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CAPITOLO V LA VOCE DELLE MADRI 5.1 Gli indovinelli di Tillie Olsen

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CAPITOLO V LA VOCE DELLE MADRI

5.1 Gli indovinelli di Tillie Olsen

Nel 1953 Tillie Olsen riprende la scrittura abbandonata, con molta sofferenza, nel 1937. Con la figlia più piccola a scuola, si può dedicare a un corso di scrittura creativa presso la San Francisco State University. Per lunghi anni le esigenze famigliari ed economiche hanno prevalso sul sogno di scrivere, come spiega lei stessa “in the twenty years I bore my children, usually had to work on a

paid job as well, the simplest circumstances for creation did not exist”. 1 Nel 1961 esce Tell Me a

Riddle, un volume contenente quattro racconti che le daranno un grande successo di critica e di

pubblico.2 Il suo talento, emerso già negli anni Trenta, ha ora modo di esprimersi pienamente e di

essere apprezzato da un pubblico composto da donne, mogli, madri e proletarie che per la prima volta si sono viste rappresentate in Letteratura. Le storie raccontate hanno per protagonisti persone semplici che si confrontano su temi di quotidiana umanità come l’invecchiamento e il rapporto con i figli. Le convinzioni ideologiche della scrittrice emergono in modo meno programmatico rispetto al passato, si concretizzano nella presentazione di una realtà complessa in cui a più personaggi è dato “diritto di parola” per presentare la situazione in modo polifonico.

“I Stand Here Ironing”

Il racconto si apre con l’immagine di una figura femminile che stira e che narra le vicende in prima persona. L’azione che sta compiendo esplicita da sola il sesso della voce narrante, senza che alcun intervento autoriale lo riveli. La storia ha una struttura circolare in cui la donna che sta stirando funge da cornice alle vicende ricordate da lei stessa attraverso un monologo interiore. È

1

Tillie Olsen, Silences, New York, Delta/Seymour Lawrence, 1978, p.19. D’ora in avanti comparirà come SIL.

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76 stata chiamata dalla dirigente scolastica che vorrebbe parlarle della primogenita Emily di diciannove anni. Questa chiamata dà l’avvio a una serie di riflessioni e ricordi sulla figlia e sul contesto in cui è cresciuta. La sua timidezza e scontrosità nascono dal senso di abbandono provato in età infantile, quando la genitrice, che doveva lavorare, ha dovuto affidarla a una vicina e ai parenti, prima, e all’ asilo, poi. Successivamente la madre conosce un nuovo compagno da cui ha altri bambini e ciò, insieme a un allontanamento forzoso da casa per delle cure mediche, rafforzerà in lei una sorta di astio famigliare. Il racconto primo (o cornice) si svolge nel presente mentre il racconto secondo (le analessi) si snoda in un passato molto sofferto. L’immagine incipitale è una metafora che Olsen spiega implicitamente nel testo: il vestito, helpless, è la giovane ragazza che le istituzioni scolastiche, il ferro da stiro, vorrebbero “schiacciare”. La mano della madre, posta sul ferro da stiro, dovrebbe aiutare questa azione di adeguamento della figlia alla società. La donna ammette le difficoltà caratteriali di Emily e la sua introversione ma crede che abbia il diritto di seguire la propria indole, senza interferenze correttive dall’esterno. Ha da poco cominciato a fare teatro, attraverso la pantomima ha trovato il proprio personale modo di esprimersi e un suo mezzo di autoaffermazione contro la società che vorrebbe conformarla. Il narratore è omodiegetico, la focalizzazione è, di conseguenza, interna e fissa: la protagonista, in quanto partecipe delle vicende, ne ha una conoscenza limitata. Nel testo si ricorda l’odio di Emily per la scuola, di nuovo Olsen critica l’istituzione scolastica che, anziché aiutare tutti i bambini a coltivare i loro talenti, cerca di trasformarli in individui tutti uguali, adatti a vivere nella collettività conformista. È anche per questo che la madre del racconto si rifiuta di dare seguito alle idee della preside, così come rigetta il senso di colpa che la società vorrebbe instillarle. Emily è figlia della Depressione e della povertà, è stata cresciuta da una donna sola che doveva lavorare per mantenerla e di ciò è colpevole solo la società capitalistica:

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77 She was a child of anxious, not proud, love. We were poor and I could not afford for her the soil of easy growth. I was a young mother, I was a distracted mother. There were other children pushing up, demanding. […] There were years when she did not want me to touch her. She kept too much in herself, her life was such she had to keep too much in herself. My wisdom came too

late. […] She is a child of her age, of depression, of war, of fear. 3

È questo uno dei primi testi che dà voce a una proletaria altrimenti tacitata. Il rapporto tra madre e figlia non è mai stato approfondito in letteratura quasi dovesse afferire solo alla sfera privata. Da questo rapporto originario e atavico si rivelano molte delle pulsioni e dei sentimenti più umani, dall’amore all’astio, dalla dedizione allo spietato egoismo. La donna del racconto, sola, giovane, povera e lavoratrice ha vissuto con dolore la necessità di affidare la bambina alle cure di terzi, ma era perfettamente cosciente di non poter fare altrimenti: da questo aspetto congiuntamente umano e razionale deriva il grande impatto emotivo del racconto. La chiamata della preside la fa riflettere sul passato, sulle vicende che hanno reso Emily la ragazza introversa che preoccupa i suoi insegnanti. La voce della madre è dapprima incerta, poiché sa bene quanto sia difficile cogliere l’essenza della personalità della figlia, ma poi si fa sempre più sicura. Narrare le particolari condizioni che hanno portato all’allontanamento di Emily da casa è un modo per esorcizzare il senso di colpa che la società vorrebbe instillarle. La madre difende il diritto della figlia a seguire la propria strada senza conformarsi e, nel fare ciò, afferma la propria voce e difende le scelte prese in passato perché inevitabili: “Let her be. So all that is in her will not bloom – but in how many does it? There is still enough left to live by. Only help her to know – help make it so there is cause

for her to know - that she is more than this dress on the ironing board, helpless before the iron”.4

“Hey Sailor, What Ship?

Il secondo racconto si concentra su un aspetto che è stato centrale nella vita della scrittrice, ovvero quello della militanza politica e sindacale. L’unione che i lavoratori riuscirono a raggiungere

3

Tillie Olsen, “I Stand Here Ironing”, TMAR, Philadelphia, Lippincott, 1961, p.12.

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78 negli anni Trenta, resa evidente dalle grandi manifestazioni di piazza del 1934 a San Francisco, è andata via via scemando nel corso degli anni. Il testo è ambientato a metà degli anni Cinquanta, quando la red scare aveva portato a una serie di misure di contenimento delle forze associative. Gli anni del maccartismo sono segnati, appunto, da misure di repressione verso le istanze

socialiste e comuniste messe in atto dal senatore Joseph McCarthy con l’aiuto del FBI.5 Tutti i

sospettati erano strettamente controllati dal Federal Bureau of Investigation, interrogati e vessati. La famiglia Olsen è stata per anni tenuta d’occhio dal FBI, sia per la passata militanza nel partito

comunista di Tillie, che per l’impegno associativo e sindacale del marito Jack.6 Entrambi avevano

amici tra i marittimi, tanto che la figlia Julie deve il nome a Julius Eggan, volontario nella guerra di Spagna morto combattendo sull’Ebro. Il titolo del racconto fa riferimento alla formula di saluto e di presentazione usata tra i marinai, che si identificano con la nave su cui prestano servizio e non con il proprio nome. Whitey è un marinaio di mezza età che, di rientro a San Francisco, era solito andare a trovare l’amico Lennie e la sua famiglia: la moglie Helen e le figlie Jeannie, Carol e Allie. Anni addietro Lennie, Helen e Whitey avevano militato nel sindacato, prendendo parte allo sciopero del 1934 durante il quale il protagonista salvò la vita al compagno. Di lui non abbiamo una descrizione fisica, sappiamo solo che ha un problema con l’alcol e che i segni della sua vita vagabonda iniziano a farsi vedere. È abituato a una vita nomade e nel calore della casa di Lennie si sente bene, ma ormai anche fuori posto per uno stile di vita sottoposto a giudizio e poco compreso dalle figlie della coppia. Il testo consta di quattro sezioni; nella prima Lennie trova l’amico fuori da un bar e insiste affinché venga a casa con lui, le successive due sezioni si svolgono nello stesso giorno, mentre l’ultima ha luogo cinque giorni, dopo quando Whitey se ne va dalla loro casa perché il disagio che prova è diventato intollerabile. La narrazione non è lineare, pensieri

5

Joseph McCarthy (1909-1957) senatore repubblicano animato da un forte spirito anticomunista che represse ogni forma di attivismo o manifestazione che potesse rappresentare un pericolo per la stabilità degli Stati Uniti. Cavalcando l’onda della Red Scare, la paura dell’avvento del comunismo, seppe attirarsi molti consensi. Tuttavia i suoi metodi sono stati anche criticati e oggi il termine Maccartismo definisce un atteggiamento violentemente illiberale.

