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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

Indicatori biologici e monitoraggio ambientale

L'inquinamento è un fenomeno universale e di varia natura e, proprio per questo motivo, viene studiato con diversi approcci a seconda delle diverse tipologie di inquinanti ed ambienti presi in considerazione. Si parla di inquinamento termico, chimico, acustico ecc. in base alle cause che lo hanno determinato e l’uomo è sempre, o quasi sempre, il principale attore degli eventi che portano a conseguenze dannose sulle

biocenosi1, per cui è indispensabile un continuo monitoraggio e

un’attenta valutazione di cause ed effetti (Padalino e Parisi, 2004), in particolar modo laddove l’inquinamento produca alterazioni dell’ecosistema.

La prassi impone l’applicazione di test tossicologici, che permettono di rilevare la presenza di sostanze che abbiano alterato le proprietà chimico-fisiche dell’ambiente colpito, oppure la misurazione di parametri specifici (pH, Eh, ecc.), senza però trascurare la composizione delle comunità biologiche, con scrupolosa attenzione a quei particolari organismi definiti “indicatori” (Padalino e Parisi, 2004).

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Associazioni animali o vegetali caratteristiche di un determinato territorio, la cui esistenza è

governata da una complessa rete di rapporti che si trovano in equilibrio dinamico. Gli equilibri biologici nelle biocenosi possono essere perturbati da interventi umani o da eventi naturali. Per quanto riguarda gli interventi umani, l’agricoltura e l’industrializzazione del territorio possono anche portare alla distruzione di intere biocenosi Secondo la definizione data da Rosnov, la biocenosi è un sistema di popolazione in equilibrio labile, che risulta da certe condizioni ecologiche. La struttura delle biocenosi che entrano a far parte del bioma è estremamente importante anche dal punto di vista evolutivo, perché l’evoluzione degli organismi ha determinato l’evoluzione delle biocenosi e, a loro volta, lo stato delle B. ha determinato, attraverso la selezione naturale, l’evoluzione globale stessa

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Il biomonitoraggio si occupa delle implicazioni biologiche dell'inquinamento, fornendo una chiave di lettura originale, non basata su approcci semplicemente quantitativi, ma anche e soprattutto qualitativi, considerando come elementi essenziali di giudizio le conseguenze che l'alterazione della normale composizione dell'aria, del suolo, delle rocce, dell'acqua provoca sugli esseri viventi. Infatti, l’inquinamento agisce sugli esseri viventi sia in maniera diretta sia modificando i parametri ecologici dell'ambiente in cui essi vivono, determinandone, in ogni caso, un danneggiamento che può essere analizzato per risalire alle cause che lo hanno determinato (http://www.cridea.it).

3.1 Biomarcatori e bioaccumulatori

Gli organismi stessi che vivono in un determinato contesto ecologico, possono essere utilizzati come bioindicatori se le variazioni del loro stato naturale in presenza di sostanze inquinanti sono apprezzabili e rilevabili. Più precisamente, un indicatore biologico è definito come specie animale e/o vegetale sensibile anche a minime variazioni dei fattori ecologici, biotici e abiotici, determinate da certi tipi di inquinamento o da particolari condizioni idrologiche; la loro comparsa o scomparsa è pertanto indice inequivocabile di variazione di equilibri. La funzione di indicatore è dovuta al fatto che queste specie tollerano, si sviluppano e, in alcuni casi, diventano dominanti in condizioni ambientali che sono svantaggiose per tutte le altre (Padalino e Parisi, 2004).

L’analisi tramite indicatori biologici parte dal presupposto che la presenza di specie animali o vegetali in un ecosistema è direttamente connessa alle caratteristiche chimico/fisiche di quest’ultimo. Ogni essere

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vivente ha, infatti, specifiche esigenze ecologiche e può sopravvivere solo in presenza di determinate concentrazioni di elementi. Inoltre, generalmente, le specie non reagiscono tanto a fattori isolati, quanto al risultato della loro azione sinergica

(http://www.ciofsfptoscana.mysam.it).

Per utilizzare al meglio gli organismi viventi come bioindicatori, occorre tenere presente che non tutte le specie rispondono con eguale intensità alle variazioni nella composizione chimico/fisica dell’ambiente in cui vivono. In natura, esistono organismi estremamente adattabili o anche elementi che trovano giovamento dalla presenza di sostanze inquinanti. Nelle analisi di biomonitoraggio è quindi necessario tenere conto non solo della ricchezza delle comunità, ma anche della loro composizione specifica sinergica (http://www.ciofsfptoscana.mysam.it).

Un organismo può essere considerato un buon bioindicatore qualora manifesti reazioni identificabili a differenti concentrazioni di dati

inquinanti (Jacomini e coll., 2000) e deve possedere le seguenti

caratteristiche:

- sensibilità agli inquinanti;

- ampia distribuzione nell’area di indagine; - scarsa mobilità;

- lungo ciclo vitale; - uniformità genetica.

