• Non ci sono risultati.

Oggettivo, soggettivo ed evolutivo nella prevedibilità dell’esito giudiziario tra giurisprudenza sovranazionale e ricadute interne

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Oggettivo, soggettivo ed evolutivo nella prevedibilità dell’esito giudiziario tra giurisprudenza sovranazionale e ricadute interne"

Copied!
32
0
0

Testo completo

(1)

Oggettivo, soggettivo ed evolutivo nella prevedibilità dell’esito giudiziario tra giurisprudenza sovranazionale e ricadute interne

Objective, Subjective and Evolutionary in Foreseeability of the Judicial Decision Between European Jurisprudence and Our Own Judgments

Silvia De Blasis

Dottoranda di ricerca in Diritto penale presso l’Università degli Studi Roma Tre silvia.deblasis@uniroma3.it

A

bstrAct

Il principio della prevedibilità della decisione giudiziale costituisce, come noto, un corollario della legalità europea. Ad un esame approfondito della giurisprudenza EDU, emergono tuttavia diverse accezioni, tanto da potersi individuare tre possibili criteri definitori rispetto ai quali muta pure il ruolo del contrasto giurisprudenziale e del precedente qualificato. Tale “poliformità” si riflette peraltro anche sulla giurisprudenza comunitaria. Non resta allora che interrogarsi sull’oggetto, sui parametri e soprattutto sui limiti della prevedibilità stessa, da rapportare ormai, in un’ottica di lucido realismo, alla qualificazione giuridica del fatto e al relativo trattamento sanzionatorio piuttosto che all’esito giudiziario esposto a un’infinità di variabili, queste sì davvero imprevedibili.

The principle of foreseeability of the judicial decision constitutes, as known, an addition of European legality.

Through a meticulous research of case- law, however, appear different meanings of this principle, as a matter of fact, it seems to be possible to identify three possible defining criteria respect to which the role of the jurisprudential contrast and the qualified precedent also changes.

This plurality of forms is also reflected in the European jurisprudence and in our own jurisprudence.

We must ask ourselves about the object, about the parameters and especially on the limits of the predictability to relate in a realistic perspective and to the legal classification of the fact and to the relative sanctioning treatment rather than to the judicial outcome exposed to infinite variables, these are unpredictable.

Prevedibilità delle decisioni giudiziali,

Diritto giurisprudenziale Foreseeability of Judicial Decisions,

Case law

(2)

Premessa: il principio di prevedibilità quale corollario della legalità europea.

È affermazione ormai tralatizia che attraverso la «rigorosa osservanza della lettera di una legge penale […] acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi che è giusta, perché è lo scopo per cui gli uomini stanno in società, che è utile perché li mette nel caso di esattamente calcolare gl’inconvenienti di un misfatto»1. Il concetto di prevedibilità degli ‘inconvenienti’

derivanti dall’inosservanza delle leggi era già presente – come visto – nel pensiero di Beccaria il quale, però, evidentemente lo intendeva come monito per il legislatore affinché emanasse leggi chiare e precise onde evitare che l’attività del giudice superasse il compito di applicare la disposizione attraverso un “sillogismo perfetto”.

Come noto, l’art. 7 CEDU sancisce letteralmente solo l’irretroattività della legge, ma dot- trina e giurisprudenza lo hanno interpretato ugualmente come portatore anche dei due prin- cipi fondamentali del nullum crimen, nulla poena sine lege2.

Tuttavia, l’interpretazione convenzionalmente orientata di tale principio è ben lontana da quella che, a partire dall’illuminismo, ha unito i penalisti in una sorta di “cittadella fortificata”3 all’interno della quale il ruolo di fonte del diritto penale era riconosciuto solo alla legge intesa come atto emanato dal Parlamento4.

1 Cfr. Beccaria C., Dei delitti e delle pene, Newton, Roma, 2012, § IV, p. 35.

2 Si veda, tra gli altri, Bernardi A., “Riserva di legge” e fonti europee in materia penale, in Annali dell’università di Ferrara, sez. V, vol. XX, 2006 p. 41; Nicosia E., Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, Torino, 2006; Viganò F., Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007 p. 42; Zagrebelsky G., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il principio di legalità nella materia penale, in ius17@unibo.it, n. 2/2008.

3 L’espressione è di Palazzo F., Principio di legalità e giustizia penale, in Cass. Pen. fasc. 7-8, 2016, p. 2695.

4 Come noto, da diverso tempo ormai, il corollario della riserva di legge conosce una profonda crisi di cui l’incidenza del diritto europeo e, soprattutto, della giurisprudenza sovranazionale, rappresenta solo una delle cause. Per una ricognizione della crisi della riserva di legge si veda, tra gli altri, Eusebi L., L’insostenibile leggerezza del testo: la responsabilità perduta della progettazione politico – criminale, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc. 4, 2016, p. 1668; Fiandaca G., Prima lezione di diritto penale, Laterza, Bari, 2017; Id., Sulla giurisprudenza costituzionale in materia penale, tra principi e democrazia, in Cass. Pen., fasc. 1, 2017, p. 0013; Id., Crisi della riserva di legge e disagio della democrazia rappresentativa nell’età del protagonismo giurisdizionale, in Criminalia, 2011, pp. 84 ss; Id., Legalità penale e democrazia, in Quaderni fiorentini, XXXVI, Milano, 2007, pp.

1255 ss.; Insolera G., Qualche riflessione e una domanda sulla legalità penale nell’ “epoca dei giudici”, in Criminalia, 2012, pp. 285 ss; Manna A., Il principio di legalità, in Arch. Pen., n. 3/2017; Mezzetti E., Diritto penale. Casi e materiali – II edizione, Zanichelli, 2017, pp. 3 ss.; Palazzo F., il principio di determinatezza nel diritto penale: la fattispecie, Cedam, Padova, 1979; Id. Legalità penale: considerazioni su trasformazioni e complessità di un principio “fondamentale”, in Quaderni fiorentini, XXXVI, Milano, 2007, pp. 1294 ss.; Id., Legalità fra law in the books e law in action, in questa Rivista, n. 3/2016; Pino G., L’insostenibile leggerezza della legalità penale, in Criminalia, 2012, pp. 167 ss.; Trapani M., Creazione giudiziale della norma penale e suo controllo politico, in Arch. Pen., 1/2017, p. 60; relativamente alla mancanza di determinatezza delle clausole generali, Castronuovo D., Tranelli del linguaggio e “nullum crimen”. Il problema delle clausole generali nel diritto penale, in Leg. Pen., 5 giugno 2017.

1.

1. Premessa: il principio di prevedibilità quale corollario della legalità europea. – 2. “Evolutivo”, “sog- gettivo” e “oggettivo” quali criteri del giudizio di prevedibilità della decisione. – 2.1. Il criterio evolutivo:

il caso S.W. c. Regno Unito. – 2.2. Il criterio soggettivo: Groppera Radio c. Svizzera e Soros c. Francia.

– 2.3. Il criterio oggettivo tra law in the books e law in action: Sunday Times c. Regno Unito e altri. – 3. Il riferimento al “precedente qualificato”: il caso Contrada c. Italia. – 3.1. (segue) Il richiamo alla sentenza Demitry come avulso dalla “contestazione in fatto”: il rischio di un overruling sfavorevole per i “fratelli minori” di Contrada. – 3.2. Il contrasto giurisprudenziale come possibile indice di prevedibilità. – 3.3.

