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1.1- Storia di

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1- IL SITO DI UTHINA

1.1- Storia di Uthina attraverso i testi.

Uthina1, nonostante la vicinanza alla capitale Cartagine, ha sempre attirato poco l’attenzione di studiosi ed eruditi nel corso dei secoli e sono perciò rare menzioni o citazioni della colonia nei loro diari di viaggio.

Anche la tradizione manoscritta antica cita solo brevemente il nome della colonia: Plinio il Vecchio2 fa riferimento al suo statuto coloniale, ponendola fra le prime sei colonie più antiche dell’Africa sottoposte al potere romano: “...populos…...qui Romano

pareant imperio; in his colonias sex

praeter iam dictas Uthinam,

Thuburbi.”;

Tolemeo3, oltre un secolo più tardi, nella sua opera “La Geografia” cita soltanto il toponimo Uthina (IV, 3, 9) e la Tabula Peutingeriana4 scambia erroneamente Utica per Ut(h)ina. Si deve aspettare fino al XX secolo per avere altri riferimenti scritti su Uthina, grazie al ritrovamento di due iscrizioni marmoree5 scoperte a Roma durante gli scavi archeologici

1

Ben Hassen, Maurin 1998, 37.

2

NH, V, 29. Si veda anche Ben Hassen 1994.

3

IV, 3, 9. Si veda anche Müller, 2, 654.

4

Miller 1916.

5

CIL, VI, 36917; AE, 1948, 91 e AE, 1949, 175; Ben Hassen, Maurin 1998, 42 e Ben Hassen, Maurin 2004, 18.

(2)

rispettivamente nel foro repubblicano e in Largo Argentina.

La restituzione del testo dell’epigrafe trovata nel foro repubblicano è la seguente (CIL, VI, 36917 p. 1):

“Im[p(eratori)---] / [---trib(unicia)] / potest(ate) XVIII[I], /colonia Iu[l(ia)] / Tertiadecim[anorum] / Uthina ex / indulgentia eius au[cta]”.

L’iscrizione, così restituita, è databile fra il 133/134 d.C. e rapresenterebbe una dedica all’imperatore Adriano.

Dal testo si può apprendere che Uthina era una colonia giulia (Colonia Iulia) creata cioè da Ottaviano prima del 27 a.C., anno in cui divenne Augusto e dopo il quale le colonie da lui create assumevano l’epiteto di Augustae.

La colonia fu costituita dai veterani della XIII legione6 (Tertiadecimanorum) che si stanziarono su un agglomerato indigeno preesistente.

L’epigrafe risultava però monca nella menzione esplicita del nome della colonia dopo la parola Iuliae, a sostegno della tesi che si trattasse della colonia di Uthina si deve citare un’altra epigrafe venuta alla luce durante gli scavi nella zona di Largo Argentina.

L’epigrafe era doppia7 e il testo databile all’età augustea fu così ricostruito:

“Colonia Iulia Societas Uthina”.

6

La legione non fu identificata con certezza. Desanges 1980, 282; Maurin 1995, 131-135; Ben Hassen, Maurin 2004, 35.

7

La parte destra dell’epigrafe conteneva una dedica all’imperatore Augusto dalla colonia di Maxula (AE, 1949, 175), mentre la parte sinistra dovrebbe verosimilmente riguardare Uthina (AE, 1949, 175) in relazione alla vicinanza geografica fra le due colonie. Per ulteriori infoarnazioni sull’argomento si veda: Degrassi 1962, 348; Desanges 1980, 282; Ben Hassen, Maurin 1998, 42-45; Ben Hassen, Maurin 2004, 18-21.

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Un’ altra citazione della colonia la troviamo in un manoscritto del XIII secolo8, pubblicato nel 1996: “Passio sancti Gallonii martiris9”, che arricchisce le nostre conoscenze mostrando la colonia durante il dramma delle persecuzioni cristiane al tempo di Diocleziano.

Si tratta di un resoconto di due processi giudiziari che, iniziarono a Thimida

Regia10 e terminarono ad Uthina, dopo essere proseguiti verosimilmente anche in altre città dell’Africa.