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79 , dialoghi e narrazione in terza persona sono alternati tra loro per dare voce a tutti i personaggi delle vicende. L’ospite, infatti, è visto con occhi diversi da Helen e dalle figlie.

Quando Lennie lo porta a casa (sezioni due e tre) egli rimane impressionato dai cambiamenti intercorsi dall’ ultima visita: le bambine sono cresciute, Jeannie si è fatta una bella ragazza, Helen

è invecchiata - “(Helen? So Grayed?)”7 - e Lennie si è allontanato dagli ideali di un tempo e si è

“imborghesito”. Anche la famiglia, le donne soprattutto, notano gli effetti del tempo su di lui, sempre più malridotto dalla vita di mare e dall’abuso di alcool. Questo reciproco “annusarsi”, come tra animali che si incontrano dopo molto tempo e non si riconoscono, risulta doloroso soprattutto per Whitey, che soffre per il venir meno dei legami di solidarietà nel lavoro e nella società e per lo stridore che sente tra l’esigenza di libertà e la voglia di un “porto sicuro”. L’epoca a lui contemporanea ha dimenticato le lotte sindacali e quel senso di unione che c’era tra i proletari, in favore del consumismo e dell’individualismo più sfrenati. Jeannie è un’adolescente inserita nel suo tempo, per questo fatica molto a comprendere lo stile di vita del marinaio e il legame che lo àncora alla sua famiglia. Helen cerca di farle capire quanto l’amico di vecchia data abbia fatto negli anni per loro e quanto il contributo di uomini come lui abbia ancora valore pure in un contesto così diverso da quello degli anni Trenta. Capire il “diverso da sé” rappresenta al testimonianza più importante della stagione di lotta vissuta dai tre e l’eredità da trasmettere alle tre figlie. L’arrivo a casa, le attenzioni a lui rivolte lo sovrastano e lo riempiono di sensazioni agrodolci. Le figlie di Lennie, ognuna a proprio modo, cercheranno di ricucire il rapporto laddove si era interrotto tempo prima: Allie gli chiede di recitare “Thou Crown ‘n Deep” come era solito fare, mentre Carol conia per lui divertenti giochi di parole. È con Jeannie che si consuma lo scontro, perché, pur sforzandosi, la ragazza non riesce a capire il legame tra i genitori e quel vecchio ubriacone che staziona da loro. Non le sembra un buon esempio per le sorelline, che imitano il suo linguaggio

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80 sguaiato e scurrile. La madre le chiede di guardare oltre le “cuss words”, dietro quelle parole sta un uomo con molte esperienze sulle spalle, con un grande spirito di fratellanza e mosso da un forte attaccamento alla sua famiglia. Helen, come Eva di “Tell Me a Riddle”, è custode della memoria e di vicende passate che le figlie non possono conoscere. Il suo impegno è volto a dare loro consapevolezza di un tempo ormai lontano in cui lei, Lennie e l’amico Whitey hanno lottato per gli ideali in cui credevano. Il fatto che tali ideali non abbiano trionfato e, anzi, siano stati messi a tacere non toglie niente al valore della loro dedizione. La Jeannie più adulta che troveremo in “Tell Me a Riddle” darà prova di aver maturato una propria concezione di vita in cui le persone hanno un valore infinitamente maggiore rispetto alle convenzioni sociali. La delicatezza e la sensibilità che il marinaio mostra verso le bambine e verso Helen, per cui forse prova un segreto innamoramento, sono segno di una grande umanità. L’ultima sezione vede Whitey fare ritorno alla casa degli amici dopo cinque giorni di assenza, portando con sé doni per tutti. Si scontra nuovamente con un contesto famigliare che lo fa sentire a disagio, poiché gli amici desiderano correggere certi suoi comportamenti per renderlo “adeguato” agli standard della società: Whitey decide allora di andarsene, cercando la compagnia di chi non lo giudica per ciò che è.

“O Yes”

Le vicende narrate in “O Yes” si collocano due anni dopo quelle descritte in “Hey Sailor, What Ship?” e hanno come protagoniste Carol e sua madre Helen. La ragazzina è appena approdata alla scuola superiore, un ambiente che sta mettendo a dura prova il suo rapporto con l’amica di colore Parialee –Parry - Phillips. Questo è l’unico testo di Olsen che si occupa del tema della segregazione e lo fa ancora prima che il Movimento per i diritti civili facesse sentire la sua voce. Carol e Parry sono legate da sempre, ma la scuola sembra dividere le loro strade: è un ambiente in cui il razzismo è avallato dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici e in cui bianchi e neri sono destinati a non comunicare alla pari. Le madri delle ragazzine, Helen e Alva, amiche a loro volta, e vorrebbero

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81 contrastare questa deriva, ma la loro voce e il loro esempio sono meno potenti del conformismo. Come già visto in “Hey Sailor, What Ship?” l’intento di Helen, come genitore e come ex militante nella sinistra americana, è quello di spingere le figlie a guardare oltre l’aspetto superficiale della realtà che le circonda. Vorrebbe che Carol si rendesse conto della palese ingiustizia che la sua amica e tutti gli afroamericani subiscono e che non avallasse un comportamento razzista. Data la giovane età della ragazzina, la sua consapevolezza non è sufficiente a spingerla a ribellarsi al conformismo e Carol vive con molta sofferenza sia l’eventuale distacco da Parry che la possibilità di essere emarginata lei stessa. Carol presenzierà con Helen al battesimo di Parry presso la locale chiesa battista, un’esperienza a cui non era stata preparata e che le farà mancare i sensi. Olsen, presentando le due come le uniche donne bianche presenti, rovescia il punto di vista della società americana degli anni Cinquanta. In questo caso, le due rappresentano la minoranza e ignorano i

linguaggi del rituale che avrà luogo di lì a poco.8 Il racconto consta di due sezioni: nella prima

assistiamo al malore di Carol in chiesa e alla testimonianza di Alva riguardo la fede; nella seconda vengono analizzate le reazioni al malore di Carol. La forza del rito, dell’oralità e della partecipazione fisica alla liturgia sconvolgono Carol che nel momento di massima tensione emotiva sverrà e sarà portata fuori dalla chiesa. Il processo di allontanamento delle due amichette aveva avuto il suo inizio quando Parry aveva cominciato a parlare in slang (jivetalk) qualche mese prima. I ragazzi afroamericani hanno creato questo linguaggio e una serie di riti gestuali per rafforzare la loro identità e far fronte a una società che o li ignora o li combatte. La comunità black ha trovato al suo interno le risorse per sopravvivere alla segregazione e Parry stava cominciando a prendere confidenza con questi strumenti. Carol, che appartiene alla maggioranza invece, non può contare su nessun rito di aggregazione o di sostegno. Anche se le madri si impegnano per dare un esempio positivo alle ragazzine, la scuola veicola un messaggio di discriminazione che è

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82 particolarmente difficile da contrastare se si è adolescenti. Jeannie ha già dovuto affrontare questa “doglia” del crescere e spiega quanto sia stato difficile allontanarsi dalla compagna di scuola Ginger, bianca ma povera e perciò emarginata. Le istituzioni scolastiche sono ancora una volta oggetto di critica, poiché luoghi che non facilitano la socializzazione ma anzi ripetono in piccolo tutte le diseguaglianze sociali. Nella seconda sezione, Carol è a casa malata e l’amica è incaricata dall’insegnante di recapitarle i compiti da svolgere. Questo incarico, che inorgoglisce la ragazzina, dà vita a un momento di umiliazione per lei, considerata inaffidabile e perciò bisognosa di raccomandazioni:

Oh you’re neighbors! Very well, I’ll send along a monitor to open Carol’s locker but you’re only to take these things I’m writing down, nothing else. Now say after me: Miss Campbell is trusting me to be a good responsible girl. And go right to Carol’s house. After school. Not stop anywhere on

the way. Not lose anything. And only take what’s written on the list.9

Parialee è emarginata dagli insegnanti che, anziché farsi promotrici di eguaglianza, veicolano e assecondano comportamenti apertamente razzisti. Olsen aveva già attaccato la scuola in “I Stand Here Ironing” e nel racconto giovanile “Not You I Weep For”, in cui ricorda l’amica Fuzzie, che come lei, rifiutava la scuola per la sua rigidità, lo scarso interesse verso le peculiarità di ogni

studente e per la discriminazione degli studenti più poveri.10 Che si tratti di classe sociale o di

razza, l’istituzione scolastica condanna i suoi alunni più deboli, non dà loro gli strumenti necessari per inserirsi e perciò perde il suo intrinseco ruolo educativo. Parry parlerà all’amica, facendole capire come lei sia ancora parte della sua vita e facendo ciò spera che Carol scelga coraggiosamente di schierarsi dalla sua parte. Il racconto è dedicato a Margaret Heaton, insegnante presso la scuola superiore più prestigiosa di San Francisco. La donna, che pure era

9

Tillie Olsen, “O Yes”, TMAR, pp. 57-58.

