Burnout universitario: nuova frontiera dello stress.
Risultati di uno studio descrittivo.
Introduzione
La definizione di stress.
Ci sono numerose definizioni di stress. Long (1998) definisce lo stress come una condizione legata al rapporto esistente tra individuo e ambiente, descritto e percepito dal primo come un qualcosa che, andando oltre sia rispetto alle capacità che alle risorse disponibili, altera e minaccia il
benessere personale. L’ambiente esercita continuamente delle pressioni sull’individuo che lo costringono ad un adattamento continuo. Steckler (2005) distingue tra eventi stressanti esterni che sono cambiamenti rilevanti che avvengono nella vita dell’individuo e nel contesto ambientale e che determinano l’attivazione della risposta di stress, ed eventi stressanti interni, di natura principalmente psicologica, che originano nell’individuo come, ad esempio, eccessiva autocritica, bassa autostima, aspettative irrealistiche verso se stessi e gli altri e scarsa assertività. Esistono due tipi diversi di stress: l'eustress è quello positivo, in grado di mantenere nel soggetto la tensione mentale necessaria a dare inizio alla risposta adattativa; si parla di distress, stress negativo, quando l’individuo non riesce ad adattarsi e quindi rispondere in modo capace agli stimoli stressogeni (Pancheri, P. 1980).
Negli anni ’60, Holmes e Rahe (1967) utilizzavano il termine “stress” sia per indicare gli stimoli stressanti che le risposte psicofisiologiche. Oggi distinguiamo nettamente tra evento stressante o “stressor” (Long, 1998) da un lato, e reazioni di adattamento dall’altro che garantiscono livelli standard di omeostasi e allostasi.
Tra stressor e reazione dell’individuo vi è una vera transizione, una processualità che cercheremo di spiegare attraverso i principali modelli teorici.
Modello di Lazarus e Folkman (1984)
Il modello di Lazarus e Folkman è un punto di riferimento teorico essenziale nell’ambito delle ricerche attuali dello stress (Ripamonti et al., 2007). Quando l’individuo si trova di fronte all’evento stressante, si attivano due tipi di fasi: una valutativa e interpretativa, chiamata “appraisal”,
durante la quale il soggetto si chiede se gli avvenimenti accaduti minacciano la sua integrità e una fase più attiva, anche sul piano comportamentale, chiamata “coping” in cui esamina le risorse a disposizione per affrontare la situazione e mette in atto strategie.
L’appraisal consta di una valutazione primaria, una secondaria e una terziaria. La valutazione primaria ci dice come stiamo vivendo quello che è accaduto o che sta accadendo, la valutazione secondaria precede la messa in atto delle strategie di coping e mi chiede come fronteggerò
EVENTO
Valutazione Primaria
(come vivo l'evento?)
Valutazione Secondaria
(come lo fronteggio?)
Coping
- centrato sul problema - centrato sull'emoziome
ESITO
Valutazione Terziaria (sono stato efficace?)
l’accaduto, infine, la valutazione terziaria mi permette di capire se le strategie attuate sono risultate efficaci o insufficienti. Due sono le funzioni principali del coping: una di risoluzione del problema, con conseguente riduzione del livello di stress percepito e una di gestione degli stati emotivi per questo distinguono tra coping centrato sul problema e coping centrato sulle emozioni. Non esiste una strategia di coping migliore dell’altra, in modo assoluto, molto dipende dalla situazione e dalle aspettative del soggetto (Lazarus e Folkman, 1984).
Modello del controllo primario e secondario (1982)
Questo modello trova in Rothbaum, Weisz e Snyder i suoi principali esponenti. Tali autori enfatizzavano la funzione rassicurante del coping. Il coping, primariamente, attraverso l’azione strumentale e il problem solving, manipola esternamente eventi e condizioni, secondariamente mira a massimizzare la capacità adattiva interna del soggetto. Questo secondo tipo di controllo è rivolto al Sé del soggetto e le modalità utilizzate possono essere l’accettazione e la rielaborazione cognitiva (Heckhausen e Schulz, 1995; Rudolph et al., 1995).
Modello integrato di Moos e Schaefer (1993)
STRESSOR APPRAISAL
COPING
SALUTE E BENESSERE
Secondo questi autori sono due i sistemi principali fonte di stressor: il sistema personale e quello ambientale fatto di life-events stressanti e risorse sociali. Alla valutazione cognitiva dello stress segue il coping che si può classificare secondo due parametri: il focus e il metodo. Il focus può essere di tipo avvicinamento, in cui il soggetto tenta l’approccio diretto verso lo stressor, oppure l’allontanamento dove il soggetto evita lo stressor. Il metodo di avvicinamento o allontanamento può essere cognitivo o comportamentale.
