invece, riuscì a sconfiggere gli indigeni ricorrendo all’uso di segugi.

Circa dieci anni dopo la conquista romana, nel 227 a.C., la Sardegna, insieme con le sue isole minori e la Corsica, diventò provincia romana. Sardegna e Corsica resteranno associate per tutta l’età repubblicana

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. Nella nuova provincia si soffrì subito la pressione fiscale di Roma che già nel 226 a.C. dovette impegnarsi in una campagna contro i rivoltosi dell’interno.

Ad opporre resistenza al nuovo dominio non furono però solo i Sardi dell’interno:

durante la seconda guerra punica (218-201 a.C.), nell’inverno 216 a.C., i principali esponenti delle comunità sardo-puniche stipularono un’alleanza antiromana a Cartagine.

Incoraggiati dalla grande vittoria di Canne (216 a.C.), dopo la quale i Cartaginesi continuarono l’invasione delle regioni meridionali, speravano di tornare sotto il dominio punico e di liberarsi così della pressione fiscale di Roma.Sappiamo da Tito Livio che un’ambasceria dei principes sardi e di alcune popolazioni dell’interno (i Sardi Pelliti identificati con gli Ilienses

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) si recò a Cartagine per chiedere un sostegno militare alla

29 La costituzione della provincia segnò il riconoscimento romano di una realtà geografica unitaria, quella di Corsica e Sardegna, che il mito faceva risalire al leggendario re Forco, figlio di Ponto e di Gea o, secondo un’altra versione, figlio di Oceano e di Teti.

30 Livio e Silio Italico conservano due tradizioni distinte. Silio Italico (XII, 344, 361) ricorda che il ribelle Hampsagora, princeps di un territorio che aveva come capitale la città di Cornus, vantava un’origine troiana in quanto originario del popolo degli Ilienses. È evidente la volontà dello storico di creare una sorta di parentela etnica che collegasse i Sardi-Ilienses ai Romani. Così si cercava di favorire una loro assimilazione nella romanità e di spiegare la straordinaria civiltà nuragica alla luce di una mitica origine troiana, che imparentava i Sardi con Enea e con i Romani.

Livio ricorda gli Ilienses come una popolazione in lotta con Roma dall’inizio del II sec. a.C. e non ancora del tutto pacificata sotto Augusto. Invece, quando parla della guerra di Hampsicora, ricorda l’alleanza con i Sardi Pelliti «(scil. Hampsicora) profectus erat in Pellitos Sardos, ad iuventutem armandam, qua copias augeret.». Fino a non molto tempo fa si riteneva che il nome dei Sardi Pelliti facesse riferimento alla mastruca, il tipico abbigliamento dei Sardi dell’interno disprezzato da Cicerone che chiama mastrucati latrunculi gli indigeni sconfitti da Albucio alla fine del II sec. a.C. e che parla di pelliti testes per il processo contro il proconsole Scauro. Oggi si pensa invece a un’invenzione fatta da Cicerone per denigrare i leader nuragici dell’interno, mai domati. In realtà, come dimostra la Tavola di Esterzili (cfr.

intra) con la disputa legale fra Patulcenses e Galillenses, i Sardi dell’epoca ricorrevano al Senato di Roma per le controversie, dimostrando di essere amministratori di rango e non barbari ribelli. Si ritiene inoltre che i Sardi Pelliti siano un’invenzione di Livio mirante a screditare i Sardi: in realtà erano personaggi di spicco delle amministrazioni isolane dei territori montani bagnati dal Tirso. Il mito dell’origine troiana, che verrà ripreso da Sallustio e da Pausania (X, 17, 4), è da escludersi, derivando chiaramente da una paretimologia dotta della fine dell’età repubblicana. Questa tradizione è più recente rispetto a quella ellenistica che aveva ugualmente cercato di istituire un legame con la civiltà nuragica.

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Gli Ilienses sono infatti ricordati come originari dei Greci prima da Polibio e poi da Diodoro Siculo. Nel VII libro delle Storie Polibio racconta che, subito dopo la battaglia di Canne, Annibale rinnovò il giuramento contro i Romani che il padre Amilcare gli aveva fatto fare da bambino. Dopo vent’anni, stipulando un’alleanza con Filippo di Macedonia nella quale fu forse coinvolta anche la Sardegna, rinnovò il giuramento d’odio eterno in nome di alcune divinità tra cui Iolao, l’eroe che secondo il mito greco aveva colonizzato la Sardegna assieme ai 50 figli che Eracle aveva avuto dalle 50 figlie del re Tespio. Dal dio Iolao, assimilato a Sid ed al Sardus Pater, avrebbe preso il nome il popolo barbaricino degli Ilienses. Diodoro Siculo, nel V libro della Bibliotheca storica, racconta che Ercole, preoccupato per il futuro dei suoi figli, interrogò l’oracolo di Apollo a Delfi per conoscere il nome della regione del Mediterraneo che i suoi figli, guidati da Iolao, avrebbero dovuto colonizzare: secondo il mito, Apollo rispose che la terra da colonizzare era la Sardegna e promise che i coloni greci che avessero raggiunto l’isola sarebbero rimasti liberi per sempre, loro ed i loro discendenti, perché non avrebbero dovuto subire il dominio di altri popoli. Nel I. sec. a.C. Diodoro Siculo (V, 15) poteva constatare che gli Iolei avevano resistito ai Cartaginesi e ai Romani e che si erano rifugiati sui monti. Qui vivevano in luoghi inaccessibili, abitando in ambienti sotterranei e gallerie. Abbandonate le fatiche dei campi, si dedicavano alla pastorizia, nutrendosi di latte, formaggio e carne.