Gallonio, accusato insieme ad altri cristiani di aver celato le sacre scritture, venne citato in tribunale per essere giudicato dal proconsole d’Africa C. Annius

Anullinus11, in carica per tre anni consecutivi dal 302 al 305 d.C.

Questo procedimento giudiziario esalta l’importanza che doveva continuare ad esercitare la colonia di Uthina sulle città circostanti, descrivendoci come doveva apparire all’epoca di Diocleziano la zona del foro, oggi quasi distrutta, e in particolare confermando l’esistenza di una basilica giudiziaria entro la quale fu celebrato il processo.

Infine le ultime citazioni letterarie, giunte attraverso Tertulliano12, riguardano delle menzioni di vescovi della città di Uthina attestati dall’inizio del III secolo d.C. all’inizio del V:

Felix ab Uthina (256),

Lampadius de civitate Utina (314),

Isaac episcopius plebis Utinensis e Felicianus Utinensis (411),

Gallonianus Utinensis o Utenensis (419).

8

Il manoscritto proviene da Gorizia, pervenendo in questa regione a seguito degli scambi commerciali molto attivi con l’Africa prima dell’ invasione araba. Più precisamente questi atti arrivarono nella regione a seguito di una confusione che si era creata fra il nome Utinum, attestato a nord di Aquileia fin dal X secolo, e Uthina, facendo così credere che San Gallonio fosse un martire friulano.

Ben Hassen, Maurin 1998, 85.

9

Chiesa 1996, 262.

10

Ben Hassen, Maurin 1998, 218-220.

11

Chastagnol 1962, 45-48; PLRE 1, Anullinus 3.

12

(4)

Un dubbio, ancora oggi aperto, si pone per un certo Felicissimus Sedelensis, qui et

Utinensis13, menzionato ad un concilio vescovile tenuto a Cartagine nel 525 d.C. se considerarlo come vescovo di Uthina o, anche, originario della stessa città14.

13

Maier 1972, 75.

14

Mesnage e Courtois leggono le ultime parole come Quietus Uthinensis, in Mesnage 1912,115; Courtois 1956, 307. Si veda inoltre anche Maurin 1995, 126.

(5)

1.2- Storia delle ricerche archeologiche.

La storia delle ricerche archeologiche15 non è molto ricca di notizie prima del XIX secolo.

Nonostante molti siti antichi in Tunisia fossero interessati da scavi per riportare alla luce reliquie e studiati da eruditi che ricopiavano le epigrafi ritrovate, Uthina sembra essere stata trascurata da questi studi. La causa si potrebbe attribuire sicuramente alla mancanza di ritrovamenti di testi epigrafici nella colonia, oltre alla presenza sul suolo di una proprietà coloniale francese e poi quella di un campo militare, che ne rallentarono o addirittura impedirono veri e propri scavi archeologici.

Giovanni Pagni, medico fiorentino, fu l’unico erudito che nel XVII secolo si recò nei pressi di Uthina, chiamato a consulto dalla corte di Tunisia e incaricato anche dal cardinale Leopoldo dei Medici di una sorta di missione archeologica ed epigrafica.

Egli copiò e portò a Firenze16 alcune iscrizioni trovate sul suo cammino, fra cui un testo municipale proveniente da Thimida Regia17 e un’iscrizione da Zaouia Khdima18, ma non fa nessun riferimento di una sua visita ad Uthina.

I viaggi di antiquari ripresero poi nel XIX secolo, attirati dall’immenso campo di resti archeologici che la colonia poteva offrire.

Si ricorda l’olandese Humbert e il conte Borgia19, nessuno dei quali si recò direttamente ad Uthina, ma entrambi si fermarono sulla strada di Zaghouan, poco

15

Ben Hassen, Maurin 1998, 22 e seg., Ben Hassen, Maurin 2004, 84 e seg.

In generale sull’argomento si veda: AAT. 028; Picard 1983; Ferchiou 1986, 5-29; Février 1989; Ben Hassen 1994, 22-29; Ben Hassen, Golvin 1995, 51-53 (apud Ben Hassen, Maurin 1998 e Ben Hassen, Maurin 2004); Maurin 1995, 97-135 (apud Ben Hassen, Maurin 1998 e Ben Hassen, Maurin 2004) .

16

Wilmanns 1881, p. XXIV (VI).