Modello psicosociale di B. Dohrenwend (1978)
- Secondo B. Dohrenwend la reazione allo stress è sempre transitoria e momentanea tranne quando l’individuo può trarne un vantaggio secondario, come ad esempio, il guadagno in autorità. La reazione di stress comporta esiti e conseguenze diverse secondo il soggetto: normalizzazione psicofisica con rispristino dell’equilibrio omeostatico e allostatico, maturazione delle proprie competenze e apprendimento di nuove strategie oppure una psicopatologia o un disturbo, qualora l’individuo sperimenti uno scompenso tra le risorse a diposizione e la richiesta ambientale.
Modello socio-contestuale del coping (1998)
La considerazione del ruolo svolto dall’ambiente e dal sostegno sociale nell’attivazione di strategie di coping più o meno funzionali ha posto le basi per l’emergere di questo modello. Quattro sono le possibili configurazioni d’interazioni tra individuo e ambiente in fase di valutazione cognitiva:
Valutazione individuale Solitaria: il soggetto valuta un avvenimento solo considerando sfaccettature del suo contesto sociale e psicologico;
Valutazione Individuale Parallela: i soggetti hanno una prospettiva diversa nei confronti dello stesso avvenimento e cercano, ciascuno, una soluzione personale;
Valutazione Relazionale Indiretta: l’opinione del soggetto condiziona il pensiero del gruppo e lo trascina;
Valutazione Relazionale Condivisa: i soggetti, condividendo le idee tra loro, collaborano per cercare una soluzione unica e comune (Berg, Meegan e Deviney, 1998).
Tra le strategie di coping che il soggetto può mettere in atto per fronteggiare lo stress, la ricerca di supporto sociale è una delle meno valide rispetto all’approccio, ad esempio (Cornelius e Caspi, 1987).
La definizione di burnout.
Il burnout nasce per descrivere e rappresentare un problema sociale, non come costrutto scolastico. Infatti, le prime concezioni di burnout si riconducono a concetti pragmatici, professionali e non accademici (Maslach e Schaufeli, 1993).
Durante la fase pionieristica del costrutto, il termine burnout compare per la prima volta tra gli articoli dello psichiatra tedesco Freudenberger (1974), che lo definì come “to fail, to wear out, or become exhausted by making excessive demands on energy, strength, or resources” (p.159, 1974), ossia come una sindrome caratterizzata dalla tendenza a consumarsi fino all’esaurimento,
dissipando tutte le energie e le risorse a disposizione.
Molti autori (Maslach, 1976; Cherniss, 1980; Edelwich e Brodsky, 1980), lo riconoscono come il “padre” del fenomeno burnout, anche se negli stessi anni che la psicologa Maslach si stava interessando alle modalità di fronteggiate lo stress nel contesto di lavoro. Maslach era particolarmente interessata all’osservazione di due strategie di coping cognitive: il distacco emotivo dalle preoccupazioni e il meccanismo di difesa della depersonalizzazione.
Gli studi di Freudenberger e della Maslach slatentizzarono un fenomeno già studiato in
precedenza da altri autori: Burish (1971) presentò diversi esempi di stati mentali (i. e. “reazione di esaurimento”) psicologici che oggi, in termini diversi, si riconoscono essere tra i sintomi del burnout.
Inizialmente si attribuiva la “colpa” del burnout a fattori economici, sociali e storici (Maslach e Schaufeli, 1993), ma fu dopo la Seconda Guerra Mondiale con l’avvento di una
professionalizzazione e burocratizazzione dei posti di lavoro che il fenomeno burnout esplose, in parallelo al senso di disillusione e disengagement dei lavoratori. Cherniss (1980) riscontrò in questa nuova realtà, un’anticamera dell’insoddisfazione professionale e del burnout.
La pubblicazione dei primi articoli sul burnout scossero l’opinione pubblica soprattutto per la mancanza di studi empiricamente validi. Sarà durante gli anni 80 del Novecento che emersero i primi strumenti di rilevazione del burnout: il Maslach Burnout Inventory (MBI; Maslach e Jackson, 1981, 1986) e il Tedium Measure (TM; Pines, Aronson e Kafry, 1981). Fino ai primo anni 80 si studiava il burnout solo negli Stati Uniti, gradualmente il fenomeno si è espanso (i. e. Italia: Sirigatti e Stefanile, 1988). Le ricerche empiriche si soffermavano specificamente sui fattori correlati al mondo del lavoro: la soddisfazione professionale, lo stress lavoro-correlato (carico di lavoro, conflitti e ambiguità di ruolo), aspettative lavorative, relazione con i colleghi, i supervisori e
i clienti; sui fattori demografici (sesso, età, stato civile…), personologici (locus of control, resilienza) e di supporto sociale.