Riassumendo: se il giuramento di Annibale (Polibio) contiene nella figura di Iolao un’allusione alla Sardegna e se i Sardi Pelliti con i quali si alleò Hampsicora (Livio) sono gli Ilienses, i Teucri del mito, possiamo identificare i Sardi Pelliti con gli Ilienses.

La popolazione degli Ilienses, ricordata da Pomponio Mela come la più antica dell’isola, viene collocata nell’area dei Montes Insani, forse da identificarsi con la catena del Marghine, sulla base del passo di Floro in cui si fa riferimento alla vittoria di Tiberio Sempronio Gracco: Sardiniam Gracchus arripuit. Sed nihil illi gentium feritas Insanorumque – nam sic vocantur – immanitas montium profuere. Oggi gli studiosi tendono a considerare l’espressione Montes Insani come generica e riferita ai vari sistemi montuosi della Sardegna interna, fino al Gennargentu e più ancora fino al Monte Albo e alla costa orientale dell’isola.

L’insania dei Montes viene invece riferita o all’azione dei venti che creavano problemi di navigabilità o alla presenza di zone malariche lungo la costa.

Sempre all’area del Marghine fa riferimento un’epigrafe latina del I sec. d.C. incisa sull’architrave del nuraghe Aidu entos (Valico dei venti) di Mulargia: Ili(ensum) iur(a) in / nurac Sessar, / (passus) mc.

L’iscrizione conserva il ricordo di un antico confine collocato a 110 passi dal nuraghe (nel locativo in nurac Sessar si noti la forma nurac con la gutturale sorda finale, originaria denominazione paleosarda per la costruzione megalitica, in questo caso risalente al I millennio a.C.).

La catena montuosa del Marghine prende il nome dal fatto che segna il confine (margo) tra le zone montane ad economia pastorale della Campeda e le pianure a valle delle città romane di Macopsisa e Molaria. Conferma questa localizzazione anche il racconto di Pausania: il periegeta ricorda la presenza nell’isola dei profughi Troiani che dopo una tempesta si sarebbero uniti ai Greci già presenti costituendo con essi una coalizione contro gli indigeni. I territori dei Greci e dei Troiani erano divisi da quelli dei barbari dal corso del fiume Torso (il Tirso, il fiume che oggi separa la catena del Marghine dalle colline della Barbagia e del Nuorese). Molti anni dopo questi fatti i Libii sarebbero tornati in Sardegna e avrebbero sconfitto i Greci, sterminandoli quasi del tutto. I Troiani, invece, si rifugiarono nelle zone montuose dell’interno. Qui vivevano ancora al tempo di Pausania, chiamandosi “Iliesi”, simili ai Libii per le armi e ben distinti dai seguaci di Iolao da tempo scomparsi.

Sul problema dell’identificazione dei Sardi Pelliti con gli Ilienses e della collocazione di questa popolazione cfr. Mastino A., Storia della Sardegna antica, pp. 71-77; ID., Il Nuraghe Aidu ‘entos e gli Ilienses della Barbaria sarda, in Aidu entos, Vol. I (3), n. 3, settembre-dicembre 2007, pp. 27-32; ID., I Montes Insani e gli Ilienses della Sardegna interna: Montiferru, Marghine o Gennargentu?, in Mele G. a cura di, Santu Lussurgiu: dalle origini alla “Grande Guerra” , Nuoro, 2005, Grafiche editoriali Solinas, Vol. 1: Ambiente e storia, pp. 137-139; ID., Analfabetismo e resistenza alla romanizzazione nella Barbaria sarda (I-IV. sec. d.C.): prolusione del chiar.mo prof. Attilio Mastino, in Inaugurazione del 430 anno accademico, 11 gennaio 1992, Sassari, Chiarella, pp. 21-44; ID., I Sardi Pelliti del Montiferru o del Marghine e le origini di Hampsicora, in Mele G. cit., pp. 141-166.

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rivolta che serpeggiava nell’Isola. Livio ricorda come il primus tra i principes della Sardegna Hampsicora

31

, un esponente dell’antica nobiltà sardo-libica, di famiglia originaria della Numidia, per tradizione legata a Cartagine

32

.

Il condottiero cartaginese Amilcare Barca, giunto in Sardegna, cercò dunque l’alleanza con gli indigeni dell’interno e con i Sardi delle città costiere intorno a Cornus

33

. Nonostante l’unione dei sardo-punici con le popolazioni dell’interno, i rivoltosi furono sconfitti dal comandante romano Tito Manlio Torquato, un privatus cum imperio, in una battaglia campale nel Campidano

34

. Immediata conseguenza della sconfitta fu l’aumento del tributo imposto alle città rivoltose. Hampsicora si suicidò

35

.

