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8. COMMENTI E CONCLUSIONI Dalla collaborazione con i pescatori locali, abbiamo potuto confermare l’ipotesi iniziale (Casale, 2001; Lauriano

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COMMENTI E CONCLUSIONI

Dalla collaborazione con i pescatori locali, abbiamo potuto confermare l’ipotesi iniziale (Casale, 2001; Lauriano et al., 2004; Mussi & Miragliuolo, 2003) di una intensa attività di depredation del Tursiope nelle reti da pesca.

La frequenza con cui si incontrano in mare pescatori e delfini, è elevata (intorno al 40% delle uscite), lasciando supporre che lo siano anche le interazioni; infatti gli avvistamenti avvengono per lo più mentre gli operatori sono al lavoro, quando cioè gli animali sono nella zona di pesca dell’imbarcazione. Frequenze così elevate e il fatto che arrivino proprio nel momento in cui le reti vengono calate o salpate, e meno di frequente quando il peschereccio è in navigazione, può significare che i Tursiopi sono in grado di individuare la presenza di una nave da pesca. L’habitat in cui vivono e l’elevata specializzazione dell’udito dei cetacei, mi portano a ritenere che siano in grado di riconoscere dei rumori, che in acqua si disperdono a grande velocità e distanza, prodotti dai pescherecci stessi. Qualunque rumore a bordo, come quello del salpatremaglio, o dei motori che mantengono fredde le ghiacciaie sui pescherecci di grosse dimensioni, vengono trasmessi e amplificati dalla chiglia della barca stessa, diventando un richiamo irresistibile per i delfini. Anche il rumore prodotto dal sacco delle reti a strascico che arano il fondo può essere un segnale facilmente riconoscibile. Dietro questi pescherecci i delfini possono stazionare per l’intera giornata, alternando momenti di alimentazione ad altri di gioco; in più di una occasione, ho osservato un gruppo di Tursiopi nella scia di un peschereccio a strascico, che effettuava immersioni prolungate (3 – 4 minuti), ma quando la rete era salpata, gli animali venivano a giocare nell’onda di prua della nostra imbarcazione, perdendo del tutto interesse e andandosene quando il sacco veniva nuovamente rimesso in acqua.

Durante l’alimentazione nelle reti, quasi sempre i delfini causano dei danni la cui tipologia e entità dipende da come catturano il pesce e dal materiale che costituisce le reti stesse. La tecnica di alimentazione del Tursiope nelle reti a strascico che è stata descritta da Broadhurst (1998), non comporta la rottura della stessa, ma solo un allargamento delle maglie; tuttavia queste osservazioni sono state fatte in Australia e tale comportamento, può non ritrovarsi nelle popolazioni mediterranee, poiché il comportamento alimentare di questa specie, è assai variabile e dipendente dall’insegnamento delle madri ai figli. Dai dati che ho raccolto io infatti, emerge che i danni ci sono e si registrano quasi sempre quando c’è un avvistamento.

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Nella pesca a circuizione con la lampara, i danni di solito si limitano a piccoli buchi. Qualche volta però, sono più consistenti, e l’imbarcazione non può uscire, anche per giorni, perché devono riparare le reti. Le rotture per lo più limitate, si spiegano col ridotto tempo di permanenza della rete in acqua: essa infatti, viene calata solo quando si è addensato un numero sufficiente di pesce sotto la luce. A questo punto viene chiusa attorno al banco e salpata. È in questa fase che i delfini cercano di sfilare il pesce.

La piccola pesca invece, può subire dei danni davvero ragguardevoli. I tremagli e le reti a imbrocco, vengono di solito posizionati sempre nelle stesse aree e mantenuti tesi e in posizione da pesi sul fondo e galleggianti in superficie. Queste caratteristiche fanno si che siano delle facili prede: l’intelligenza e la memoria del Tursiope, gli consentono infatti di individuare facilmente la zona dove le reti vengono posizionate; in seguito non deve far altro che tornare nello stesso luogo ogni volta che lo desidera o che si trova nei dintorni. Il filo che le costituisce poi, è piuttosto fine, in modo da risultare poco visibile e poter ingannare il pesce che così finisce ammagliato, ma in questo modo risulta anche poco resistente agli strattoni dei delfini, che riescono nell’intento anche grazie alla fissità dell’attrezzo (se non fosse fissato e teso, nel tirare per strappare il pesce, sarebbe seguito dalla rete stessa senza riuscire nell’intento). I palangari invece, difficilmente vengono depredati.

