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Capitolo 5

LE EVAPORITI E LA CRISI DI SALINITÀ MESSINIANA DEL

MEDITERRANEO

Le più importanti fasi evaporitiche del Mediterraneo si sono avute nel Trias superiore (all’inizio del rifting delle piattaforme carbonatiche) e nel Miocene Superiore o Messiniano. Le condizioni paleogeografiche e strutturali nel Messiniano sono quelle oggi più discusse: le evaporiti, note da tempo in bacini marginali, affioranti o sepolti, dei paesi costieri, tra cui l’Italia sono state individuate sotto i sedimenti pliocenici e quaternari dei rise e delle piane sottomarine, dove lo spessore dei sali è stato stimato fino a 2000 m o più (Ryan, 1973) (fig.).

Figura 1 Distribuzione delle evaporiti messiniane nel Mediterraneo con localizzazione dei siti DSDP-ODP che hanno rilevato la presenza di depositi evaporitici (da Rouchy et al., 2006).

5.1 Le evaporiti: generalità e prime interpretazioni

Le evaporiti sono depositi salini che si formano per precipitazione diretta, da soluzioni concentrate, dette salamoie (brine). In natura la concentrazione necessaria per la precipitazione dei sali è dovuta ad evaporazione e da ciò deriva la denominazione generale di questo gruppo di sedimenti.

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Un gran numero di sali minerali è conosciuto nelle evaporiti, ma soprattutto gesso (CaSO4 ·

2H2O), anidrite (CaSO4) e salgemma (NaCl) sono comuni e geologicamente importanti.

Basandosi sulla loro composizione chimica, i vari minerali evaporitici possono essere suddivisi in cinque gruppi: cloruri, solfati, carbonati, nitrati e borati. Tra i cloruri, oltre al già citato salgemma, sono importanti la silvite (KCl), la carnallite (KCl · MgCl2 · 6H2O) e la

bishovite (MgCl 2 · 6H2O).

Tutti i depositi salini si sono formati per evaporazione di una salamoia. Spesso si trattava di acqua marina situata in una salina naturale, cioè in una regione arida totalmente o quasi isolata. Le evaporiti si formano anche in bacini o depressioni aride, interne ai continenti, in cui fluiscono acque i cui sali provengono dalla dissoluzione delle rocce e dei terreni del bacino imbrifero o da eventuali acque marine fossili, presenti sia in falda che in superficie (laghi salati).

Se si fa evaporare acqua marina in un sistema chiuso, i sali precipitano in ordine inverso alla loro solubilità. Il classico esperimento sull’evaporazione dell’acqua marina fu condotto da Usiglio nel 1849; egli trovò che i sali precipitano nel seguente ordine: 1) carbonato di calcio (CaCO3); 2) solfato di calcio; 3) cloruro di sodio; 4) solfato di magnesio (MgSO4) e cloruro di

magnesio (MgCl2); 5) bromuro di sodio (NaBr); 6) cloruro potassico (KCl).

Sebbene la sequenza sperimentale sia abbastanza simile alle successioni evaporitiche osservate in natura, molte eccezioni e discrepanze sono conosciute. Nelle successioni stratigrafiche vi è soprattutto un eccesso di carbonati e solfati e un deficit di sali solubili. La cristallizzazione di una soluzione concentrata è un fenomeno molto complesso che dipende dalla solubilità dei sali, dalla loro concentrazione, dalla temperatura e dal tempo in cui avviene l’evaporazione. E’ inoltre importante far notare che la completa evaporazione di una colonna d’acqua marina alta 300 m porterebbe alla deposizione di 4,5 m di sali, di cui 12 cm sarebbero solfato di calcio, 348 cm salgemma e 90 cm sali solubili di K e Mg. Per formare quindi uno strato di gesso o anidrite con 3 m di spessore, cosa piuttosto comune in natura, occorrerebbe far evaporare una colonna di acqua marina alta 7,5 Km. Ovviamente non si può pensare a bacini di tale profondità; il processo evaporitico non va quindi visto in un quadro naturale statico, bensì in condizioni dinamiche di sistema aperto e non chiuso, in cui si realizzi un equilibrio dinamico tra evaporazione e apporti idrici e salini, che consenta una precipitazione prolungata. Devono quindi essere assicurate condizioni per cui l’acqua perduta per evaporazione sia sostituita da altra che a sua volta evapori in modo tale che la quantità di sali aumenti in un volume ridotto fino a raggiungere le concentrazioni richieste per la precipitazione.

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I natura le evaporiti si distinguono in evaporiti singenetiche/deposizionali, evaporiti di diagenesi precoce, di diagenesi tardiva ed evaporiti clastiche.

