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1.4 Obiettivi della tesi

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Academic year: 2021

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1 INTRODUZIONE

La propulsione è, in senso generale, l’atto di cambiare il moto di un corpo.

Il meccanismo propulsivo fornisce una forza che muove un corpo inizialmente fermo, cambia la sua velocità, oppure contrasta le forze di resistenza quando il corpo si muove in un mezzo [8].

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1.1 Generalità

Il motore a razzo, o più correttamente endoreattore, è un motore a reazione che sfrutta il principio di azione e reazione per produrre una spinta.

I sistemi di propulsione a razzo possono essere classificati in base al tipo di sorgente di energia utilizzata (chimica, nucleare o solare), alla loro funzione base (mantenimento dell’orbita, controllo di assetto, etc.), alla dimensione, al tipo di propellente usato ed al metodo per produrre la spinta.

In tabella 1.1 è riportato un confronto tra gli attuali metodi di propulsione:

Tabella 1.1: Confronto fra le attuali tecnologie di propulsione.

Attualmente la combustione chimica è l’unica soluzione disponibile per il lancio di vettori dalla superficie terrestre e per la loro immissione in orbita.

All’interno della grande famiglia dei propulsori chimici si possono distinguere due principali classi di motori, ovvero quelli a propellente solido e quelli a propellente liquido (si può in realtà considerare anche una terza categoria, quella dei motori ibridi che, come suggerisce il nome stesso, sono caratterizzati sia da propellente solido, generalmente il combustibile sotto forma di grano, sia da propellente liquido, generalmente l’ossidante).

I propulsori chimici possono essere classificati sia dal punto di vista delle caratteristiche fisiche del propellente (criogenico o stoccabile) sia dal punto di vista del sistema di alimentazione del propellente (sistema pressurizzato o sistema con pompe).

Nel sistema di alimentazione con pompe il compito di aumentare la pressione del propellente, prima dell’ingresso in camera di combustione, è affidato alla turbopompa, cosicché i serbatoi devono essere pressurizzati solo per sopprimere o ritardare la cavitazione, portando ad una notevole riduzione di peso.

La presenza di un induttore a monte della turbopompa principale permette un’ulteriore diminuzione della pressione all’interno del serbatoio. Gli induttori, infatti, sono studiati per lavorare in regimi di cavitazione controllata e forniscono al flusso solo l’

TECNOLOGIA Isp (s) SPINTA (N) VANTAGGI SVANTAGGI

N2 60

H2 250

Liquida

Monopropellente 140-235

Bipropellente 320-460

Solida 260-300

Ibrida 290-350

Nocciolo solido 800-1100

Nocciolo liquido 3000

Nocciolo gassoso 6000

Elettrotermica 500-1000

Elettromagnetica 1000-7000

Elettrostatica 2000-10000

basso impulso specifico

prestazioni modeste complicazioni dovute a combustione

sicurezza

non ancora testata politicamente non attrattiva

costosa basso rapporto spinta/peso

massa del sistema elevata bassi livelli di spinta tecnologia poco consolidata

Gas freddi

Chimica

Nucleare

Elettrica

0.1-50

0.1-1.2*10^7

fino a 1.2*10^7

10^-4-20

semplicità sicurezza basso impatto ambientale

spinta elevata tecnologia consolidata

impulso specifico elevato

impulso specifico molto elevato

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aumento di pressione necessario ad evitare che il componente principale sia interessato da fenomeni cavitanti e possa lavorare al massimo della sua efficienza.

Uno degli obiettivi più importanti che si propone di raggiungere la tecnologia delle moderne turbomacchine, è la disponibilità di densità di potenza sempre più elevata. Per comprendere a fondo la rilevanza di tale aspetto, può essere utile ricordare che la potenza di pompaggio di una turbomacchina è proporzionale alla quinta potenza di una sua dimensione caratteristica (D), moltiplicata per la terza potenza della sua velocità di rotazione (Ω):

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PD (1.1) Ciò, in termini pratici, implica che per ridurre le dimensioni della macchina (esigenza, questa, di primaria importanza nel campo delle applicazioni spaziali, poiché ridurre le dimensioni della pompa significa anche ridurne il peso) è necessario aumentarne la velocità di rotazione: ad esempio, se si dimezza il valore di D, per avere la stessa potenza di pompaggio bisogna moltiplicare la velocità di rotazione per un fattore 25/3.