17

CIL, VIII, 883; si sull’argomento: Mesnage 1912, 28; Poinssot 1942, 135-136; Pflaum 1970, 95; Gascou 1972, 191; Le Bohec 1989, 629; Maurin 1992, 61-62 (apud Ben Hassen, Maurin 1998 e Ben Hassen, Maurin 2004).

18

CIL, VIII, 885 (D. 6803); Maurin 1995, 104-107; Hübner 1885, 231, n° 678.

19

(6)

lontano dal sito, ad ammirare i resti dell’acquedotto di Cartagine ed a copiare un’iscrizione poi scomparsa20.

Adolphe Rousseau, cancelliere del consolato francese a Tunisi, fu il primo erudito cui si deve la pubblicazione dei mosaici trovati ad Uthina durante le esplorazioni del sito21.

Egli scoprì un bacino il cui fondo e le pareti erano mosaicate con un trionfo di Nettuno e numerose scene marine (fig. 1).

Nella parete destra del bacino si trovava un piccolo genio alato, in piedi sopra un delfino, con in mano una lira, mentre in quella a sinistra, un altro genio alato, sempre in piedi sul delfino ma, con in mano un tridente.

Al centro della scena il trionfo del Dio sopra il suo carro tirato da cavalli marini e, alla sua destra, una nereide nell’atto di cavalcare un mostro marino, con in mano uno specchio.

Rousseau giudicò i mosaici che pavimentavano il bacino di qualità meno pregiata rispetto a quelli delle pareti.

Sulle stesse pareti identificò anche un orifizio22 dove giungeva un condotto in piombo, collegato ad una cisterna sotterranea.

La localizzazione che fornì del bacino fu sul lato nord-est della collina, vicino alle terme dei Laberii o alle grandi terme, ma ancora oggi è puramente ipotetica23.

20

Borgia e Humbert, V, fasc. 135, n°XII (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 21); CIL, VIII, 886; Ben Hassen, Maurin 1998, 62.

21

Rousseau 1846 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 22).

22

Rousseau 1846, 145 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 23).

23

(7)

Un altro dato che risulta dagli scritti di Rousseau è che il sito, già durante il XIX secolo, era vittima di numerose spoliazioni a causa delle quali lui ricoprì immediatamente i mosaici per celarli agli occhi degli altri viaggiatori, prima di farli trasportare nella capitale della Reggenza24.

Nello stesso secolo Henry Dunant, leggendo della Tunisia si appassionò alla sua storia e alla sua civiltà tanto da scrivere un libro nel quale celebrava il paese, gli abitanti e la loro cultura25.

All’interno dell’opera era anche contenuta una sorta di guida turistica che elencava alcuni siti archeologici relativi a tutte le epoche, fra i quali si trovava anche Uthina le rovine furono descritte come più belle di quelle di Cartagine, almeno per ciò che restava visibile, essendo composte da templi, ponti, portici e molto altro, ancora in piedi26.

Dunant fornì anche notizie sull’anfiteatro che, collocato sulla sommità di una collina entro la quale era in parte scavato, era dotato di quattro entrate munite di gallerie di uguale lunghezza, descrisse le cisterne per la raccolta delle acque, collegate fra loro da numerose arcate e infine i numerosi frammenti di statue in marmo, mosaici e basso rilievi sparsi su tutto il territorio della colonia.

Nello stesso periodo anche Gustave Flaubert27 visitò Uthina, descrivendo un territorio occupato da nomadi che vivevano in tende nere, con le loro greggi tenute all’interno delle cisterne in disuso, oltre a fornire notizie sui grandi monumenti come l’acquedotto, le cisterne e le terme.

Nella seconda metà del XIX secolo è Victor Guérin28 che fornì notizie utili sulla città, descrivendo in particolare tre cisterne ancora visibili e mostrando sorpresa per il fatto che non riuscisse a trovare testi epigrafici nella colonia.

24

I mosaici furono acquisiti dal museo d’Algeria nel 1859. Per ulteriori informazioni si veda: Berbrugger 1861, 113.

25

Dunant 1858 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 24).

26

Si veda anche Pellissier 1853, 238.

27

Flaubert 1858 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 23).