Le ricadute interne. Il concorso esterno non esiste… o forse sì: i casi Ciancio, Trematerra e Dell’Utri. – 4. La precisione quale requisito di “prevedibilità”. Quando l’“accessibilità” non basta: il caso de Tommaso c. Italia e le SS.UU. Paternò (in attesa della Corte Costituzionale). – 5. Riflessi della prevedibilità nella giurisprudenza comunitaria: il caso Taricco e il suo epilogo. – 6. Uno sguardo alla prevedibilità e ap- plicazioni nella giurisprudenza interna. La Corte Costituzionale tra determinatezza e colpevolezza: la

“soluzione” dell’art. 5 c.p. – 6.1. (segue). La Corte di Cassazione: solo due esempi in tema di concorso apparente di norme e tentativo di rapina impropria. – 6.2. La “mossa” del legislatore: il vincolo (a metà) del precedente qualificato alla luce della Riforma Orlando (l. n. 103/2017). – 7. Osservazioni conclu- sive sulla residua incertezza dell’oggetto e del criterio di prevedibilità: dall’esito giudiziario alla qualifica- zione giuridica del fatto nei termini della sentenza Drassich.

sommArio

(3)

La legalità penale europea non è esattamente corrispondente a riserva di legge5, ma vi è una commistione tra sistemi di common law e civil law che, di fatto, finisce per equiparare il diritto di origine giurisprudenziale a quello che riconosce il ruolo di fonte solo alla lex posi- tiva6. Non solo, peraltro, il principio di legalità europea è ritenuto compatibile con un diritto giurisprudenziale7 ma la Corte EDU ha spesso messo in evidenza la necessità della funzione interpretativa della giurisprudenza8 nonché la sua perfetta compatibilità con la lettera dell’art.

7 CEDU, a patto che la scelta applicativa risulti concretamente prevedibile9.

Nel testo dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non vi è traccia della parola “legge”, neppure nella traduzione ufficiale in lingua italiana, ma si parla piuttosto di

“diritto” che evidentemente esprime un significato molto più ampio tanto da ricomprendere nel § 2 dell’art. 7 CEDU10, persino i principi generali riconosciuti dalle nazioni civili11.

Quella accolta a livello europeo è quindi una concezione autonoma di legge fondata su un modello ermeneutico che abbandona la visione strettamente formale per abbracciare una concezione sostanziale12, la cui tenuta garantistica sarebbe assicurata dal ricorso ai criteri di conoscibilità della norma e prevedibilità delle conseguenze della propria condotta13, prevedi- bilità riferita anche all’interpretazione che alla lex scripta dà la giurisprudenza14. Certamente sussulterebbe Beccaria che, riducendo l’interpretazione a mera operazione sillogistica, riteneva non vi fosse cosa più pericolosa della necessità di consultare lo spirito della legge15.

La prevedibilità, dunque, che trova senza dubbio una base costituzionale nel combinato disposto di cui agli artt. 25 co. 2 e 27 co. 1 e 3 Cost., risponde certamente a una logica di tutela dei diritti soggettivi del destinatario della norma, ma è funzionale anche alla tutela di principi e interessi oggettivi costituzionalmente garantiti tra cui l’uguaglianza e parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e, più in generale, risponde ad una logica di arricchimento delle garanzie

5 La stessa Corte Costituzionale nella sent. n. 230/2012 ha specificato che «il principio convenzionale di legalità risulta meno comprensivo di quello accolto nella costituzione italiana (e, in generale, negli ordinamenti continentali). Ad esso resta, infatti, estraneo il principio – di centrale rilevanza nell’assetto interno – della riserva di legge nell’accezione recepita dall’art. 25 Cost.». In senso difforme si veda, Fiandaca G., Sulla giurisprudenza costituzionale, cit. secondo cui «questo assunto della minore comprensività della legalità convenzionale andrebbe riconsiderato, poiché vi sono aspetti della legalità europea che viceversa arricchiscono in particolare la dimensione garantistica della legalità domestica, nella misura in cui proiettano l’esigenza di tassatività e di conoscibilità preventiva del precetto penale anche sul versante dell’applicazione giurisprudenziale, in termini di prevedibilità della decisione giudiziaria» p. 0025; Id., Prima lezione di diritto penale, cit., nel quale l’Autore si chiede se «in una prospettiva di arricchimento delle garanzie del cittadino, è possibile promuovere sin da ora un processo di progressiva integrazione della dimensione nazionale e della dimensione europea della legalità penale», p. 147; nonché Viganò F., Il nullum crimen contesto: legalità ‘costituzionale’ vs. legalità ‘convenzionale’?, in Dir. pen. cont., pp. 9 ss.

6 Sul punto Zagrebelsky G., in La Convenzione europea, cit., ha evidenziato come ciò determini una perdita della protezione europea rispetto al significato della riserva di legge che rappresenta, in particolare, la garanzia del dialogo tra maggioranza e opposizione.

7 Per una puntuale analisi dello sviluppo della giurisprudenza – fonte si veda Donini M., Il diritto giurisprudenziale penale. Collisioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell’illecito interpretativo, in questa Rivista, 3/2016.

8 Per es., Corte EDU, Grande Camera, 10 luglio 2012, Rio Prada c. Spagna, ric. 42750/09.

9 Corte EDU, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, serie A n. 335 B.

10 “In nessun caso può considerarsi in contrasto con il principio di legalità in materia penale la condanna di un individuo per un’azione o omissione considerata criminale in base ai principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili e, dunque, anche in assenza di un’espressa previsione nella legge nazionale dello Stato di appartenenza o nel diritto internazionale al momento del fatto”.

11 Si veda, per es., Corte EDU, 22 marzo 2001, Streletz, Kessler e Krenz c. Germania, ric. n. 34004/96; Corte EDU, 22 marzo 2001, K. – H.W.

c. Germania; Corte EDU, 12 luglio 2007, Jorgic c. Germania, ric. 74613/01.

12 Per es. in Corte EDU, 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito, ric. 13166/87, §48 i giudici di Strasburgo hanno ritenuto sussistente la previsione legale in quanto il ricorrente si sarebbe potuto rappresentare le conseguenze giuridiche della propria condotta facendo riferimento alla giurisprudenza precedente che enunciava i limiti in cui potevano essere formulate opinioni sull’operato dei giudici. Sul punto in dottrina si veda, per esempio, Di Giovine O., Antiformalismo interpretativo: il pollo di Russell e la stabilizzazione del precedente giurisprudenziale, in questa Rivista, n. 2/2015, pp. 11 ss.

13 Così De Amicis G., Legalità “europea” e rimedi interni: il caso Contrada, in Il libro dell’anno del diritto, 2016.

14 La Corte EDU ha ritenuto la nozione di “diritto” ex art. 7 CEDU pienamente valida anche per i sistemi di civil law, alla luce del contributo che anche in questi sistemi viene offerto dalla giurisprudenza in merito all’effettiva portata dei precetti nonché all’evoluzione del diritto penale.

Sul punto si vedano, per esempio, Corte EDU, 8 dicembre 2009, Previti c. Italia, ric. n. 1845/08; Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, ric. n. 10249/03; Corte EDU, Grande Camera, 24 aprile 1990, Krusiln c. Francia, serie A – 176 – A.

15 Si veda, per esempio, un passaggio della celeberrima opera dell’Autore in cui egli afferma che «in ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge, la conseguenza la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia dare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza. Non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge. […] Ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha uno diverso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni…», in Beccaria C., Dei delitti e delle pene, cit., § IV, p. 34.

Sull’importanza ancora oggi del sillogismo, ma non senza l’interpretazione ai fini della garanzia di tassatività della norma si veda Donini M., Il diritto giurisprudenziale penale, in questa Rivista, 3/2016, p. 31.

(4)

dei consociati16.

Né deve ritenersi che una tale argomentazione valga solo per i paesi di common law dal momento che, come si vedrà più diffusamente nel prosieguo della trattazione, per i giudici di Strasburgo il problema del potere interpretativo deve essere affrontato limitatamente agli effetti sulla concreta conoscibilità della norma penale da parte del cittadino non rilevando la sua legittimità quale fonte del diritto17.