Di conseguenza, le turbopompe ad alta densità di potenza vengono spesso progettate come macchine supercritiche, per le quali diventano estremamente rilevanti fenomeni quali l’instabilità rotodinamica e la cavitazione.

Lo studio di tali fenomeni è cominciato nei primi anni ’60, ma le principali pubblicazioni a riguardo sono apparse solo dopo il 1980; fra queste ricordiamo Brennen, [2] e [3], e Childs, [5]. La loro comprensione teorica, in ogni caso, resta tutt’oggi ancora lacunosa sotto molti aspetti ed i modelli di calcolo che ne risultano sono necessariamente inadeguati: l’unica strada percorribile, per ottenere un livello sufficiente di resistenza ed affidabilità delle macchine progettate, è quindi rappresentata dalla sperimentazione su prototipi, spesso scalati.

E’ anche evidente che in una politica di miglioramento ed ottimizzazione delle prestazioni dei propulsori, specialmente in campo spaziale, è fondamentale tanto la progettazione di turbopompe ad elevata prestazione, quanto la capacità di poter lavorare al limite delle capacità delle stesse; anche per questo l’analisi sperimentale riveste un ruolo fondamentale all’interno del ciclo produttivo.

A titolo di esempio e senza pretesa di esaustività, si riportano alcuni casi di turbomacchine, utilizzate in campo spaziale e non, le cui prestazioni sono state fortemente influenzate da problemi di instabilità rotodinamica e/o di cavitazione [4]:

La pompa di alta pressione per l’idrogeno liquido del motore principale dello Space Shuttle (Space Shuttle Main Engine, SSME), avente una potenza di pompaggio di circa 57 MW ed un peso strutturale di 345 kg, fu progettata per girare ad una velocità massima di 37000 rpm, compresa tra la seconda e la terza velocità critica. Essa, però, presentò vibrazioni inaspettate già a 19000 rpm; si scoprì che tali vibrazioni erano dovute ad una particolare forma di instabilità laterale del rotore, il quale compiva un moto di precessione (whirl) intorno alla

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sua posizione nominale, con frequenza pari a circa 0.5 volte la frequenza di rotazione dell’albero.

Le pompe di circolazione dell’acqua di refrigerazione primaria della centrale nucleare di Three Miles Island (Pennsylvania, USA), progettate per erogare potenze nell’ordine delle decine di MW, subirono un evidente degrado delle prestazioni, accompagnato da fenomeni vibratori di notevole intensità, a causa di forze rotodinamiche sviluppatesi in condizioni cavitanti.

I compressori di alta pressione dell’impianto Kaybob (Alberta, Canada) per l’estrazione del gas naturale, progettati per lavorare vicino alla terza velocità critica, soffrirono a loro volta problemi di instabilità rotodinamica.

1.2 Cavitazione

Si definisce “cavitazione” la formazione di bolle di vapore in regioni di bassa pressione del flusso di un liquido. Il termine cavitazione fu introdotto per la prima volta da R.E. Froude (1895) per descrivere il fenomeno dannoso che si verificava sulle eliche per la propulsione navale e che portava, oltre al danneggiamento delle strutture, ad una velocità massima di navigazione minore di quella prevista in sede di progetto.

La cavitazione è assimilabile ad un cambiamento di fase liquido-gas, ottenuto mediante un abbassamento di pressione a temperatura costante, in modo da scendere al di sotto della pressione di vapore del liquido alla temperatura considerata; essa va perciò distinta dall’ebollizione, nella quale il cambiamento di fase viene raggiunto aumentando la temperatura a pressione costante (figura 1.1).

Figura 1.1: Diagramma delle fasi di una generica sostanza nel piano p-T.