Evaporiti singenetiche-deposizionali. Si formano per nucleazione di sali all'interfaccia acqua-aria e successiva decantazione sul fondo del bacino. Sono subacquee, stratificate, con grande estensione laterale e spessore regolare. Sono costituite principalmente da salgemma e gesso cristallino fine laminato. Le evaporiti singenetiche si formano per evaporazione diretta di acqua salata in bacini semichiusi, collegati al mare aperto da uno stretto (ad esempio lagune), o in bacini completamente isolati (bacini o laghi perenni, specchi d’acqua effimeri). In entrambi i casi si tratta di bacini poco profondi, cioè in presenza di una sottile lama d'acqua. In Figura ? è riportato un modello teorico di distribuzione delle facies evaporitiche in un bacino totalmente chiuso e in un bacino con limitata comunicazione con l'esterno

Figura : A sinistra,zonazione salina di tipo bull’s eye, tipica di bacini isolati; a destra, zonazione salina di tipo tear drop, tipica di bacini parzialmente ristretti soggetti a periodiche comunicazioni con il mare aperto (in figura l’halite è il salgemma). (da Ricci Lucchi,modificato).

Evaporiti di diagenesi precoce. Si formano sotto l'interfaccia deposizionale per evaporazione delle soluzioni interstiziali in ambiente arido. Sono costituite principalmente da gesso (in condizioni più umide da sub a sopratidali) e anidrite (in condizioni più secche, generalmente con crescita di noduli che spingono lateralmente il sedimento ospite). Il salgemma è raro, solo in croste. Queste evaporiti, spesso associate a dolomie, sono tipiche di ambienti di sabkha. Le evaporiti di diagenesi precoce precipitano all'interno di un sedimento ospite, e la loro crescita può preservare o obliterare le strutture precedenti. Si presentano stratificate o

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massicce, subaeree o subacquee. Queste si formano per esempio in piane sopratidali in clima arido (sabkha), come ad esempio lungo la costa sud-occidentale del Golfo Persico. In una

sabkha, la precipitazione può avvenire su vasta scala, entro il sedimento preesistente,

sopratutto nella frangia capillare che sta sopra la tavola d'acqua. Le evaporiti diagenetiche precoci si formano anche in aree desertiche, montane, in depressioni temporaneamente riempite da acque ipersaline.

Evaporiti di diagenesi tardiva. Le evaporiti di diagenesi tardiva sono molto posteriori alla litificazione del sedimento ospitante e sono spesso associate a stress tettonico.

Possono formarsi per variazioni delle condizioni chimico-fisiche all'interno di un sedimento antico sepolto in zone sottoposte a regime di stress tettonico (faglie, pieghe). Soluzioni interstiziali impregnanti il sedimento possono dare origine a corpi evaporitici localizzati e discordanti. Le evaporiti di diagenesi tardiva sono corpi deformati che non indicano, quindi, direttamente l'ambiente primario di formazione. Un aspetto spettacolare delle evaporiti diagenetiche tardive è

la formazione di diapiri, legati alla risalita di salgemma che, in virtù della sua bassa densità, intrude le rocce incassanti fino a volte sfondare la copertura sedimentaria e giungere alla superficie.

Evaporiti clastiche (gessareniti). Si originano per frammentazione e rideposizione di precedenti depositi evaporitici.

5.3 Le evaporiti messiniane e la Crisi di Salinità del Mediterraneo

La crisi di salinità messiniana del Mediterraneo (MSC: Messinian Salinity Crisis) viene attualmente considerata come uno dei più vasti e drammatici cambiamenti paleoambientali degli ultimi 20 milioni di anni.

Le ricerche scientifiche relative alla Crisi di Salinità messiniana ebbero inizio nel 1970 durante le perforazioni del Deep Sea Drilling Project (DSDP Leg 13, Hsü et al., 1973; Ryan et

al., 1973), perforazioni che rivelarono l’esistenza di un enorme corpo evaporitico nei fondali

del bacino Mediterraneo.

Il piano Messiniano rappresenta un periodo di tempo molto breve nella scala geologica (meno di due milioni di anni) nella parte terminale del Miocene, durante il quale la regione Mediterranea fu soggetta a cambiamenti paleogeografici drastici. Rimasto isolato dall'Atlantico, il Mediterraneo secondo alcune teorie si disseccò quasi completamente. Il volume di evaporiti deposte sul suo fondo e successivamente seppellite da centinaia di metri

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di sedimenti pelagici ed emipelagici deposti negli ultimi cinque milioni di anni, è di circa 1 milione di km3.

La nascita vera e propria del Mediterraneo può essere inquadrata cronologicamente circa 18 milioni di anni fa, nell’Oligocene inferiore. L’orogenesi alpina infatti ebbe come conseguenza una prima separazione del bacino Mediterraneo dalla Paratetide, che avvenne nell’Oligocene basale appunto, sebbene la connessione tra i due bacini si ripristinò nell’Oligocene medio per mantenersi fino al Burdigaliano inferiore (Rögl, 1998). La chiusura più o meno completa dei collegamenti avvenne nel Burdigaliano terminale, ed è testimoniata da evidenze paleontologiche con i primi passaggi di faune a vertebrati (Hsü et al., 1973). Durante il Miocene Superiore, il perdurare di movimenti tettonici convergenti tra la placca Africana e quella europea condusse alla progressiva chiusura dei corridoi marini Betico, nella Spagna meridionale, e Rifano, nel Marocco settentrionale (Rosenbaum et al., 2002), e provocò l’inizio dell’isolamento del Mediterraneo, e quindi l’inizio della Crisi di Salinità. Krijgsmann

et al. (1999, 2001) hanno datato l’inizio di tale evento a 5.96 ± 0.2 Ma.