La riduzione del pescato che viene lamentata è dovuta a molteplici fattori, ma spesso è tollerata, se non fosse per i contemporanei danni alla rete. Per la piccola pesca, il problema del prelievo di pesce sembra essere maggiore che per le altre tecniche. Gli operatori lamentano un calo delle catture elevatissimo, fino al 70%. Purtroppo non ho potuto verificare queste cifre, poiché la collaborazione con questi pescatori è difficile e in pochi hanno accettato le schede di avvistamento che comunque poi non sono state compilate.

Anche i marinai imbarcati sui motopescherecci per la lampara non hanno mostrato molta collaborazione, tranne il signor Paolo della “Edda e Cesare” che ha compilato due schede, prima che terminasse la stagione di pesca. I dati sono scarsi, ne sono consapevole, ma indicano che, al contrario di quanto dichiarato nelle interviste, in presenza di Tursiopi c’è un aumento di quasi il 54% nelle catture. La presenza dei predatori, potrebbe spingere il pesce a stringersi ancora di più nel gruppo e quindi sotto la luce, determinando così l’aumento del pescato. Si tratterebbe quindi di chiudere il sacco prima che i delfini si buttino in mezzo al banco per banchettare. Proprio questa è, secondo i pescatori, la principale causa della diminuzione nelle catture di pesce azzurro: il pesce, attirato dalle luci, si riunisce in fitti banchi al di sotto del pelo dell’acqua e i delfini sfruttano questa eccezionale densità di prede buttandosi nel mezzo e

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inducendole alla fuga in profondità dove non possono essere raggiunte né dai pescatori, né dai Tursiopi stessi. In questo modo, i pescatori hanno perso la maggior parte del pescato.

Nel caso dello strascico invece, le risposte dei pescatori sono certamente in contrasto con i dati raccolti: è loro convinzione che i Tursiopi gli facciano pescare in media il 20% in più, aumentando soprattutto le catture di naselli che vengono spinti ad avvicinarsi al fondale per poi finire nelle reti a strascico. In realtà le catture totali subiscono una diminuzione del 20%. In questo caso i dati sono più significativi, riferendosi nel complesso a 274 giorni di pesca.

Anche dalla mia attività a bordo della barca a vela del Centro Ricerca Cetacei, appare evidente che gli avvistamenti nelle aree Elba e Punta Ala sono frequenti, suggerendo la presenza di una numerosa popolazione. Inoltre l’elevato numero di piccoli osservati, anche di poche settimane, fa supporre che l’area sia zona di accoppiamento e nascite. Scopo di questo studio era anche di verificare la sovrapposizione tra gli areali di pesca e quelli di distribuzione del Tursiope, ma tutta l’area di studio è battuta dai pescherecci delle marinerie elbane, di Piombino e di Castiglione della Pescaia, non è così possibile associare direttamente la presenza dei delfini alla pesca. È pur vero che le acque più a ovest dell’Isola d’Elba, all’incirca tra la stessa e l’Isola di Pianosa, comprese nella subarea E3, non sono propriamente comprese negli areali della pesca a strascico, ne in quelli della piccola pesca (anche perché non ci sono porti nelle vicinanze) (vedi Appendice 12: Areali di pesca) e gli avvistamenti effettuati in questa subarea sono quasi tutti al confine con la subarea E2, compresa invece negli areali di pesca (vedi Appendice 13: Areali di pesca e avvistamenti).

Delle 47 uscite in mare effettuate nel periodo 2005 – 2006, 30 hanno comportato anche l’osservazione di Tursiopi. Durante la metà di questi avvistamenti, che si sono svolti tutti a una profondità media di soli 67,75 m (profondità minima registrata nell’area PA1 è di 42 m, la massima è di 108 m nelle aree E3 e E4), nelle vicinanze c’erano reti da posta o pescherecci intenti a strascicare.