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La differenza tra cavitazione ed ebollizione è molto più rilevante di quanto si possa immaginare a prima vista. In realtà, infatti, è virtualmente impossibile causare per convezione un cambiamento di temperatura rapido ed uniforme all’interno di un volume finito di liquido; le variazioni di temperatura in un liquido sono in genere dovute al passaggio di calore, per conduzione, attraverso una superficie solida. L’ebollizione, perciò, è un fenomeno che interessa solo la regione di fluido a diretto contatto con la parete calda. Un rapido ed uniforme cambiamento della pressione di un liquido è, invece, tutt’altro che infrequente, soprattutto all’interno di flussi relativamente veloci: la cavitazione è quindi un processo globale, che interessa l’intero volume di liquido che ne è soggetto.

La cavitazione è in genere un fenomeno da evitare, in quanto causa di almeno tre ordini di problemi:

In primo luogo essa provoca evidenti danneggiamenti alle superfici solide su cui collassano le bolle. Il collasso di una bolla, infatti, è un processo estremamente violento, che porta alla generazione di microgetti supersonici i quali, investendo una superficie solida, fanno nascere su di essa forti tensioni localizzate. La ripetitività di tale condizione di carico, dovuta al collasso delle numerose bolle che si formano in condizioni cavitanti, porta al cedimento locale per fatica della superficie, ed al distacco di piccoli frammenti di materiale.

La figura 1.2 illustra, a titolo di esempio, il danneggiamento localizzato, provocato dalla cavitazione, sulle pale di una pompa a flusso misto in lega di alluminio.

Figura 1.2: Danneggiamento localizzato, dovuto a cavitazione, sulle pale di una pompa (Brennen, 1994).

La figura 1.3 mostra un caso di danneggiamento più esteso, rilevato sulle pale di scarico di una turbina: si può notare come, in questo caso, i crateri di danneggiamento si siano estesi a tal punto da penetrare completamente le pale.

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Figura 1.3: Danneggiamento esteso sulle pale di una turbina (Brennen, 1994).

In secondo luogo, la cavitazione provoca un forte degradamento delle prestazioni della macchina. Nel caso delle pompe, in particolare, si può identificare un valore della pressione di ingresso del fluido per il quale il lavoro di pompaggio subisce una drammatica diminuzione (cavitation breakdown).

Come esempio si riporta una fotografia scattata al momento del “breakdown”

dell’induttore DAPAMITO4 la cui caratterizzazione è oggetto di questa tesi.

Come si vede il degrado delle prestazioni avviene quando la cavitazione ha già interessato gran parte del canale costituito dalle pale e dal condotto in plexiglas.

Figura 1.4: Fotografia dell’induttore DAPAMITO4 al momento del netto degrado delle prestazioni.

La cavitazione, infine, influenza la risposta dinamica della macchina, innescando instabilità che danno origine ad oscillazioni di portata e di distribuzione di pressione. Un esempio di tali instabilità è rappresentato dalla “cavitazione rotante”: quando una turbomacchina lavora ad angoli di incidenza delle pale vicini allo stallo, la cavitazione si manifesta prima su un numero di pale limitato, propagandosi poi circonferenzialmente alle pale adiacenti. Un altro esempio è costituito dalle “auto-oscillazioni” (oscillazioni di pressione e portata all’interno di tutto il sistema di cui fa parte la pompa): esse si manifestano quando la

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macchina è spinta ad operare in condizioni di carico molto severe, e vi contribuiscono tutti gli elementi collegati alla pompa (serbatoi, linea di alimentazione e linea di scarico). In campo spaziale, un caso di questo genere è rappresentato dalle POGO: oscillazioni, anche molto rilevanti, nella spinta fornita dal sistema propulsivo, originate a monte da fenomeni di cavitazione nelle pompe di alimentazione del motore.

