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IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE 1 Introduzione

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Academic year: 2021

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R

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D

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Z

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I

O

O

N

N

E

E

1.1 Generalità

All’interno della grande famiglia dei propulsori “chimici” si possono distinguere due principali classi di motori ovvero quelli a propellente solido e quelli a propellente liquido (si può in realtà considerare anche come terza categoria quella dei motori ibridi che, come suggerisce il nome stesso, sono caratterizzati sia da propellente solido, generalmente il combustibile sotto forma di grano, sia da propellente liquido, generalmente l’ossidante). I propulsori chimici a propellente liquido possono, a loro volta, essere classificati sia dal punto di vista delle caratteristiche fisiche del propellente (criogenico o stoccabile) sia dal punto di vista del sistema di alimentazione del propellente (sistema a gas pressurizzato o sistema con pompe). Nel sistema di alimentazione con turbopompa il propellente viene pressurizzato da una pompa azionata da una turbina che preleva energia dall’espansione di gas caldi quali ad esempio quelli generati da un generatore di gas o da un precombustore tramite la combustione degli stessi propellenti (gas generator cycle e

staged combustion cycle); per azionare le turbine altri tipi di cicli invece utilizzano gli

stessi gas caldi prodotti in camera di combustione (combustion tap-off cycle) oppure i gas caldi sviluppati dal combustibile dopo il passaggio attraverso la camicia di raffreddamento di camera ed ugello (coolant tap-bleed, expander cycle). Come schematizzato in Figura 1.1 i cicli di alimentazione delle turbopompe vengono classificati

(2)

in cicli aperti e cicli chiusi. Aperti sono quei cicli in cui il fluido di lavoro esausto uscito dalla turbina è scaricato fuoribordo dopo essere stato espanso esso stesso in un ugello oppure è scaricato nell’ugello del motore in un punto nella zona di espansione lontano dalla gola. Si definiscono invece chiusi quei cicli in cui tutto il fluido di lavoro che ha attraversato le turbine viene iniettato nella camera di combustione del motore con lo scopo di sfruttare in modo più efficiente possibile la sua energia residua.

Figura 1.1 – Cicli di alimentazione del sistema a turbopompa

Uno dei vantaggi principali del sistema di alimentazione del propellente tramite turbopompe consiste nel fatto che il peso del sottosistema di propulsione risulta indipendente dal tempo di funzionamento dello stesso; ciò non è invece vero per sistemi di alimentazione del propellente con gas pressurizzati in quanto tempi di spinta maggiori richiedono maggiori quantitativi di gas pressurizzante e ciò comporta serbatoi più grandi e quindi più pesanti. Inoltre il sistema di alimentazione con turbopompe ha il gran vantaggio di pressurizzare il propellente prima dell’iniezione in camera di combustione riducendo così notevolmente il peso dei serbatoi che vengono pressurizzati (da 0.07 a 0.34 Mpa [1]) solo per sopprimire o ritardare la cavitazione delle pompe. Nell’altro caso invece i serbatoi debbono essere dimensionati per sopportare pressioni considerevoli (da 1.3 a 9 Mpa [1]). Pertanto per elevati impulsi totali ed elevate pressioni in camera di combustione il sistema di alimentazione con turbopompa risulta vincente rispetto al sistema facente uso di gas pressurizzati che invece fornisce prestazioni migliori del precedente nel caso di impulsi totali relativamente bassi, rapporti spinta-peso bassi (usualmente minori di 0.6) ed utilizzo pulsato della spinta. Il grafico di Figura 1.2 mette

(3)

in relazione il

Δ

v

di missione con il rapporto di carico utile (payload ratio) definito

come rapporto tra la massa del carico utile (

M

L) e la massa totale iniziale del sistema (

M

0) per i due diversi sistemi di alimentazione del propellente evidenziandone così il campo di applicazione.

Figura 1.2 – Rapporto di carico utile per sistemi alimentati a gas pressurizzato e con turbopompe La configurazione delle turbopompe è strettamente legata ai propellenti utilizzati; in un motore che funziona con propellenti di densità simile, come ad esempio ossigeno liquido ed RP-1, le pompe del combustibile e dell’ossidante hanno velocità di rotazione simili e pertanto vengono disposte sullo stesso albero posto in rotazione da un’unica turbina (è questo ad esempio il caso della turbopompa Mark 3 riportata in Figura 1.3).

(4)

Spesso la velocità ottima per la turbina risulta superiore a quella desiderata per la pompa ed è dunque necessario ricorrere ad un riduttore come ad esempio quello rappresentato nella precedente figura.

Nel caso in cui le densità dei propellenti siano, invece, molto differenti come ad esempio l’ossigeno liquido (LOX) e l’idrogeno liquido (LH), occorre adottare pompe rotanti a velocità diverse e pertanto si usa separare le due turbopompe come ad esempio nei motori principali dello Space Shuttle (SSME) o nel motore Vulcain 1 del lanciatore europeo Ariane 5 di cui si riporta in Figura 1.4 uno spaccato della turbopompa dell’ossigeno liquido. Come si può osservare in questo caso la turbina e la pompa sono montate sullo stesso albero; di fronte alla girante è disposto l’induttore MK1 le cui prestazioni sono state anche provate nei laboratori di Centrospazio ed il cui comportamento è stato caratterizzato in uno dei lavori di tesi precedente a questo [2].

Figura 1.4 – Spaccato della turbopompa dell’ossigeno liquido del motore Vulcain 1 In questa panoramica generale si riporta (Figura 1.5) come ultimo esempio un disegno delle turbopompe di alta pressione dell’ossigeno e dell’idrogeno liquidi (High Pressare

Oxidizer TurboPump e High Pressure Fuel TurboPump) del motore principale dello

Space Shuttle; tale propulsore infatti utilizza un sistema costituito da quattro turbopompe due delle quali hanno il compito di dare un primo innalzamento della pressione rispettivamente al combustibile ed all’ossidante (turbopompe di bassa pressione) e le altre due forniscono il salto principale di pressione ai fluidi di lavoro (turbopompe di alta pressione). Queste ultime utilizzano due camere separate di precombustione per ottenere i gas caldi da far espandere nelle turbine direttamente collegate alle pompe senza alcun

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riduttore mentre le turbine delle turbopompe di bassa pressione sfruttano rispettivamente ossigeno liquido ad alta pressione ed idrogeno evaporato come si può vedere dallo schema riportato in Figura 1.6.