5.4 Modelli della Crisi di Salinità

I primi importanti studi relativi alla deposizione evaporitica si devono ad Ochsenius che nel 1877 propose la “teoria della barra o della soglia”, basata sull’esempio attuale del Golfo di Karabogaz-Gol (Mar Caspio). La particolare configurazione del bacino favorisce l’entrata delle acque dal mare aperto, ma la soglia superficiale impedisce l’uscita delle acque più salate e dense che vengono continuamente riciclate all’interno del bacino fino al raggiungimento della saturazione e precipitazione dei minerali evaporitici (Ricci Lucchi, 1980).

Nel 1900 Walther, in contrapposizione al modello della soglia aperta di Ochsenius, propose il modello desertico o del lago di Playa nel quale il bacino subisce un disseccamento completo in un contesto di totale isolamento dal mare aperto.

Inizialmente, le contrastanti interpretazioni delle facies, dei fossili, della stratigrafia e della tettonica del bacino Mediterraneo relativamente alla Crisi di Salinità, si focalizzarono sulla contrapposizione tra i sostenitori del modello della soglia chiusa (Drooger, 1973; Hsü et al., 1973, 1978), in un contesto di disseccamento completo, e quelli del modello della soglia aperta (Schmalz, 1970; Selli, 1973), nell’ambito di un sistema a circolazione anti-estuarina accompagnato da precipitazione in mare profondo. Successivamente i sostenitori del disseccamento completo si divisero in due gruppi: quello in favore di una topografia messiniana del Mediterraneo simile all’attuale (Hsü et al., 1973) e quello che sostiene che i bacini profondi del Mediterraneo si sarebbero formati dopo il Messiniano per rapida subsidenza (Nesteroff, 1973).

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I principali modelli proposti per spiegare l’origine delle evaporiti mediterranee messiniane sono i seguenti:

• Modello “bacino profondo-acque profonde” (Selli, 1973): durante l’intera Crisi di Salinità il Mediterraneo e l’Atlantico rimasero in continuità di comunicazione attraverso i corridoi Betico e Rifano. Questa condizione permise di mantenere il livello delle acque mediterranee del tutto simile a quelle oceaniche. La bassa profondità delle soglie dei corridoi favorì l’entrata delle acque atlantiche ma impedì l’uscita di quelle mediterranee che subirono progressivamente un aumento di salinità. Tale fase produsse una iniziale anossia sul fondo dei bacini più profondi (ambienti euxinici) e una successiva sedimentazione evaporitica (alite e sali potassici), mentre nelle aree periferiche le ripetute variazioni del livello marino, associate a maggiore evaporazione, indussero l’accumulo di gessi. Il modello si associa ad una zonazione salina di tipo tear drop (Schmalz, 1970), nella quale i sali più solubili (alite e sali potassici) tendono a concentrarsi nelle aree all’estremo opposto rispetto alla soglia, mentre quelli meno solubili (calcari e gessi) nelle aree prossime ai corridoi di comunicazione con il mare aperto.

• Modello “bacino profondo-acque superficiali” (o “bacino profondo disseccato”) (Hsü et al., 1973, 1978): prevede un’evoluzione in due stadi della crisi di salinità. Nella prima fase, le periodiche comunicazioni tra Atlantico e Mediterraneo consentirono la “sopravvivenza” delle brine nelle porzioni più profonde dei bacini con conseguente deposizione di alite e sali potassici. Nella seconda fase, la completa chiusura delle comunicazioni indusse una rapida e importante diminuzione del livello marino con esposizione subaerea delle aree periferiche e inevitabile erosione, documentata peraltro dalla presenza di profonde incisioni (canyon) fluviali, attualmente sommerse, in prossimità dei maggiori fiumi dell’area mediterranea quali Nilo, Rodano ed Ebro (Barber, 1981; Clauzon, 1982). Un importante e tipico carattere riconosciuto nei sedimenti evaporitici di bacino profondo è la ciclicità deposizionale. Ogni ciclo rappresenta una fase di inondazione e successiva evaporazione. Queste periodiche comunicazioni tra il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico (8-11 fasi di inondazione ed evaporazione) rappresenterebbero, secondo tale modello, l’unico meccanismo in grado di fornire la quantità sufficiente di sali necessari per l’accumulo dei notevoli volumi dei depositi evaporitici. Il modello di disseccamento progressivo si associa con una zonazione salina di tipo bull’s eye (fig), ovvero con i sali più solubili al centro del bacino e quelli meno solubili ai margini dello stesso (fig).

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• Modello “bacino poco profondo-acque superficiali” (Nesteroff, 1971, 1973): viene data particolare importanza alla tettonica verticale connessa con il fenomeno della oceanizzazione che interessò il Mediterraneo durante il Plio-Quaternario. A seguito della oceanizzazione si instaurò una iniziale fase di lenta e regolare subsidenza all’interno dei bacini fino alla fine del Messiniano. In seguito, una seconda fase più rapida ed intensa fece sprofondare i bacini fino alle attuali profondità (fig).