Non v’è dubbio, però, che il nostro ordinamento, come quello degli altri paesi di civil law, sia costruito in modo diverso con la previsione che il giudice sia sottoposto alla legge e che, almeno in teoria, alcun ruolo quale formante può essere attribuito alla giurisprudenza18: basti pensare a quanto è stato riaffermato a chiare lettere dalla Corte Costituzionale che, nella nota sentenza n. 230/2012, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 c.p.p. nella parte in cui non prevede la revoca della sentenza di condanna nel caso di mutamento giurisprudenziale riaffermando, in tal modo, il principio di legalità fondato sulla riserva di legge.

Preliminarmente, occorre precisare la portata della legalità intesa come prevedibilità e, nel- lo specifico, cosa debba essere concretamente prevedibile. Sul punto è totalmente condivisibile l’opinione secondo cui il principio in commento implica almeno tre corollari e, in particolare,

«occorrerebbe che il consociato fosse in grado di prevedere, prima di compiere la propria con- dotta: a) se la condotta stessa sarà considerata illecita; b) se, oltre che genericamente illecita, la condotta sarà considerata altresì penalmente rilevante; e infine c) quale pena egli dovrà scontare nell’ipotesi in cui venga sottoposto a processo»19.

È evidente che per un sistema di civil law come il nostro, sembrerebbe, di primo acchito, doversi affermare che la prevedibilità dovrebbe essere garantita da una legge precisa e deter- minata che non lasci spazio a dubbi interpretativi e, conseguentemente, a facili manipolazioni da parte dei giudici.

A tal proposito, in dottrina20 si è osservato che la legalità sub specie della prevedibilità trova reale ed effettiva attuazione solo nel diritto vivente con la conseguenza, nei Paesi in cui non vige il precedente vincolante, di una inevitabile faglia che non consente il pieno rispetto del principio se non attraverso una riforma del sistema o, quantomeno, la presa di coscienza (e conseguente maggiore responsabilizzazione21) da parte dei giudici del ruolo centrale che rico-

16 Sul punto si vedano, tra gli altri, Viganò F., Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Dir. pen. cont., pp. 8 ss.;

Fiandaca G., Prima lezione di diritto penale, cit., p. 146, secondo il quale «sotto il profilo specifico della salvaguardia della “certezza di libere scelte d’azione” […] la legalità penale europea finisce con l’avere un contesto garantistico più ricco e articolato a confronto di quella nazionale.

Il concetto di legalità penale in base all’art. 7 CEDU appare invece comparativamente meno comprensivo di quello desumibile dall’art. 25 co. 2 della nostra Costituzione sotto il diverso profilo della garanzia democratica dal momento che l’art. 7 non prevede la “riserva di legge”»,.

17 Di Giovine O., Antiformalismo interpretativo: il pollo di Russel e la stabilizzazione del precedente giurisprudenziale, cit., definisce la giurisprudenza di Strasburgo quale «manifesto vivente dell’antiformalismo: nessuna differenza sembra residuare tra le ipotesi di nuova incriminazione per via legislativa e quelle di nuova incriminazione per via giurisprudenziale».

18 Sul punto si veda Pulitanò D., Paradossi della legalità. Fra Strasburgo, ermeneutica e riserva di legge, in questa Rivista, 2/2015, nel quale l’Autore spiega che lo statuto della giurisprudenza nel sistema delle fonti dipende da scelte (di politica del diritto) relative alla struttura dell’ordinamento e evidenzia come la riserva di legge sia lo strumento più soddisfacente e in linea con la nostra storia penalistica. L’Autore, specificando che la soggezione del giudice alla legge rappresenta un punto di forza del nostro ordinamento, si chiede anche «quali effetti potrebbero attendersi da un ipotetico mutamento dello statuto formale (nella capacità formale di vincolo) del precedente giurisprudenziale»

giungendo alla conclusione che «dall’angolo visuale del cittadino, destinatario di doveri e potenziale parte nel processo, vedrei più rischi che vantaggi»; Fiandaca G., Sulla giurisprudenza costituzionale in materia penale,. cit., secondo cui «è presumibile che il cittadino privo di spiccata sensibilità politica abbia più interesse alla “certezza” dei divieti già emanati che non alla genesi più o meno democratica dei divieti ancora da emanare»; Id., Diritto giurisprudenziale penale tra orientamenti e disorientamenti, ed. scientifica, Napoli, 2008, in cui l’Autore afferma che «il diritto penale giurisprudenziale non può continuare ad essere guardato con sufficienza intellettuale o peggio con sospetto e preoccupazione quasi si tratti di un attentato al sacro principio della riserva di legge, di una formazione abusiva da debellare o comunque arginare per la sua perniciosità», p. 12; Di Giovine O., Antiformalismo interpretativo, cit., per la quale « la giurisprudenza della Corte Edu ha palesato quel che era già ovvio: non esiste un rapporto “causa/effetto” tra riserva di legge e garanzie del reo e nemmeno tra formalismo interpretativo e garanzie del reo» p. 12.

19 Cfr. Viganò F., Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materiale penale, cit., pp. 2 ss., (corsivi dell’Autore) al quale si rimanda per una compiuta analisi dei corollari del principio in commento. Per quanto concerne la prevedibilità del quantum della sanzione applicabile si veda Corte EDU, Grande Camera, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro, cit.; sulla prevedibilità in tema di esecuzione della pena si veda, invece, Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, cit..

20 Il riferimento è a Cadoppi A., in Giudice penale e giudice civile di fronte al precedente, in Ind. Pen., 2014, secondo cui «la legalità, come principio che postula la prevedibilità delle conseguenze penali delle proprie azioni, trova attuazione effettiva soprattutto relativamente alla legge come interpretata dai giudici, ovvero, detto altrimenti, al ‘diritto vivente’».

21 Della necessità di attribuire ai giudici una maggiore responsabilità parla anche Viganò il quale in Il principio di prevedibilità della decisione, cit., spiega che sui giudici comuni, di legittimità e di merito, «incombe la maggiore responsabilità nell’assicurare, nella pratica, che il diritto penale abbia contorni certi e, pertanto, ragionevolmente prevedibili da parte dei suoi destinatari», p. 43 e in Il nullum crimen conteso: legalità ‘costituzionale’

vs. legalità ‘convenzionale’?, in Dir. pen. cont., dove parla di responsabilizzazione della giurisprudenza «affidandole in maniera esplicita il compito di rendere prevedibili le condanne future, attraverso le opzioni interpretative cristallizzate nelle proprie sentenze», p. 17.

(5)

prono nell’attuazione del principio di prevedibilità22.

“Evolutivo”, “soggettivo” e “oggettivo” quali criteri del giudizio di prevedibilità della decisione.

In assenza di un criterio formale sarebbe necessario individuare un indice concreto idoneo ad accertare oggettivamente la prevedibilità della decisione. La Corte di Strasburgo non pare, tuttavia, aver adottato un criterio unitario per giudicare se l’esito giudiziario sia prevedibile o meno e ha più volte modificato i criteri utilizzati talvolta discostandosi totalmente dal dato formale e giudicando imprevedibile una decisione seppure fondata su una base legale; altre volte, fondando la propria decisione sulle particolari qualifiche soggettive del ricorrente, ha va- lutato come conoscibile l’illiceità della condotta e altre ancora ha ritenuto prevedibile perfino la decisione fondata meramente sul mutamento sociale disarticolando totalmente, in tal modo, il giudizio di prevedibilità da criteri valutabili concretamente e oggettivamente.

Da una disamina delle pronunce della Corte EDU è possibile individuare tre differenti criteri utilizzati dai giudici di Strasburgo i quali, però, non hanno rappresentato alcun vincolo di conformazione per la giurisprudenza successiva e, anzi, la Corte ha spesso smentito se stessa non valutando affatto elementi sui quali in pronunce precedenti aveva basato il giudizio di prevedibilità.