Dopo la seconda guerra punica il governo della Sardegna venne affidato al pretore Marco Porcio Catone che nel 198 a.C. arrivò nell’isola con 2000 fanti e 300 cavalieri.

Del suo governo Plutarco sottolinea la misura e l’intransigenza: non esitò a cacciare gli usurai, suscitando il malcontento dei banchieri romani.

La Sardegna, che Polibio aveva descritto come intensamente popolata

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e molto fertile, si mostrò subito in grado di svolgere la funzione per la quale Roma era interessata al

31 Latifondista appartenente a una famiglia di Sardo-libici, immigrata in Sardegna da generazioni e ormai inserita nella società sarda. L’immagine di Hampsicora si prestò ad entrare in una dimensione mitica, già prima della falsificazione delle carte d’Arborea. La rivolta, la morte del figlio combattente, il nobile suicidio davanti alla tragedia: sono tutti elementi di una visione romantica dell’epos nazionalitario. Da qui l’esaltazione romantica del personaggio all’interno di un quadro di patriottismo e di invenzione di glorie locali. Il ribelle divenne protagonista del dramma dell’Airaldi, Ampsicora, del 1833, opera seguita da numerose repliche tra cui la tragedia di B. Ortolani Ampsicora, ossia supremo sforzo per la sarda indipendenza.

32 Altri esponenti ricordati dalle fonti sono: Asdrubale il Calvo, Annone, auctor rebellionis Sardis bellique e Magone, ex gente Barbaricina, propinqua cognatione Hannibali iunctus.

33 L’alleanza tra Sardi (da distinguere in Sardo-punici di Cornus e delle altre città alleate e Sardi Pelliti- Ilienses del Marghine-Goceano e forse del Montiferru) e Cartaginesi sarebbe confermata anche da alcune fonti numismatiche. Infatti, nel 216-215 a.C., i Cartaginesi avrebbero emesso due tipi monetali che sulle due facce rappresentano forse la Tanit punica ed il toro paleosardo, già di età neolitica (quello rappresentato nelle domus de janas, le necropoli di 5000 anni fa).

34 In realtà non abbiamo traccia della partecipazione dei Sardi non punici, che Livio chiama con tono dispregiativo Sardi Pelliti. Il tentativo di alleanza fu vano, interrotto dalla notizia della sconfitta e della morte del figlio Hostus, andato allo sbaraglio contro i Romani.

35 Silio Italico racconta con grande enfasi il ruolo del poeta Ennio nel Bellum Sardum: giunto a duello con Hostus, figlio di Hampsicora, fu difeso da Apollo il quale preannunciò che il poeta sacro alle muse

«canterà per primo le itale pugne e innalzerà al cielo i duci».

36 Per la Sardegna si è supposta una popolazione di circa 300.000 abitanti (Pais, cit., pp. 558 ss., Meloni, cit., pp. 99-101, Mastino, cit., p. 36, Beloch K. J., Die Bevölkerung der griechish-römischen Welt, Lipsia, 1886, pp. 444 ss. Una popolazione di 200.000 abitanti è invece supposta da Bellieni C., La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, Il Nuraghe, Cagliari, 1928-1931, I, pp. 276 ss.). Dal racconto delle fonti sembra che l’isola fosse piuttosto popolata. Pausania (I, 79, 6) parla di “un’isola di grande estensione, intensamente popolata e fertile”. Probabilmente le informazioni dello storico greco derivano dal siciliano Timeo, dal quale deriverebbe anche Pausania (X, 17, 1) che della Sardegna dice “uguale alle 11

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suo possesso: furono infatti le risorse della sua terra a fornire gli approvvigionamenti agli eserciti romani impegnati nella guerra contro Antioco III di Siria (191-189 a.C.). In questi tre anni fu imposta una seconda decima che alimentò il malumore dei Sardi, i quali, qualche anno dopo, nel 181 a.C., scoppiarono in rivolta, la prima ricordata dopo la fine del primo conflitto punico. Secondo la narrazione di Livio la sollevazione coinvolse Sardi e Corsi. Roma inviò il pretore Marco Pinario Rusca che, dopo aver sconfitto i Corsi, vinse anche gli Iliensi, per la prima volta menzionati da Tito Livio che li ricorda come gente ne nunc quidem omni parte pacata.

Un’altra rivolta dei barbari dell’interno, Ilienses e Bàlari

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, scoppiata circa quarant’anni dopo, fu repressa da Tiberio Sempronio Gracco, console nel 177 a.C. Infatti, data la gravità della situazione, la provincia fu sottratta all’amministrazione ordinaria del pretore Lucio Mummio ed assegnata al vincitore dei Celtiberi e nipote del console del 238 a.C. La rivolta sarebbe stata favorita da una pestilentia che interessò l’Oristanese e quindi i possedimenti dei maggiorenti sardo-punici.