Per quanto riguarda i singoli organismi scelti come bioindicatori, per la valutazione dell’impatto di uno o più agenti inquinanti, ci si riferisce ad un particolare "biomarcatore", intendendo con questo termine qualsiasi parametro biochimico, strutturale, funzionale, comportamentale, o quant'altro sia misurabile all'interno di un organismo, che, in rapporto

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associato ad una potenziale o evidente modificazione dello stato di salute dell'organismo monitorato e, indirettamente, dell'ecosistema oggetto del biomonitoraggio. La specificità dei biomarcatori varia al variare del parametro indagato e del grado di integrazione, tendendo a diminuire all'aumentare dello stesso, cioè passando dal livello molecolare, al livello di organo/apparato. È bene, in ogni caso, precisare che la mancanza di specificità non deve essere sempre considerata un difetto. In molte circostanze, infatti, è bene poter disporre di biomarcatori che siano sensibili, ma aspecifici, affinché possano rendere conto di un generico malessere ambientale, meritevole o meno di essere indagato con metodiche più specifiche e mirate alla luce dei dati fino a quel momento acquisiti (Manera e Borreca, 2004).

Più organismi insieme possono essere utilizzati quali bioindicatori, in particolar modo quando i fenomeni inquinanti provocano variazioni misurabili a livello di ecosistema o di comunità. È prassi ormai consolidata il valutare la tossicità di matrici complesse, quali quelle ambientali, mediante una batteria di bioindicatori, allo scopo di analizzare il più ampio spettro di effetti su organismi con risposte differenti ai vari composti presenti nelle matrici. Le attività di bioindicazione possono essere quindi condotte su vari livelli d’integrazione biologica. Secondo Van Gestel e Van Brummelen (1996), il termine bioindicazione è riservato a tutte le attività a livello dell’organismo (intero organismo) o superiore (popolazioni, comunità, ecosistemi).

I principali sintomi o parametri presi in considerazione sono generalmente i seguenti:

- variazioni nella struttura della comunità; - modificazioni morfologiche;

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- variazioni della vitalità (modificazioni fisiologiche); - danni al patrimonio genico.

Oltre ai bioindicatori propriamente detti, esistono anche altre tipologie di indicatori che possono essere utilizzati per il monitoraggio o lo studio di fenomeni relativi all’inquinamento ambientale. Questi sono detti “bioaccumulatori”, ovvero organismi in grado di sopravvivere alla presenza di una determinata sostanza, accumulandola e permettendone una qualificazione e una quantificazione.

Le caratteristiche principali di un bioindicatore e di un bioaccumulatore risiedono perciò rispettivamente nella sensibilità e, all'opposto, nella

tolleranza alle sostanze nocive (Jacomini e coll., 2000). Quest’ultimo

viene impiegato quando le concentrazioni di determinate sostanze inquinanti all’interno di un organismo sono utilizzate per la ricostruzione dei patterns di deposizione nell’ambiente in cui l’organismo vive.

Un buon bioaccumulatore deve possedere i requisiti di seguito indicati: - alta tolleranza agli inquinanti che sono oggetto della

sperimentazione;

- capacità di accumulare indefinitamente; - ampia distribuzione nell’area di studio; - scarsa mobilità;

- lungo ciclo vitale.

Anche nel caso degli organismi bioaccumulatori è importante la definizione di una relazione biunivoca tra le concentrazioni degli inquinanti nell’ambiente e quelle all’interno del bioaccumulatore stesso. Gli organismi bioaccumulatori sono attualmente utilizzati in molte reti di sorveglianza allestite sul territorio europeo, come nel caso del progetto GEMS (Global Environment Monitoring System), nel quale sono

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riguarda i metalli pesanti. Altri organismi bioaccumulatori, quali i mitili, sono impiegati nei programmi di monitoraggio della qualità delle acque marine costiere, stante la loro capacità di immagazzinare metalli pesanti, sostanze organiche e microrganismi patogeni.

Infine, anche insetti quali le api possono essere considerate bioaccumulatori e sono impiegate nella valutazione del fall-out di metalli pesanti, fitofarmaci e sostanze radioattive (Van Gestel e Van Brummelen, 1996).

3.2 Sistemi sentinella

Nel biomonitoraggio, alcuni particolari organismi vengono usati come "sentinelle ambientali", ovvero “ogni essere vivente non umano che può reagire o essere sensibile ad un contaminante ambientale prima che questi abbia un impatto sull'uomo” (http://www.zadig.it).