10

Tillie Olsen, “Not You I Weep For”, in Paul Mandelbaum (ed.), First words: Earliest Writings From Favorite

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83 impegnata nella lotta contro il razzismo, alla fine firmò il giuramento di solidarietà per poter continuare a svolgere il proprio lavoro. L’episodio dello svenimento, narrato nel racconto, è realmente avvenuto: Heaton si sentì mancare a una cerimonia battista cui si era recata in

compagnia di Olsen.11 Mettere in “scena” una cerimonia religiosa è il mezzo che la scrittrice

utilizza per rappresentare a tutto tondo la ricchezza della cultura afroamericana, la forza che deriva dal retaggio africano e dalla fisicità del rito stesso.

“Tell Me a Riddle”

L’ultimo dei quattro racconti è quello che dà il titolo alla raccolta e che, negli anni, ha suscitato l’interesse maggiore della critica. È un testo in cui la scrittura di Olsen si manifesta nella sua piena maturità e ricchezza e in cui i temi a lei cari sono affrontati con una prospettiva ampia e distesa. Eva e David sono i genitori di Lennie, il padre di famiglia descritto in “Hey Sailor, What Ship?”; i due anziani, sposati da quarantasette anni, sono stati rivoluzionari nella Russia zarista e successivamente sono emigrati in America dove hanno cresciuto i loro sette figli. La loro vita difficile segnata dalla Depressione ricorda quella dei genitori dell’autrice a cui il testo è dedicato. La dedica include altre due donne, della stessa generazione di Ida e Samuel Lerner, legate alla scrittrice da amicizia e stima. Geenya Gorelick è stata un’attivista in Russia, successivamente emigrata negli Stati Uniti; Sevya Dinkin, anch’essa emigrata dalla Russia, si era stabilita a San Francisco e nella sua casa accoglieva marinai, disoccupati e bisognosi; tra questi una giovane Tillie Olsen e la sua bambina Karla. Le vicende dei coniugi protagonisti e della loro famiglia si intrecciano con i grandi avvenimenti dei primi cinquanta anni del Novecento, e quindi la storia privata si fa Storia nel senso più completo del termine. L’urgenza di dare voce alla generazione dei genitori è dovuta alla perdita della madre, avvenuta nel 1956, e al desiderio di perpetuare valori e idee

11 Cinzia Biagiotti, op. cit, p.174.

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84 ormai persi nella realtà a lei coeva. L’epigrafe, “These Things Shall Be”, è il titolo di un canto socialista di lotta che sarà cantata da Eva in punto di morte.

Il testo consta di quattro sezioni, di cui la quarta nettamente più breve rispetto alle altre. Il narratore è eterodiegetico, esterno alle vicende che commenta; il punto di vista è multiplo e ci presenta le vicende – democraticamente - da più punti di vista. Le spaziature tipografiche, i corsivi, le parentesi conferiscono movimento al testo e palesano fisicamente i passaggi da una

focalizzazione all’altra.12 Il tempo della storia è di circa un anno, comincia nel presente ed è spesso

interrotto da analessi di tipo completivo, che ci aiutano ad avere un quadro completo delle vicende. La relazione di coppia è da subito presentata nella sua problematicità: i due anziani sono spesso arroccati su posizioni divergenti che li portano a litigare. L’aver passato tanti anni insieme e aver costruito una famiglia, rende le loro vite inestricabilmente intrecciate, per quanto le loro idee li contrappongano su fronti opposti. I due sono talmente calati nel loro ruolo sociale (moglie-marito, madre-padre, nonna-nonno) da non essere chiamati mai per nome, se non nelle battute finali del racconto, dove c’è il recupero dell’identità personale di entrambi. Eva e David sono stati separati dalla vita e dalla società, che relegava la donna al ruolo di curatrice della casa e dei figli e le impediva di coltivare delle passioni o degli interessi strettamente individuali. Eva per anni si è occupata del marito e dei bambini rinunciando a parte della propria identità, mentre David curava interessi e amicizie al di fuori delle mura domestiche. Il risentimento di Eva è dovuto al suo forzato silenzio, all’imposizione che le veniva fatta dalla società per mano del marito. David ha continuato a seguire i propri interessi ma dei due è quello che più si è allontanato dagli ideali iniziali mentre Eva gli dimostra di non aver mai spezzato il filo che la lega ai suoi valori, che pur nel silenzio non se ne è mai discostata e ancora li condivide.

12 Cinzia Biagiotti, op. cit, p. 203.

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85 And it seemed to him that for seventy years she had hidden a tape recorder, infinitely microscopic, within her, that it had coiled infinite mile on mile, trapping every song, every melody, every word read, heard and spoken – and that maliciously she was playing back only what said nothing of him, of the children, of their intimate life together.

Though even as he spoke, he remembered she had not always been isolated, had not always wanted to be alone (as he knew there had been a voice before this gossamer one; before the hoarse voice that broke from silence to lash, to make incidents, shame him – a girl’s voice of eloquence that spoke their holiest dreams). But again he would reconstruct, image nothing of

what had been before or when, or how, it had changed.13

Col passare degli anni, i figli sono cresciuti e hanno abbandonato il “nido” per crearsi le loro famiglie; David insiste per vendere la casa e ritirarsi allo Haven, la casa di riposo che il sindacato ha contribuito a realizzare. L’idea non alletta Eva, che sta finalmente riappropriandosi dei suoi spazi nella casa in cui ha vissuto per tanti anni come prigioniera. Quell’abitazione affollata non le riservava in passato alcuno spazio fisico e mentale per la riflessione e la lettura, non le concedeva energie da dedicare alla cura del proprio “giardino interiore”. Il marito non aveva contribuito positivamente a questo processo, eppure ora le prospetta circoli di lettura allo Haven per convincerla a trasferirsi. La rabbia e il rancore accumulatisi esplodono continuamente e si risolvono in un muro di incomunicabilità: lui la apostrofa con soprannomi sarcastici (“Mrs. Unpleasant”, “Mrs. Take it Easy”, “Mrs. Cultured”) e alza il volume della tv per zittirla, lei spenge l’apparecchio acustico per non sentirlo parlare. I figli sono preoccupati di fronte al disfacimento di un legame che ha resistito a tante difficoltà e che sembra spezzarsi proprio quanto non ci sono più battaglie da combattere. Si sbagliano: i genitori sono ancora animati da passioni, la loro età non è affatto sinonimo di rassegnazione e rilassatezza. Eva ha preso piena consapevolezza dell’ingiustizia che ha subito in quanto donna e madre e intende rivalersi del tempo perso: adesso apprezza la tranquillità della sua casa, il tempo che può dedicare al riposo e alla lettura senza che nessuno

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86 intervenga a interromperla. L’isolamento forzato dovuto agli impegni domestici si è trasformato in una solitudine voluta, intesa come luogo di pace dove coltivare se stessa:

For in this solitude she had won to a reconciled peace. Tranquillity from having the empty house no longer an enemy, for it stayed clean - not as in the days when it was her family, the life in it, that had seemed the enemy: tacking, smudging, littering, dirtying, engaging her in endless

defeating battle - and on whom her endless defeat had been spewed.14

La donna sembra aver trovato pace nella propria casa, ora silenziosa, in cui può riappropriarsi del tempo leggendo, ascoltando musica, guardando vecchie fotografie. Non le viene più chiesto di occuparsi delle esigenze di otto persone, i figli e il marito, perciò può mettere se stessa finalmente al primo posto. Rincasando una sera, David trova Eva nella veranda; sta cantando una vecchia canzone d’amore russa e per quanto David la inviti a rientrare lei risponde: “I can breathe now, my

lungs are rich”.15 La ripresa del canto, della voce e dell’identità sarà completa quando la donna,

ormai alla fine della sua vita, intonerà il canto socialista “These Things Shall Be” e il marito rivedrà nell’anziana la giovane oratrice che era stata: “Still you believed? You lived by it? These Things

Shall Be?”.16

La soluzione alla querelle tra i coniugi sarà data dal destino: Eva è gravemente ammalata, ha un cancro e le resta poco da vivere. Olsen “colloca” la malattia intorno a stomaco e fegato, come se quel ventre, portatore di vita e nutrimento, rappresentasse la reiterazione del ruolo materno anche nella morte. Judith Kegan Gardiner, affrontando il tema della reazione delle figlie alla morte della madre in cinque romanzi di autrici diverse – Agnes Smedley, Jean Rhys, Tillie Olsen, Margaret

14

Tillie Olsen, “Tell Me a Riddle”, TMAR, Philadelphia, Lippincott, 1961, p.68.