Molti sardi (50.000 in una popolazione totale di 300.000) furono venduti come schiavi:

fu in questa circostanza che nacque l’appellativo dispregiativo di Sardi venales (sardi da vendere), tanti furono quelli che alimentarono il mercato di Roma. T. S. Gracco annunciò che la provincia era pacata, ma gli fu prorogato il comando per il 176 a.C.:

due anni dopo celebrò a Roma il trionfo sui Sardi e dedicò nel Tempio della Mater

isole più famose per estensione e prosperità”. In base al giudizio di Polibio, molti studiosi di problemi demografici del mondo romano, hanno sostenuto che la Sardegna sia stata più densamente popolata rispetto alle altre regioni della penisola. La questione, ancora aperta, s’inserisce nel complesso problema della popolazione dell’Italia alla fine della repubblica. Il passo di Polibio è stato accostato a quello di Livio (XLI, 28, 8) che cita il testo della tavola posta a Roma nel 174 a.C. da Tiberio Sempronio Gracco in ricordo delle sue campagne nell’isola. Gracco parla di 80.000 nemici uccisi o catturati. Sempre Livio ricorda che nelle precedenti operazioni del 177 a.C. e del 176 a.C. erano caduti rispettivamente 12.000 (XLI, 12, 5) e 15.000 (XLI, 17, 1) sardi. Entrambe le testimonianze, Polibio e Livio, hanno un valore relativo. Polibio, che sta descrivendo l’isola appena perduta da Cartagine, vuole alludere al fatto che la Sardegna aveva potuto offrire molti uomini agli eserciti mercenari di Cartagine. Livio, invece, descrive un nemico molto numeroso per esaltare l’entità della vittoria romana. Tuttavia, è soprattutto in base a queste cifre che si è postulata una popolazione di circa 300.000 abitanti. A un altro risultato giunge un calcolo basato sui dati offerti da Diodoro Siculo (V, 14, 3) sulla vicina Corsica, la quale avrebbe avuto una popolazione di 30.000 indigeni ai quali si devono aggiungere i 20.000 cittadini romani di cui parla Seneca (ad Helv., VI, 5). La Corsica aveva dunque 50.000 abitanti. Stabilendo il rapporto di 1:3 con la popolazione della Sardegna si ha, per questa, un totale di 150.000 abitanti, la metà del dato accolto dalla maggior parte degli studiosi.

37 Grazie a un cippo terminale, rinvenuto nel 1965 ai confini tra Monti e Berchidda (in Gallura), e recante il nome dei Bàlari è possibile fissare le loro sedi fra il Monte Acuto, l’Anglona e il Logudoro, nella Sardegna centrosettentrionale.

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Matuta un quadro con la rappresentazione delle battaglie vinte e con un’immagine cartografica dell’isola, la prima “carta geografica” della Sardegna a noi nota.

Negli anni successivi le operazioni militari non si arrestarono, anche se non ne abbiamo notizia a causa della perdita dei libri delle Storie di Livio

38

.

Dal 126 a.C. fu impegnato contro le rivolte degli indigeni il console Lucio Aurelio Oreste che celebrò il trionfo sui Sardi l’8 dicembre 122 a.C. Per i primi due anni era stato affiancato dal questore propretore Gaio Gracco, il figlio del vincitore degli Ilienses e dei Bàlari. Gaio si distinse per la correttezza del suo operato, mentre la maggior parte dei governatori era solita abusare della propria posizione di forza per saziare la consueta avidità

39

. Nelle fonti troviamo testimonianza del buon rapporto che il governatore riuscì a instaurare con la popolazione dell’isola. Nella Vita di Gaio Gracco Plutarco narra che nell’inverno del 125 a.C., L. Aurelio Oreste, superiore di Gaio, richiese agli isolani di fornirgli vesti per i soldati impegnanti nella lotta contro i ribelli delle zone montuose. I Sardi, pur essendo esonerati da questa incombenza, fornirono quanto richiesto in seguito alla visita di Gaio stesso. Alla fine del 125 a.C. o agli inizi del 124 a.C. Gaio abbandonò senza autorizzazione la Sardegna per partecipare alle elezioni per il tribunato per l’anno 123 a.C. Riuscirà a farsi nominare tribuno per i due anni successivi. È probabile che sia stata proprio l’esperienza in Sardegna a ispirargli la successiva lex militaris con la quale pose per la prima volta a carico dello Stato le spese per l’armamento ed il vestiario delle truppe. Con la morte violenta di Gaio si estinse la linea maschile della famiglia, ma l’eredità politica dei Gracchi avrebbe influito nella provincia ancora per molti anni.

38 Conosciamo le azioni militari del pretore Marco Atilio (174 a.C.) e del pretore Gaio Cicereio (172 a.C.). Nel 171 a.C. l’imposizione di una seconda decima per l’esercito che combatteva contro Perseo in Macedonia dovette suscitare dei malumori. Nel 163-162 a.C. il governo fu di nuovo nelle mani di Tiberio Sempronio Gracco.