Fig… I modelli di evoluzione del Mediterraneo nel Messiniano (da Ricci Lucchi (1980), modificato)

Secondo il cosiddetto modello del “disseccamento di bacino profondo”, che è stato ed è tutt’oggi quello maggiormente seguito dalla comunità scientifica per spiegare la deposizione evaporitica, anche e soprattutto in seguito al DSDP Leg 42 (Hsü et al., 1978), il Mediterraneo durante la crisi di salinità doveva essere simile ad un bacino chiuso, contornato da catene collisionali, in ambiente arido, soggetto a forte evaporazione, ove avveniva la deposizione di sali per evaporazione di acqua marina. Il riscontro sedimentario indicativo di condizioni di mare basso durante la deposizione delle evaporiti appare ovvio; infatti le facies stromatolitiche e nodulari delle anidriti perforate al fondo del bacino Balearico e di quello Tirrenico non lasciano dubbi sulla natura tidale della sedimentazione evaporitica ( Adams et

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al., 1977; Hsü et al., 1978). D'altra parte gli argomenti geofisico e paleontologico indicano

condizioni di mare profondo per le unità litologiche precedenti (sottostanti) la deposizione delle evaporiti (Hsü et al., 1973). L'argomento geofisico è indiretto, ma molto forte: esso si basa sulla geometria dei corpi evaporitici, che mostrano grandi spessori sotto i piani abissali, si assottigliano verso i margini dei bacini e si chiudono lateralmente alla base dei margini continentali. Nei casi in cui le scarpate sono morfologicamente ben definite, come per esempio nella Scarpata di Malta, la chiusura delle evaporiti è chiaramente espressa nei profili sismici a riflessione.

Ciò suggerisce che i bacini esistevano come tali quando si deponevano le evaporiti. In altre parole, la morfologia dei bacini precedeva la crisi di salinità, e ne era indipendente (Hsü et al., 1973, 1978)). L'argomento paleontologico, a differenza di quello geofisico, è induttivo. Esso si fonda sul fatto che i sedimenti pliocenici più antichi, riferiti alla zona di acme a

Sphaeroidinellopsis presentano diversi caratteri che sono esclusivi di depositi profondi, di

mare aperto. Essi sono essenzialmente biogenici, e sono costituiti da resti di organismi planctonici a guscio calcareo (foraminiferi, coccolitoforidi). Il rapporto plancton/benthos è molto alto, e le poche forme batiali hanno un habitat decisamente profondo, dell'ordine del migliaio di metri o più. Le associazioni a foraminiferi e a nannoplancton presenti nei depositi evaporitici rinvenuti nei carotaggi indicano invece un ambiente di sedimentazione tipico di acque salmastre (Hsü et al., 1973, 1978). I depositi messiniani post evaporitici sono rappresentati da sedimenti di acque poco profonde caratterizzati da faune dulcicole – salmastre, ad affinità paratetidea; tali depositi rappresentano la cosiddetta fase di “Lago-Mare”.

5.5 Le tematiche controverse della Crisi di Salinità

Intorno alla metà degli anni ’90 studi magnetostratigrafici accurati effettuati sia nel bacino del Mediterraneo che al di fuori dello stesso hanno messo in luce nuovi scenari relativi ai punti chiave della Crisi di Salinità (Butler et al., 1995; Clauzon et al., 1997; Riding et al., 1998; Krijgsman et al., 1999). Fino ad allora i temi dibattuti erano in particolar modo legati alla profondità del bacino e della deposizione evaporitica; tali studi si sono diretti verso la cronologia degli eventi più importanti e gli ambienti deposizionali delle evaporiti, sia di quelle deposte nei bacini marginali che di quelle deposte nei bacini più profondi del Mediterraneo, proponendo nuovi ed ulteriori modelli. Butler et al. (1995), Clauzon et al. (1997), e Riding et al. (1998), assumono nelle loro teorie un completo diacronismo tra la deposizione delle evaporiti nei bacini profondi e quelle dei bacini marginali del Mediterraneo. Tale diacronismo è massimo per Clauzon et al. (1997), secondo i quali il disseccamento

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avvenne prima nei bacini marginali poco profondi (evaporiti marginali), per poi raggiungere i bacini profondi (evaporiti di bacino profondo quasi disseccato). Per Butler et al. (1995), il diacronismo interessò soltanto le Evaporiti Inferiori, mentre Riding et al. (1998), assumono che le evaporiti presero posto innanzitutto nei bacini profondi antecedentemente ad un

reflooding marino, durante il quale precipitarono evaporiti anche nei bacini marginali (fig,)

.

Figura xx: (A) Modello di Clauzon et al. (1996) del diacronismo tra la deposizione delle evaporiti nei bacini profondi e quelle dei bacini

marginali; (B) modello di Hsü et al. (1973), Kijgsman et al. (1999), Rouchy & Saint Martin (1992), Rouchy & Caruso (2006), che considera la deposizione delle Evaporiti Inferiori un evento sincrono a scala mediterranea.

Le difficoltà di definire in maniera univoca i punti essenziali della crisi di salinità risultano ad ogni modo espresse anche nei lavori più recenti.