28

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Il tenente colonnello Playfair29, visitando la città romana, restò stupito dalla maestosità delle rovine e ne diede una sua descrizione30. Come Guérin scambiò, a torto, il capitolium per una cittadella e descrisse le numerose cisterne presenti sul territorio.

La fine del XIX secolo, in concomitanza con l’istituzione del protettorato francese, portò nella colonia di Uthina dei cambiamenti profondi: da una parte fu intrapresa una serie di scavi archeologici dai militari, dall’altra furono acquisite alcune zone del sito antico da Louis Ducroquet, avvocato di Tunisi (1893-1897). A questo periodo risale anche l’istituzione, da parte del Servizio per le Antichità di Tunisia, della figura di un direttore che si sarebbe dovuto occupare di vigilare e coordinare tutti gli eventi di natura archeologica nella colonia.

Dal 1892 al 1896 l’incarico fu ricoperto da Paul Gauckler che gestì sotto sua vigile attenzione tutti gli scavi intrapresi dai militari francesi, chiedendo loro informazioni utili da poter trascrivere nei suoi diari, oltre a cercare sempre delle cooperazioni con la famiglia Ducroquet31.

I Ducroquet, infatti, furono sempre interessati ai ritrovamenti antichi che affioravano durante i lavori agricoli o gli scavi nei loro possedimenti e in particolare furono colpiti dai bellissimi mosaici trovati esplorando la domus detta d’Industrius32, offerti poi al museo del Bardo33, quelli dei Capitelli compositi,

29

Playfair 1877 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 24).

30

Playfair per arrivare ad Uthina passò da La Mohammedia dove trovò un’iscrizione che copiò. Oggi si pensa che il testo fosse stato abbandonato a La Mohammedia durante una trasferta ordinata dal generale Khereddine, da Aïn Sigal a Tunisi.

CIL, VIII, 10523; Playfair 1877, 129 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 24); Berger 1881, 229 e 241-242; Ben Hassen, Maurin 1998, 24 e 66-67.

31

In particolare Gauckler si preoccupò subito di informare i Ducroquet sul regolamento delle vestigia archeologiche del 1882 e di continuare la classificazione dei monumenti come edifici storici anche contro la volontà della famiglia proprietaria. (I Dossiers citati in seguito, riguardanti il sito di Uthina, sono conservati nell’archivio dell’ INP apud Ben Hassen, Maurin 1998).

Dossier n°2, 17 ottobre 1893; Dossier n°8, 9 aprile 1895; Dossier n°4, maggio 1895; Ben Hassen, Maurin 1998, 27.

32

Du Coudray La Blanchère & Gauckler 1897, 26 n°123-124; 27-28 n°130-133, 138-139; 29 n°145-147

33

(9)

della domus della Vigna, della Voliera34, e si resero disponibili alla creazione di un museo in loco che li esponesse, offrendosi anche come sorveglianti dello stabile35.

La collaborazione dei Ducroquet con Gauckler terminò con la fine degli scavi alle terme dei Laberii e l’installazione da parte della famiglia, della loro casa sui resti del capitolium36(fig. 2).

34

Gauckler 1896, 184; Du Coudray La Blanchère & Gauckler 1897, 29 n°146 (domus della Voliera); 147( domus dei Capitelli compositi).

35

Dossier, n°1, 30 settembre 1894 (apud Ben Hassen, Maurin 1998).

36

Si veda sull’argomento: Dossier, n°20, 6 aprile 1906; Dossier n°21, 11 aprile 1906; Dossier n°24, 25 novembre 1908 (apud Ben Hassen, Maurin 1998).

(10)

Grazie invece agli scavi effettuati dai militari francesi il sito di Uthina venne inserito nel 1894 nella seconda edizione dell’Atlas Archéologique e il capitano Driant si occupò di disegnare la mappa con i principali monumenti presenti sul territorio, anche se ad alcuni di essi attribuì funzioni erronee37 (fig. 3).

Secondo Gaukler, sia le linee dei disegni che indicano i marciapiedi sia i perimetri dei muri, sembrano tracciati a caso e quindi non potevano essere affidabili; anche la funzione di alcuni edifici, come quello che Driant indicò sulla sua mappa con la lettera A, dovette essere rivisto da cittadella a capitolium o ancora, una serie di edifici oggi interpretati come serbatoi dell’acquedotto (I sulla mappa), o le grandi terme (K), una grande domus (N) e le terme dei Laberii (Q), che lui identificò tutti come basiliche cristiane38.