39 Tre magistrati romani furono processati, due condannati, Gaio Megabocco e T. Albucio, uno assolto, Scauro. Questi, inviato nell’isola nel 55 a.C., vessò ogni oltre misura i Sardi che, terminato il suo governo, gli intentarono un processo. La loro causa fu difesa da P. Valerio Triario. L’accusa fu presentata da Triario a M. Porcio Catone, presidente del tribunale. Scauro era difeso da un collegio di sei avvocati, fra i quali i famosi Q. Ortensio Ortalo e M. Tullio Cicerone che pronunciò la Pro Scauro, giunta solo frammentaria, ma nota grazie al commento di Asconio. Le imputazioni erano tre: la morte di Bostare, la moglie di Arine, le tre decime. Bostare era un ricco cittadino di Nora che aveva lasciato la Sardegna all’arrivo di Scauro. Invitato a rientrare, fu avvelenato in un banchetto. La moglie di Arine era stata a tal punto insidiata da decidere di darsi la morte. Le tre decime erano: la decima normale riscossa annualmente, il frumentum imperatum, tassa riscossa in modo eccezionale, e una terza decima, del tutto illegale, riscossa solo per il suo personale vantaggio. Nonostante la gravità del crimen frumentarium Cicerone riuscì a salvare Scauro, usando come arma di difesa anche l’insulto ai Sardi, eredi dell’astuzia e della falsità dei loro antenati Cartaginesi. Il governatore, assolto, l’anno seguente verrà accusato di corruzione, sempre da Triario, e questa volta condannato all’esilio. La sua carriera politica era finita.

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Negli anni successivi sarebbe ripresa la resistenza dei Sardi contro i Romani. Il console Marco Cecilio Metello restò nell’isola dal 115 al 111 a.C. quando celebrò il suo trionfo ex Sardinia. Al termine delle campagne militari provvide a un’importante opera di sistemazione catastale dei territori interessati alla rivolta. Di questa operazione abbiamo una preziosa testimonianza: la Tavola di Esterzili, una tavola bronzea che illustra una controversia di confine fra due comunità della Barbària sarda. Nella tabula, dopo esser stati richiamati i provvedimenti dei due predecessori del proconsole della Sardegna L.

Elvio Agrippa (68-69 d.C., sotto Otone), si enuncia la sentenza e quindi l’ordine di sgombero per i Galillenses, pastori rei di aver ripetutamente invaso i terreni di cui non erano legittimi assegnatari, terreni che erano stati assegnati da un decreto di M. C.

Metello ai Patulcenses, popolazione campana di agricoltori

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. Con la sentenza il governatore provinciale ripristinava dunque la linea di confine fissata 170 anni prima dal proconsole Marco Cecilio Metello. La sentenza proconsolare ricorda che i Patulcenses abbandonarono le terre perché costretti per vim: l’occupazione fu quindi illegale e accompagnata da azioni che misero in pericolo l’ordine costituito. Le gravi tensioni per l’utilizzo delle terre s’inserivano nel tradizionale contrasto tra pastori e contadini e nell’ambito della politica di colonizzazione romano-italica

41

.

Tornando alle operazioni militari, dobbiamo ricordare altri due trionfi ex Sardinia:

quello celebrato dal pretore Tito Albucio nel 106 a.C. e quello, non accertato, del propretore Publio Servilio Vatia Isaurico dell’88 a.C. Per il trionfo di T. Albucio, e verosimilmente anche per quello ipotetico di P.S.V. Isaurico, è meglio parlare di semplici operazioni di polizia più che di vere e proprie campagne militari, come sembra suggerire il giudizio ironico di Cicerone che ricorda che la campagna fu condotta da una sola corte ausiliaria contro mastrucati latruncoli (ladroni vestiti di pelli). È privo di contesto cronologico il passo in cui Varrone (I a.C.) fa riferimento ai latrocinia dei

40 La quasi totalità degli studiosi interpreta l’aggettivo “Campani”, che segue il nome dei Patulcenses la terza volta in cui questi vengono nominati nella tavola, col significato di “abitanti della Campania”, dato che l’aggettivo compare con l’iniziale maiuscola. Il linguista Massimo Pittau, pur non escludendo tale ipotesi, suggerisce un’altra possibile interpretazione del significato di Campani: “dei campi aperti”. I Patulcenses erano infatti gli abitanti “dei campi aperti” i cui interessi si scontrarono con quelli degli abitanti della montagna, i Galillenses. Cfr. Pittau M., La localizzazione dei Galillenses e dei Patulcenses, in www.pittau.it/Sardo/esterzili/html.

41 La tabula (una lastra di bronzo larga 61 cm, alta 45 cm e pesante circa 20 Kg) fornisce informazioni non solo sul conflitto tra pastori e contadini, ma anche sul governo provinciale, passato sotto Nerone dall’imperatore al Senato, e sul funzionamento degli archivi in provincia e a Roma. Per una trattazione approfondita della Tavola di Esterzili vd. Mastino A. a cura di, La Tavola di Esterzili: il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda: convegno di studi, 13 giugno 1992, Esterzili, Gallizzi, Sassari, pp. 15-18.

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populi indigeni vicini ad Uselis, secondo l’emendamento di C. Cichorius: «Multos enim agros egregios colere non expedit propter latrocinia vicinorum ut in Sardinia quosdam qui sunt prope Ou(s)elim»

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.