Il modello di “disseccamento profondo” proposto da Hsü et al. (1973) è ancora oggi peraltro fortemente messo in discussione. In Saint-Martin et al. (2000) e Goubert et al. (2001) l’analisi delle associazioni faunistiche dei livelli sabbiosi intercalati tra i banchi di gesso messiniano della sezione di Los Yesos (bacino di Sorbas), indicherebbe la presenza di un ambiente francamente marino, di piattaforma relativamente profonda compreso tra l’infra-circalitorale, durante l’intero svolgimento della Crisi di Salinità. Dai dati ricavati in questo studio si evince che, di tutte le specie riscontrate nella sezione in esame, solo il 5% di queste è scomparsa durante i cambiamenti avvenuti nel Messiniano Superiore. La MSC corrisponde a marcati cambiamenti ambientali, ma la continuità dei popolamenti bentonici osservati non sembra compatibile con l’ipotesi del disseccamento completo del Mediterraneo. Roveri et al. (2001,

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2003), mostrano come le evaporiti intercalate nelle argille euxiniche delle maggiori avanfosse appenniniche (bacino della Vena del Gesso e aree circostanti), potrebbero costituire il prodotto di fasi di uplift e collasso (“cannibalizzazione” sensu Vai & Ricci Lucchi, 1978) di gessi primari successivamente traslati e risedimentati attraverso flussi gravitativi subacquei a profondità maggiori rispetto all’originario ambiente deposizionale. La storia sedimentaria del bacino della Vena del Gesso, intimamente legata a processi tettonici, potrebbe rappresentare una situazione comune alla maggior parte dei bacini mediterranei (Tirreno, Sicilia, Baleari), tipicamente caratterizzati da collassi post-deposizionali di evaporiti primarie. In conclusione, i dati indicano che la sovrapposizione di gessi (interpretati come tipici depositi di acque poco profonde) e argille euxiniche (sedimenti tipici di ambienti bacinali), non comporterebbe necessariamente catastrofiche e ripetute riduzioni del livello marino. Gli autori rigettano quindi il modello di Hsü et al. (1973) in favore di un Mediterraneo relativamente profondo per gran parte della durata della MSC.

Stratigraficamente le evaporiti messiniane sono suddivise in Evaporiti inferiori ed Evaporiti superiori, costituite da Dolomite, Gesso e Anidrite. I due corpi sono separati da una estesa superficie d’erosione, la cosiddetta Superficie Erosionale Messsiniana (MES: Messinian

Erosional Surface), rilevata dai dati sismostratigrafici sui bacini più profondi del

Mediterraneo, e avente una buona corrispondenza con le successioni affioranti della Sicilia centrale (bacino di Caltanissetta). Tale suddivisione delle evaporiti ha permesso di suggerire l’esistenza di due fasi temporali distinte che hanno caratterizzato l’evoluzione della Crisi di Salinità messiniana (Decima & Wezel, 1971). La calibrazione astronomica degli eventi bio e magnetostratigrafici del Messiniano inferiore effettuata da Krijgsman et al. (1999) ha permesso di datare a 5.96 Ma la deposizione delle Evaporiti inferiori come un evento sincrono a scala mediterranea; tale interpretazione è comunque basata su studi ciclostratigrafici effettuati su bacini mediterranei marginali, quali il bacino di Sorbas (Spagna), il bacino di Gavdos (Grecia) e quello di Caltanissetta (Italia). La cronologia del modello di Krijgsman et

al. (1999) è in accordo con quella dei modelli precedenti (Hsü et al., 1973; Cita et al., 1978;

Montadert et al., 1978; Rouchy, 1982; Benson & Rakic-el Bied, 1991; Rouchy & Saint Martin, 1992), ma differisce riguardo le condizioni deposizionali delle evaporiti inferiori, che si sarebbero formate in condizioni marine profonde seguite da un breve disseccamento antecedente alle evaporiti superiori, ritenute appartenenti all’evento di Lago–Mare.

In un recente e dettagliato studio di Manzi et al. (2007) sulla sezione di Fanantello dell’avanfossa Appenninica, è stata documentata per la prima volta la presenza di uno spesso livello (ca. 60 metri) di argille euxiniche laminate giacente al di sotto delle Evaporiti Inferiori. Le analisi paleontologiche, palinologiche e le ulteriori investigazioni sul contenuto di materia

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organica tramite spettroscopia di Gamma Ray effettuate per tale livello argilloso indicano un costante aumento della salinità delle acque, accompagnato dalla scomparsa di numerosi taxa e dalla presenza esclusiva di specie di acque iperaline. Tali analisi permettono di correlare tale livello con i Gessi Inferiori del Messiniano, suggerendo un ulteriore scenario paleombientale dove la deposizione delle Evaporiti Inferiori avvenne all’interno dei bacini marginali del Mediterraneo, contemporaneamente alla deposizione di argille euxiniche nei bacini più profondi. (fig.xx)