Recentemente si è fatto ricorso al criterio c.d. oggettivo valutando la prevedibilità della de- cisione attraverso la verifica della sussistenza di una norma precisa e determinata e, soprattut- to, di una interpretazione stabile tanto nei sistemi di common law quanto in quelli di civil law.

Non mancano, tuttavia, pronunce in cui la Corte ha utilizzato criteri diversi come nel caso Muller c. Svizzera23 in cui è stata giudicata prevedibile una decisione basandosi sul fatto che il significato del termine “oscene” appartenesse alle Kulturnormen e, pertanto, potendo esse- re ritenuto condiviso dalla coscienza sociale, doveva considerarsi prevedibile. Nella più nota pronuncia del caso S.W. c. Regno Unito24 la Corte ha perfino ammesso la prevedibilità di un overruling sfavorevole dovuto al fatto che la riprovevolezza della violenza sessuale commessa dal marito in danno della moglie era ormai consolidata nel senso comune.

Una valutazione, dunque, totalmente svincolata dal criterio formale e, soprattutto, non fondata su parametri oggettivamente dimostrabili. In queste pronunce la Corte ha basato il giudizio di prevedibilità esclusivamente sull’evoluzione sociale del disvalore della condotta posta in essere25.

In altri casi si è invece abbandonato il criterio oggettivo anche a vantaggio di un ulteriore indice basato sulle caratteristiche dei ricorrenti e sul dovere di conoscenza per determinate ca- tegorie di soggetti. Se nel noto caso Soros c. Francia26 è stato utilizzato il criterio c.d. soggettivo in aggiunta a quello oggettivo trattandosi di un caso di assenza di precedenti giurisprudenziali che chiarissero la portata della normativa vigente relativa al reato di insider trading, nella vicenda Groppera Radio c. Svizzera27 il criterio soggettivo appare essere stato utilizzato in via esclusiva trattandosi di una norma non ancora pubblicata che, però, è stata giudicata accessibile dai ricorrenti in ragione della professione svolta.

22 Sul punto, si veda Fiandaca G., in Il diritto penale tra legge e giudice, Cedam, Padova, 2002, secondo cui il principio di legalità e ruolo creativo dei giudici rappresentano “due poli” che devono trovano un punto di contatto tanto sul piano teorico quanto su quello politico – istituzionale stante l’impossibilità della legalità formale di arginare l’interpretazione dei giudici. Per il ruolo dei giudici comuni nell’attuazione del principio di prevedibilità si rimanda ancora a Viganò F., Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale, in cit., pp. 23 ss..

23 Corte EDU, 24 maggio 1988, Muller C. Svizzera, ric. n. 10737/84.

24 Corte EDU, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito e C.R. c. Regno Unito, Serie A nn. 335 B e C.

25 Si veda, sul punto, Perrone D., Il concorso esterno in associazione mafiosa tra resistenze ermeneutiche e istanze garantistiche, in Leg. Pen., 13 marzo 2017, p. 20 secondo la quale «il criterio della corrispondenza al disvalore dell’illecito sembrerebbe presentare delle assonanze, più che con la legalità, con il requisito della coscienza dell’offesa, ma “in negativo” come sua assenza. L’agente sarebbe punito solo se si rappresenta o può rappresentarsi la portata offensiva della propria condotta, a prescindere dalla pre-esistenza di una legale previsione incriminatrice».

26 Corte EDU, 6 ottobre 2011, Soros c. Francia, ric. n. 50425/06.

27 Corte EDU, 28 marzo 1990, Groppera Radio AG e a.c. c. Svizzera, ric. n. 12726/87.

2.

(6)

Il criterio evolutivo: il caso S.W. c. Regno Unito.

Nelle due celebri sentenze ‘gemelle’ S.W. c. Regno Unito e C.R. c. Regno Unito28, la Corte Edu ha dato conto, forse per la prima volta29 in questi termini, di come il criterio della preve- dibilità della decisione possa essere del tutto disarticolato dal dato formale e dal precedente giurisprudenziale.

Si è trattato di due episodi di violenza sessuale in danno delle rispettive mogli, una consu- mata e l’altra solo tentata, in cui entrambi gli autori del fatto sono stati condannati nonostante vi fosse un principio di common law enunciato da Sir Matthew Hall nel 1736 secondo il quale la violenza coniugale doveva essere considerata scriminata in virtù del consenso prestato nel contratto di matrimonio.

In entrambi i casi la Corte Edu ha ritenuto che la condanna delle corti nazionali, anche in mancanza di precedenti e, anzi, nonostante il summenzionato principio di common law, fosse perfettamente prevedibile, visto il mutamento in materia del ‘senso comune’. In parti- colare, il ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 7 CEDU perché i giudici territoriali lo avevano condannato sulla base di un revirement emerso in data successiva a quella in cui aveva commesso il fatto. Ripercorrendo gli orientamenti in tema di marital rape, era risultato il mutamento del ‘senso comune’ dovuto in primis al fatto che l’immunità era stata concepita in un periodo storico in cui il matrimonio era inteso quale legame indissolubile e ciò era evidente in alcune pronunce secondo le quali il consenso al rapporto sessuale derivante dal matrimo- nio non doveva più ritenersi sussistente in caso, per esempio, di un ordine del tribunale, di un decreto di separazione legale o di sentenza provvisoria di divorzio o anche in caso di una dichiarazione di separazione tra i coniugi.

Tuttavia, a fronte di sentenze che escludevano qualsiasi tipo di esenzione coniugale alla legge sulla violenza, ve ne erano altre che confermavano il principio di common law ovvero che, pur confermandolo, aprivano la strada ad eccezioni e talvolta, altre ancora che valutavano come sufficiente ad escludere l’immunità un qualsiasi accordo anche implicito di separazione come poteva ritenersi, nel caso di specie, la circostanza che i coniugi, a causa della crisi del rapporto, dormivano separati30.

S.W. lamentava il fatto che il giudice nazionale avesse deciso di applicare il principio enun- ciato dal giudice Owen nel caso R. v. R. nonostante la sentenza fosse stata emessa il 14. 3.1991 e quindi in epoca successiva al 18. 9.1990, data in cui lui aveva commesso il fatto quando, a suo dire, benché il principio venisse messo in discussione, non c’era ancora stato un mutamento giurisprudenziale consolidato.

Invero, il principio di diritto enunciato da Sir Matthew Hall appariva «not only quite artifi- cial but certainly in the modern context, was also quite anomalous. Indeed, it was difficult to find any current authority or commentator who thought that it was even remotely supportable»31.

La Corte, pertanto, dopo aver ribadito quanto già chiarito nella sentenza Kokkinakis c. Gre- cia32 in merito alla portata dell’art. 7 CEDU33, apriva la strada anche ad una prevedibilità ‘evo- lutiva’ fondata sul mutamento degli atteggiamenti e del comune sentire affermando che «there was an evident evolution, which was consistent with the very essence of the offence, of the criminal law through judicial interpretation towards treating such conduct generally as within the scope of the offence of rape. This evolution had reached a stage where judicial recognition of the absence of immu- nity had become a reasonably foreseeable development of the law»34 concludendo che l’essenza del carattere riprovevole della violenza coniugale «is so manifest that the result of the decisions of the Court of Appeal and the House of Lords – that the applicant could be convicted of attempted rape, irrespective of his relationship with the victim – cannot be said to be at variance with the object and

28 Corte EDU, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito e C.R. c. Regno Unito, cit..

29 Un precedente, anche se non altrettanto dirompente e totalmente svincolato dal dato formale, è la sentenza Muller c. Svizzera (Corte Edu, 24 maggio 1988, cit.) in cui era stata esclusa la genericità del concetto di “oscenità” in riferimento al reato di pubblicazioni oscene in quanto la portata del termine, rientrando nell’ambito delle Kulturnormen, era condivisa nella coscienza sociale e, dunque, prevedibile.