Durante le guerre civili l’aristocrazia sarda mostrò di accordare il suo favore ai populares, fatto che spiega la decisione del console mariano Marco Emilio Lepido di trasferirsi dall’Etruria meridionale in Sardegna dopo esser stato sconfitto dall’esercito del Senato comandato da Quinto Lutazio Catulo. Morì qualche mese dopo per malattie e per rimorsi (morbo et paenitentia).

Negli anni successivi l’Isola, coinvolta nella lotta contro i pirati che infestavano il Mediterraneo, accolse il legato Quinto Tullio Cicerone inviato da Pompeo, al quale era stato affidato il comando della guerra contro i pirati con la legge Gabinia.

Nel 59 a.C. fu eletto console Cesare e anche la Sardegna beneficiò della lex Iulia de repetundis che introduceva sanzioni più severe nei confronti dei governatori che si fossero macchiati del reato di concussione.

Nel 49 a.C., scoppiata la guerra civile tra Cesare e Pompeo, i Caralitani confermarono il loro schieramento con i populares cacciando dall’Isola il governatore pompeiano M.

Aurelio Cotta. Contribuirono inoltre alla vittoria di Cesare a Tapso con l’invio di truppe e, soprattutto, rifornimenti.

Dopo la vittoria, il 15 giugno del 46 a.C., Cesare giunse a Carales: si sdebitò per l’aiuto ricevuto concedendo la cittadinanza a tutti gli abitanti della città, mentre punì fortemente i Sulcitani che si erano schierati con Pompeo

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. Il nuovo stato giuridico di Cagliari, attestato dalla Formula Provinciae

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di Plinio, comportò l’abolizione dell’organizzazione cittadina cartaginese (la civitas peregrina) e l’istituzione del municipium di cittadini romani, retto da quattro magistrati, i quattuorviri. È forse in quella stessa occasione che Cesare fondò Turris Libisonis (Porto Torres), colonia che verrà rinforzata dopo Azio (31 a.C.) con l’invio di un secondo gruppo di coloni, veterani che avevano combattuto a favore di Antonio e Cleopatra. La presenza di questi ultimi, secondo Mastino, permette di spiegare alcuni fenomeni come l’abbondanza di monete di Antonio, la precoce attestazione di culti egiziani e l’iscrizione di numerosi Turritani a

42 P. Meloni, a differenza di R. Zucca, mette in relazione il toponimo Oelie, ritenuto corrotto, con la popolazione degli Iolei o Iliensi, protagonisti, insieme ai Bàlari, della rivolta del 178 a.C. che spinse gli ambasciatori sardi a rivolgersi al Senato per chiedere protezione.

43 La decima fu portata ad un ottavo, i beni di alcuni notabili locali furono messi all’asta e fu imposta una multa di 10 milioni di sesterzi (secondo alcuni 900.000).

44 Plinio, Nat. Hist., III, 7,85.

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una tribù di Roma, Collina, in prevalenza abitata da persone di bassa condizione sociale

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. Turris Libisonis è inoltre ricordata come colonia dalla Formula di Plinio ed è a questa qualifica che va riferito l’attributo di Iulia

46

attestato dall’Anonimo Ravennate

47

.

L’isola fu ancor più oggetto di contesa nella guerra che seguì la morte di Cesare. Nel 43 a.C., in base agli accordi del secondo triumvirato, la Sardegna passò ad Ottaviano insieme con l’Africa e la Sicilia. L’isola aveva il compito di fornire il grano agli eserciti che in Oriente combattevano i cesaricidi. Questi rifornimenti venivano però ostacolati da Sesto Pompeo che si era stabilito con una potente flotta a Marsiglia e spadroneggiava nel Tirreno. Nel 40 a.C. la provincia era stata occupata militarmente da Sesto Pompeo che aveva impiegato quattro legioni al comando del liberto Menodoro. Rioccupata temporaneamente da Eleno, liberto di Ottaviano, fu poi ripresa da Sesto Pompeo.

Poiché le azioni di Pompeo aggravavano la carestia di Roma,con gli accordi di Miseno del 39 a.C. gli si riconobbe per cinque anni il possesso di Sicilia, Sardegna e Corsica e gli si prometteva quello del Peloponneso, allora appartenente ad Antonio. Nonostante questo riconoscimento Pompeo continuò le sue azioni piratesche finché non fu sconfitto e ucciso nel 36 a.C. a Nauloco.

Due anni prima Sardegna e Corsica erano state cedute a Ottaviano dallo stratega pompeiano Menodoro

48

. La Sardegna fu d’aiuto a Ottaviano negli ultimi scontri con Antonio e nel 27 a.C. fu inclusa fra le province senatorie

49

. Nel 6 d.C., in seguito agli atti di brigantaggio delle popolazioni del centro

50

, verrà compresa fra le province affidate all’imperatore che non vi inviò più magistrati di rango senatorio, ma ufficiali di rango equestre

51

. Iniziava così l’occupazione militare dell’Isola che durò almeno fino al

45 Diverso il parere di Meloni il quale ricorda che nelle Res Gestae di Augusto la Sardegna non figura fra le provincie dove furono inviate colonie di veterani.