I risultati sugli spiaggiamenti, hanno stabilito che il Tursiope è la specie che più spesso interagisce con le attività di pesca e più spesso ne resta vittima. Nel corso dell’ultimo ventennio, in Italia, il 21% degli spiaggiamenti sono attribuibili alle attività di pesca e benché il trend, nel complesso, sia negativo, nel 2005 la percentuale era ancora di 22,35%, la più alta degli ultimi 8 anni. Non riesco però a spiegarmi questi valori, perché in base alle informazioni bibliografiche e alle dichiarazioni che mi hanno fatto i pescatori, un delfino intrappolato in un tremaglio, o trovato nel sacco di una rete a strascico, o all’interno di una rete a circuizione, è

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un evento eccezionale, che di solito riguarda individui molto giovani o malati. Allora come mai nel 2005, con le spadare assenti dalle nostre acque, perché fuorilegge, 19 individui sono spiaggiati a causa della pesca? Più precisamente:

• 3 sono stati uccisi volontariamente;

• 4 sono stati ritrovati ancora avvolti nelle reti (di cui 2 in reti a strascico); • 4 portavano i segni delle reti in cui sono rimasti intrappolati;

• 4 avevano subito delle amputazioni delle pinne; • 4 avevano delle ferite nella regione ventrale.

In Toscana, dove si sono spiaggiati in vent’anni 290 individui, il problema del bycatch sembra inferiore rispetto alla media nazionale; infatti se in Italia spiaggiano per la pesca il 21% dei cetacei, in Toscana la percentuale scende a 12. Però, la percentuale dei Tursiopi è del 21,88%, contro il 13,63% della media nazionale. Inoltre confrontando le cause percentuali di spiaggiamento, la pesca risulta essere la prima causa nota.

La regione è caratterizzata dalla presenza di una numerosa flottiglia di imbarcazioni toscane (circa 670 battelli), ma nei suoi porti si trovano anche pescherecci provenienti da altre regioni. Il traffico nautico non può che essere elevato, così come il numero di reti che qui pescano. In questo scenario, è difficile immaginare che delfini e uomini si incontrino di rado, e infatti i dati in mio possesso hanno dimostrato un’intensa e continuativa interazione. Tutto ciò presumibilmente comporta un elevato rischio soprattutto per il Tursiope. Se infatti si confrontano le percentuali di Stenelle spiaggiate, altra specie delle più colpite, vediamo che in Italia il valore è del 47% sul totale degli spiaggiati per pesca, mentre in Toscana sono solo il 12,5%.

Lo studio ha quindi confermato le frequenti interazioni tra i Tursiopi e la pesca professionale, nell’area dell’arcipelago toscano, evidenziando la presenza di effetti negativi per entrambe le parti. La situazione sembra andare verso un’instabilità abbastanza preoccupante: i piccoli pescatori stanno cioè pensando di risolvere da soli il problema, uccidendo gli individui che vengono avvistati vicino alle reti. Questo settore si sente abbandonato a se stesso, anche perchè deve già affrontare altri problemi, come il costo del gasolio o le giornate di maltempo. L’intento di questo studio è quindi anche quello di proporre alla Regione Toscana e all’amministrazione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano una serie di misure e

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proposte volte a garantire la tutela di pescatori e delfini. In particolare, le misure che andrebbero messe in atto sono:

• lo stanziamento un fondo per poter risarcire i danni materiali provocati dai delfini; dopotutto per altri settori come l’agricoltura, lo Stato ripaga i danni subiti dagli agricoltori a causa delle calamità naturali e, visti i dati, i Tursiopi sono per la pesca una calamità naturale. Il lupo è protetto integralmente in tutta Italia, e alcune leggi regionali prevedono l’indennizzo per i danni al patrimonio zootecnico causati dal lupo (la prima Legge regionale che ha previsto rimborsi è l’Abruzzo nel 1976; la Toscana contribuisce sino al 50% per l’acquisto di cani da pastore, oltre ad indennizzare gli allevatori). Di conseguenza ritengo che lo stesso si possa fare anche per i danni provocati dai Tursiopi, che devono chiaramente essere verificati da personale qualificato. Questa non è certo una soluzione definitiva, deve essere l’inizio di una politica più attenta al problema, che deve continuare con la ricerca di soluzioni che prevengano il problema;