30 Cfr. caso R.v.C., 5 novembre 1990, giudice Simon Brown J.; caso R. v J., 20 novembre 1990, giudice Rougier; caso R. v S., 15 gennaio 1991, giudice Swinton Thomas; caso R. v R., 14 marzo 1991, giudice Owen, così come richiamati nella sentenza in esame.

31 Corte EDU, 25 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, cit., § 26.

32 Corte Edu, 25 maggio1993, Kokkinakis c. Grecia, ric. n. 14307/88.

33 «The Court thus indicated that when speaking of "law" Article 7 alludes to the very same concept as that to which the Convention refers elsewhere when using that term, a concept which comprises written as well as unwritten law and implies qualitative requirements, notably those of accessibility and foreseeability», Corte EDU, 25 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, cit., § 35.

34 Ibidem, § 43.

2.1.

(7)

purpose of Article 7 of the Convention, namely to ensure that no one should be subjected to arbitrary prosecution, conviction or punishment»35.

Il criterio soggettivo: Groppera Radio c. Svizzera e Soros c. Francia.

La giurisprudenza della Corte in tema di prevedibilità dell’esito giudiziario ha conosciuto un ulteriore sviluppo anche in riferimento a criteri prettamente soggettivi della stessa con l’inclusione delle caratteristiche specifiche dei destinatari e al dovere di conoscenza per talune categorie di soggetti.

La Corte EDU, nel caso Groppera Radio AG e a. c. c. Svizzera36, ha ritenuto prevedibile un testo di legge anche se non ancora pubblicato in quanto, nel caso di specie, la normativa di riferimento doveva ritenersi comunque accessibile vista l’attività lavorativa svolta dagli impu- tati37.

In particolare, la sentenza in commento riguarda la regolamentazione delle trasmissioni radiofoniche internazionali e, specificamente, l’ordinanza del 17 agosto 1983 con cui il Con- siglio Federale aveva disciplinato la corrispondenza tramite telegrafo o telefono contenente disposizioni generali applicabili al regime delle licenze di trasmissioni radiofoniche con cui era stata prevista una terza categoria di licenze per le installazioni di antenne comunitarie e ne era stato regolamentato l’utilizzo. Il 21 marzo 1984 l’Ufficio delle Telecomunicazioni dell’area di Zurigo dell’Autorità Nazionale delle Poste e delle Telecomunicazioni informava che le trasmissioni di Groppera Radio non rispettavano le norme internazionali in vigore e che se avessero continuato a trasmettere, avrebbero commesso un reato in quanto non avevano richiesto la licenza per le installazioni di antenne comunitarie.

In seguito ad un procedimento interno, i ricorrenti adivano la Corte Edu ritenendo che l’ordinanza del 17 agosto 1983 si riferisse a norme di diritto internazionale non accessibili per i cittadini sostenendo, peraltro, che la legge internazionale sulle telecomunicazioni era vinco- lante solo per gli Stati e non si riferiva ai cittadini.

La difesa del Governo ha sostenuto, invece, che le norme in questione soddisfacessero pienamente il criterio di precisione e, dopo aver specificato che tali disposizioni non si rivol- gevano solo agli Stati, ha evidenziato come i ricorrenti, già prima dell’entrata in vigore della legge internazionale sulle telecomunicazioni, fossero in grado di conoscere le regole vigenti in Svizzera. A sostegno di tale linea difensiva, il Governo ha sostenuto che la lettera inviata il 29 gennaio 1980 alle società di trasmissioni svizzere dalla PTT e la sentenza del Tribunale Federale del 12 luglio 1982 resa nel caso Radio24 Radiowerbung Zürich AG gegen Generaldi- rektion PTT avevano già espresso quanto poi l’Ordinanza del 1983 ha ribadito sotto forma di testo legislativo. Per quanto riguarda l’accessibilità, il Governo svizzero ha riconosciuto che solo la Convenzione internazionale delle telecomunicazioni era stata pubblicata sulla Raccolta Ufficiale degli Statuti Federali e nel Compendio delle Leggi Federali giustificando la mancata pubblicazione dei Regolamenti con la mole delle pagine. Secondo la Corte, la portata dei concetti di prevedibilità e accessibilità dipende in gran parte dal contenuto del testo, il settore che deve essere regolamentato nonché dallo status dei soggetti ai quali è indirizzato. Nel caso di specie, la legge sulle telecomunicazioni era altamente complessa ma era destinata a specia- listi del settore. Pertanto, il contenuto poteva essere considerato accessibile per una società commerciale che intendesse lavorare nel settore delle trasmissioni radiofoniche internazionali come Groppera Radio. «In short, the rules in issue were such as to enable the applicants and their advisers to regulate their conduct in the metter»38.

Sotto questo aspetto si pensi, ancora, al recente caso Soros c. Francia39 il cui ricorrente, un cittadino americano fondatore di un fondo d’investimento, era stato condannato per insider trading per avere acquistato un pacchetto di azioni di alcune società recentemente privatizzate tra cui una banca francese sfruttando la conoscenza, in ragione delle sue funzioni, di un’in- formazione riservata sull’evoluzione dei titoli azionari e dopo aver avuto notizia del tentativo

35 Ibidem, § 44.

36 Corte EDU, 28 marzo 1990, Groppera Radio AG e a. c. c. Svizzera, cit..

37 La Corte si è espressa nello stesso senso anche in pronunce successive tra le quali Corte EDU, 3 maggio 2007, Costers, Deveaux e Turk c.

Danimarca nonché Corte EDU, 19 febbraio 2008, Kuolelis, Bartosevicius e Burokevicius c. Lituania, ric. nn. 743504/01; 26764/02; 27432/02.

38 Cfr. Corte EDU, 28 marzo 1990, Groppera Radio c. AG e a. c. Svizzera, cit., § 68.

39 Corte EDU, 6 ottobre 2011, Soros c. Francia, cit..

2.2.

(8)

di acquisto della stessa banca da parte di un gruppo di investitori. Soros, innanzi ai giudi- ci francesi prima e a quelli di Strasburgo poi, lamentava l’indeterminatezza degli elementi costitutivi del reato lui contestato: in particolare, nel procedimento interno, aveva sollevato questione di illegittimità per la mancanza della prevedibilità della legge applicabile all’insider trading ritenendo che il suo comportamento, in base alla normativa vigente, non poteva essere considerato illecito al momento in cui aveva effettuato gli ordini di acquisto e la mancanza di precedenti giurisprudenziali rendevano del tutto imprevedibile che la sua condotta sarebbe potuta essere ritenuta penalmente rilevante.

Nel caso di specie la Corte, riconoscendo che il ricorrente era un soggetto particolarmente qualificato, ha ritenuto che, per la sua esperienza, non poteva ignorare o almeno dubitare che la sua condotta comportasse quantomeno il rischio di incorrere nella contestazione del me- desimo reato.

Un’inversione di tendenza in merito al riconoscimento dell’interpretazione estensiva della giurisprudenza che, però, al tempo stesso ribadisce il valore del precedente anche nei paesi di civil law, si è avuto con la sentenza Pessino c. Francia40 in cui la Corte europea ha ritenuto che lo Stato non è risultato in grado di produrre alcun precedente in cui la condotta posta in essere dal ricorrente fosse stata già ritenuta integrante il reato. Pertanto, secondo i giudici di Strasburgo, lo stesso non avrebbe potuto in alcun modo conoscere l’illiceità del proprio com- portamento e che, nel caso di specie, non era neppure percepibile il disvalore sociale del fatto41.