Un ulteriore punto sul quale esistono tutt’oggi numerose controversie riguarda le cause che hanno consentito lo sviluppo della Crisi di Salinità. Diversi sono i meccanismi che sono stati proposti: (1) abbassamento globale del livello marino a seguito di modificazioni glacio-eustatiche (Hsü et al., 1973, 1978; Hodell et al., 1986; Cita & Corselli, 1993; Robertson, 1998); (2) modificazioni legate ad eventi tettonici di uplift (Krijgsman et al., 1999; Martin et al., 1999; Blanc, 2000; Duggen et al., 2003) e (3) accorciamenti orizzontali associati a movimenti di falde crostali (Weijermars, 1988). Secondo Rouchy e Saint Martin (1992), la limitazione nelle comunicazioni tra Atlantico e Mediterraneo non può trovare risposta in una singola causa, quale il solo fattore tettonico o eustatico. Il fattore tettonico può spiegare la progressiva limitazione e restrizione del bacino, ma la tipica ciclicità che caratterizza le

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sequenze evaporitiche si colloca meglio in un contesto di oscillazioni eustatiche. L’inizio della crisi deve essere, perciò, considerato come il risultato dell’azione congiunta di fattori eustatici, climatici e tettonici.

Molti decenni dopo la prima campagna oceanografica e la scoperta delle evaporiti mediterranee esistono ancora alcuni punti chiave del grande “problema messiniano” sui quali si sta ancora indagando, o sui quali è ancora acceso il dibattito.

Qual è la durata della MSC e quali sono i suoi limiti cronologici? Quali erano le vie d’acqua che mettevano in comunicazione l’Atlantico e il Mediterraneo all’inizio della crisi di salinità e come si interruppero? Quale processo causò la fine della crisi di salinità? Quanto rapida è stata la trasgressione pliocenica? Come hanno reagito gli oceani alla sottrazione di un milione di Km3

di sale, pari al 6 % della salinità totale (sottratto alla circolazione globale, perché deposto al fondo del Mediterraneo)? Si è modificato il clima in conseguenza dell’evento Messiniano?

Tutte queste domande attendono ancora risposte sicure ed esaustive, data la notevole complessità dell’ affascinante e controverso tema della Crisi di Salinità.

5.6 L’evento di Lago Mare

Il termine “Lago-Mare” venne utilizzato per la prima volta da Ruggieri (1967) per descrivere lo scenario paleoambientale del Mediterraneo occidentale messiniano, che dopo la chiusura del collegamento con l’Atlantico fu “ trasformato in una serie di lagune, essiccate oppure gradualmente desalinificate, analogamente all’attuale Mar Caspio”. Infatti, nei depositi di molte zone del Mediterraneo occidentale furono rinvenuti molluschi di facies oligoalina appartenenti al genere Melanopsis. Con la teoria della Crisi di Salinità del Mediterraneo (Hsü

et al., 1973, 1978) fu proposto il termine di “Lago-Mare” per indicare “ il paleoambiente

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Figura xx: I principali affioramenti di “Lago-Mare” nel Mediterraneo (da, Gliozzi et al. (1999) modificato)

I bacini sedimentari della regione Mediterranea, all’interno dei quali si riconoscono le successioni messiniane tipiche dell’evento “Lago-Mare” (fig.xx), si svilupparono in differenti contesti geodinamici connessi con l’evoluzione dei settori di catena (bacini di avanpaese, avanfossa e di thrust-top) e dei settori di retro-arco (Cipollari et al., 1999). A causa della migrazione verso est del sistema appenninico, gran parte dell’Italia centrale subì una rapida subsidenza nei settori di catena e nel bacino tirrenico. E’ proprio durante queste importanti fasi tettoniche che in gran parte delle regioni mediterranee si impostò la “Lago-Mare”.

Recentemente, si è dibattuto sul significato stesso del termine “Lago-Mare”; esso è stato considerato quella fase della storia sedimentaria mediterranea compresa tra il top della deposizione evaporitica e il ripristino delle condizioni marine alla base del pliocene, con talvolta inclusi quei livelli delle Evaporiti Superiori caratterizzati dalla presenza di una fauna dulcicola o salmastra di affinità paratetidea.

Secondo Krijgsman et al. (1999) l’intero corpo delle Evaporiti Superiori è incluso all’interno della sedimentazione della facies “Lago-Mare”, ma Clauzon et al. (2005) ridefiniscono il termine di “Lago-Mare” come l’insieme degli intervalli deposizionali che contengono una fauna (molluschi e/o ostracodi) e/o una flora (dinoflagellati) originaria della Paratetide, suggerendo anche l’esistenza di tre eventi “Lago-Mare”. Le differenze sul significato del termine riflettono anche un diverso significato deposizionale attribuito all’evento “Lago-Mare”. Numerosi autori (Hsü et al., 1978; Aahron et al., 1993; Krijgsman et al., 1999) ritengono che l’evento “Lago-Mare” rappresenti essenzialmente una fase di diluizione delle acque, estendibile a tutto il bacino Mediterraneo; è noto infatti che la fase “lago-mare” venne registrata in molti bacini marginali collocati in Spagna, nord Africa, Italia (es: Bossio et al., 1993; Cipollari et al., 1999; Gliozzi, 1999), in Grecia, a Cipro, così come in settori profondi