37

Ben Hassen, Maurin 1998, 25.

38

(11)

Driant, insieme al colonnello Abria39, intraprese un nuovo scavo aprendo un cantiere in una domus romana poi denominata di Fructus per i mosaici in essa trovati. Sullo scavo non furono redatti rapporti, le uniche descrizioni che dettero i due militari furono sulle immagini

dei mosaici, aventi come soggetti due medaglioni con teste, interpretate oggi come busti dell’Estate e dell’Autunno40 e poco più a nord mosaici con pesci41 e amorini pescatori42 (fig. 4); la descrizione di alcuni pavimenti policromi43 e di una stanza piena sia di vasi di tutte le forme che di terra rossa, tanto da fargli pensare di essere in una bottega di vasai44.

Nonostante l’importante scoperta, i due non seppero poi ritrovare, una volta consegnati

al museo i mosaici, la loro

la domus scavata, tanto che ancora oggi è solo ipotizzata.

Gauckler, dai resoconti dei due militari, poté ipotizzare che si trattasse

di mosaici appartenenti a quattro sale aperte sul peristilio della domus detta di

Fructus; ma oggi, dopo che Driant ed Abria dissero di aver trovato una stanza piena di vasi, ci si domanda se effettivamente non fossero invece vani delle terme

39

Ben Hassen, Maurin 1998, 27 e seg.

40

Mosaici delle stagioni: Blanchard- Lemée 1988, 121-125.

41

Blanchard- Lemée 1988, 119.

42

Blanchard- Lemée 1988, 118-119. Oggi questi mosaici sono esposti presso il musée du Tesse a Le Mans.

43

Dossier, n°23, 15 luglio 1907 (apud Ben Hassen, Maurin 1998) ; Blanchard- Lemée 1988, 218; Ben Hassen, Maurin 1998, 26.

44 Dossier

(12)

dei Laberii, nei quali effettivamente si insediò, in epoca tarda, una bottega di vasai45.

Gauckler, dopo l’abbandono del sito da parte dei militari, riprese le indagini di scavo in particolare nella domus dei Laberii46, nella domus di Fructus47, nella

domus d’Industrius48 con la famiglia Ducroquet, e in molte altre domus presenti nella colonia, identificando così un quartiere residenziale aristocratico nelle zone a sud ed a ovest dell’anfiteatro49.

Egli, nel suo lavoro, si fece aiutare da Ernest Sadoux50, cui affidò il compito di rilevare parte dei monumenti di Uthina. A lui si devono i rilievi fatti del

capitolium e delle cisterne che integrano l’Atlas Archéologique, oltre ai disegni che accompagnano le notizie sugli scavi della domus dei Laberii, scritte dallo stesso Gauckler.

In realtà Sadoux fu incaricato anche di effettuare rilievi e studi sulla rete degli acquedotti ma, il materiale che ci è pervenuto è composto solo da alcuni disegni, molto imprecisi, che mostrano parte degli andamenti dei ponti e la posizione dei bacini ricettori, il tutto però mancante di un qualsiasi commento o nota, tanto da far pensare ad un lavoro ancora in corso di elaborazione (fig. 5).

45

Gauckler 1896, 39-41; Ben Hassen, Maurin 1998, 139-146.

46

Gauckler 1896, 183; si veda anche: Ben Mansour 1984 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 30), e Ben Mansour 1996; Blanc-Bijon & Darmon 1988-89; Conti 1999; Tomei 2002.

47

Gauckler 1910, 133 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 30).

48

Gauckler 1910, 139 (apud Ben Hassen, Maurin 1998, 30).

49

Gauckler 1896, 182-184.

50

(13)
(14)

Dopo il 189651, con la fine della direzione di Gauckler, il sito di Uthina fu abbandonato a se stesso e alla famiglia Ducroquet, che continuò in maniera arbitraria scavi, sterri e lavori agricoli.