46 La data della deduzione resta incerta poiché l’appellativo Iulia è riferibile sia al tempo di Cesare sia a quello di Ottaviano, prima del 27 a.C., quando gli fu conferito il titolo di Augusto. Meloni ritiene si tratti di una colonia di Cesare, non di veterani, ma di proletari provenienti da Roma o dalla penisola.

47 Autore della Cosmografia ravennate del VII d.C.

48 È forse in questa occasione che Ottaviano fece coniare le monete con la rappresentazione del Sardus Pater ed il ritratto del nonno materno Marco Azio Balbo che verso il 59 a.C. aveva governato la provincia in modo onorevole favorendo l’integrazione dell’aristocrazia isolana.

49 Il proconsole era affiancato da un legato, anch’esso un ex-pretore, e da un questore, responsabile dell’amministrazione finanziaria.

50 Secondo Strabone e Dione Cassio l’isola diventò la base dalla quale partivano i pirati che saccheggiavano il litorale etrusco di Pisa.

51 In Sardegna di rango ducenario e con un titolo che poteva essere di procuratore di Augusto, prefetto, preside o prolegato.

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14 d.C., anno in cui un prefetto prolegato faceva ricostruire la strada militare che da Ad Medias (Abbasanta) arrivava fino ad Austis, campo militare alle falde occidentali del Gennargentu.

Una prima e parziale pacificazione con le popolazioni dell’interno avvenne poco dopo il 19 d.C. Nei pressi di Forum Traiani (attuale Fordongianos) è stata infatti trovata un’epigrafe nella quale un gruppo di popolazioni abitanti le regioni centrali dell’Isola omaggiavano l’imperatore con una dedica. I dedicanti appaiono come [---civ] itates Barb [ariae---]. Questa dedica testimonia dunque che alcune delle civitates Barbariae avevano deciso di fare atto di sottomissione a Roma. Tale atto di omaggio fu conseguente al successo delle operazioni militari di controllo del territorio barbaricino sul quale operava la I coorte dei Corsi comandata da Sex(tus) Iulius S(purii?) f(ilius) Pol(lia tribu) Rufus, allora praefectus civitatum Barbariae in Sardinia.

Il mutato atteggiamento di alcune comunità non dovette però apportare grandi cambiamenti alla generale situazione dell’interno: già nei primi anni di Tiberio il prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano volle rafforzare il presidio militare della Sardegna e costrinse 4.000 giovani liberti romani, seguaci dei culti egizi ed ebrei, ad arruolarsi per poi essere inviati nell’isola a combattere il brigantaggio. La provincia era controllata anche da due distaccamenti della flotta di Miseno stanziati nei porti di Carales e Aleria. L’occupazione militare durerà almeno fino al 46 d.C., anno per cui è attestato uno degli ultimi prefetti.

Nonostante il regime militare sia dunque terminato sotto Claudio, bisogna arrivare al 67 d.C. per trovare il primo esempio di procurator. Un anno dopo si suicidava il suo successore, Nerone, durante il cui regno la Sardegna aveva cambiato il suo status giuridico: in seguito alla concessione della libertà alla Grecia l’imperatore aveva fatto rientrare l’isola sotto il controllo del Senato

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.Con Nerone

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si estingueva la dinastia

52 La cessione della Sardegna al Senato da parte di Nerone è attestata da Pausania, VII, 17, 3. Si trattò di una politica di compromesso: concessa la libertà alla Grecia, il Senato veniva privato di una provincia importante per l’erario. Fu dunque compensato con l’assegnazione della Sardegna.

53 Per la storia della Sardegna in età imperiale è importante ricordare la vicenda di Atte, la liberta di origine asiatica amata da Nerone a Olbia fino a che non le preferì Poppea. Dopo il matrimonio di Nerone con Poppea Atte si trasferì ad Olbia dove possedeva vasti latifondi donati da Nerone. Ad Olbia Atte dedicò un tempio alla dea Cerere: l’architrave del tempio, con la dedica di Atte, fu trasferita in età medievale a Pisa ed è attualmente conservata nel Camposanto monumentale. Dopo la morte di Poppea terminò l’esilio volontario di Atte che poté tornare a Roma e a corte. Fu lei a occuparsi della sepoltura di Nerone. Le sue proprietà dovettero essere confiscate con l’arrivo di Vespasiano, ma Atte non fu uccisa né subì una damnatio memoriae dopo la morte.

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giulio-claudia e si lasciava Roma in balìa delle lotte fra vari imperatori acclamati dalle rispettive truppe.

Durante la lotta fra Otone e Vitellio Sardegna e Corsica si schierarono con il primo

54

. La crisi del 68/69 d.C., il lungo anno dei quattro imperatori, venne superata con l’affermarsi di Vespasiano, riconosciuto imperatore dal Senato. Sotto l’iniziatore della dinastia flavia la Sardegna

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fu interessata da un’azione di verifica catastale e cambiò nuovamente status giuridico, passando di nuovo all’amministrazione senatoria. Con Domiziano l’Isola dovette conoscere un altro periodo di repressioni. Il controllo militare continuerà ad essere rigido con Traiano (98-117 d.C.) al quale si deve la promozione delle antiche Aquae Ypsitanae, diventate ora Forum Traiani.