Figura 1.5 – Turbopompe di alta pressione dello SSME

(6)

Tra gli obiettivi principali che la moderna tecnologia aerospaziale si pone vi è lo sviluppo di turbomacchine con una sempre più elevata disponibilità di densità di potenza. In condizioni ideali di flusso isoentropico la potenza idraulica trasmessa da una pompa al fluido di lavoro risulta proporzionale alla portata di fluido ed al salto di pressione totale che si vuole ottenere; quest’ultimo dipende dalle condizioni di progetto della camera di combustione ovvero, in particolare, dalla pressione che si ottiene dalla combustione dei propellenti nelle proporzioni stabilite e garantite dai valori delle portate di ossidante e combustibile. Pertanto le specifiche di progetto, stabilendo la portata ed il salto di pressione della pompa, fissano la potenza di pompaggio che, come verrà dimostrato in seguito, risulta proporzionale alla quinta potenza di una sua dimensione caratteristica (D), moltiplicata per la terza potenza della sua velocità di rotazione (Ω):

(1.1)

P

D

5

Ω

3

Nella Tabella 1.1 si riportano i valori di densità di potenza di alcune turbopompe.

Tabella 1.1 – Densità di potenza delle turbopompe di alcuni propulsori a propellente liquido .

L’esigenza di progettare turbomacchine sempre più leggere porta a ridurne le dimensioni e dunque ad aumentarne la velocità di rotazione per ottenere la medesima potenza richiesta. Di conseguenza le turbopompe ad alta densità di potenza vengono spesso progettate come macchine supercritiche per le quali diventano estremamente rilevanti fenomeni quali l’instabilità rotodinamica e la cavitazione. Lo studio di tali fenomeni è cominciato nei primi anni ’60, ma le principali pubblicazioni a riguardo sono apparse dal 1980 ad oggi (si veda ad esempio Brennen, [3] e [4]). La loro comprensione teorica, in ogni caso, resta ancora lacunosa sotto molti aspetti ed i modelli di calcolo che ne risultano sono necessariamente inadeguati: l’unica strada percorribile, per ottenere un livello sufficiente di resistenza ed affidabilità delle macchine progettate, è quindi rappresentata dalla sperimentazione su prototipi (spesso scalati). Di seguito si riportano alcuni casi di turbomacchine usate in campo spaziale e non le cui prestazioni sono state fortemente influenzate da problemi di instabilità rotodinamica e/o di cavitazione.

• La pompa di alta pressione per l’idrogeno liquido del motore principale dello Space Shuttle, avente una potenza di pompaggio di circa 57 MW ed un peso strutturale di 345 kg, fu progettata per girare ad una velocità massima di 37000

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rpm, compresa tra la seconda e la terza velocità critica. Inaspettatamente essa presentò vibrazioni già a 19000 rpm; si scoprì che tali vibrazioni erano dovute ad una particolare forma di instabilità laterale del rotore il quale compiva un moto di precessione (whirl) intorno alla sua posizione nominale con frequenza pari a circa 0.5 volte la frequenza di rotazione dell’albero.

• Le pompe di circolazione dell’acqua di refrigerazione primaria della centrale nucleare di Three Miles Island, progettate per erogare potenze nell’ordine delle decine di MW, subirono un evidente degrado delle prestazioni, accompagnato da fenomeni vibratori di notevole intensità, a causa di forze rotodinamiche sviluppatesi in condizioni cavitanti.

• I compressori di alta pressione dell’impianto Kaybob per l’estrazione del gas naturale, progettati per lavorare vicino alla terza velocità critica, soffrirono a loro volta problemi di instabilità rotodinamica.

• La pompa del motore LE-7, montato sul lanciatore giapponese H-II (decollato il 15 novembre 1999), provocò il fallimento della missione e la distruzione da terra del razzo a causa di fenomeni dovuti alla cavitazione. Il motore fu ripescato in mare a 3000 metri di profondità.

1.2 La cavitazione

Il termine cavitazione è usato per indicare ciò che avviene durante il flusso di un liquido quando, in alcune regioni, la pressione diventa talmente bassa da provocare la formazione di bolle di vapore [5]. Sebbene Reynolds (nel 1873) fu tra i primi che cercarono di spiegare il comportamento insolito delle eliche navali alle alte velocità di rotazione, il termine cavitazione fu introdotto per la prima volta da R. E. Froude (1895) per descrivere il fenomeno dannoso che si verificava in quei dispositivi. Infatti Reynolds si concentrò solo sulla possibilità di infiltrazioni d’aria nella scia delle pale (fenomeno noto oggi con il nome di ventilazione) senza considerare il ruolo giocato dalla vaporizzazione. Fu poi Parsons (1906) a condurre i primi esperimenti sulla cavitazione e, da quel momento in poi, tale fenomeno è diventato oggetto di numerosi studi sia per l’effetto avverso che ha sulle prestazioni del dispositivo in cui si manifesta, sia per il rumore e il danneggiamento strutturale che provoca.

Per certi versi la cavitazione è simile all’ebollizione; la principale differenza tra i due fenomeni è che (vedi Figura 1.7) l’ebollizione è, generalmente, conseguenza di un aumento di temperatura, mentre la cavitazione è dovuta a un abbassamento della pressione del liquido al di sotto della sua pressione di vapore (ad una data temperatura). Questa differenza nella direzione del cambiamento di stato è molto più significativa di quanto si possa immaginare a prima vista. È, infatti, praticamente impossibile una variazione rapida di temperatura all’interno di un volume finito di fluido, in quanto è un processo che avviene, in genere, per trasferimento di calore attraverso una parete solida. Quindi i dettagli del processo di ebollizione interessano solo quella zona di fluido direttamente a contatto con la parete. Invece, una rapida e uniforme variazione di pressione in un liquido è un processo molto comune, soprattutto nei flussi relativamente veloci; pertanto la cavitazione è un processo globale che interessa tutto il volume di fluido che ne è soggetto.