Sebbene i progressi in termini di conoscenza, accettazione e uso delle specie sentinella per la stima del rischio per l'uomo in sanità pubblica abbiano avuto un lento percorso, negli ultimi anni si è assistito ad uno sviluppo dei modelli "animali sentinella". Nel 1991, il National Research Council (NRC, Board on Environmental Studies and Toxicology, Commission on Life Sciences) ha pubblicato un'estesa rassegna e valutazione sull'utilità delle sentinelle animali per la determinazione dei rischi ambientali e la materia è stata recentemente passata in rassegna in occasione di un workshop promosso dalla Agency for Toxìc Substances and Disease Registry (ATSDR), dal National Center for Enviromnental Assessment of the Enviromnental Protection Agency (U.S. EPA) e dal U.S. Army Center for Environmental Health Research.

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I sistemi sentinella animali possono essere utilizzati sia per segnalare inquinanti ambientali sia per monitorare la contaminazione durante le diverse fasi della catena alimentare, permettondo inoltre di investigare la biodisponibilità dei contaminanti nei molteplici distretti ambientali o facilitare la stima di un rischio derivante da un’eventuale esposizione. Tali sistemi vengono impiegati per monitorare ogni tipo di ambiente: posto di lavoro, abitazioni ed ecosistemi, sia acquatici che terrestri, garantendone un'osservazione nella sua globalità, senza ricostruzioni artificiali eseguite nei laboratori sperimentali.

Gli animali domestici e selvatici sono esposti come l'uomo ai contaminanti presenti nell'aria, nel suolo, nell'acqua e nel cibo e come questo risentono dei possibili effetti acuti e cronici conseguenti a tali esposizioni. Queste popolazioni animali, i cui dati possono essere regolarmente e sistematicamente raccolti e analizzati sono "sistemi sentinella animali" utilizzati per identificare o monitorare una ampia varietà di inquinanti ambientali. A conferma della loro importanza il fatto che i servizi di prevenzione, le agenzie per la protezione dell'ambiente e le diverse strutture sanitarie territoriali, in seguito ad una più aggiornata visione della salute legata all'ambiente, sollecitano sempre più affinché le conoscenze dei diversi comparti ambientali possano confluire in un organico tentativo di valutazione. Determinate popolazioni animali residenti in aree oggetto di particolare interesse ambientale possono infatti rappresentare un valido supporto per una corretta gestione della sorveglianza epidemiologica in ambito umano. I sistemi animali sentinella comprendono almeno tre tipologie di specie animali: gli animali sentinella propriamente detti, gli animali indicatori e gli animali surrogato.

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Il canarino usato nelle miniere è un esempio storico di sentinella, dove, in generale, si accetta la rilevanza della sua risposta fisiologica al monossido di carbonio come preavviso del potenziale impatto sull'uomo. Le basi scientifiche possono non essere pienamente provate per i minatori, ma includono il fatto che i canarini sono altamente sensibili al monossido di carbonio e soccomberanno o presenteranno sintomi a concentrazioni che non sono necessariamente letali per gli uomini.

Gli animali indicatori comprendono invece quegli organismi per i quali generalmente è noto il peculiare meccanismo di risposta ai contaminanti ambientali. In questo caso gli animali che presentano particolari anomalie, fenomeni di tossicità o tumori offrono una precisa indicazione di un' esposizione pregressa o in atto.

Gli animali surrogato sono simili alle specie indicatori e, infatti, in alcuni contesti, possono essere usati come tali. Essi corrispondono ad organismi utilizzati al posto di altri organismi nei dive rsi contesti. In tossicologia ambientale il pesce rosso viene generalmente accettato come surrogato per altre specie di pesci d'acqua dolce e così l'anatra selvatica comune come surrogato per le diverse specie di volatili acquatici. Queste associazioni (pesce-pesce, volatili acquatici-volatili acquatici) che hanno intuitivamente senso, sottintendono una similitudine nella fisiologia, nella biochimica, e in altre importanti caratteristiche biologiche, ma nella valutazione di tali modelli è necessario prendere in considerazione puntualmente le possibili differenze nelle risposte peculiari che si vanno a comparare (http://www.zadig.it).

Gli indicatori e i surrogati hanno trovato un grande impiego in tossicologia ambientale sia in laboratorio sia in campo, come nel monitoraggio dei siti di discarica, nella valutazione della mutagenicità e tossicità dell'acqua e in test di cancerogenesi (http://www.zadig.it).

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A conferma di quanto detto possiamo ricordare come l'avvelenamento da piombo è clinicamente ed epidemiologicamente simile nei cani e nei bambini. Infatti, diversi studi hanno suggerito di usare i cani da compagnia come indicatori di alta concentrazione di piombo nei bambini. In bibliografia sono riportati inoltre casi d’intossicazione umana svelati attraverso la segnalazione del veterinario che, avendo trovato la piombemia alta in un vecchio cane di famiglia di 10 anni, ha consigliato di effettuare le indagini diagnostiche su l'intero nucleo familiare. Studi più recenti hanno allargato anche alla specie felina la possibilità di essere utilizzata come indicatore affidabile di esposizione al piombo (http://www.zadig.it).

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