La Sardegna tornò sotto il controllo dell’imperatore con Commodo (180-192 d.C.)

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o Settimio Severo (193-211 d.C.)

57

.Per l’età imperiale le fonti conservano poche notizie

58

. Una delle principali preoccupazioni dell’amministrazione imperiale fu sempre quella di mantenere l’ordine in una provincia che doveva garantire l’approvvigionamento della capitale e della penisola. La situazione non si era mai stabilizzata perché la romanizzazione non era riuscita a spingersi fino all’interno. La dedica dell’iscrizione

59

di Forum Traiani attesta un atto di sottomissione politica che non fu però accompagnato da quella culturale. Il fatto che le civitates barbariae vengano menzionate in un documento ufficiale prova inoltre che si trattava di comunità non cittadine, con una struttura di tipo tribale.

54 La notizia è riportata da Tac.,Hist., II, 16.

55 L’isola era stata separata dalla Corsica da Tiberio.

56 Intorno al 190 d.C. è documentato un procuratore: Ippolito, Refutatio omnium haeresium, IX, 12.

57 Sotto Settimio Severo è certamente documentato un procuratore: Recio Costante, procurator Augusti et praefectus nel 204 d.C.

58 Sappiamo che il futuro imperatore Settimio Severo intorno al 174 ricoprì l’incarico di questore propretore e che poi, divenuto imperatore,punì il governatore della Sardegna Recio Costante, accusato di aver fatto infrangere alcune statue del consuocero del principe, il prefetto del pretorio Fulvio Plauziano, qualche mese prima della sua fine e della damnatio memoriae.

59 Commentata da Taramelli A., Un omaggio delle «civitates Barbariae» ad Augusto, in «Atti del I Congresso Naz. Di Studi romani», Roma, 1928. Ora in I.L.D.S., I 188.

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I.2 Romània e Barbària60

Abbiamo visto che, fin dai primi anni della conquista, in Sardegna si registra una resistenza alla romanizzazione che ha il suo centro nelle zone montuose dell’interno. Gli scontri, all’inizio vere e proprie campagne militari, poi azioni poliziesche, segnarono la vita dell’Isola per circa 150 anni e confermarono la divisione, già delineatasi in età punica, fra due grandi aree geografico-culturali: la Romània e la Barbària. La conoscenza della realtà di queste due grandi aree e la natura delle loro relazioni è preliminare ad ogni ricerca sulla storia della Sardegna.

Dunque, come è facilmente intuibile dalle denominazioni, la Barbària è il territorio resistente alle pressioni della nuova dominazione in cui vivevano le comunità dell’interno organizzate in tribù. La Romània, invece, è il territorio romanizzato.

La penetrazione romana nell’Isola ebbe successo nelle fasce costiere, mentre l’interno, come già in età punica, si scontrò con i dominatori, questa volta i Romani, per motivi economici.

Il territorio della Romània

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è quindi limitato alle zone costiere e in particolare all’area intorno a Turris Libisonis

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che, come già detto, è l’unico centro abitato ricordato come colonia romana nella Formula di Plinio, unica fonte letteraria riguardante i centri abitati

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.

Molte città costiere erano eredi delle colonie fenicie e puniche ed avevano dei retroterra fertili occupati in gran parte dal latifondo in cui dominava la villa schiavistica. Si tratta

60 Vd. Mastino A., Storia della Sardegna antica, pp. 306-315; Zucca R., Le Civitates Barbariae e l’occupazione militare della Sardegna: aspetti e confronti con l’Africa, in l’Africa Romana, V convegno di studio, 11-13 dicembre 1987, Sassari, pp. 349 ss.

61 Lo stesso termine si ritrova immutato nel medioevo per indicare una curatoria del giudicato di Torres che si estendeva fino a Osilo e a Sorso.

62 La colonia è documentata anche nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate come Turris Libisonis colonia Iulia. La turris eponima è identificata in un monumento nuragico forse andato distrutto nell’area della colonia.

63 La formula deriva dai Commentarii Geographici e dalla Tabula picta di Marco Vipsanio Agrippa:

Celeberrimi in ea [i.e. in Sardinia] popolorum Ilienses, Balari, Corsi oppidorum XVIII Sulcitani, Valentini, Neapolitani, Vitenses, Caralitani civium R(omanorum) et Norenses, colonia autem una quae vocatur ad Turrem Libisonis.

I più celebri tra i popoli (non urbanizzati) in Sardegna sono gli Ilienses, i Bàlari e i Corsi, tra le diciotto città i cittadini di Sulci (Sulcitani), di Valentia (Valentini), di Neapolis (Neapolitani), di Bitia (Vitenses), e quelli provvisti di cittadinanza romana, gli abitanti di Caralis (Caralitani) e di Nora (Norenses) ed infine (i coloni) dell’unica colonia che è chiamata ad Turrem Libisonis.

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