(8)

Figura 1.7 - Diagramma delle fasi di una generica sostanza nel piano T-p

La cavitazione è, generalmente, un fenomeno pericoloso e produce effetti indesiderati che possono essere divisi in tre categorie:

• innanzi tutto essa provoca il danneggiamento delle superfici solide su cui collassano le bolle. Quando queste ultime si generano, infatti, non durano a lungo, ma collassano allorquando incontrano una regione in cui il flusso risulta ad alta pressione. In Figura 1.8 viene mostrata la foto dell’implosione di una bolla. Il collasso è un processo molto violento, che porta (vedi Figura 1.9) alla generazione di microgetti supersonici che, quando investono una superficie solida, provocano su questa la nascita di forti tensioni localizzate. La ripetitività di tale processo, dovuta al collasso delle numerose bolle che si formano in regime cavitante, porta quindi al cedimento locale per fatica della superficie. Per i progettisti di macchine idrauliche, quello del danneggiamento superficiale, è un problema di primaria importanza. In molti casi, l’obbiettivo è quello di eliminare completamente la cavitazione. Laddove ciò non è possibile (ad esempio nelle turbopompe per uso spaziale) la cavitazione viene accettata, ma si cerca, comunque, di minimizzare le conseguenze avverse cui il fenomeno può portare. Esempi di danneggiamento dovuto alla cavitazione sono mostrati nelle Figure 1.10, 1.11 e 1.12.

(9)

Figura 1.9 – Sequenza di collasso di una bolla di cavitazione su una superficie solida (le frecce rappresentano la pressione del fluido)

Figura 1.10 – Danneggiamento localizzato dovuto alla cavitazione sulle pale di una pompa [4]

Figura 1.11 – Danneggiamento esteso sulle pale di una turbina [4]

Figura 1.12 – Danneggiamento sulle pale della girante di una turbopompa

• il secondo effetto della cavitazione è il fatto che provoca un significativo degrado delle prestazioni del dispositivo idraulico. In particolare, come si vedrà nel paragrafo seguente, nel caso delle pompe si può identificare un particolare valore della pressione in ingresso per cui le prestazioni decadono drammaticamente: tale fenomeno viene detto cavitation breakdown. A tal proposito si riporta in Figura

(10)

1.13 una foto dell’induttore FAST2 scattata proprio al momento del breakdown dell’induttore. Come si vede il degrado delle prestazioni avviene allorquando la cavitazione ha già interessato gran parte del canale costituito dalle pale e dal condotto in plexiglas.

Figura 1.13 – Foto dell’induttore FAST2 al momento del netto degrado delle prestazioni [6] • infine la cavitazione influenza anche la risposta dinamica della macchina

innescando instabilità che danno luogo a oscillazioni di pressione e portata che, invece, non si avrebbero in condizioni non cavitanti. Esempi di queste instabilità, di cui si parlerà con dettaglio nel prossimo capitolo, sono la cavitazione rotante e le auto-oscillazioni.

Per quanto riguarda il campo spaziale, come precedentemente accennato, le pompe di alimentazione del combustibile e dell’ossidante dei razzi a propellenti liquidi sono progettate per poter lavorare in regime parzialmente cavitante in quanto la cavitazione non può essere eliminata del tutto poiché ciò comporterebbe un peggioramento dal punto di vista della densità di potenza, parametro direttamente collegato al peso e dunque di estrema importanza in ambito spaziale.

Per ritardare la cavitazione della girante vengono presi principalmente due accorgimenti. Innanzitutto si è soliti pressurizzare i serbatoi dei propellenti in modo tale che il fluido si presenti all’imbocco della pompa con una pressione più elevata; in questo modo risulta più difficile raggiungere la pressione di vapore del fluido e pertanto si riesce a ritardare la cavitazione (solitamente non si superano gli 0.34 MPa per non avere condizioni di carico dei serbatoi troppo gravose e dunque essere costretti a progettare serbatoi più spessi e pesanti). Questa è anche la spiegazione del fatto che i sommergibili, per ridurre il rumore dovuto alla cavitazione, si immergono fino a profondità estremamente elevate; infatti, così facendo, si trovano a muoversi in un fluido a pressione maggiore con conseguente soppressione o ritardo della cavitazione delle eliche.

Il secondo accorgimento consiste nello spostare la cavitazione dalla girante ad un altro elemento posto a monte della girante stessa detto induttore (si vedano ad esempio le Figure 1.3, 1.4 e 1.13). L’induttore è una pompa assiale che ha lo scopo di innalzare la pressione del fluido prima dell’ingresso del medesimo nella vera e propria girante; in questo modo si evita la cavitazione della pompa centrifuga. Il salto di pressione generato dall’induttore può raggiungere anche il 20% del salto complessivo prodotto dalla pompa.

(11)

Nelle Figure 1.14 e 1.15 si riportano le fotografie di due induttori provati nel laboratorio di ALTA S.p.A. e le cui prestazioni sono state indagate nei lavori di tesi precedenti a questo ([2] e [6] rispettivamente). L’induttore FAST2 è stato utilizzato anche per l’esecuzione del presente lavoro di tesi e le sue caratteristiche principali saranno descritte più in dettaglio nel Capitolo 3.

Figura 1.14 – L’induttore MK1 [2]

Figura 1.15 – L’induttore FAST2 [6]

Oltre ai suddetti effetti dannosi, ci sono anche molte applicazioni in cui la cavitazione viene sfruttata anziché essere temuta. Un primo esempio di tali applicazioni è il cosiddetto processo di pulitura ultrasonica mediante il quale vengono create in un opportuno mezzo detergente (per mezzo di un apposito generatore elettronico) delle onde di compressione e di espansione che provocano una continua generazione di bolle microscopiche che collassano sulla superficie dell’oggetto da ripulire (questa azione meccanica viene anche coadiuvata dall’azione chimica del detergente).