15

Cinzia Biagiotti, op. cit, p. 212.

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87 Drabble, Marge Piercy, Lisa Alther - individua un punto in comune tra Daughter of Earth di

Smedley e “Tell me a Riddle”:17

In these five novels, killing the mother is the authors’ “radical surgery” that severs the mother from her daughter’s life. […] In all five of these novels, the heroines sit by helplessy while their mothers die; and all five mothers die horrible, slow wasting death. In three cases, the diseases are connected with the belly – cancer or starvation- as though the mothers who failed to nurture their

daughters with adequate love and self-esteem are themselves being eaten up.”18

Sia Elly Rogers (madre della protagonista del romanzo di Smedley) che Eva (protagonista del racconto di Olsen) rappresentano un prototipo di madre eroica, il cui impegno genitoriale ha avuto luogo in tempi di grandi difficoltà e ristrettezze. Entrambe proletarie, prive di mezzi che non fossero la forza d’animo e la tenacia, hanno sostenuto da sole il peso della famiglia. L’intera responsabilità domestica ricadeva sulle spalle delle mogli, mentre i mariti si recavano a lavoro; in un contesto del genere, i rapporti affettivi erano secondari rispetto alle esigenze immediatamente contingenti e lo sforzo teso verso la sopravvivenza dei figli non comprendeva una vera relazione emotiva e comunicativa. È con questo retaggio che Marie Rogers si trova a vegliare la madre morente, la stessa che da bambina temeva perché spesso la puniva senza che ne avesse colpa. Adesso è una donna consumata dagli stenti della malnutrizione e dalla fatica del lavoro fisico e in quel corpo sofferente Marie riconosce gli sforzi perpetuati per tenere in vita lei e i suoi fratelli. Anche Eva ha cresciuto la sua famiglia attraverso mille difficoltà, sacrificando parte della propria identità. Quando si ammala gravemente, prende a viaggiare per incontrare i suoi figli ormai adulti e trascorrere del tempo con loro: è in queste occasioni che due di essi, Clara e Lennie, si rendono

17 Judith Kegan Gardiner, “A Wake for Mother: The Maternal Deathbed in Women's Fiction”, Feminist Studies, Vol. 4,

No. 2, June 1978, pp. 146-147. Agnes Smedley, Daughter of Earth, Feminist Press, New York, 1973. Originally published in 1929.

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88 conto di quanto poco conoscano Eva, quanto poco sappiano di lei come individuo prima che come

madre: “I do not know you, Mother. Mother, I never knew you” dice la primogenita. 19

Eva subisce un intervento chirurgico e per il periodo della convalescenza si trasferisce dalla figlia Hannah. David, convinto dai figli, lascia decadere il progetto del trasferimento allo Haven per non turbare la moglie e regalarle dei mesi di tranquillità. Così i due anziani coniugi iniziano a spostarsi per passare del tempo con i figli che abitano lontano. Il primo viaggio in aereo rappresenta per lei un’esperienza ricca di significato, che la riporta con la mente alla sua infanzia e la libera, momentaneamente, dal suo presente. Tuttavia lo stare con i figli e i nipoti fa emergere il rifiuto di Eva per il ruolo di madre e di nonna, manifestatosi nell’incapacità di prendere in braccio l’ultimogenito della figlia Vivi. È un rifiuto caparbio, doloroso ma inevitabile, considerato il processo di ricostruzione del sé che sta intraprendendo. È il figlio Lennie a capire a quanto di sé abbia rinunciato Eva:

Lennie, suffering not alone for her who was dying, but for that in her which never lived (for that which in him might never come close to live). For him too, unspoken words: good-bye Mother who taught me to mother myself. 20

Eva percepisce la stanchezza della figlia e avverte, di nuovo, l’enorme fatica provata nell’occuparsi costantemente dei figli, e qui la scrittrice approfondisce il tema della maternità e del rapporto tra madre e figli - figlie in special modo. La cultura riflette la concezione che la società ha della motherhood come un comportamento biologico e naturale che ha da sempre caratterizzato le donne. Olsen sa quanto la realtà sia infinitamente più complicata rispetto a come è comunemente dipinta. L’ultima frontiera del sessismo si annida proprio qui, nel negare l’enorme sforzo e l’impegno che richiede essere genitrice e nel ridurre questo comportamento all’aspetto meramente biologico della riproduzione. Eva ha cresciuto i figli da sola pur essendo sposata,

19

Tillie Olsen, “Tell Me a Riddle”, TMAR, Philadelphia, Lippincott, 1961, p. 221.

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89 poiché su di lei ricadevano gli obblighi famigliari, materiali ed educativi. L’amore per i figli non è in discussione: “It was not that she had not loved her babies, her children. The love – the passion of tending – had risen with the need like a torrent; and like a torrent drowned and immolated all

else”.21 I doveri di madre proletaria sono stati particolarmente onerosi, la povertà e le necessità

quotidiane avevano ridotto di molto il margine di contatto reciproco che può esserci tra genitori e bambini. La maternità vissuta in questo modo è sacrificio univoco, quando solo un’esperienza condivisa può arricchire veramente i genitori. Eva ha investito tutta se stessa nella famiglia, poiché era necessario e ha perduto in ciò una parte di identità femminile che è ben intenzionata a recuperare.

Questa condizione è particolarmente onerosa per la madre-scrittrice, colei che deve scindere il proprio tempo tra le cure da riservare ai figli e la concentrazione per scrivere. È una condizione angosciosa e struggente, resa tale da una società che non sostiene le donne ma le costringe da sempre a scegliere. Molte sono state tacitate e non hanno potuto consegnare ai posteri il loro contributo, la loro ispirazione e la loro arte: questo è il tema di una raccolta di saggi scritta da

Olsen - Silences - per dare voce a chi è stato messo a tacere.22 Eva in quanto moglie e madre è

garante della memoria, tanto che più volte nel racconto ricorda a David dei momenti cruciali del loro passato che lui ha scordato o che aveva relegato in un angolo della mente.

Ciò che caratterizza i testi di Olsen, questo in particolare, è il tema della memoria, della conservazione della storia personale e della Storia in senso più ampio. A questo importante elemento si aggiunge la prevalenza delle figure femminili di estrazione proletaria, elemento che la avvicina al realismo proletario, prima, e alle istanze femministe, poi. Promuovere l’idea di una maternità fagocitante che elimini ogni traccia del sé non è più possibile né auspicabile; questa è da

21

Tillie Olsen, “Tell Me a Riddle”, TMAR, Philadelphia, Lippincott, 1961, p.83.

(16)

90 intendersi come un rapporto attivo e consapevole in cui gli attori protagonisti, genitore e figlio, imparano reciprocamente.

