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CAPITOLO 2 LETTERATURA E ONTOLOGIA: POST-UMANO, DISTOPIA E SCIENCE FICTION

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

LETTERATURA E ONTOLOGIA:

POST-UMANO, DISTOPIA E SCIENCE FICTION

Come anticipato, anche la letteratura contribuisce alla revisione del concetto di “nuovo umano” e degli scenari che potrebbero prospettarsi in un futuro più o meno imminente: “literarary texts are not, of course, merely passive conduits, they actively shape what the technologies mean and what the scientific theories signify in cultural contexts”1.

Dunque, come abbiamo visto, se per la filosofia postumanistica i cambiamenti tecnologico-scientifici sono visti come fonte di potenziale arricchimento, non è così per la letteratura, che stenta a produrre visioni positive del futuro, e dipinge scenari inquietanti e controversi: “Science has played a major role in the history of utopian thinking and in the modern turn from utopia to dystopia”2.

Infatti, la scienza è legata al pensiero utopistico sin dalle proprie origini “moderne” risalenti al XVII secolo. Emblematica, a tal proposito, è l’opera di Francis Bacon, New Atlantis, uno dei capisaldi del metodo scientifico. L’opera difatti incarna delle visioni ottimistiche dell’impatto che la scienza e la tecnologia potrebbero avere sulla società. In realtà, il genere utopistico ha origini ben più antiche. Gli studiosi lo fanno risalire infatti alla Repubblica di Platone, appunto “one of the earliest utopian works”3. È interessante, fa notare Booker, come nelle Leggi, altra esplorazione di

un’ideale visione della società, Platone metta in guardia circa le innovazioni tecnologiche in quanto potenzialmente distruttive e destabilizzanti. Questa ambiguità si riproduce a inizio Novecento, quando le visioni utopistiche mostrano una forte ambivalenza verso scienza e tecnologia. Ad esempio, “mechanization plays an important role in the industrial efficiency of the socialist utopia of Edward Bellamy’s

1K. HAYLES, op. cit., p. 21.

2M.K. BOOKER, The Dystopian Impulse in Modern Literature: Fiction as a Social Tool, Westport,

Connecticut-London, Greenwood Press, 1994, p. 5.

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Looking Backward (1888) but in Samuel Butler’s Erewhon (1872) machines have been banished altogether because of their tendency to tyrannize the men who made them”4.

Essenziale per il passaggio dall’utopia alla distopia è la filosofia di Nietzsche, che critica la crescente meccanicizzazione della vita moderna, diretta conseguenza del dominio imperialistico della scienza: “tutto il mondo è preso nella rete della cultura alessandrina e trova il suo ideale nell’uomo teoretico, che è dotato di grandissime forze conoscitive e lavora al servizio della scienza, e di cui Socrate è il prototipo e il capostipite”5. Il suo pensiero anticipa alcune tematiche peculiari dei romanzi distopici,

tra cui la disumanizzazione e il potere esercitato da parte di regimi totalitari. Egli accusa la scienza, così come la religione, di alimentare nell’uomo un impulso che spinge verso la mortificazione della vita, perchè entrambe professano di detenere la verità assoluta ed univoca e pretendono fede assoluta. Questo impulso può essere equiparato a quello che spinge i regimi verso la ricerca del potere assoluto:

il dio delle macchine, e dei crogiuoli, vale a dire le forze degli spiriti della natura riconosciute e impiegate al servizio dell’egoismo superiore; il credere alla correzione del mondo per mezzo del sapere, a una vita guidata dalla scienza, ed essere anche realmente in grado di esiliare l’uomo singolo in una strettissima cerchia di compiti risolvibili6.

La letteratura “reagisce” agli avvenimenti orribili del XX secolo, come le due grandi guerre e il nazi-fascismo, accantonando l’utopia, ormai ritenuta non più adeguata ai tempi: in questi gli anni in cui romanzi come 1984 di Orwell, Brave New World e We di Zamyatin vengono alla luce e il genere distopico diventa preminente:

the dystopia of the first half of the twentieth century drew on topical events, anchoring its vision of a nightmarish future contemporary fears of totalitarism ideology and uncontrolled advances in technology and science. It focused inevitably on the relationship between the individual and the state, on the increasingly apparent danger

4Ibidem, p. 6.

5F. NIETZSCHE, La Nascita della Tragedia, trad. di S. GIAMETTA, Milano, Adelphi, 2012 p. 119. 6Ibidem p. 118.

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of social regimentation within an overorganized society, and on the sources of state power in science, technology, and the mass media. If the utopia was a glittering vision of a paradisiacal future, its opposite, the dystopia, was a totalitarian blueprint7.

Dunque la distopia o “utopia negativa” come la definiva Aldous Huxley, nasce da un concreto senso di ansia degli autori, scaturito dagli eventi storici contemporanei e si afferma così come prodotto della storia: “dystopian fiction is always highly relevant more or less directly to specific real world societies and issues, while utopianism is based on a critique of the ‘deficiencies of the present’, dystopian thinking relies on a critique of perceived ‘deficiencies in the future’8. I romanzi distopici sono infatti

generalmente ambientati in futuri lontani dall’epoca in cui l’autore vive, come accade per i romanzi di fantascienza, o science fiction, ai quali sono spesso associati, alle volte addirittura i due generi confluiscono rendendo difficoltosa una definizione netta. Entrambi infatti utilizzano la tecnica di “defamiliarizzazione” per cui problematiche attuali sono proiettate in una realtà spazio-temporale distante, “by focusing their critiques of society on spatially or temporally distant settings, distopia fictions provide fresh perspectives on problematic social and political practices”9.

Con queste opere gli autori intendono lanciare avvertimenti e metterci in guardia, prospettando scenari futuri non auspicabili che potrebbero concretizzarsi e diventare la nostra realtà.

7 R.S. BAKER, Brave New World: History, Science and Dystopia, Twayne’s Masterwork Studies n. 39,

1990, p. 22.

8M.K. BOOKER, op. cit., p. 19. 9M.K. BOOKER, op. cit., p. 19.

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