Figura 1.16 – Il siluro russo Shkval

Il secondo esempio è tratto, invece, dall’ambito militare. Nel 1995 è stato rivelato che la Russia aveva già da tempo sviluppato un siluro ad altissima velocità che non aveva equivalenti nell’Occidente. Detto Shkval (vedi Figura 1.16), la nuova arma viaggia ad una

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velocità tale da non concedere al nemico alcuna possibilità di manovra. Tale siluro presenta un’estremità anteriore tale da provocare l’immediata cavitazione dell’acqua marina. La cavità che si viene così a formare è soltanto parziale. Grazie a dei fori presenti sulla superficie del siluro dai quali viene espulso del gas, la cavità viene estesa a tutto il siluro (supercavitazione) portando, così, ad una grande riduzione di resistenza all’avanzamento.

La cavitazione vede l’impiego anche nel contesto biologico e delle bioingegnerie [7]. Esempi di tali applicazioni sono le sonde dentistiche utilizzate per la pulizia dei denti dalla placca oppure le sonde utilizzate in chirurgia oculistica per le operazioni alla cataratta (phacoemulsification procedure, Figura 1.17). Il vantaggio di queste sonde è principalmente il bassissimo livello di invasività (possono infatti essere inserite attraverso piccole incisioni). Altri esempi di queste applicazioni possono essere trovati in [7].

Figura 1.17 – Schema della struttura dell’occhio e della phacoemulsification procedure [7]

1.3 La cavitazione nelle turbopompe

1.3.1 Tipologie di cavitazione

All’interno di una turbopompa, la cavitazione può avvenire in una varietà di forme diverse, spesso classificate in maniera non univoca dai diversi autori. In questo paragrafo si riporta la classificazone fornita da Brennen [4]. La Figura 1.18 mostra schematicamente alcune delle principali forme di cavitazione che si possono presentare nelle macchine cosiddette “unshrouded”, cioè senza quel condotto solidale alle pale che intuba la girante.

(13)

Supponendo di abbassare gradualmente la pressione di immissione del fluido di lavoro, la prima forma di cavitazione che si presenta è quella “di estremità di pala” (tip vortex

cavitation); essa si innesca in corrispondenza del centro del vortice che si genera all’uscita

delle pale, nella zona dove avviene il brusco passaggio tra bordo d’attacco ed estremità della pala stessa. Come esempio di tale forma di cavitazione si riporta la Figura 1.19 tratta dal testo del Brennen [3] che mette chiaramente in evidenza i “filamenti” dovuti alla cavitazione di estremità originati dalle pale di due modelli in scala di eliche per uso marino.

Figura 1.19 – Esempi di cavitazione di estremità su eliche per uso marino [3]

Abbassando ulteriormente la pressione di ingresso, si arriva ad ottenere la cavitazione “bollosa” (bubble cavitation): i nuclei di cavitazione, già presenti nel flusso a monte, tendono ad accrescere le proprie dimensioni passando attraverso la zona di bassa pressione sul dorso del profilo, per poi collassare quando ritornano in regioni a pressione maggiore. La Figura 1.20, ad esempio, mostra una diffusa zona di cavitazione bollosa, originata da un singolo profilo idrodinamico.

Figura 1.20 – Cavitazione bollosa originata da un profilo idrodinamico [4]

Man mano che la pressione di ingresso scende ancora, le bolle si combinano tra loro, fino a formare estese cavità di vapore attaccate alle pale: si ha così la cavitazione “di paletta” (blade cavitation). La cavitazione di paletta può essere parziale, se la cavità si richiude su un punto più a valle della stessa pala; se, invece, essa si estende fin oltre la palettatura, si parla di “supercavitazione” (vedi Figura 1.21)

(14)

Figura 1.21 – Cavitazione parziale e supercavitazione su una schiera di profili [4] .

Alcune pompe hanno le giranti progettate per funzionare in condizioni di supercavitazione: essendo il punto di chiusura della cavità esterno alla pala, infatti, il danneggiamento strutturale che ne consegue risulta essere molto minore. Per i corpi tozzi la cavitazione di paletta viene rinominata come cavitazione “attaccata” o “pienamente sviluppata” (attached o fully developed cavitation). Un esempio di cavitazione pienamente sviluppata su un corpo tozzo è presente in Figura 1.22 (destra).

Figura 1.22 – Cavitazione bollosa (sinistra) e cavitazione pienamente sviluppata (destra) su un corpo tozzo [4]

Infine, quando la pompa si trova a lavorare con portate al di sotto di quella di progetto, si manifesta un ulteriore tipo di cavitazione detta “a flusso di ritorno” (backflow cavitation): in queste condizioni, infatti, si genera un flusso di ritorno (o secondario) il quale può arrivare ad estendersi anche per parecchi diametri a monte dell’imbocco della pompa. La cavitazione di flusso secondario è visibile con facilità, poiché avviene nella regione anulare che precede la sezione di aspirazione; la Figura 1.23 mostra un tipico caso di

backflow cavitation riscontrato su un modello in scala dell’induttore della turbopompa di

(15)

Figura 1.23 – Cavitazione di backflow su un induttore [4]

La classificazione qui riportata non ricopre sicuramente tutti i casi possibili ma individua le principali forme di cavitazione che si possono riscontrare nelle pompe assiali “unshrouded” come ad esempio gli induttori MK1 e FAST2.

Il verificarsi di un tipo od un altro di cavitazione non dipende soltanto dalla pressione di lavoro ma da una serie di altri fattori tra cui ad esempio, oltre alla geometria della macchina, la finitura superficiale delle pale; nel caso di pale con spiccata rugosità superficiale, infatti, l’elevato grado di turbolenza del flusso che ne consegue porta a favorire la cavitazione bollosa mentre ostacola quella di pala in quanto lo strato limite si separa meno facilmente.

1.3.2 Prestazioni delle pompe in regime non cavitante: parametri adimensionali e curve caratteristiche

A questo punto verranno introdotte le grandezze e gli strumenti principali necessari per la caratterizzazione delle prestazioni delle turbopompe quando durante il loro funzionamento non si verificano fenomeni cavitanti.