Dal punto di vista concettuale sorsero tre importanti quesiti (Maslach e Schaufeli, 1993): 1. Il burnout è una sindrome indipendente oppure ridondante e da sovrapporre ad altri
concetti come la depressione, lo stress e l’insoddisfazione lavorativa?
2. E’ possibile individuare dei criteri diagnostici che guidino l’individuazione di questa sindrome?
3. L’esperienza del burnout è esclusiva di quelle professioni finalizzate ai servizi sociali oppure riscontrabile in realtà esterne all’attività professionale?
Per quanto riguarda il primo quesito, in origine, il concetto di burnout, depressione, stress e soddisfazione professionale venivano considerati sovrapponibili, con il tempo, si è imparato a cogliere gli elementi di affinità e gli elementi di distinzione. Si può discriminare lo stress dal
burnout prendendo in considerazione il fattore “tempo” (Cox, Kuk e Leiter, 1993): lo stress ha una durata momentanea, acuta, mentre il burnout è una condizione disfunzionale legata ad uno stress prolungato e cronico che latentemente esaurisce il soggetto (Etzion, 1987). Rispetto alla
distinzione tra depressione e burnout citiamo il pensiero di Warr (1987) che, in accordo con Freudenberger (1974), individuò nella depressione uno stato generale di malessere “contest-free” mentre il burnout è esclusivamente “job-related”. Come vedremo meglio nei capitoli successivi la relazione tra depressione e burnout non è priva di correlazioni, ma non c’è sovrapposizione (Salmela-Aro, Savolainen, e Holopainen, 2009). Se prendiamo in considerazione le tre dimensioni dell’MBI (Esaurimento emotivo, Depersonalizzazione e Realizzazione personale) rispetto
all’insoddisfazione lavorativa troviamo un rapporto di diretta proporzionalità con le prime due aree e una correlazione inversa rispetto all’ultima (Zedeck et al., 1988).
Rispetto al secondo fondamentale quesito dobbiamo rispondere che negli attuali manuali di classificazione diagnostica (ICD-10, 1990; DSM-V, 2015). Bibeau et al. (1989) afferma che sarebbe superficiale introdurre una nuova categoria diagnostica ; a suo parere il burnout come “stato mentale” era già stato inserito come sub-categoria nel DSM-III (1980, p. 299) sotto la voce “disturbo dell’adattamento lavorativo (o accademico) con inibizione” poiché il disturbo dell’adattamento è caratterizzato da “un reazione disfunzionale di fronte a uno stressor psico-sociale specifico, che incombe tre mesi dopo il presentarsi dello stimolo stressogeno. La natura disadattiva della reazione è dovuta sia al fatto che compromette il funzionamento del soggetto a livello lavorativo e sociale sia che l’intensità della reazione è esagerata rispetto alla natura dello
stimolo”. Questo tipo di diagnosi potrebbe essere impiegata quando “il sintomo predominante è l’inibizione nel funzionamento professionale o accademico (…) compresente, spesso, con una sintomatologia depressiva e ansiosa” (p. 301).
Freudenberger (1974) con il suo contributo, descrisse il burnout come una serie di sintomi che riguardano una grave condizione di esaurimento fisico e psichico dovuta a uno sbilanciamento tra le richieste di lavoro e le capacità individuali di soddisfarle (Ripamonti et al., 2007) anche se attualmente, i risultati di alcuni ricerche recenti hanno evidenziato come causa alternativa di burnout sia un ambiente lavorativo scarsamente stimolante (Ripamonti e Madeddu, 2006). La sintomatologia è ampia e riguarda sia la dimensione fisiologica sia quella affettivo-cognitiva (ansia e irritabilità, labilità emotiva, rigidità del pensiero) che quella comportamentale
(assenteismo, ritardi sul lavoro, improduttività). "I segni fisici sono facili da individuare: c'è chi prova una sensazione di stanchezza e affaticamento cronico, chi ha frequenti mal di testa frequenti e disturbi gastrointestinali , chi soffre di insonnia e mancanza di respiro. In breve, uno diventa anche somaticamente coinvolto con le proprie funzioni corporee" (Freudenberger, p.60-61, 1974).