In questo caso è la nipote più grande, Jeannie, a raccogliere il testimone e a traghettare i due anziani verso il distacco. La giovane decide di ospitarli nel suo piccolo appartamento a Los Angeles e di aiutare il nonno nella cura quotidiana della morente Eva. Raccoglie le parole della nonna, i ricordi, i canti che non aveva potuto trasmettere ai figli poiché, al tempo, altre erano le priorità. Liberata dal peso delle responsabilità, riprende in mano il proprio ruolo di garante della memoria e trasmette alla giovane tanti frammenti del suo lontano passato in Russia. Eva può essere paragonata ad Anna Holbrook e alla madre senza nome di “I Stand Here Ironing”, al contempo Jeannie condensa in sé le figure di Fuzzie, Mazie ed Emily e rappresenta la possibilità concreta del cambiamento. L’accettazione dell’altro senza preconcetti, l’apertura mentale e la dolcezza della nipote aiuteranno i due coniugi a riavvicinarsi, riprendendo coscienza del tempo passato insieme. Quando Eva intonerà le strofe di un canto socialista, “These Things Shall Be”, lui ricorderà nella moglie la giovane attivista e oratrice che ha costretto al silenzio. Solo a quel punto la chiamerà per

nome, segno inequivocabile dell’identità riacquisita di Eva.23 Nel momento più difficile, Eva

tornerà bambina nella Olshana dei suoi ricordi, sicura che Jeannie raccoglierà la sua testimonianza e che aiuterà David in questo momento così doloroso:

Jeannie came to comfort him. In her light voice she said: Grandaddy, grandaddy don’t cry. She’s not there, she promised me. On the last day, she said she would go back to when she first heard music, a little girl on the road of the village where she was born. She promised me. It is a wedding and they dance, while the flutes so joyous and vibrant tremble in the air. Leave here there, Grandaddy, it is all right. She promised me. Come back, come back and help her poor body to die.24

23

Cinzia Biagiotti, op. cit, pp. 227-239.

(17)

91

5.2 Unnatural Silences: il contributo di Tillie Olsen e Alice Walker

Silences è una raccolta di saggi, approfondimenti e discorsi che Olsen dà alle stampe nel 1978.25 Il testo non ha una struttura ortodossa, come scrive la stessa autrice nella prefazione:

This book is not an orthodoxly written work of academic scholarship. Do not approach it as such. Nor did it come into being through choosing a subject, then researching for it. The substance herein was long accumulation, garnered over fifty years, near a lifetime; the thought came slow, hard-won; the talks and essay, the book itself, elicited.

Il tema trattato è insolito, a “parlare” è il silenzio analizzato nelle sue varie sfaccettature e diversità. Come si evince dalla prefazione, la gestazione delle riflessioni di cui si compone il testo è stata lunga e affonda le radici nei lunghi anni in cui l’autrice aveva smesso di scrivere per dedicarsi a un lavoro a tempo pieno. Il continuo e mai sopito interesse per la letteratura, un interesse attivo da scrittrice più che da lettrice, l’ha portata a raccogliere materiale e riflessioni sulla particolare condizione di donna, madre e artista tacitata dalla contingenza. La propria testimonianza, insieme a quella di altri, è dedicata a chi non ha potuto far conoscere la propria voce, per cause sociali, economiche o artistiche. Il primo discorso sull’argomento tenuto da Olsen – “Death of the Creative Process” (1962) - apre la strada al confronto su questo tema. A partire dagli anni Settanta pubblica su Women’s Studies Newsletter alcune liste di libri di autrici dimenticate con l’intento di farle conoscere al grande pubblico. Silences consta di tre saggi: il primo, “Silences in Literature”, è tratto da un discorso tenuto al Radcliffe Institute nel 1962 e mette in relazione le circostanze quotidiane e la creatività. L’arte necessita di particolari contesti per potersi esprimere e talvolta, nella vita di un artista, tali contesti vengono a mancare; tra gli esempi citati, quelli di Franz Kafka, Katherine Mansfield, Thomas Mann e Joseph Conrad. Il secondo saggio, “One Out of Twelve: Writers Who Are Women in Our Century” (1971), circoscrive il tema del silenzio alla letteratura del secolo

25

(18)

92 Ventesimo, analizzando il numero delle scrittrici in rapporto a quello degli scrittori. Il terzo saggio, “Rebecca Harding Davis -1971,1972”, è stato pubblicato come postfazione alla riedizione di Life in the Iron Mills a cura della Feminist Press. Il romanzo di Davis era stato dimenticato dalla critica e dal pubblico e Olsen, che aveva avuto la possibilità di leggerlo da ragazzina, si impegnò affinché fosse dato di nuovo alle stampe. Questi tre saggi compongono la prima parte del compendio, quella strutturalmente più ortodossa. La seconda parte, pur rifacendosi ai contenuti già esposti, li approfondisce con interventi di molti autori. Nella terza parte si analizzano estratti dal romanzo di Davis. La pubblicazione di Life in the Iron Mills e delle reading lists di Olsen ha cambiato l’atteggiamento generale verso la letteratura e ha spinto gli editori – e successivamente i lettori – verso testi dimenticati. Charlotte Perkins Gilman, Meridel LeSueur, Mary Wilkins Freeman, Edith Summers Kelley, June Arnold, Mary Austin, Fanny Fern, Lydia Maria Child, Alice Cary, Caroline Kirkland sono solo alcune delle scrittrici riscoperte dalla Feminist Press, da Virago, da Rutgers, da

Pandora.26

Silences ha contribuito al recupero di voci perse anche fuori dal panorama Anglosassone, ad esempio l’edizione svedese ha dato lo stimolo per recuperare artiste scandinave che erano stati dimenticate. Sandra Cisneros e Alice Walker hanno definito questo saggio come capitale per la loro formazione artistica, perché affronta temi finora ignorati e insegna a rivalutare tutte le scrittrici messe a tacere. “One Out Of Twelve” parte dai numeri per rivelare quanta discriminazione c’è ancora in letteratura, sia verso le donne che verso le minoranze: per questo la lezione dell’autrice non si esaurisce nel saggio ma si allarga a macchia d’olio.

“Silences in Literature”, come detto, è la trascrizione di un discorso tenuto al Radcliffe Institute nel 1962: “the silences I speak of here are unnatural thwarting of what struggles to come into

(19)

93

being, but cannot”.27 Non tutti i silenzi sono uguali, ci sono quelli dei grandi artisti come Hardy,

Rimbaud e Melville, che per anni non sono riusciti a dare una forma concreta alle opere che albergavano nelle loro menti. Ci sono quelli “nascosti”, delle opere che non sono mai venute alla luce e che non hanno avuto perciò alcun tipo di testimonianza e c’è poi la censura operata dai governi, dagli editori e l’autocensura. Ci sono quelli che Olsen definisce foreground silences, ossia i silenzi che hanno caratterizzato l’artista prima di raggiungere il successo come nel caso di George Eliot, Joseph Conrad, Sherwood Anderson, Joyce Cary, che hanno raggiunto la notorietà quando avevano quasi quaranta anni. Diverso è il caso di chi non può dedicarsi completamente alla letteratura, come Franz Kafka che per anni ha lavorato come impiegato assicurativo, soffrendo molto questa sorta di sdoppiamento della personalità:

These two can never be reconciled… if I have written something one evening, I am afire the next day in the office and can bring nothing to completion. Outwardly, I fulfill my office duties satisfactorily, not my inner duties however, and every unfulfilled inner duty becomes a misfortune

that never leaves. What strength it will necessarily drain me of. 28

Il silenzio femminile, trattato più diffusamente nel saggio successivo, è qui introdotto. Molte delle scrittrici famose del Diciannovesimo e Ventesimo secolo non si sono sposate (Jane Austen, Emily Bronte, Emily Dickinson, Willa Cather, Gertrude Stein, Eudora Welty), si sono sposate non giovanissime (Charlotte Bronte, Elizabeth Barret Browning, George Eliot), oppure pur sposate non hanno avuto figli (Edith Wharton, Virginia Woolf, H.H Richardson, Katherine Anne Porter). Pochissime quelle che hanno avuto figli (Kate Chopin, George Sand, Elizabeth Gaskell, Pearl Buck) e tutte queste potevano contare su aiuti domestici. Olsen non sta tentando di giustificare l’idea che le donne siano meno creative perché “creano” la vita; al contrario vuole evidenziare come gli obblighi sociali da sempre imposti loro (la cura della casa, del marito, dei figli e delle relazioni

27

Tillie Olsen, “Silences in Literature”, SIL, New York, Delta/ Seymour Lawrence, 1978, p.6.