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del bacino balearico, tirrenico, di Creta e del Levantino (es: Blanc-Valleron et al., 1998; Iaccarino, 1999; Iaccarino & Bossio, 1999). Al contrario, alcuni Autori ritengono che la facies “Lago-Mare” rifletta soltanto un’influenza a livello locale di apporti di acqua dolce, limitati cioè a zone tendenzialmente marginali dell’intero bacino Mediterraneo, nel quale peraltro secondo gli stessi Autori si erano già ripristinate condizioni marine (Riding et al, 1998). Il record sedimentario relativo alla biofacies “Lago-Mare” è costituito da una notevole varietà di litologie tra cui marne, carbonati, sabbie, conglomerati, paleosuoli, brecce (Rouchy et al., 2001) e dal punto di vista paleontologico, generalmente, tale biofacies è caratterizzata dalla presenza di una fauna dulcicola-salmastra di affinità paratetidea, indicativa di acque poco profonde con fondali prossimi all’esposizione subaerea. Nella microfauna tipica si riscontrano sostanzialmente ostracodi appartenenti ai generi Amnicythere, Cyprideis, Loxocauda,

Loxocorniculina, Loxoconcha, Leptocythere e Zalaniella; tra i foraminiferi sono presenti i

generi Elphidium, Cribrononion, Ammonia e Quinqueloculina. La fauna a molluschi è rappresentata in genere da Melanopsis, Melanoides e Theodoxus per quanto riguarda i gasteropodi, e da Dreissena e vari Cardidae per i bivalvi.

La biofacies “Lago-Mare”, in ragione della sua totale differenza dalle facies sottostanti (pre-gessi e (pre-gessi) e sovrastanti (marne marine plioceniche) e della peculiare associazione ad ostracodi a generale affinità paratetidea, è, in genere, facilmente riconoscibile.

Già nel 1972 Sissingh istituì la Zona a Loxoconcha (Loxocorniculina) djafarovi, corrispondente al Messiniano superiore e caratterizzata da ostracodi marini infralitorali. Questa Zona venne correlata con la Zona a Cyprideis pannonica agrigentina (Sissingh, 1976), una coeva zona ad ostracodi di ambiente salmastro. Nel 1978 Carbonnel ridefinì la Zona a

Loxoconcha djafarovi (Sissingh, 1972), collocandola tra la parte alta del Messiniano superiore

e la Zona a Sphaeroidinellopsis seminulina del Pliocene inferiore. Infine, nel 1982 Sissingh istituì la provincia messiniana a Cyprideis-Loxocorniculina caratterizzata dalla comune presenza di Cyprideis agrigentina (Decima), Loxoconcha (Loxocorniculina) djafarovi

(Schneider) e da altri immigrati paratetidei.

La comparsa di faune dulcicole-salmastre ad affinità paratetidea ha condotto ad ipotizzare la cattura del drenaggio delle acque della Paratetide, che avrebbero inondato il Mediterraneo, precedentemente disseccato (Hsü et al., 1973, 1978), attraverso il Mar di Marmara o il Bosforo. Bonaduce & Sgarella (1999) hanno riscontrato in successioni della Sicilia meridionale (Evaporiti superiori e formazione di Arenazzolo) il passaggio da una fauna tipica di ambiente iperalino, rinvenuta nei livelli superiori delle Evaporiti Superiori, in particolare tra il sesto e il settimo livello gessoso, ad una fauna salmastra di affinità paratetidea, caratterizzata dalla presenza della biozona a Loxoconcha djaffarovi (Carbonnel, 1978). Ciò

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potrebbe confermare le teorie, già precedentemente esposte da Hsü et al. (1978), secondo le quali, durante il tardo Messiniano, le popolazioni faunistiche salmastre della Paratetide orientale entrarono nel Mediterraneo occidentale (Bonaduce & Sgarella, 1999; Gliozzi, 1999). Tuttavia, una recente dettagliata analisi sulle associazioni microfaunistiche appartenenti alla biofacies “Lago-mare” nell’Appennino settentrionale (Bassetti et al., 2003) ha mostrato che soltanto un limitato numero di specie fu comune al Mediterraneo e alla Paratetide; ciò fa supporre che l’affinità possa esser stata dovuta allo sviluppo delle medesime condizioni paleoambientali (“Lago-Mare”, appunto) per le stesse specie, piuttosto che ad una rapida cattura delle acque della Paratetide nel Mediterraneo.