Alfred Merlin, durante l’investitura di direttore nel Servizio delle Antichità, dal 1906 al 1921, non lasciò notizie di lavori archeologici, mentre Louis Poinssot, che a lui successe dal 1921 al 1941, sappiamo che proibì a Mme Alesoni, che successe ai proprietari Ducroquet, di acquisire nuovi terreni contigui alla sua proprietà che avrebbero incluso fra l’altro le grandi terme e l’anfiteatro, proponendo invece un’acquisizione da parte dello Stato di questi terreni così ricchi di evidenze archeologiche52.

Durante la seconda guerra mondiale gli intensi conflitti, che opposero le truppe alleate all’Afrika Korps53, provocarono nuove distruzioni sul territorio di Uthina: numerose granate caddero sui monumenti antichi, provocando gravi danni ancora visibili in particolare nella zona dell’anfiteatro e della domus dei Laberii.

Alla fine del conflitto una parte del sito fu concessa al Genio Militare che oltre a installare una vera e propria città-campo per i militari stessi, destinò parte dei monumenti ad essere depositi di munizioni, in particolare gli ambienti di servizio sottostanti alle grandi terme, che esplosero provocando gravi danni a tutte le strutture.

Iniziò così anche una seconda sessione di scavi archeologici ad opera di militari coordinati dal colonnello Reyniers, che volle liberare le rovine vicine al campo militare utilizzando come manovali dei prigionieri di guerra.

Dal 1946 si dedicò anche allo scavo delle grandi terme, eseguito sotto la direzione di Gilbert Picard54, succeduto a Poinssot.

51

Ben Hassen, Maurin 1998, 31 e seg.

52

Dossier, n° 33, 31 gennaio 1938; n°34, 24 febbraio 1938; n°37, 2 febbraio 1938 (apud Ben Hassen, Maurin 1998).

53

Ben Hassen, Maurin 2004, 87.

54

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Di questo scavo furono pubblicati i risultati, accompagnati anche da illustrazioni relative ai numerosi frammenti di statue in marmo, studiate e pubblicate da Pierre Quoniam55.

Picard, durante la sua direzione, tentò di chiedere la retrocessione dei militari dalle zone archeologiche, oltre a quella della famiglia Alesoni, ipotizzando l’idea di una missione archeologica francese all’interno di un progetto per una Tunisia indipendente che però non andò mai in porto56.

Nel 1960 le rovine di Uthina entrarono a far parte dei possedimenti dello Stato tunisino, dopo un accordo con i proprietari Alesoni che in quegli anni avevano recuperato alcune zone occupate dai depositi di munizioni57.

Solo nel 1980 la giornalista Tahar Ayachi riuscì ad attirare l’attenzione pubblica sulla colonia di Uthina grazie ad un articolo su “La presse” e successivamente grazie all’Association tunisienne des Journalistes et écrivains du Tourisme che iniziò la promozione del sito archeologico avente lo scopo di una valorizzazione e un’opera di salvaguardia della colonia58.

Il Consiglio dei Ministri decise infine nel 1992, di creare ad Uthina un vasto parco archeologico e di iniziare un programma per la sua valorizzazione, puntando l’attenzione in particolare sull’anfiteatro, il capitolium, le grandi terme, oltre alle zone occupate dalle grandi residenze aristocratiche.

Meritano ancora di essere ricordati studiosi come Louis Maurin (1989) che si dedicò alla prospezione e ad un inventario delle rovine del territorio di Uthina e delle zone circostanti; Claude Golvin, che nel 1994 eseguì i primi rilievi architettonici, in particolare del capitolium, delle terme e dell’anfiteatro e di

55

Quoniam 1948, 35-54.

56

Dossier, n°49, 17 giugno 1955 (apud Ben Hassen, Maurin 1998).

57

Dossier senza numero ne data (1962, dopo il 14 marzo. Apud Ben Hassen, Maurin 1998 ).

58

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Habib Ben Hassen che si occupò dello scavo di alcune zone ancora poco conosciute e del restauro degli ambienti sottostanti il capitolium, gravemente danneggiati durante il colonialismo francese, della domus dei Laberii, delle grandi terme e dell'anfiteatro, che anch’essi avevano bisogno di consolidamenti.

Si dedicò inoltre allo studio degli aspetti topografici della colonia, occupandosi di liberare l’antica rete viaria che dalle zone limitrofe giungeva al centro della città.

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