(20)

94 sociali) abbiano impedito di coltivare il talento che possedevano. Quelle che hanno avuto figli, sanno meglio di altre quanto la maternità e il processo creativo facciano fatica a convivere. L’esperienza di Tillie Olsen è particolarmente significativa:

[…] A full extended family life; the world of my job (transcriber in a dairy-equipment company); and the writing, which I was somehow able to carry around within me through work, through home. Time on the bus, even when I had to stand, was enough; the stolen moments at work, enough; the deep night hours for as long as I could stay awake, after the kids were in bed, after the household tasks were done, sometimes during. It is no accident, that the first work I considered publishable began: “I stand here ironing, and what you asked me moves tormented

back and forth with the iron”. 29

Il silenzio delle madri di famiglia è da imputarsi in larga parte alla società, che demanda loro la totalità delle responsabilità domestiche che dovrebbero, invece, essere condivise e in ogni caso alleggerite dalle istituzioni statali.

“One-Out-of-Twelve” nasce come discorso tenuto alla Modern Language Association nel 1971 e sette anni più tardi sarà inserito in Silences. La scrittrice indaga la situazione delle autrici a partire dal secolo Diciannovesimo, quello in cui le rivendicazioni dei diritti delle donne hanno avuto inizio. La Rivoluzione dei costumi partita nell’Ottocento non è ancora finita, ma ha già conseguito importanti risultati come quello di liberarle dall’obbligo della maternità e del matrimonio. Dando loro sempre maggiore spazio e libertà, queste hanno potuto cominciare a esprimere loro stesse, dapprima tra le mura di casa e poi fuori di esse. Le donne iniziano a scrivere e a essere pubblicate in numero sempre maggiore eppure, al tempo in cui questo discorso è stato tenuto, il rapporto numerico tra scrittori e scrittrici è sconfortante: una ogni dodici uomini. Anche quando esse scrivono, le opere sono poco pubblicate, poco insegnate, poco riconosciute. Perché sono messe a tacere? A questo interrogativo il saggio di Olsen prova a dare delle risposte o, quantomeno, degli

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95 spunti di riflessione. Alcuni accademici credono che la radice della differenza di numero si trovi nella biologia, nell’ordine naturale delle cose. Questa conclusione sembra non tenere conto della storia, dei secoli di assoggettamento che non hanno dato modo alle donne di esprimersi se non nelle loro funzioni biologiche riproduttive. Jane Austen fa dire alla protagonista di un suo romanzo che non permetterà che siano i libri la prova dell’incapacità femminile di applicarsi allo studio e all’arte. Dato che l’istruzione è stata nelle mani degli uomini per interi secoli, i libri non potranno provare assolutamente niente:

Please, if you please, no reference to books. Men have had every advantage of us in telling their own story. Education has been theirs in so much higher a degree; the pen has been in their hands.

I will not allow books to prove anything. 30

Only in the context of this punitive difference in circumstance, in history, between the sexes; this past hidden or evident, that (through objectively obsolete - yes, even toil and the compulsory childbearing obsolete) continues so terribly, so determingly to live on, only in this context can the question be answered or my subject here today - the woman writer in our century: one out of twelve, be understood.31

La creazione artistica è da sempre stata considerata territorio maschile, la produzione femminile è stata giudicata “minore”, incapace di raggiungere i picchi di genio degli uomini. Alle donne era chiesto di scegliere tra le proprie ambizioni e la famiglia, è per questo che la quasi totalità delle scrittrici vissute nel secolo scorso non ha avuto figli e apparteneva alla borghesia. Uno degli obiettivi delle attiviste a partire dalla seconda metà del secolo Ventesimo è stato quello di non dover più operare rinunce. Olsen è esempio tangibile delle difficoltà delle autrici, soprattutto se sono madri, proletarie e non possono contare su nessun tipo di aiuto domestico. Si dedica completamente alla scrittura solo a partire dai quaranta anni e all’inizio stenta a riprendere

30

Tillie Olsen, “The Writer – Woman: One Out of Twelve- II”, SIL, New York, Delta/ Seymour Lawrence, 1978, p.182.

31

Tillie Olsen, “One Out of Twelve: Writers Who Are Women in Our Century”, SIL, New York, Delta/ Seymour Lawrence, 1978, p. 27.

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96 il filo laddove si era rotto. Tra le tante difficoltà incontrate c’è quella di dover ordinare un materiale che si è accumulato disordinatamente per anni e che ora può essere messo su carta. Lo stereotipo dell’angelo del focolare di cui parla Virginia Woolf, sembra essere ancora vivo pur in maniera diversa: per una donna che abbia una famiglia e un lavoro, le responsabilità domestiche rappresentano un ulteriore peso che grava sulle sue spalle. La maggiore produttività degli uomini era facilitata anche dal minor numero di incombenze da svolgere, grazie a mogli, madri e sorelle che si occupavano di loro e dell’ambiente in cui vivevano. Le grandi autrici del passato - Kate Chopin, Agnes Smedley, Rebecca Harding Davis, Henry Handel Richardson e altre - meritano visibilità nei libri di testo e nelle università, dove le loro opere possono tornare alla vita come esprime questo accorato appello:

You who teach, read writer who are woman. There is a whole literature to be re-estimated, revaluated. Some works will prove to be, like the lives of their human authors, mortal- speaking only at their time. Others, now forgotten, obscured, ignored, will live again for us. Read, listen to, living woman writers; our new as well our established, often neglected ones. Not to have audience is a kind of death. […] Help create writers, perhaps among them yourselves. There is so much unwritten that needs to be written. There are others beside the silenced eleven-out-of-twelve

who could bring into literature what is not there now. 32

Nella seconda parte del compendio, Olsen approfondisce con citazioni e riflessioni le tematiche affrontate in precedenza. La sezione “Silences in Literature - II” si configura come una lunga testimonianza, resa attraverso le voci stesse degli autori e delle autrici, in merito al tema del silenzio in letteratura. In primis, se ne enucleano i diversi tipi: quello dovuto all’auto-censura (perfezionismo, scarsità di ispirazione), alla censura politica o editoriale, all’impossibilità fisica di dedicarsi alla scrittura (esigenze lavorative e/o famigliari), alla classe sociale, al colore della pelle, al sesso o alla morte prematura. Questi silenzi hanno caratterizzato, per un certo periodo della loro carriera, gli autori che Olsen porta a esempio come per evidenziare che anche grandi letterati

32

Tillie Olsen, “One Out of Twelve: Writers Who Are Women in Our Century”, SIL, New York, Delta/ Seymour Lawrence, 1978, pp. 44-45.

(23)

97 sono stati vittima di questo male endemico. Thomas Hardy, Herman Melville, Willa Cather, William Blake, Jane Austen, Francis Scott Fitzgerald, Oscar Wilde, Katherine Anne Porter e altri raccontano, attraverso lettere o sfoghi nei loro diari, l’estrema difficoltà che incontravano ogni giorno nel tentativo di estrinsecare la loro creatività. Erano tormentati dalle cause più disparate che li tacitavano o non permettevano loro di esprimersi totalmente:

Immoral! Immoral! Under this cloak hide the vices of wealth as well as the vast, unspoken blackness of poverty and ignorance and between them must walk the little novelist, choosing neither truth nor beauty, but some half-conceived phase of life that bears no honest resemblance

to either the whole nature or to man.33

Nella sezione “The writer-woman: one out of twelve - II” si analizza con precisione la situazione della scrittrice, operando un raffronto tra le esperienze di alcune di esse. In primis, si rende merito al Movimento Femminista che in pochi anni (come già detto, il discorso si tenne originariamente nel 1971) è riuscito a evidenziare tematiche da sempre ignorate. Uno degli interrogativi posti dalle attiviste riguarda l’immagine femminile, quanto questa sia influenzata dalla visione maschile e quanto invece sia opera di loro stesse. La letteratura, come riflesso della realtà, è stata maneggiata esclusivamente dagli uomini per moltissimo tempo; solo in tempi recenti la situazione ha cominciato a cambiare. L’impegno delle attiviste è diretto in due direzioni: la prima, dare voce a tutte e, la seconda, fornire un’immagine femminile che sia più attinente alla realtà. Un altro aspetto indagato è quello del grado di alfabetizzazione: al tempo in cui il saggio venne redatto si stimava che i due terzi della popolazione analfabeta fosse rappresentato da donne, e tra loro, si dice nel saggio, chissà quante artiste mancate, quante opere meravigliose che non potremmo mai apprezzare. Dreiser e Camus hanno testimoniato la grandezza delle loro madri analfabete. Olsen si chiede se esse non siano state in potenza delle scrittrici e se l’influenza avuta sui loro figli, non sarebbe stata maggiore qualora avessero avuto accesso all’istruzione. Molti autori hanno avuto

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98 madri non istruite eppure tanto importanti nella loro formazione e non solo per il naturale attaccamento affettivo. Queste figure materne, le cui voci non hanno raggiunto il pubblico, sono state eternate dai loro figli, che hanno sentito l’obbligo morale di rendere omaggio a chi li ha formati e ha dato loro la possibilità di vedere oltre la superficie dell’esperienza personale. Per quelle che hanno potuto studiare e dedicarsi alla scrittura la via è stata tutt’altro che agevole: era necessario affrontare pregiudizi, luoghi comuni, discriminazione oltre alle difficoltà insite nel mestiere. Alle donne è stato richiesto di scegliere tra appagamento famigliare e ambizione lavorativa: molte di esse si sono piegate a questo diktat maschilista e non hanno avuto figli, soffrendone molto. Dovrebbe essere data la stessa possibilità che ha l’uomo di dedicarsi completamente alla propria arte senza rinunce nella vita personale. Quella di avere o non avere figli dovrebbe essere una scelta libera e consapevole, non influenzata da terze parti. È questo ancora un argomento taboo, che i critici si rifiutano di affrontare e che Olsen decide di analizzare già all’inizio degli anni Settanta.