Principalmente, esistono due ipotesi riguardanti le modalità di passaggio dalle condizioni iperaline della fase evaporitica a quelle ipoaline della fase “Lago-Mare”:

• ipotesi del disseccamento: il passaggio alla fase “Lago-Mare” è considerato come conseguenza della riorganizzazione del sistema idrologico del bacino Mediterraneo, posteriormente agli eventi evaporitici e in assenza di rilevanti cambiamenti climatici. In tale contesto le acque ipoaline della Paratetide, convogliate verso il Mediterraneo in seguito a cattura del drenaggio, avrebbero riversato una notevole quantità di acque dolci all’interno del bacino favorendo così il passaggio di faune appartenenti alla Paratetide (Hsü et al., 1978);

• ipotesi climatica: l’evento di diluizione potrebbe rappresentare il risultato di un aumento negli apporti fluviali e nelle precipitazioni, in un contesto di generale mutamento del clima verso condizioni climatiche più umide (McCulloch & De Dekker, 1989; Blanc-Valleron et al., 1998; Gliozzi, 1999; Krijgsman et al., 1999; Rouchy et al., 2001). Ciò è evidenziato da processi di erosione/dissoluzione e da maggiori input clastici, legati a riattivazione di antichi sistemi fluviali, che sono stati riconosciuti in numerose sequenze di “Lago-Mare” (Rouchy & Saint-Martin, 1992). La barriera ecologica che fino a quel momento aveva separato il Mediterraneo (ambiente marino), dalla Paratetide (ambiente salmastro), durante il Messiniano superiore scomparve permettendo il passaggio verso ovest delle associazioni salmastre tipiche della Paratetide (Cipollari et al., 1999)

Krijgsman et al., (1999, 2001), basandosi sulla periodicità media dei cicli di precessione e delle curve dell’attività solare, hanno effettuato una calibrazione ciclostratigrafica dei cicli evaporitici e post-evaporitici, mettendo in luce l’esistenza di uno hiatus temporale tra 5.59 e 5.52 milioni di anni, meglio definito come Messinian gap. Tali studi hanno inoltre suggerito un periodo di circa 210.000 anni per l’evento deposizionale post-evaporitico, inquadrabile tra la fine del Messinian gap e il Terminal Messinian Flood al limite Mio-Pliocene, posizionati

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rispettivamente a 5.52 Ma e 5.33 Ma. L’esistenza di un “Messinian gap” suggerisce che l’inizio della sedimentazione dell’evento “Lago-Mare” è avvenuto non prima di 5.52 Ma (Krijgsman et al., 2001). D’altra parte, i recenti lavori di Carnevale et al. (2006, 2007) suggeriscono un probabile ripristino delle condizioni marine prima del limite Mio-Pliocene, e conducono a dover ridiscutere e ridefinire l’età del Terminal Messinian Flood. L’eventualità di un reefloding marino antecedentemente al limite Mio-Pliocene è stata suggerita in passato anche da altri autori (Butler et al., 1995; Dalla et al., 1997; Riding et al., 1998; Keogh & Butler, 1999; Griffin, 2002; Aguirre & Sánchez-Almazo, 2004). Gli studi di Carnevale et al. (2006, 2007), effettuati sui depositi di “Lago-Mare” di Cava Serredi e Podere Torricella (bacino neogenico del Fine, Toscana), hanno rilevato, all’interno di numerosi orizzonti delle successioni affioranti, la presenza di faune fossili marine rappresentate da otoliti e scheletri di pesci appartenenti a specie eurialine e stenoaline. I dati derivanti dalle analisi sulla composizione isotopica di stronzio, carbonio e ossigeno dei fossili rinvenuti confermano l’ipotesi dell’esistenza di un ambiente marino. Di conseguenza,la scoperta di pesci marini testimonia l’esistenza di condizioni marine normali durante la sedimentazione di tali sedimenti di “Lago-Mare”, e contrasta con le teorie assunte da larga parte della comunità scientifica, secondo le quali l’intero bacino Mediterraneo durante la fase di “Lago-Mare” era simile ad un immenso lago salmastro. Le assunzioni di chi è favorevole alla presenza di un ambiente salmastro si basano essenzialmente sulla comune presenza di ostracodi salmastro-dulcicoli (Zona a Loxoconcha djafarovi di Carbonnel, 1978) con foraminiferi bentonici eurialini e caracee, e sulla quasi totale assenza di ambienti di sedimentazione marina. Il rinvenimento di associazioni fossili marine (foraminiferi planctonici, ostracodi marini, nannoplancton calcareo) spesso intercalate nei depositi di “Lago-Mare”, viene messo in relazione a erosione e rimaneggiamento di antichi depositi (alloctonia), oppure a sporadiche incursioni marine all’interno dei bacini in fasi precedenti l’inondazione pliocenica (Hsü et al., 1978; Bossio et al., 1981; Blanc-Valleron et al., 1998; Spezzaferri et al., 1998; Iaccarino & Bossio, 1999; Iaccarino et al., 1999; Rouchy et al., 2001)

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Figura

Figura 1 Distribuzione delle evaporiti messiniane nel Mediterraneo con localizzazione dei siti DSDP-ODP che hanno rilevato la presenza di depositi evaporitici (da Rouchy  et al., 2006).
Figura  : A sinistra,zonazione salina di tipo bull’s eye, tipica di bacini isolati; a destra, zonazione salina di tipo tear drop, tipica di bacini parzialmente ristretti soggetti a periodiche comunicazioni con il mare aperto (in figura l’halite è il salgem
Figura xx: (A) Modello di Clauzon et al. (1996) del diacronismo tra la deposizione delle evaporiti nei bacini profondi e quelle dei bacini
Figura xx: I principali affioramenti di “Lago-Mare” nel Mediterraneo (da, Gliozzi et al

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