In conclusione, nonostante la mancanza di una classe diagnostica a cui riferirsi tanto in clinica che in ricerca, i contributi sono stati diversi e la definizione ad oggi più accreditata di burnout è quella formulata da Maslach e Jackson (1986) che lo hanno descritto come “una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta soddisfazione personale che può colpire chiunque adempia ad una «attività lavorativa»” .
Per quanto riguarda il terzo quesito, siamo certi nell’affermare che il fenomeno del burnout possa essere riscontrato anche il realtà non-lavorative: nello sport (Sisley e Desertrain, 1987), nel
volontariato (Gomes e Maslach, 1991), nell’essere genitori (Paula Davis-Laack, 2013) e negli studenti sia in età adolescenziale (Salmela-Aro, 2009; Kiuru et al., 2008) che nel contesto universitario (Schaufeli et al., 2002).
Proprio rispetto a questi due ultimi ambiti, occorre premettere che sebbene diversi studi siano stati condotti sugli assistenti che lavoravano nei college statunitensi (RAs) (Hardy e Dodd, 1998), poche sono le conoscenze sul burnout che colpisce gli studenti, in generale (Jacobs e Doss, 2003). Recentemente, alcuni autori hanno introdotto il concetto di school burnout per descrivere una sindrome affine a quella fino ad ora descritta (Schaufeli, Martinez, Marques-Pinto, Salanova e Bakker, 2002). Vittime di questa sindrome sono sia gli studenti frequentanti le scuole medie superiori che gli studenti universitari poiché, in entrambe queste realtà, sia la scuola sia
l’università si configurano come un contesto di lavoro a tutti gli effetti. “Da un punto di vista psicologico, le attività fondamentali degli studenti possono essere considerate «lavoro»” (Fiorilli et al., 2014): l’insegnante, ad esempio, riceve uno stipendio che rappresenta sia un rinforzo positivo affinché prosegua nel suo lavoro, ma anche un riconoscimento al suo operato, lo studente vede nel superamento dell’esame e nel voto la stessa soddisfazione, inoltre chi lavora ha dei turni di lavoro straordinari, lo studente stesso, oltre a dover frequentare le lezioni, spesso deve svolgere dei tirocini curriculari o extracurriculari che aumentano il suo carico di stress rendendolo
vulnerabile. L’accumulo di stress e la sensazione di non avere risorse per fronteggiarlo sono le basi di sviluppo di un burnout scolastico.
Se seguiamo il modello proposto da Edelwich e Broadski (1980) il soggetto, nel nostro caso lo studente, può passare da una condizione eustress ad una condizione di distress che predice il burnout passando attraverso quattro step: una prima fase di entusiasmo durante la quale è motivato e incuriosito perché all’inizio di un nuovo percorso, in una sorta di adorazione “mistica” rispetto al suo ruolo, dopo può passare a una fase di stagnazione in cui si chiede cosa ci fa in quel posto maturando noia e distacco. Ecco alcuni dei 12 punti di stagnazione individuati dai due autori che si possono adattare anche alla figura dello studente:
Stipendio insoddisfacente/voto insoddisfacente;
Orario eccessivo di studio;
Carriera senza sbocco, sogni infranti;
Mancanza di potere e di controllo;
Non rispondenza del sistema dei servizi ai bisogni dello studente;
Mancanza di apprezzamento da parte dell’utente;
Sessismo;
Cattiva immagine della professione;
Mancanza di consapevolezza e di sostegno nella classe o all’interno del corso di laurea;
S-valorizzazione da parte dei colleghi/compagni di classe.
Se questi punti permangono nel tempo, fanno insorgere frustrazione, rabbia ed infine l’apatia, condizione umorale che sottende il burnout. Edelwich e Broadski (1980) quando si riferiscono alla condizione dello studente che vive una fase di esaurimento emotivo, chiariscono che, la messa in atto di strategie di coping disfunzionali come il ritiro e l’evitamento, peggiora i rapporti con i
docenti e favoriscono un senso di distacco generale che maturano un forte senso di fallimento. Infatti, gli studenti che non riescono ad affrontare la scuola in modo sereno riportano una riduzione della loro qualità di vita (Kasen, Johnson e Cohen, 1990).