What possible difference, you may ask, does it make to literature whether or not a woman writer remains childless - free choice or not - especially in view of the marvels these childless woman have created. Might there not have been other marvels as well, or other dimensions to these marvels? Might there not have been present profound aspects and understandings of human life as yet largely absent in literature?

Le madri-scrittrici, come Harriet Beecher Stowe, raccontano la grande complessità del conciliare la scrittura con la quotidianità famigliare. Le continue interruzioni, la mancanza di un lungo tempo per la riflessione e la ricerca dell’ispirazione, l’assenza di spazio, le continue esigenze tipiche dei bambini in tenera età. Non c’è soluzione, se non quella di rifiutare una prospettiva maschile che vorrebbe inquadrare le donne secondo il loro punto di vista. Non scoraggiare la maternità, non obbligarle a scegliere, a rinunciare e a sdoppiarsi si rivela doveroso Una società civile dovrebbe impegnarsi a far sì che non ci siano silenzi, che ognuno possa esprimersi:

(25)

99 I don’t believe there is a solution to this problem, or at least, I don’t believe there is one which recognizes the emotional complexities involved. A life without children is, I feel, an impoverished life for most women; yet life with children imposes demands that consume energy and imagination as well as time, and that cannot all be delegated - even supposing there were a

delegate available… 34

Duecento anni fa le donne non avevano possibilità di esprimere né le loro opinioni né i loro talenti. A seguito di lunghe lotte, alcune delle quali ancora in corso, sono stati raggiunti risultati insperati in molti campi, ma non si è ancora cancellato del tutto il dominio maschile sul “secondo sesso”. L’universo femminile ha oggi davanti a sé molte possibilità: può studiare, può lavorare, può viaggiare e in generale può vivere come vuole senza doversi necessariamente “appoggiare” a un uomo. Eppure l’eguaglianza non può dirsi ancora sostanziale, perché alle donne sono richiesti sacrifici maggiori se vogliono godere dei diritti che sono stati faticosamente guadagnati. Una lavoratrice che desideri dei figli subisce molte pressioni sul posto di lavoro affinché si dedichi solo alla propria carriera, pena perdere quanto acquisito fino ad allora. Quella che riuscirà a gestire lavoro, casa, compagno e figli lo farà a caro prezzo, dovendo rinunciare a spazi per sé e a ore di riposo. Ancora oggi a un uomo non viene chiesto di doversi scindere tra lavoro e famiglia, poiché può contare su una figura che lo deresponsabilizza. Lo stesso può dirsi per gli scrittori, molti di loro hanno portato avanti serenamente una carriera letteraria e una vita privata soddisfacente. Ciò che non viene riconosciuto è che se hanno potuto dedicarsi al lavoro creativo è solo grazie all’ angel in the house, incarnato da madri, mogli, sorelle o governanti. Per le autrici il percorso è stato assai più arduo, quelle che hanno provato a far coesistere le due cose sono andate incontro a grandi difficoltà a meno che non potessero contare su un aiuto domestico, che comunque non diminuiva la loro responsabilità come madri. Molte scrittrici hanno scelto quindi di non costruire una famiglia e lo hanno fatto seguendo un diktat maschilista che le ha riportate indietro di circa duecento anni.

(26)

100 La scelta deve essere libera e non influenzata da una società che ancora non sembra del tutto pronta a raggiungere la parità tra i sessi.

Non c’è una facile soluzione al problema, è certo che adottare una divisione delle responsabilità aiuterebbe le donne a seguire le loro ambizione, siano esse letterarie o meno. Parte del problema nasce dall’educazione come spiega Katherine Anne Porter:

It seems to me that a great deal of the upbringing of women encourages the dispersion of the self in many small bits, and that the practice of any kind of art demands a corralling and concentrating

of that self and its always insufficient energies. 35

Ancora negli anni Sessanta, col dilagare della mistica della femminilità, l’educazione e l’istruzione erano assoggettate all’idea che lo studio non fosse che un passatempo in attesa del passo più importante: il matrimonio. Importanti atenei statunitensi si piegavano al concetto che l’università non fosse che un orpello per rendere le ragazze più appetibili e idonee agli occhi dei loro pretendenti. Come altri campi della realtà, l’educazione ha prestato il fianco a queste interpretazioni sessiste anziché essere promotrice di liberazione ed eguaglianza. Anche il linguaggio è stato “luogo” di discriminazione, che le scrittrici della seconda metà del novecento hanno voluto conquistare e fare proprio. L’esclusione femminile dalla semantica era il riflesso di una realtà che ancora faceva fatica ad associare le donne al libero pensiero, al lavoro autonomo e all’arte. 36

Alice Walker si occupa del tema del silenzio delle scrittrici di colore che per molto tempo sono state ignorate dal grande pubblico e dagli accademici. Dopo i fasti della Harlem Renaissance, molti

35

Tillie Olsen, “The Writer – Woman: One Out of Twelve- II”, SIL, New York, Delta/ Seymour Lawrence, 1978, p. 216.

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101

artisti che erano stati osannati furono dimenticati e finirono in miseria.37 Zora Neale Hurston

(1891-1960) rappresenta l’esempio dell’intellettuale di colore celebre durante il Rinascimento di Harlem e poi condannato all’oblio insieme alle sue opere. La grande scrittrice e antropologa, autrice del romanzo Their Eyes Were Watching God, è stata riscoperta da artiste del calibro di Alice

Walker, Maya Angelou, Toni Morrison e solo in tempi relativamente recenti.38 Nel 1973 Walker

pubblica “Looking for Zora”, un saggio che ripercorre il suo viaggio in Florida sulle tracce dell’autrice in cui si era imbattuta casualmente grazie agli scritti sul voodoo e sul folklore di

matrice africana.39 Sul tema non erano presenti molti testi, e nessuno di essi era stato redatto da

qualcuno che facesse parte della comunità studiata:

I am not tragically colored. There is no great sorrow dammed up in my soul, nor lurking behind my eyes. I do not mind at all. I do not belong to the sobbing school of Negrohood who hold that nature somehow has given them a lowdown dirty deal and whose feelings are all hurt about it…

No, I do not weep at the world- I am too busy sharpening my oyster knife.40

Successivamente Walker si interessa di un’autrice la cui esperienza, come artista e madre di cinque figli, è altamente significativa. Buchi Emecheta nasce in Nigeria nel 1944, a diciotto anni si

trasferisce a Londra dove ancora vive circondata dai suoi figli.41 Il suo romanzo Second Class Citizen

racconta le vicende di una donna che, come lei, si è sposata da giovanissima, ha avuto molti figli, si è trasferita in Inghilterra e ha scritto un libro. La vena autobiografica si percepisce già dalla dedica ai figli, senza i cui “sweet background noises” non avrebbe potuto scrivere. Walker è colpita da queste parole, considerando che di solito il rumore dei bambini è il primo ostacolo per la

37

Con Harlem Renaissance si intende un movimento, sorto all’inizio degli anni Venti, che sosteneva la necessità per gli artisti di colore di seguire le proprie origini e di non adattarsi ai modelli già esistenti. Maria Giulia Fabi, America Nera:

la cultura afroamericana, Roma, Carocci,2002.

38

Zora Neale Hurston, Their Eyes Were Watching God, Philadelphia, Lippincott, 1937.