Se si fa l’ipotesi che il flusso sia isoentropico (vale a dire che vi sia totale assenza di perdite nel passaggio del fluido all’interno della pompa), la potenza idraulica trasmessa al fluido è semplicemente uguale a:

T i L p P m Q p

ρ

T Δ =  = Δ (1.2)

Si definisce “efficienza idraulica”,

η

P, il rapporto tra la potenza idraulica ideale e la potenza effettiva assorbita dal flusso :

i

P

P i P P P

η

= (1.3)

(16)

Tale definizione è importante in quanto permette, come vedremo, di dimostrare la (1.1). E’ importante osservare che l’efficienza idraulica è diversa dall’efficienza meccanica globale della pompa: esistono infatti altre perdite (quali, per esempio, l’attrito nei cuscinetti) che rendono l’efficienza meccanica inferiore a quella idraulica.

Le prestazioni di una pompa vengono generalmente caratterizzate in termini di parametri adimensionali, mediante i quali è possibile svincolare le prestazioni stesse dalle caratteristiche geometriche, dimensionali ed operative della macchina.

Adimensionalizzando la portata volumetrica si ottiene il “coefficiente di flusso”

φ

, definito nel modo seguente

(1.4) T Q AR

φ

= Ω

in cui si è indicata con A l’area della sezione di passaggio del flusso. Il coefficiente di flusso può essere riferito sia alle grandezze relative alla sezione d’ingresso,

A

1 ed

R

T1, ed in questo caso viene indicato con

φ

1, sia a quelle relative alla sezione d’uscita,

A

2 ed

2 T

R

, ed allora viene indicato con

φ

2.

Adimensionalizzando il salto di pressione subito dal fluido di lavoro si ottiene il cosiddetto “coefficiente di prevalenza”,

ψ

, così definito:

(1.5) 2 2 2 T L T p R

ψ

ρ

Δ = Ω

Adimensionalizzando infine la coppia fornita dalla turbomacchina si ottiene il “coefficiente di coppia”, generalmente indicato con

τ

per le macchine centrifughe e con

χ

per quelle assiali. Il coefficiente

τ

è definito come:

(1.6) 3 2 2 2 L T T R A

τ

ρ

= Ω

mentre il coefficiente

χ

è così definito: (1.7) 1 L T Qv rθ

χ

ρ

=

in cui rappresenta il valore medio tra il raggio di estremità e quello di radice di pala. r

Un altro importante parametro adimensionale è rappresentato dal numero di Reynolds, , che per questo tipo di macchine può essere definito nel modo seguente:

Re

(1.8) 2 2

2

Re

T L

R

υ

Ω

=

in cui si è indicata con

υ

L la viscosità cinematica del fluido di lavoro.

Le prestazioni di una data pompa, in termini di parametri adimensionali, sono riassunte nelle cosiddette “curve caratteristiche”, nelle quali vengono rappresentati, in funzione di

φ

, gli andamenti degli altri parametri. Un esempio è fornito nella Figura 1.24, in cui sono rappresentate le curve relative a

ψ

ed

η

per la turbopompa di alta pressione del combustibile dello SSME; nella stessa figura è anche effettuato un confronto tra gli andamenti teorici previsti ed i dati misurati sperimentalmente.

(17)

Figura 1.24 – Curve caratteristiche della turbopompa di alta pressione del combustibile dello SSME [8]

L’andamento delle curve di Figura 1.24 deve essere considerato di validità del tutto generale, almeno per macchine centrifughe. Qualunque tipo di pompa centrifuga si prenda in considerazione (ad eccezione di quelle con palettature in avanti), infatti, la sua prevalenza sarà sempre decrescente col coefficiente di flusso almeno nelle zone immediatamente vicine al punto di lavoro, mentre il rendimento avrà un massimo per un dato valore di

φ

.

E’ importante notare che, per valori del numero di Reynolds tali da garantire un flusso completamente turbolento all’interno della pompa (vale a dire ), le curve caratteristiche diventano praticamente indipendenti dal numero di Reynolds stesso. Di conseguenza, affinché due pompe possano essere considerate in similitudine fluidodinamica tra loro, è sufficiente che esse lavorino con lo stesso valore dei parametri

(

)

5

Re

>

5÷10

×

10

φ

e

ψ

, e che i loro numeri di Reynolds siano entrambi superiori al valore “critico” (ma non necessariamente uguali).

6

10

I parametri

φ

e

ψ

non rappresentano, però, il modo più comodo di definire le prestazioni di una turbomacchina. I dati di progetto di cui si dispone preliminarmente, infatti, sono in genere rappresentati dalla portata volumetrica Q che attraversa la macchina e dal salto di pressione totale

Δ

p

T che si vuole imporre al fluido di lavoro; nulla si sa, almeno inizialmente, sulla velocità di rotazione Ω e sulle dimensioni della pompa.

(18)

Risulta perciò utile “disaccoppiare” questi due valori incogniti, introducendo degli ulteriori parametri adimensionali che non dipendano contemporaneamente da entrambi. Si definiscono così la “velocità specifica”

Ω

S (a volte indicata anche con

n

S):

(1.9) 1 2 3 4 S T L

Q

p

ρ

Ω

Ω =

Δ

ed il “raggio specifico”

r

S: (1.10) 1 4 2 1 2 T T L S

p

R

r

Q

ρ

Δ

=

o, alternativamente, il “diametro specifico”

d

S, semplicemente uguale al doppio di

r

S. Velocità specifica e raggio specifico possono essere messi in relazione, mediante semplici passaggi di calcolo, con

φ

2 e

ψ

; le formule che si ottengono sono le seguenti:

(1.11) 3 2 4 S

πφ

ψ

Ω =

(1.12) 1 4 2 S

r

ψ

πφ

=

Analogamente, è possibile scrivere

φ

2 e

ψ

in funzione di velocità specifica e raggio specifico, ottenendo: (1.13) 2 1 3 S Sr

φ

π

= Ω (1.14) 12 2 S Sr

ψ

= Ω

Combinando le equazioni (1.13) e (1.14) con le precedenti (1.2), (1.3), (1.4) e (1.5), infine, è possibile ottenere la seguente relazione per la potenza P:

(1.15) 3 5 2 L T P S S R P r

ρ

η

⎛ Ω ⎞ ⎛ ⎞ = ⎟ ⎜ Ω ⎝ ⎠ ⎝ ⎠

La (1.15) conferma quanto affermato nella Sezione 1.1, e cioè che è proporzionale al

cubo della velocità di rotazione ed alla quinta potenza del raggio.