In definitiva il verificarsi della cavitazione è accompagnato da una serie di effetti potenzialmente nocivi; in linea di principio, quindi, la progettazione di una pompa dovrebbe essere eseguita in maniera tale che essa, in normali condizioni operative, non caviti. Ciò, però, non è sempre desiderabile per le turbopompe di uso spaziale: il modo più efficace per evitare la cavitazione, infatti, consiste nel far lavorare la macchina con pressioni di ingresso sufficientemente elevate; questo, a sua volta, significherebbe aumentare la pressione di stoccaggio dell’ossidante e del combustibile nei rispettivi serbatoi, con conseguente penalizzazione in termini di peso.

Le pompe per impiego spaziale, in realtà, sono spesso progettate per funzionare in regime parzialmente cavitante, cercando di trovare il giusto compromesso tra effetti dannosi della cavitazione da un lato ed “alleggerimento” complessivo del veicolo dall’altro.

Nella ricerca di questo compromesso vengono presi principalmente due accorgimenti:

in primo luogo si è soliti pressurizzare i serbatoi dei propellenti in modo tale che il fluido si presenti all’imbocco della pompa con una pressione più elevata; in questo modo risulta più difficile raggiungere la pressione di vapore del fluido e pertanto si riesce a ritardare la cavitazione (solitamente non si superano gli 0.34 MPa per non avere condizioni di carico dei serbatoi troppo gravose e dunque essere costretti a progettare serbatoi più spessi e pesanti);

il secondo accorgimento consiste nello spostare la cavitazione dalla girante ad un altro elemento posto a monte della girante stessa detto induttore (si vedano ad esempio le figure 1.4, 1.5 e 1.6). L’induttore è una pompa assiale che ha lo scopo di innalzare la pressione del fluido prima dell’ingresso del medesimo nella vera e propria girante; in questo modo si evita la cavitazione della pompa centrifuga. Il salto di pressione generato dall’induttore può raggiungere anche il 20% del salto complessivo prodotto dalla pompa.

Nelle figure seguenti si riportano le fotografie di due induttori provati nel laboratorio di ALTA e le cui prestazioni sono state indagate nel lavoro di tesi di R.Testa [9].

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Figura 1.5: induttore FIP da 162 mm (R.Testa, 2003).

Figura 1.6: L’induttore MK1 del motore Vulcain (R.Testa, 2003).

Infine in figura 1.7 sono schematicamente rappresentati due diversi tipi di induttore, progettati appositamente per funzionare in regime cavitante.

Figura 1.7: Geometria di due diversi tipi di induttore assiale (Brennen, 1994).

1.2.1 Tipologie di cavitazione

All’interno di una turbopompa, la cavitazione può avvenire in una varietà di forme diverse, spesso classificate in maniera non univoca dai diversi autori. In questo sottoparagrafo si riporta la classificazione fornita da Brennen [2]. La figura seguente mostra schematicamente alcune delle principali forme di cavitazione che si possono

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presentare nelle cosiddette macchine “unshrouded”, cioè senza quel condotto solidale alle pale che intuba la girante.

Figura 1.8: Tipologie di cavitazione (Brennen, 1994).

Supponendo di abbassare gradualmente la pressione di immissione del fluido di lavoro, la prima forma di cavitazione che si presenta è quella “di estremità di pala” (tip vortex cavitation); essa si innesca in corrispondenza del centro del vortice che si genera all’uscita delle pale, nella zona dove avviene il brusco passaggio tra bordo d’attacco ed estremità della pala stessa. L’entità del fenomeno è messa in evidenza in figura 1.9, nella quale sono facilmente identificabili i “filamenti”, dovuti a cavitazione di estremità, originati dalle pale di due modelli in scala di eliche per uso marino.

Figura 1.9: Esempi di cavitazione di estremità su eliche per uso marino (Brennen, 1995).

Come ulteriore esempio, nella figura 1.10, viene mostrata la solita tipologia di cavitazione riscontrata durante le prove dell’induttore DAPAMITO4.

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Figura 1.10: Esempio di cavitazione di estremità sull’induttore DAPAMITO4.