Il criterio oggettivo tra law in the books e law in action

42

: Sunday Times c. Regno Unito e altri.

Una lettura di tipo oggettivo della prevedibilità può essere, invece, ricondotta a quel filone di pronunce che ne ha individuato la sussistenza nei precedenti giudiziari.

A partire dal leading case Sunday Times c. Regno Unito43 la Corte EDU, nell’accertamento della sussistenza di una norma giuridica accessibile e idonea a garantire la prevedibilità della decisione, ha adottato un approccio di tipo sostanziale oltrepassando il dato prettamente for- male.

In particolare, i giudici di Strasburgo hanno chiarito che «non importa che il contempt of Court sia una creazione della common law e non della legislazione» precisando che «si andrebbe manifestamente contro gli autori della Convenzione se si ritenesse che una restrizione impo- sta dalla common law non è prevista dalla legge per il solo motivo che non risulta da alcun testo legislativo: si priverebbe uno Stato di common law, parte della Convenzione, della possibilità prevista dall’art. 10 § 2 e si minerebbe il suo sistema giuridico»44.

Una tale interpretazione ha peraltro determinato, nello sviluppo della giurisprudenza sull’art. 7 CEDU, un progressivo ampliamento del peso dell’attività ermeneutica quale con- tributo alla specificazione di precetti non sufficientemente precisi anche in sistemi di civil law riconoscendo, in presenza di norme penali eccessivamente generiche o elastiche, il ruolo dell’interpretazione giudiziale estensiva come nel celebre caso Kokkinakis c. Grecia45. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che, sebbene la formulazione positiva della norma che incrimi- nava il proselitismo religioso fosse eccessivamente generica, in base al consolidamento della giurisprudenza nell’individuazione delle condotte proibite, il ricorrente avrebbe potuto preve-

40 Corte EDU, 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia, ric. n. 40403/02.

41 Pronuncia sostanzialmente analoga è quella della Corte EDU, 24 maggio 2007, Dragotoniu, Militaru – Pidhorni c. Romania, ric. nn. 77193/01 e 77196/01, in cui la condanna dei due ricorrenti, impiegati di banca, era stata considerata in violazione dell’art 7 CEDU perché all’epoca della commissione dei fatti gli istituti di credito non erano inclusi nelle organizzazioni pubbliche elencate nel codice penale e mancava un precedente in cui fossero stati inclusi gli operatori bancari quali funzionari pubblici.

42 L’espressione è di Palazzo F., Legalità fra law in the books e law in action, cit., n. 3/2016, pp. 4 ss.

43 Corte EDU, 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito, cit.

44 Cfr. Corte EDU, 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito, cit., §48. Nella sentenza i giudici di Strasburgo hanno ritenuto sussistente la previsione legale in quanto il ricorrente si sarebbe potuto rappresentare le conseguenze giuridiche della propria condotta facendo riferimento alla giurisprudenza precedente che enunciava i limiti in cui potevano essere formulate opinioni sull’operato dei giudici.

45 Corte EDU, 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, cit..

2.3.

(9)

dere la rilevanza penale delle sue azioni46.

Nello specifico, la Corte EDU ha precisato che un fatto costituente illecito penale dovreb- be essere definito chiaramente dalla norma e che « this condition is satisfied where the individual can know from the wording of the relevant provision and, if need be, with the assistance of the courts’

interpretation of it, what acts and omissions will make him liable»47.

Lo stesso principio è stato ribadito anche in altra sentenze come, per esempio, nel caso Jobe c. Regno Unito48 in cui il ricorrente, cittadino del Gambia, era stato trovato in possesso di materiale jihadista e di indottrinamento militare della cellula terroristica di Al–Qaeda per cui gli era stato contestato l’art. 58 del Terrorism Act che punisce chi raccoglie informazioni utili a commettere o a preparare un atto terroristico o possiede materiale utile allo scopo senza giustificato motivo.

Le giustificazioni addotte non erano state ritenute plausibili dalla Corte che, pertanto, lo aveva condannato. Jobe, nel ricorso alla Corte EDU, lamentava l’indeterminatezza del testo dell’art. 58 del Terrorism Act in quanto non si capiva con sufficiente chiarezza quando il pos- sesso di tale materiale doveva considerarsi illecito.

I giudici di Strasburgo, tuttavia, non hanno accolto il ricorso evidenziando che «as regards foreseeability in particular, the Court recalls that however clearly drafted a legal provision may be in any system of law including criminal law, there is an inevitable element of judicial interpretation.

There will always be a need for elucidation of doubtful points and for adaptation to changing circum- stances» e ha avuto modo altresì di chiarire la portata del nullum crimen sine lege convenzionale affermando che «article 7 of the Convention cannot be read as outlawing the gradual clarification of the rules of criminal liability through judicial interpretation from case to case, provided that the resultant development is consistent with the essence of the offence and could reasonably be foreseen»49.

Nel caso di specie, secondo la Corte, la portata della defence of reasonable excuse non era affatto sconosciuta nell’ordinamento inglese in quanto già adottata per altro reato e, pertanto, l’orientamento della giurisprudenza in merito agli elementi necessari per la sua sussistenza era perfettamente prevedibile. Né è stata ritenuta rilevante la circostanza per la quale, in un caso analogo, la Court of Appeal aveva adottato un’interpretazione di reasonable excuse più favorevole perché, secondo i giudici strasburghesi, la soluzione accolta dalla House of Lords nel caso di specie era da ritenersi altrettanto prevedibile.

Successivamente la Corte Edu si è pronunciata anche in merito all’applicazione retroattiva del mutamento giurisprudenziale sfavorevole in materia di prevedibilità della pena50 e, nella sentenza Del Rio Prada c. Spagna51, finendo perfino per inglobare all’interno dell’art. 7 CEDU la materia dell’esecuzione penale.

Il caso di specie riguarda il mutamento giurisprudenziale sfavorevole della c.d. doctrina Parot operata dal Tribunal Supremo in tema di applicazione dei benefici penitenziari che ha determinato un prolungamento della pena inflitta.

La ricorrente, terrorista dell’ETA, aveva invocato il beneficio della redencion de penas por trabajo in virtù del quale ogni giornata di lavoro all’interno del carcere concedeva lo sconto di pena di un giorno. Tale beneficio era però stato abrogato nel 1995 e mantenuto in vigore in via transitoria solo per i detenuti condannati prima dell’entrata in vigore della riforma. Quando, nel 2008, Ines Del Rio Prada aveva presentato la richiesta di liberazione anticipata, l’Audencia Nactional aveva rigettato la richiesta alla luce di un orientamento giurisprudenziale inaugurato nel 2006 nei confronti di un altro terrorista (Henri Parot) secondo il quale lo sconto di pena non doveva essere calcolato sulla sanzione complessiva, come avvenuto in casi precedenti, ma su ciascuna pena inflitta. Per la Del Rio Prada, la cui condanna, sulla base del cumulo materia- le, ammontava a tremila anni di reclusione, la data della liberazione coincideva con la scadenza della pena massima e, pertanto, non le veniva riconosciuto alcun beneficio.

46 Nello stesso senso, Corte EDU – Grande Camera, 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia, in cui la Corte ha ritenuto che l’autore del fatto, condannato per vendita abusiva di prodotti farmaceutici, avrebbe potuto conoscere il significato della generica nozione di “medicamento”

in quanto, a fronte di alcune incertezze della giurisprudenza di merito, la Corte di Cassazione aveva sempre fatto riferimento a criteri ben specifici per individuare i prodotti che potevano essere venduti solo previa autorizzazione.