• aumentare gli sforzi di ricerca sulla bioacustica; impedire che questi animali si avvicinino alle reti è difficile, e l’unica strada percorribile sembra essere quella di sfruttare il sofisticato apparato uditivo dei cetacei. Sono così stati progettati degli apparecchi che prendono il nome di pingers: strumenti in grado di emettere segnali acustici, che vengono applicati alle reti da pesca e che dovrebbero tenere lontani i delfini. Numerosi studi sui pingers vengono fatti in tutto il mondo, ma per ora sembra che abbiano sempre una efficacia limitata nel tempo. I ricercatori del Gruppo interdisciplinare di oceanografia dell’Istituto di ricerche sulle risorse marine e l’ambiente del CNR di Mazara del Vallo, hanno sperimentato due tipologie di segnali: suoni che potessero provocare delle reazioni a livello psicologico, come per esempio delle vocalizzazioni di orca, un nemico naturale dei delfini, oppure dei segnali di stress emessi dagli stessi delfini, e suoni che potessero interferire con il loro sonar senza però creare danni fisici. I risultati hanno mostrato che la prima tipologia di richiami, aveva un’efficacia di sole due settimane, perché ben presto i Tursiopi hanno capito che il predatore in realtà non c’era; i secondi si sono invece mostrati efficaci per tre mesi;

• l’individuazione di tecniche (strutturali e operazionali) che riducano le interazioni; se è vero che gli animali hanno imparato ad associare a determinati suoni la presenza di pescherecci e quindi di pesce, bisogna ridurre il più possibile tali richiami: ad esempio si può foderare la ruota e i raggi del salpatremaglio con materiale gommato idoneo (gomma, neoprene, ecc.). La modifica ha lo scopo di impedire che i sugheri e i piombi, producano

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rumorosità picchiando sulla ruota del salpatremaglio in azione. Si può prevedere anche la sostituzione della tradizionale ruota con un’altra di gomma; applicare elementi di assorbimento delle vibrazioni (silent-block) trasmesse dal salpatremaglio e dalle sue strutture, dal verricello per il recupero delle reti a strascico, o dalle tubature che portano olio, allo scafo.

Spesso le pratiche di pesca (uscita dal porto, navigazione verso l’area di pesca, disposizione e salpa degli attrezzi) avvengono in modo sincronizzato tra le diverse imbarcazioni di una stessa marineria. Ciò potrebbe costituire un elemento di richiamo molto più forte in termini anche acustici rispetto alla conduzione singola delle stesse operazioni, andrebbero quindi differenziati le aree e gli orari di pesca per disperdere gli elementi di richiamo prodotti dalla sincronia delle operazioni;

• avvio di programmi di informazione e sensibilizzazione dei pescatori; la categoria è spesso tenuta all’oscuro dei dibattiti e delle ricerche che vengono portate avanti sull’argomento, si sentono così abbandonati e non vedono vie d’uscita. L’organizzazione di incontri che li mettano al corrente della reale entità del problema, avrebbe due vantaggi: da un lato i pescatori si sentirebbero coinvolti nelle ricerche e saprebbero di potersi rivolgere a qualcuno per spiegazioni e aiuti, o anche per segnalare un delfino in difficoltà (i pescatori della “Mare Blu” di Castiglione della Pescaia mi hanno detto di aver ritrovato un animale in difficoltà e non sapendo che fare, avevano chiamato un istituto locale che non ha però preso alcun provvedimento); dall’altro lato avrebbero un’informazione corretta sull’entità del problema, non viziata da coinvolgimenti personali o semplici “sensazioni”, ma sostenuta dai numeri. Potrebbero essere messi a conoscenza dell’esistenza dei sistemi acustici e collaborare per la loro sperimentazione e applicazione su larga scala. Un lavoro sulla pesca, non può escludere i pescatori dal dibattito;

• la possibilità di ampliare le offerte del pescaturismo con l’aggiunta del whale-watching al programma della giornata; alcuni dei pescherecci, sia da posta che a strascico, ospitano talvolta persone che sono interessate a partecipare alle attività di pesca, a trascorrere una giornata in mare e a pranzare con dell’ottimo pesce fresco. Le imbarcazioni che offrono escursioni con avvistamenti di cetacei, sono in netto aumento anche in Italia, attirando un numero crescente di persone. Se i pescherecci offrissero anche questa possibilità, avrebbero un ulteriore fonte di guadagno, e questa attività diventerebbe una fonte di protezione nei confronti dei cetacei mediterranei.

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