P

Se a questo punto si suppone di prendere, per ogni possibile turbomacchina realizzabile, i valori di

φ

e

ψ

per cui l’efficienza è massima (ed i corrispondenti valori di ed ), è possibile realizzare un diagramma in cui viene rappresentata, al variare di velocità specifica e raggio specifico, la migliore efficienza ottenibile.

S

(19)

Un esempio di tale diagramma è fornito, per il caso di macchine centrifughe, dalla Figura 1.25. Nella stessa figura è anche effettuato un confronto, al solito, tra i valori calcolati teoricamente e quelli misurati sperimentalmente; viene inoltre evidenziata la dipendenza del rendimento dall’angolo

β

2 (angolo formato, all’uscita della girante, dalle pale con la direzione radiale). Un diagramma analogo, relativo però a pompe assiali, è dato in Figura 1.26.

Figura 1.25 – Rendimenti ottenibili da pompe centrifughe [8]

Figura 1.26 – rendimenti ottenibili da pompe assiali monostadio [8]

Un’analisi delle due figure precedenti mette in evidenza che, al variare del valore della velocità specifica , varia anche la tipologia di turbomacchina che permette di ottenere il rendimento migliore. Può perciò essere opportuno, in base alla velocità specifica richiesta dalla singola applicazione, modificare l’architettura della turbopompa, in modo da lavorare sempre alla massima efficienza possibile.

S

(20)

Questo aspetto è ben chiarito dalla successiva Figura 1.27, tratta da Brennen [4]. In figura si nota come, per bassi valori di (compresi all’incirca tra 0.2 ed 1), convenga lavorare con macchine centrifughe, mentre le macchine assiali sono più efficienti per valori più alti della velocità specifica ( ); per i valori intermedi risultano preferibili le pompe a flusso misto. S

Ω

3

S

Ω >

Figura 1.27 – Architetture ottimali delle turbomacchine in funzione della velocità specifica [4] Supponendo di utilizzare sempre il tipo di macchina “ottimale” suggerito dalla Figura 1.27, i rendimenti più alti si ottengono per valori di

Ω

S compresi tra 0.4 ed 1.2, per i quali si riesce ad arrivare anche ad efficienze dell’ordine del 90%.

A velocità specifiche più basse, come si vede in figura, i passaggi all’interno della girante della pompa sono molto più stretti e lunghi: ne consegue che le perdite dovute all’attrito risultano molto pronunciate, e l’efficienza massima ottenibile si abbassa. Analogamente, i rendimenti si abbassano per i valori più alti di

Ω

S : in questo caso, infatti, come risulta chiaro dalla definizione di velocità specifica data nella (1.9), la prevalenza della pompa è molto piccola, e le perdite per attrito al suo interno possono rappresentare una frazione apprezzabile di tale prevalenza. Quanto appena detto è tradotto graficamente nella cosiddetta “linea di Cordier” riportata nella Figura 1.28.

(21)

Figura 1.28 – Distribuzione delle turbomacchine a efficienza ottima [9]

1.3.3 Prestazioni delle pompe in regime cavitante: parametri adimensionali e curve caratteristiche

Da quanto si è visto in precedenza, si intuisce facilmente che la cavitazione è un fenomeno estremamente articolato e complesso, che coinvolge due fasi dello stesso liquido aventi diverso comportamento termodinamico. Essa, inoltre, è fortemente influenzata dalla presenza di impurità microscopiche, contenute sia all’interno del fluido di lavoro che nelle superfici che delimitano il flusso.

Tralasciando per il momento gli aspetti più complessi del fenomeno (per maggiori dettagli si può consultare il testo di Brennen [4]), un primo semplice criterio per prevedere il momento in cui si innesca la cavitazione in un liquido consiste nel supporre che la formazione delle bolle abbia inizio quando la pressione del liquido diventa inferiore alla pressione di vapore,

p

V, corrispondente alla temperatura a cui si lavora. Detta

p

1 la pressione statica all’ingresso della turbomacchina, viene introdotto un

“coefficiente di pressione”

C

P, definito come:

(

)

1 2 1 1 2 P L T p p C R

ρ

− = Ω (1.16)

Va notato che, per flussi incomprimibili delimitati da pareti rigide, il coefficiente di pressione è funzione solo della geometria e del numero di Reynolds. Ciò significa che una variazione della pressione

p

1 causerà semplicemente una uguale variazione di tutte le altre pressioni all’interno della pompa, senza però che l’andamento di

C

P ne venga modificato. Esiste perciò un preciso punto della pompa nel quale la pressione sarà

sempre minima; in tale punto, il coefficiente di pressione assume il valore (negativo):

(22)

(1.17)

(

)

min 1 min 2 1 1 2 P L T p p C R

ρ

− = Ω

Se è noto , la pressione di ingresso per cui si ha l’innesco della cavitazione,

,

può essere stimata supponendo

min P

C

1

p

p

min

=

p

V , il che significa:

(1.18) 1 1 min

(

)

2

2

V L P T

p∗= p

ρ

C ΩR1

Se sono state già fissate la geometria della macchina, la temperatura di lavoro e la densità del fluido di lavoro, p1∗ è funzione soltanto di Ω e di

R

T1.

Un altro parametro tradizionalmente usato in letteratura è il “numero di cavitazione”

σ

(o numero di Eulero) , definito come: (1.19)

(

)

1 2 1 1 2 V L T p p R

σ

ρ

− = Ω

Chiaramente, il valore di

σ

per cui si ha l’innesco della cavitazione è: (1.20)

(

)

1 min 2 1

1

2

V i P L T

p

p

C

R

σ

ρ

=

=

Ω

Una ulteriore grandezza adimensionale spesso utilizzata è la “velocità specifica di aspirazione”, . Essa ha una definizione molto simile a quella della velocità specifica

, vale a dire: SS

Ω

S

Ω

(1.21) 3 4 1 SS T V L

Q

p

p

ρ

Ω

Ω =

La velocità specifica di aspirazione è concettualmente simile al numero di cavitazione

σ

; tutti e due questi parametri, infatti, rappresentano un modo per adimensionalizzare il valore della pressione all’ingresso della pompa. Anche in questo caso, quindi, esisterà un valore

Ω

SS per cui avviene l’innesco della cavitazione.