47 Corte EDU, 25 maggio1993, kokkinakis c. Grecia, cit., § 52.

48 Corte EDU, 14 giugno 2011, Jobe c. Regno Unito.

49 Ibidem, p. 8

50 Sul punto si veda anche Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, cit.; Corte Edu, 22 gennaio 2013 Camilleri c. Malta, ric. n. 42931/10M Corte Edu, Grande Camera, 18 luglio 2013, Maktouf e Damjanovic c. Bosnia Erzegovina, ric. nn. 2312/08 e 34179/08.

51 Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Rio Prada c. Spagna, cit..

(10)

La Grande Camera, confermando52 quanto stabilito dalla Terza Sezione della Corte53, ha riconosciuto la violazione dell’art. 7 CEDU in quanto il mutamento nell’interpretazione del Tribunal Supremo spagnolo non poteva essere previsto dalla ricorrente54.

Il riferimento al “precedente qualificato”: il caso Contrada c.

Italia.

Di primaria importanza, non solo per la discutibilità dei criteri utilizzati per dichiarare l’imprevedibilità della decisione nel caso concreto, ma anche per gli effetti sulle successive pronunce interne, è la nota sentenza emessa dalla IV Sezione della Corte EDU il 14 aprile 2015 nel caso Contrada c. Italia55.

Il ricorrente, alto funzionario di polizia che aveva prestato servizio prima presso la Questu- ra di Palermo ricoprendo anche il ruolo di Capo della Squadra Mobile, poi funzionario presso l’Alto Commissariato per il coordinamento della lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso e, ancora, vicedirettore dei servizi segreti civile (SISDE) prendendo perfino parte alle indagini con il giudice Falcone che hanno dato inizio al maxi processo di Palermo, era stato condannato per avere reso ripetutamente informazioni alla consorteria mafiosa denominata

“Cosa nostra” dal 1979 al 1988.

La vicenda processuale interna era stata caratterizzata dapprima da una condanna per concorso esterno in associazione di tipo mafioso nel 1996 dal Tribunale di Palermo poi da un’assoluzione nel 2001 in secondo grado con sentenza annullata dalla Corte di Cassazione nel 2002 per difetto di motivazione e poi, ancora, da una condanna pronunciata dalla Corte di Appello di Palermo in sede di rinvio nel 2006, divenuta definitiva l’anno successivo in seguito al rigetto del ricorso ad opera della Suprema Corte.

Contrada adiva, pertanto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando in primis l’applicazione retroattiva del precetto in quanto, a suo dire, il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso era stato chiaramente delineato solo da giurisprudenza succes- siva al tempo della sua condotta e, conseguentemente, l’imprevedibilità della sanzione penale comminata in violazione dell’art. 7 CEDU.

Il Governo italiano ha osservato, anzitutto, che la questione relativa alla configurabilità del concorso eventuale nei reati necessariamente plurisoggettivi era stata già affrontata dalla Corte di Cassazione56 e, in diverse sentenze a partire dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso, in tema di cospirazione politica attraverso la costituzione di una associazione sicché la giurisprudenza relativa alla nozione di concorso esterno era ben consolidata anche in un pe-

52 Secondo le dissenting opinions dei giudici Mahoney e Vehabòvic, la questione rimessa alla Corte atteneva la materia dell’esecuzione penale e, pertanto, come avvenuto in altri casi, doveva essere sottratta al divieto di retroattività di cui all’art. 7 CEDU.

53 Corte EDU, 10 luglio 2012, Del Rio Prada c. Spagna, cit..

54 «In the light of the foregoing, the Court considers that at the time when the applicant was convicted and at the time when she was notified of the decision to combine her sentences and set a maximum term of imprisonment, there was no indication of any perceptible line of case-law development in keeping with the Supreme Court’s judgment of 28 February 2006», Corte Edu, Grande Camera, 21.10.2013, Del Rio Prada c. Spagna, § 117.

55 Numerosi i commenti alla sentenza tra i quali si vedano, per esempio, De Amicis G., Legalità penale ‘europea’ e rimedi interni: il ‘caso Contrada’, in Il libro dell’anno del Diritto 2016; De Francesco G., Brevi spunti sul caso Contrada, in Cass. Pen., fasc. 1/2016, p. 0012B; Id., Il concorso esterno in bilico tra pretese garantistiche e ricerca di un percorso razionale, in Leg. Pen., 20.02.2017; Di Giovine O., Antiformalismo interpretativo: il pollo di Russel e la stabilizzazione del precedente giurisprudenziale, cit., p. 11; Donini M., Il caso Contrada e la Corte Edu. La responsabilità dello Stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 1/2016, p. 346; ID., Il diritto giurisprudenziale penale. Collissioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell’illecito interpretativo, cit.;

ID.; Giordano S. E., Il “concorso esterno” al vaglio della Corte Edu: prime riflessioni sulla sentenza Contrada contro Italia, in Archivio Penale 2/2015; Leo G., Concorso esterno nei reati associativi, in Il libro dell’anno Treccani, 2017; Maiello V., Consulta e Cedu riconoscono la matrice giurisprudenziale del concorso esterno, in Dir. pen. e proc., 2015, p. 1008; Manna A., La sentenza Contrada ed i suoi effetti sull’ordinamento italiano:

doppio vulnus alla legalità penale?, in Dir. pen. cont., 4 ottobre 2016; Marino G., La presunta violazione da parte dell’Italia del principio di legalità ex art. 7 Cedu: un discutibile approccio ermeneutico o un problema reale?, in Dir. pen. cont., 3 luglio 2015; Milone S., Legalità e ruolo creativo della giurisprudenza nei rapporti tra diritto penale e processo. Quale garanzia di prevedibilità del diritto se il diritto è…. imprevedibile?, in questa Rivista, n. 2/2016, p. 8; Palazzo F., La sentenza Contrada e i cortocircuiti della legalità, in Dir. pen. e proc., 2015, p. 1061; Pulitanò D., Paradossi della legalità. Fra Strasburgo, ermeneutica e riserva di legge, in questa Rivista, 2/2015.

56 Si veda il § 53 della sentenza in commento laddove si specifica che il Governo ha sostenuto che le decisioni che contestano l’esistenza del reato di concorso esterno in un’associazione di stampo mafioso sono state solo minoritarie e la giurisprudenza, seppure in riferimento a fattispecie diverse rispetto al 416 bis c.p. ha riconosciuto tale reato fin dall’inizio (ossia dal 1968 al 1989).

3.

(11)

riodo precedente i fatti contestati al ricorrente57. Il Governo ha anche ammesso che tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 si è talvolta contestata la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa58, specificando però che «queste decisioni escludevano l’esistenza di una situazione intermedia tra la partecipazione all’associazione di stampo mafioso e l’estraneità a quest’ultima, qualificando i fatti di quelle cause come partecipazione ai sensi dell’articolo 416 bis del codice penale»59, aggiungendo che, comunque, «tenuto conto delle competenze professionali, della sua personalità e del suo percorso», il ricorrente avrebbe senz’altro potuto prevedere tale exitus60.

La Corte, dopo aver chiarito il significato dell’art. 7 CEDU richiamandosi ai suoi prece- denti, ha precisato che «la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono»

essendo tale requisito soddisfatto se «la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dal testo della disposizione pertinente, se necessario con l’assistenza dell’interpretazione che ne viene data dai tribunali e, se del caso, dopo aver avuto ricorso a consulenti illuminati, per quali atti e omissioni le viene attribuita una responsabilità penale e di quale pena è passibile per tali atti»61.