39

Alice Walker, “Saving the Life That Is Your Own” in In Search of Our Mothers’ Gardens, New York, Hartcourt, 1983, pp. 11-12.

40

Alice Walker, “Looking for Zora”, in In Search of Our Mothers’ Gardens, New York, Hartcourt, 1983, p. 115.

41

Alice Walker, “A Writer Because of, Not in Spite of, Her Children” in In Search of Our Mothers’ Gardens, New York, Hartcourt, 1983, pp 66-70.

(28)

102 concentrazione della madre. La vita della protagonista Adah (parallela a quella della scrittrice) è molto dura ma non priva di speranza: il suo grande sogno è quello di scrivere un romanzo che soddisfi la sua ambizione e sia orgoglio dei figli quando saranno adulti. Tra tante artiste, divenute tali “in spite of her children”, lei deve a loro la realizzazione del suo sogno letterario. Emecheta racconta della difficoltà incontrate come africana a Londra e aspirante scrittrice, ma soprattutto ancora una volta alza il sipario sulla questione creativa, particolarmente annosa per chi ha figli.

Alice Walker non si è occupata solo dei silenzi “illustri” di donne straordinarie che hanno dato vita a veri capolavori, ma anche di coloro la cui creatività non ha mai avuto modo di esprimersi. Si chiede come possano aver mantenuto vivo il proprio lato artistico quelle schiave che non avevano diritto alcuno sul proprio corpo e sulla propria vita. Se imparare a leggere e scrivere era reato, a quelle donne era imposto un silenzio vergognoso perché cancellava le loro testimonianze. Le voci di Aretha Franklin, Nina Simone e Billie Holiday non avrebbero potuto esprimersi solo qualche decennio prima della loro nascita; e molte altre, prima e dopo di loro, non hanno potuto far germogliare i propri talenti. Non è dato sapere quante poetesse, saggiste, pittrici non siamo arrivati a conoscere. Eppure possono esserci esempi di creatività anche nella vita di tutti i giorni: Walker ricorda la straordinaria capacità della madre di abbellire ogni tugurio in cui abbiano vissuto e di far fiorire qualsiasi tipo di pianta, nonostante il tempo da dedicare al lavoro nei campi, alla casa e agli otto figli. Non è questa una forma di creatività? Non è questa l’espressione del bisogno umano di esprimere e realizzare se stessi anche nelle più dure condizioni?

During the “working” day, she labored beside – not behind - my father in the fields. Her day began before sunup, and did not end until late at night. There was never a moment for her to sit down, undisturbed, to unravel her own private thoughts; never a time free from interruption – by work or the noisy inquiries of her many children. And yet, it is to my mother – and all our mothers who were not famous- that I went in search of the secret of what has fed that muzzled and often

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103 mutilated, but vibrant creative spirit that the black woman has inherited, and that pops out in wild

and unlikely places to this day.42

La madre di Alice Walker ha testimoniato il suo talento anche in altro modo, ovvero raccontando storie che la figlia ha poi messo su carta. Lo storytelling è stato fonte di ispirazione per l’autrice, che ha realizzato solo dopo molto tempo quanto avesse assorbito dalla propria famiglia.

Alice Walker, author of The Color Purple, wrote about her own mother’s stories as the most precious cargo of her soul. It was not only that she would retell them, but that she believed her

mother was a writer manqué.43

Nel saggio “One Child of One’s Own: a Meaningful Digression Within the Work(s)” fa riferimento alla propria esperienza personale come madre della figlia Rebecca, nata nel 1969. Come molte donne lavoratrici, temeva la maternità nel suo aspetto di impegno fisico e per quanto riguarda l’aspetto creativo; in particolare paventava che un’esperienza così forte dal punto di vista umano, avrebbe ostacolato la scrittura. Dopo la nascita della bambina, si rende conto che la sua paura può essere in parte alleviata dal proposito di non avere altri figli: ciò le consentirà di potersi muovere

liberamente e di seguire la propria carriera.44 Questi timori sono dovuti alla società, ancora oggi

sessista, soprattutto per quanto riguarda il tema della maternità. Nel confronto con la madre sull’argomento, emergono due punti di vista contrastanti: da una parte la genitrice la invita ad avere presto un altro figlio e dall’altra la scrittrice le risponde che non avrà altri figli anche a causa del dolore del parto, tale da indurla a non volerlo provare mai più. Altro motivo di confronto è

42 Alice Walker, “In Search of Our Mothers’ Gardens”, In Search of Our Mothers’ Gardens, New York, Hartcourt, 1983,

pp. 238-239.

43

Estelle Jussim, “The Heart of the Ineffable” in Estelle Jussim (ed.) Mothers & Daughters: That Special Quality. An

Exploration in Photography, New York, Aperture, 1987, p. 104.

44

Alice Walker, “One Child of One’s Own: a Meaningful Digression Within the Work(s)”, in In Search of Our Mothers’

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104 quanto la gravidanza cambi la fisionomia e quanto questo sia destabilizzante; dopo aver acquisito potere sul proprio corpo, non poter esercitare alcun tipo di controllo su di esso può essere frustrante. Walker dopo la nascita di Rebecca, si sente come una donna con due “ventri”: uno concreto deputato alla riproduzione biologica ed uno metaforico – il cervello – partecipe della creazione artistica:

From a woman whose “womb” had been, in a sense, her head – that is to say, certain small seeds had gone in, and rather different if not larger or better “creations” had come out – to a woman who…had two wombs! No. To a woman who had written books, conceived in her head,

and who had also engendered at least one human being in her body.45

Tuttavia, la vera follia è quella di dare retta all’idea per cui una donna non può essere tutto ciò che vuole; la scrittrice non intende sottostare a preconcetti sessisti e rivendica il diritto di essere madre senza incarnare nessun tipo di modello impostole.

Dear Alice,

Virginia Woolf had madness; George Eliot had ostracism, Somebody else’s husband, And did not dare to use Her own name.

Jane Austen had no privacy And no love life.

The Brontes sisters never went anywhere And died young

And dependent on their father. Zora Hurston (ah!) had no money And poor health.

You have Rebecca - who is Much more delightful And less distracting

Than any of the calamities

Above. 46

45

Alice Walker, “One Child of One’s Own: a Meaningful Digression Within the Work(s)”, in In Search of Our Mothers’

gardens, , New York, Hartcourt, 1983, p. 368.

(31)

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5.3 Mother to Daughter: la voce alle protagoniste47

Mother to Daughter, Daughter to Mother è una piccola antologia sul tema della maternità e della relazione tra madre e figlia. Questo compendio, come spiega Olsen nell’introduzione, non ha la pretesa di essere completo ed esaustivo: si presenta piuttosto, come una raccolta di testi ritenuti significativi perché aprono nuove prospettive sull’argomento. La raccolta esalta la natura intima, privata eppure irrinunciabile del rapporto materno e lo fa attraverso testi tra loro molto diversi come poesie, estratti da diari, estratti di romanzi, interviste. L’opera è suddivisa in dodici sezioni (come i mesi dell’anno) e al termine di ognuna si trovano degli spazi numerati corrispondenti ai giorni del mese. L’intenzione è quella di presentare un libro compatto su cui poter annotare pensieri e appuntamenti quasi fosse un’agenda. L’opera diventa un elemento attivo nella vita del lettore e non solo un oggetto da consultare. Il tema trattato è stato a lungo ignorato dalla letteratura, eppure questo legame che possiamo vedere ogni giorno sotto i nostri occhi, nasconde aspetti di sorprendente tenerezza e umanità. Al di là dei molti luoghi comuni esistenti sulla vita famigliare, solo le voci dirette delle interessate possono offrirci una visione che sia davvero realistica:

Most of what has been is, between mothers, daughters and in motherhood, in daughterhood, has never been recorded, nor (even as yet) written with comprehension in our own voices, out of our lives and truths. (…) Least present is work written by mothers themselves (although each year sees more). Whatever the differences now (including literacy, small families), for too many of the old,

old reason, few mothers while in the everyday welter of motherhood life, or after, are writing it.48

Il mese di gennaio ha come titolo “Mother to Daughter: Her Own Voice” e riporta le testimonianze dirette di madri scrittrici da ogni parte del mondo che, attraverso poesie e testi in prosa, esprimono il loro particolare concetto di maternità. Judith Wright, australiana, nella poesia

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Tillie Olsen, Mother to Daughter, Daughter to Mother, Mothers on Mothering, A Daybook and Reader, New York, The Feminist Press, 1994. D’ora in Avanti comparirà come MTD.

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