Altri due parametri che verranno spesso utilizzati in seguito sono quelli denotati con gli acronimi NPSP (Net Positive Suction Pressure) e NPSH (Net Positive Suction Head), così definiti: (1.22)

NPSP

=

p

T1

p

V (1.23) T1 V L p p NPSH g

ρ

− =

Le prestazioni di una pompa in condizioni cavitanti vengono in genere presentate tramite curve che, per un dato valore del coefficiente di flusso

φ

, forniscono l’andamento del coefficiente di prevalenza

ψ

in funzione del numero di cavitazione

σ

. Un esempio di curva di questo genere, relativa ad una pompa centrifuga, è mostrato in Figura 1.29.

(23)

Figura 1.29 – Prestazioni di una pompa centrifuga in condizioni cavitanti [4] La figura mette in evidenza tre valori “notevoli” del parametro

σ

:

• il “numero di cavitazione di innesco”,

σ

i: per quanto detto ai paragrafi precedenti, il suo raggiungimento non coincide ancora con una variazione significativa delle prestazioni della macchina

• il “numero di cavitazione critico”,

σ

c, tipicamente definito come quel valore di

σ

per cui il coefficiente di prevalenza ha subito una certa diminuzione rispetto al valore che aveva in condizioni non cavitanti (in genere, tale diminuzione è assunta pari al 3%; in alcuni casi vengono usati anche il 2% ed il 5%)

• il “numero di cavitazione di breakdown”,

σ

b, che è il valore di

σ

per cui le prestazioni della pompa precipitano drasticamente.

Vista la dipendenza funzionale esistente tra numero di cavitazione e velocità specifica di aspirazione, ai tre valori

σ

i,

σ

c e

σ

b corrispondono tre valori notevoli di , denotati rispettivamente con , ed

SS

Ω

SSi

Ω

Ω

SSc

Ω

SSb.

Nelle prestazioni delle pompe assiali (e quindi anche degli induttori) si notano alcune importanti differenze rispetto alle pompe centrifughe. Le macchine assiali infatti, pur fornendo in alcuni casi rendimenti più elevati, sono molto più suscettibili alla separazione del flusso ed allo stallo con conseguenti perdite in termini di prestazioni. Una tipica curva caratteristica relativa ad una pompa assiale è quella di Figura 1.30, nella quale si può notare il caratteristico “avvallamento” nella zona corrispondente a valori di

φ

compresi tra 0.08 e 0.12 dovuto proprio a fenomeni di separazione del flusso.

Le prestazioni di una turbomacchina assiale in regime cavitante sono invece illustrate in Figura 1.31. Si noti come per bassi valori del coefficiente di flusso la prevalenza della pompa subisca un significativo aumento immediatamente prima del raggiungimento del

breakdown.

Aumentando la temperatura del fluido di lavoro, si nota una evidente diminuzione del numero di cavitazione di breakdown,

σ

b. Questo fenomeno è messo bene in evidenza nella successiva Figura 1.32, la quale mostra come varia la curva (

ψ

,

σ

) di una pompa centrifuga al variare della temperatura.

(24)

Figura 1.30 – Curve caratteristiche di una pompa assiale [4]

Figura 1.31 – Prestazioni di una pompa assiale in condizioni cavitanti [4]

Figura 1.32 – Prestazioni di una pompa centrifuga in regime cavitante al variare della temperatura [4]

(25)

Per spiegare il fenomeno si consideri una singola bolla che comincia a crescere entrando in una regione di bassa pressione del liquido; la crescita della bolla è accompagnata dall’evaporazione di una certa quantità del liquido presente all’interfaccia tra le due fasi. Se ci si trova a basse temperature la densità del vapore saturo è piccola e sono perciò piccole la massa di liquido che evapora e la quantità di calore necessaria per far avvenire il cambiamento di fase. Poiché tale calore viene ceduto dal liquido per conduzione, la differenza di temperatura che si viene a creare tra liquido e vapore resta contenuta e la pressione di vapore non diminuisce in maniera apprezzabile.

A temperature più alte la densità del vapore saturo è maggiore e quindi il processo di crescita della bolla coinvolge una maggiore massa di liquido: la quantità di calore richiesta dal cambiamento di fase è più grande e quindi si verifica una sensibile diminuzione della temperatura e della pressione di vapore. A causa della diminuzione locale di

p

V la crescita della bolla viene ad essere inibita.

1.3.4 Prestazioni di alcune turbomacchine

In questo paragrafo verranno illustrate le curve sperimentali relative alle prestazioni di alcune turbomacchine di interesse pratico. Il primo gruppo di curve, tratte da [10], è riferito alla girante centrifuga denominata “X”, provata nell’impianto in dotazione al California Institute of Technology; un disegno quotato di tale girante è fornito in Figura 1.33.

Figura 1.33 – Disegno quotato della girante “X” [10]

Le Figure 1.34 e 1.35 illustrano le prestazioni della girante “X”, rispettivamente in condizioni non cavitanti e cavitanti.

(26)

Figura 1.34 – Curva caratteristica per la girante “X” [10]

Figura 1.35 – Prestazioni della girante “X” in regime cavitante [10]

Un altro induttore, provato anch’esso presso il California Institute of Technology, è quello denominato “VII”. Le caratteristiche geometriche di questo induttore sono riassunte nella tabella seguente.

Tabella 1.2 – Caratteristiche geometriche dell’induttore “VII” [11] Le prestazioni dell’induttore “VII”, in regime cavitante e non, sono illustrate nelle Figure 1.36a e 1.36b rispettivamente, tratte entrambe da [11].