Abbassando ulteriormente la pressione di ingresso, si arriva ad ottenere la cavitazione “a bolle” (bubble cavitation): i nuclei di cavitazione, già presenti nel flusso a monte, tendono ad accrescere le proprie dimensioni passando attraverso la zona di bassa pressione sul dorso del profilo per poi collassare quando ritornano in regioni a pressione maggiore. La figura 1.11, ad esempio, mostra una diffusa zona di cavitazione bollosa, originata da un singolo profilo idrodinamico.

Figura 1.11: Cavitazione a “bolle” originata da un profilo idrodinamico (Brennen, 1995).

Man mano che la pressione di ingresso scende ancora, le bolle si combinano tra loro, fino a formare estese cavità di vapore attaccate alle pale: si ha così la cavitazione “di paletta” (blade cavitation). La cavitazione di paletta può essere parziale, se la cavità si richiude su un punto più a valle della stessa pala; se, invece, essa si estende fin oltre la palettatura, si parla di “supercavitazione”.

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Figura 1.12: a) Cavitazione parziale su un profilo; b) Supercavitazione (Brennen, 1995).

Alcune pompe hanno le giranti progettate per funzionare in condizioni di supercavitazione: essendo il punto di chiusura della cavità esterno alla pala, infatti, il danneggiamento strutturale che ne consegue risulta essere molto minore.

Un esempio dove viene sfruttato il fenomeno della supercavitazione per migliorare le prestazioni è il siluro russo Shkval (burrasca), entrato in servizio agli inizi degli anni ’90 . Questo siluro viaggia ad una velocità tale da non concedere al nemico alcuna possibilità di manovra. Apparentemente lanciato da tubi lanciasiluri standard di 533 mm, Shkval ha un range di circa 7 km; il siluro lascia il tubo a circa 50 nodi e spinto da un motore a propellente solido raggiunge i 360 chilometri orari, tre o quattro volte la velocità dei siluri ordinari. Tali prestazioni sono rese possibili dalla particolare concezione dell’arma:

l’estremità anteriore del siluro è infatti costituita da un disco piatto la cui geometria permette l’immediata e repentina cavitazione dell’acqua marina. La cavità che si viene a formare è soltanto parziale e Shkval possiede dei fori sulla superficie dai quali viene eiettato del gas estendendo la cavità a tutto il siluro (supercavitazione); in questo modo viene ridotta enormemente la resistenza all’avanzamento diminuendo l’attrito.

Figura 1.13: Rappresentazione del siluro russo Shkval in regime supercavitante.

Per i corpi tozzi la cavitazione di paletta viene rinominata come cavitazione

“attaccata” (attached o fully developed cavitation).

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Figura 1.14: Sfera cavitante di 7.62 cm. A sinistra cavitazione “bollosa”, a destra cavitazione

“pienamente sviluppata” (Brennen, 1995).

Infine, quando la pompa si trova a lavorare con portate al di sotto di quella di progetto, si manifesta un ulteriore tipo di cavitazione detta “di flusso secondario”

(backflow cavitation): in queste condizioni, infatti, si genera un flusso di ritorno (o secondario) il quale può arrivare ad estendersi anche per parecchi diametri a monte dell’imbocco della pompa. La cavitazione di flusso secondario è visibile con facilità, poiché avviene nella regione anulare che precede la sezione di aspirazione; le figure 1.15 ed 1.16 mostrano un tipico caso di backflow cavitation riscontrato sull’induttore MK1 (si veda la figura 1.6) per valori molto bassi della portata e su un modello scalato dell’induttore della turbopompa per l’ossigeno liquido dello SSME.

Figura 1.15: Cavitazione di “backflow” sull’induttore MK1 per portata molto bassa (R.Testa, 2003)

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Figura 1.16: Cavitazione di flusso secondario su un induttore assiale (Brennen, 1994).

La classificazione qui riportata non ricopre sicuramente tutti i casi possibili, ma individua le principali forme di cavitazione che si possono riscontrare nelle pompe assiali

“unshrouded”.