Il burnout scolastico si configura come un costrutto tridimensionale composto da una condizione di esaurimento, di inadeguatezza e da una visione cinica e distaccata verso il significato della scuola (Salmela-Aro, Kiuru, Leskinen, e Nurmi, 2009). E’ importante notare che il burnout scolastico si misura strettamente nel contesto scuola/università. L’esaurimento, misurato in termini di livello di sopraffazione e soffocamento, insonnia dovuta a preoccupazioni e
ruminazione, richiama i concetti di distress, stanchezza e ansia (Bagley, 1993; Byrne, 2007). La dimensione del cinismo, che si misura in termini di perdita d’interesse e livello di apatia verso la scuola, assomiglia alla sintomatologia depressiva (Marion, 2011). Infine, la dimensione
d’inadeguatezza è vissuta dallo studente come una perdita del senso di competenza, di efficacia, di autostima e di autorealizzazione che richiama alcuni aspetti della depressione (Salmela-Aro et al., 2009).
La sindrome del burnout, dal punto di vista clinico non si caratterizza per un andamento episodico, ma piuttosto può seguire delle traiettorie di sviluppo eterogenee a seconda sia di fattori
intrapersonali sia interpersonali, che ambientali (Salmela-Aro e Upadyaya, 2013).
Salmela-Aro e Upadyaya (2013) si sono occupate di individuare le traiettorie di sviluppo del burnout scolastico all’interno di due studi a carattere longitudinale. Nel primo studio, il campione era formato da 614 studenti di 15 anni che dalla scuola comprensiva passavano alla scuola
comprensiva secondaria (scuola superiore italiana) mentre nel secondo studio il campione era costituito da 575 studenti di 17 anni che già frequentavano la scuola superiore finlandese. Il primo campione subiva quattro misurazioni: due mentre terminavano la scuola comprensiva e due mentre frequentavano quella superiore; il secondo solo due misurazioni annuali. In entrambi gli studi vennero adoperati gli stessi strumenti testistici: SBI per misurare lo stress e il rischio di burnout e le aspettative educative portate a termine venivano indagate attraverso appositi item (esempio: “Qual è il voto più alto che corresti ottenere?”). Dal primo studio emersero i seguenti risultati:
- Il livello di burnout misurato al tempo 0 era molto alto in partenza, di conseguenza, nelle misure successive un eventuale aumento sarebbe stato poco percepito;
- Sono emersi 4 tendenze di sviluppo del burnout: 1) “low-stable” studenti (60%) che sono partiti con un livello basso di burnout che si è mantenuto stabile nel tempo,
2)”high-decreasing” studenti (8%) che sono partiti con punteggi alti e sono calati notevolmente di
misurazione in misurazione, 3) “low-increasing” studenti (29%) che sono partiti con un punteggio basso che è andato aumentando nel corso delle somministrazioni e 4)
“strongly-increasing” studenti (3%) che hanno registrato un aumento estremamente significativo del
livello di burnout. Tra gli studenti che hanno registrato una progressiva diminuzione del punteggio SBI troviamo la maggioranza delle ragazze e quegli studenti che avevano espresso bassi livelli di aspettativa educativa.
Dal secondo studio emerge una minore eterogeneità, infatti, si riconoscono solo due gruppi latenti:
- “Moderate and slightly decreasing”: circa il 94% degli studenti, durante le varie misurazioni
ottiene punteggi sempre più bassi di burnout;
- “High- increasing”: circa il 6% degli studenti ha visto aumentare sia i parametri di
esaurimento sia di cinismo che di inadeguatezza.
Questi due studi, non solo hanno contribuito a individuare l’andamento del burnout, ma a comprendere l’importanza di un fattore ambientale come il passaggio da una scuola all’altra sull’incidenza di burnout visto che per alcuni studenti comporta un carico di stress difficile da gestire. Inoltre, in accordo con il modello JD-R, secondo il quale le condizioni lavorative si distinguono tra la richiesta di lavoro e le risorse disponibili (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001), la corrispondenza tra le esigenze dell’adolescente e le risorse disponibili in contesto di transizione di livello scolastico, influenzano il rischio di sviluppare burnout.
Scopo di questa tesi è identificare, con l’aiuto della letteratura, i fattori che possono svolgere una funzione predittiva sulla comparsa del burnout scolastico, le principali cause scatenanti e le eventuali comorbidità psichiatriche. Inoltre cercheremo di fare luce sui tipi d’intervento che il counselor può adoperare per mantenere alta la motivazione dello studente e l’engagement.
Nella seconda parte della tesi presenteremo uno studio trasversale, dove confronteremo due campioni rispetto al burnout.
Intanto cerchiamo di chiarire quali sono i principali fattori con funzione predittiva rispetto all’esordio di questa sindrome e i test più utilizzati a tal fine.