(27)

(a) (b)

Figura 1.36 – Curva caratteristica (a) e prestazioni in regime cavitante (b) per l’induttore “VII” [11]

La Figura 1.37, infine, mostra la curva caratteristica della pompa dell’ossigeno liquido del motore giapponese LE-7, ricavata interpolando i dati forniti nella Study Note 1 del programma FESTIP [12].

Figura 1.37 – Curva caratteristica della pompa LOX del motore LE-7 [12]

1.4 Obiettivi e organizzazione del lavoro di tesi

L’obiettivo della tesi è la realizzazione di una campagna di prove consistenti nell’effettuare una serie di registrazioni di filmati di induttori cavitanti mediante una telecamera ad alta velocità. Tali filmati dovranno poi essere utilizzati sia per l’analisi delle caratteristiche principali della cavitazione, sia per la caratterizzazione “ottica” di eventuali instabilità fluidodinamiche che si innescano durante il funzionamento dell’induttore. La sperimentazione viene effettuata presso il laboratorio di cavitazione di ALTA S.p.A.

(28)

Tale campagna, in particolare, si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi:

• Installazione del sistema di acquisizione immagini in maniera tale da poter registrare i filmati sia attraverso il condotto in plexiglas che racchiude l’induttore (filmati “laterali”), sia attraverso la specola visiva posta a monte della linea di aspirazione del circuito di prova (filmati “frontali”).

• Registrazione di filmati laterali in tutte le possibili condizioni di flusso • Registrazione di filmati frontali in tutte le possibili condizioni di flusso

• Sviluppo di un algoritmo (possibilmente automatico) che consenta di elaborare le immagini riprese dalla videocamera in maniera tale da estrarre le zone in cui è presente la cavitazione

• Sviluppo di metodologie di calcolo delle grandezze caratteristiche della cavitazione (quali, ad esempio, la superficie frontale o la lunghezza) utilizzando i filmati elaborati

• Analisi delle suddette grandezze e indagine sulle loro possibili oscillazioni da confrontare con le oscillazioni di pressione del flusso rilevate mediante i trasduttori piezoelettrici

Ulteriori obiettivi che si sono aggiunti ai precedenti nel corso dello svolgimento del lavoro (necessari per le registrazioni dei filmati frontali) risultano:

• Progettazione di un accesso ottico da installare sulla specola visiva posta a monte del condotto di aspirazione

• Installazione nel circuito di prova di un sistema per la pulitura dell’acqua

Il raggiungimento dei suddetti obiettivi viene descritto nei capitoli seguenti. In particolare, dopo aver analizzato lo stato dell’arte dei fenomeni di instabilità dovuti alla cavitazione che si manifestano nelle turbopompe ad alte prestazioni (Capitolo 2), nel Capitolo 3 viene descritto il circuito di prova utilizzato per la sperimentazione. In questo capitolo, oltre ai vari elementi facenti parte del circuito ci si sofferma, in particolare, sull’installazione e sulla descrizione del sistema di acquisizione immagini.

Nel Capitolo 4, dopo un’introduzione ai concetti di base sull’elaborazione delle immagini, viene descritto in dettaglio l’algoritmo sviluppato per l’elaborazione dei filmati registrati.

Nel Capitolo 5, dopo una breve panoramica sui lavori effettuati in altri laboratori mediante la telecamera ad alta velocità, vengono inizialmente descritte le modalità di svolgimento delle prove effettuate. Infine vengono descritte le metodologie utilizzate per il calcolo delle grandezze caratteristiche della cavitazione e i risultati ottenuti dalla loro analisi.

Nel Capitolo 6, infine, sono riassunti i principali risultati ottenuti e vengono delineati i possibili passi successivi da seguire per poter dare una continuità all’attività sperimentale condotta nell’ambito del presente lavoro di tesi.

(29)

1.5 Note bibliografiche al Capitolo 1

[1] G.P. Sutton, Racket propulsion elements, Wiley and sons, 1992.

[2] R. Testa, Studio sperimentale delle instabilità fluidodinamiche di cavitazione su un

induttore commerciale e sul MK1 della turbopompa LOX di Ariane 5, Tesi di

Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università di Pisa, 2003.

[3] C.E. Brennen, Cavitation and bubbole dynamics, Oxford University Press, 1995. [4] C.E. Brennen, Hydrodynamics of pumps, Oxford University Press, 1994.

[5] C.E. Brennen, Fundamentals of multiphase flows, Cambridge University Press, 2005.

[6] L. Torre, Studio sperimentale delle prestazioni e delle instabilità fluidodinamiche

di cavitazione su un prototipo dell’induttore della turbopompa LOX del motore VINCI, Tesi di Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università di Pisa, 2004.

[7] C.E. Brennen, Cavitation in biological and bioengineering contexts, 5th International Symposium on Cavitation (CAV2003), 2003.

[8] C.R. Peterson, P.G. Hill, Mechanics and thermodynamics of propulsion, Addison-Wesley, 1992.

[9] R.H. Saberski, A.J. Acosta, E.G. Hauptmann, Fluid flow: a first corse in fluid

mechanics, McMillan, 1971.

[10] R.J. Franz, Experimental investigation of the effects of cavitation on the

rotordynamic forces on a whirling centrifugal pump impeller, Ph.D. thesis,

California Institute of Technology, 1989.

[11] Bhattacharyya, Internal flows and and force matrices in axial flow inducers, Ph.D. thesis, California Institute of Technology, 1994.

[12] F. Neuner, J. Kretschmer, A. Munari, J.R. Miedema, A. Boman, M. Leijon, Review

of technology options for reusable propulsion system WP 1000 Results, FESTIP

(30)

Figura

Figura 1.1 – Cicli di alimentazione del sistema a turbopompa
Figura 1.2 – Rapporto di carico utile per sistemi alimentati a gas pressurizzato e con turbopompe  La configurazione delle turbopompe è strettamente legata ai propellenti utilizzati; in un  motore che funziona con propellenti di densità simile, come ad ese
Figura 1.6 – Schema di funzionamento dello SSME
Figura 1.7 - Diagramma delle fasi di una generica sostanza nel piano T-p
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