Il verificarsi di un tipo od un altro di cavitazione non dipende soltanto dalla pressione di lavoro, ma anche da una serie di altri fattori, come ad esempio la finitura superficiale delle pale; nel caso di pale con spiccata rugosità superficiale, infatti, l’elevato grado di turbolenza del flusso che ne consegue porta a favorire la cavitazione bollosa mentre ostacola quella di pala in quanto lo strato limite si separa meno facilmente.

1.3 I fenomeni rotodinamici

L’instabilità rotodinamica più critica, tra quelle che si verificano nelle turbopompe, è conosciuta sotto il nome di whirl ed è rappresentata dallo sviluppo di un moto laterale autosostentato della girante. Si tratta, in altri termini, di un moto di precessione dell’asse dell’albero, il quale tende a spostarsi dalla sua posizione nominale seguendo un’orbita più o meno regolare. Se, in particolare, le forze generate dal moto di whirl sono tali da provocare un aumento del raggio di tale orbita, la girante si trova a lavorare in condizioni di equilibrio instabile.

Le cause che generano il whirl possono essere classificate in due gruppi:

I. Forze di origine meccanica, che comprendono lo sbilanciamento delle masse, che può essere statico (se l’asse di rotazione coincide con un asse principale d’inerzia, che però non è baricentrico), nel qual caso il comportamento dell’albero è fortemente influenzato dalla forza centrifuga dovuta alla traiettoria eccentrica seguita dal centro di massa, oppure dinamico (se l’asse di rotazione è

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baricentrico, ma non principale d’inerzia). I problemi dovuti allo sbilanciamento delle masse, comunque, possono essere eliminati con un’efficace equilibratura del rotore (vedi capitolo 7); l’anisotropia delle rigidezze (dovuta, per esempio, alla presenza sull’albero di una cava per l’alloggiamento di una linguetta) e le interferenze tra elementi rotanti ed elementi rotorici.

II. Forze di origine fluidodinamica, dovute ad esempio ad asimmetrie del flusso, perdite o ricircolazione.

Qualunque ne sia la causa, il moto di precessione dell’asse, una volta innescato, è fortemente accoppiato con quello del flusso: il campo fluidodinamico perturbato genera sulla girante ulteriori forze rotodinamiche destabilizzanti, che sostengono il moto eccentrico e diventano ancora più pericolose in presenza di cavitazione. In genere, infatti, la cavitazione ha un effetto destabilizzante sul moto di whirl; essa riduce inoltre le forze rotodinamiche laterali agenti sul rotore, provocando così una diminuzione della massa aggiunta ed un aumento delle velocità critiche. Può perciò succedere che una macchina, progettata come supercritica in condizioni non cavitanti, non lo sia più quando si ha cavitazione, con possibili conseguenze disastrose nel caso in cui la macchina lavori in prossimità di una delle velocità critiche.

Se si indicano con la velocità angolare del moto di precessione del rotore e con la velocità di rotazione della pompa, può essere compiuta la seguente classificazione:

whirl “subsincrono” , “sincrono” , o “supersincrono” . Si parla, inoltre, di whirl “positivo” o “negativo”, a seconda che il verso di sia concorde o discorde a quello di .

Il caso più semplice è quello di whirl sincrono: in questo caso, in genere, la forza eccitatrice è lo sbilanciamento delle masse e l’ampiezza delle oscillazioni può essere tenuta sotto controllo operando lontano dalle velocità critiche, oppure eseguendo un’operazione di bilanciamento. In molte applicazioni, però, sono stati osservati whirl subsincroni: è il caso, ad esempio, delle pompe criogeniche dello SSME, di alcuni tipi di turbine a vapore e di compressori multistadio, e degli impianti di estrazione petrolifera.

Il moto di precessione, in realtà, non è sempre pericoloso: molti alberi, infatti, sono progettati in modo da funzionare correttamente anche quando il loro asse si discosta parzialmente dalla posizione nominale. Se, però, l’eccentricità assume un valore eccessivo, si possono comunque avere effetti negativi (si pensi, ad esempio, al danneggiamento per interferenza tra parti rotanti e statoriche, oppure alla possibile rottura di guarnizioni); nelle pompe per ossigeno liquido, in particolare, c’è un concreto pericolo di esplosione.

A causa della notevole complessità, le forze rotodinamiche non stazionarie, agenti su turbopompe cavitanti e non cavitanti, sono tuttora comprese solo parzialmente e nessuno dei modelli teorici finora sviluppati risulta del tutto soddisfacente.

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Risulta quindi necessario, sia per un corretto dimensionamento delle turbopompe ad elevate prestazioni, sia per la validazione di eventuali modelli teorici o numerici, affidarsi a risultati sperimentali; i più importanti, condotti presso il California Institute of Technology, sono quelli ottenuti da B. Jery, R.J. Franz e A. Bhattacharyya.

1.4 Obiettivi della tesi

Il presente lavoro di tesi è stato svolto presso il laboratorio di cavitazione di ALTA S.p.A. sita in località Ospedaletto (PI), nell’ambito di una commessa dell’Agenzia Spaziale Europea che prevede la caratterizzazione sperimentale di due induttori, disegnati all’interno della stessa azienda, a tre e quattro pale (DAPAMITO3 e DAPAMITO4).

Nell’ambito di questa tesi era prevista la caratterizzazione delle prestazioni dell’induttore DAPAMITO4 sia in regime cavitante che non cavitante, mentre sull’induttore DAPAMITO3 era previsto lo studio delle forze rotodinamiche.

La campagna sperimentale sull’induttore DAPAMITO4 è stata contraddistinta, quindi, dai seguenti obiettivi:

caratterizzazione delle prestazioni in regime non cavitante (ottenimento curva ) per quattro temperature diverse;

caratterizzazione delle prestazioni in regime cavitante (costruzione curva sia con modalità “continua” che “discreta”) per cinque differenti valori del coefficiente di flusso ( );

visualizzazione tramite fotografie e filmati digitali delle varie fasi di sviluppo della cavitazione;

analisi delle instabilità fluidodinamiche nelle stesse condizioni delle prove per la caratterizzazione delle curve di prestazione in regime cavitante, con analisi spettrale dei segnali raccolti dai trasduttori di pressione piezoelettrici.

Gli obiettivi della campagna sperimentale sull’induttore DAPAMITO3, invece, sono stati:

valutazione delle forze rotodinamiche (ottenimento delle curve ) per due eccentricità diverse;

valutazione delle forze rotodinamiche (ottenimento delle curve ) al variare del coefficiente di flusso per due temperature diverse;

valutazione dell’effetto della cavitazione sulle forze rotodinamiche (ottenimento delle curve ) per due temperature diverse.

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1.5 Bibliografia

[1] A.Bhattacharyya, “Internal Flows and Force Matrices in Axial Flow Inducers”, Ph.D.

Thesis, California Institute of Technology, 1994

[2] C.E. Brennen, “Cavitation and Bubble Dynamics”, Oxford University Press, 1995 [3] C.E. Brennen, “Hydrodynamics of Pumps”, Oxford University Press, 1994

[4] A.Cervone, “Progetto Costruttivo Definitivo di un Impianto di Prova in Similitudine di Turbopompe Cavitanti” ”, Tesi di Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università di Pisa, 1999-2000

[5] D.Childs, “Turbomachinery Rotordynamics” John Wiley & Sons, 1993

[6] R.J.Franz, “Experimental Investigation of the Effect of Cavitation on the Rotordynamic Forces on a Whirling Centrifugal Pump Impeller”, Ph.D. Thesis, California Institute of Technology, 1989

[7] B.Jery, “Experimental Study of Unsteady Hydrodynamic Force Matrices on Whirling Centrifugal Pump Impellers”, Ph.D. Thesis, California Institute of Technology, 1987

[8] G.P.Sutton, “Rocket Propulsion Elements”, John Wiley & Sons, 2001

[9] R.Testa, “Studio Sperimentale delle Instabilità Fluidodinamiche di Cavitazione su un Induttore Commerciale e sul MK1 della Turbopompa LOX di Ariane 5”, Tesi di Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università di Pisa, 2002-2003

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