Nella parte relativa all’applicazione dei principi, la Corte muove però da un assunto errato che, peraltro, non avrebbe in alcun modo potuto trovare accoglimento in un sistema di civil law. I giudici di Strasburgo affermano, infatti, che non è oggetto di contestazione tra le parti il fatto che il concorso esterno in associazione di tipo mafioso costituisca un reato di origine giu- risprudenziale e, ripercorrendo le pronunce della Cassazione, sostengono che, in effetti, solo con la sentenza Demitry del 1994 si sia giunti ad una elaborazione della materia controversa e conseguente ammissione in maniera esplicita del concorso esterno in associazione mafiosa62. Inoltre, «la Corte considera che il riferimento del Governo alla giurisprudenza in materia di concorso esterno, che si è sviluppata a partire dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso, ossia prima dei fatti ascritti al ricorrente, non tolga nulla a questa constatazione in quanto le cause menzionate dal governo convenuto riguardano certamente lo sviluppo giurisprudenziale della nozione di “concorso esterno”, ma i casi evidenziati non riguardano il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, che è oggetto del presente ricorso, ma dei reati diversi, ossia la cospirazione politica attraverso la costituzione di una associazione e gli atti di terro- rismo»63.

Alla luce di queste argomentazioni, si concludeva che, all’epoca della condotta posta in essere da Bruno Contrada, il reato contestato al ricorrente e, conseguentemente, la sanzione irrogabile non fossero sufficientemente chiari e, pertanto, egli non poteva conoscere la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti.

Non è possibile, in questa sede, ripercorrere le tappe della “battaglia dottrinale”64 e giu-

57 Si veda, Cass. Pen., 13 giugno 1987, n. 3492 ric. Altivalle, in C.E.D. Cass., n. 17789.; Cass. Pen., 4 febbraio 1988, ric. Barbella, in C.E.D.

Cass., n. 179169; Cass. Pen., 23 novembre 1992, ric. Altomonte, in Guida Dir., n. 19/2007, pp. 100 ss.; Cass. Pen., , 18 giugno 1993, ric. Turiano , in C.E.D. Cass., 194623, 1994.

58 In questo senso, Cass. Pen., 14 luglio 1987, ric. Cillari, in Cass. Pen., p. 36, 1989; Cass. Pen., 27 giugno 1989, ric. Agostani, in Cass. Pen., p.

223,, 1991; Cass., 27 giugno 1994, ric. Abbate e Clementi, in Foro it., 1994, II, p. 560.

59 Cfr. Corte EDU, IV Sezione, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, cit., § 52.

60 Ibidem, § 56.

61 Ibidem, § 79.

62 Ibidem, § 66 – 69.

63 Ibidem, § 71.

64 L’espressione è di Visconti C., La mafia è dappertutto. Falso!, Laterza, Bari, 2016, p. 108.

(12)

risprudenziale65 che ha caratterizzato la configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso66, ma basterà ricordare che, come noto, tale incriminazione trova la sua base legale nel combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p.

Esula da questo lavoro un’approfondita analisi del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ma basti pensare che non è del tutto da escludere che l’istituto possa essere perfino collegato non all’unica figura del partecipe come di fatto avvenuto fino ad oggi, ma a tante figure quante sono quelle previste dall’art. 416 bis c.p. e quindi anche a quella dell’’organizza- tore’, del ‘promotore’, del ‘direttore’ o del ‘capo’67.

Stante la generale funzione incriminatrice della norma di parte generale si potrebbe rite- nere che la previsione del concorso esterno in associazione mafiosa risponda appieno al prin- cipio di legalità sub specie riserva di legge, ma dubbi sono evidenti in riferimento al rispetto del

65 Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, la giurisprudenza era divisa tra la tesi che affermava la configurabilità del concorso

‘eventuale’ nel reato associativo e la tesi contrapposta che, invece, la negava. In particolare, la tesi negazionista riteneva che fosse sufficiente ad integrare la partecipazione la prestazione di un contributo causale all’associazione mafiosa non rilevando in alcun modo l’affectio societatis.

Dunque, chi contribuiva in un qualsiasi modo alla vita dell’associazione era partecipe della stessa senza che fosse necessario verificare la volontà del concorrente di essere parte dell’associazione che, pertanto, era un partecipe a tutti gli effetti. Si vedano, per es., le sentenze Cass., 14 luglio 1987, ric. Cillari; Cass., 27 giugno 1989, ric. Agostani; Cass., 27 giugno 1994, ric. Abbate e Clementi, già citate. Nella tesi a sostegno della configurabilità del concorso esterno, invece, si tendeva a distinguere la condotta dell’affiliato, contrassegnata dall’affectio societatis, da quella dell’extraneus che, invece, era priva di tale requisito e si limitava ad intervenire solo in alcune circostanze. Sul punto, si vedano le summenzionate sentenze Cass., 13 giugno 1987, ric. Altivalle, cit.; Cass. 4 febbraio 1988, ric. Barbella, cit.; Cass., 23 novembre 1992, ric.

Altomonte, cit.; Cass., 18 giugno 1993, ric. Turiano, cit.; Cass... Alla luce di questo contrasto giurisprudenziale, fu necessario l’intervento della Cassazione a Sezioni Unite con la nota sentenza Demitry (Cass. SS.UU., 5 ottobre 1994, sent. n. 16, in Cass. Pen.) nella quale il supremo consesso riconobbe la configurabilità del concorso dell’extraneus nel reato di associazione di tipo mafiosa limitandolo, però, ai momenti di fibrillazione della consorteria mafiosa e definendo il concorrente esterno come «colui che non vuole far parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a far parte, ma al quale si rivolge sia per colmare temporanei vuoti in un determinato ruolo, sia, soprattutto, nel momento in cui la fisiologia dell’associazione entra in fibrillazione, attraversa una fase patologica che, per essere superata, esige in contributo temporaneo, limitato, di un esterno».

A solo un anno di distanza dalla sentenza Demitry è però risultato necessario un ulteriore intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza del 14 dicembre 1995 nota come Mannino I (Cass. Pen., SS.UU., 27 settembre 1995, sent. n. 30 in RP), hanno chiarito che il dolo del concorrente esterno è il dolo generico rappresentato dalla volontà di contribuire alla sopravvivenza o al rafforzamento dell’associazione ovvero, alternativamente, del dolo specifico di realizzare il programma criminoso dell’organizzazione senza, tuttavia, farne parte.

In seguito ad un intervento negazionista della Suprema Corte del 2000 (Cass. Pen. Sez. IV, 21.09.2000, ric. Villecco, in C.E.D. Cass.), è stato di nuovo necessario l’intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza Carnevale del 2002 (Cass. Pen. SS.UU., 30 ottobre 2002, sent. n. 22327, in Riv. it. dir. proc. pen.) hanno confermato la configurabilità del concorso esterno che non è più a legata a momenti patologici dell’associazione, ma all’effettiva rilevanza causale del contributo dato al mantenimento ovvero al rafforzamento dell’associazione. La sentenza Carnevale ha offerto un’ulteriore specificazione anche in termini di elemento soggettivo chiarendo che anche il dolo del concorrente eventuale è un dolo specifico mancando, però, in tal caso, l’affectio societatis. Con la ulteriore sentenza a Sezioni Unite del 2005 nota come sentenza Mannino bis (Cass. Pen., SS.UU., 12 luglio 2005, sent. n. 33478, in Cass. Pen.), la Suprema Corte ha chiarito che la condotta dell’extraneus presuppone un contributo concreto, specifico e consapevole che abbia una effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e la rilevanza causale del contributo deve essere accertato ex post alla stregua dei criteri elaborati dalla sentenza Franzese. Per una ricognizione del contributo causale si veda, da ultimo, Giugni I., Il problema della causalità nel concorso esterno, in Dir. pen. cont., fasc. 10/2017, p. 21 ss. Per quanto concerne l’elemento soggettivo, le Sezioni Unite del 2005 confermano la necessità del dolo specifico anche in capo al concorrente esterno che deve agire con la consapevolezza del metodo e delle finalità mafiose e deve voler contribuire alla realizzazione del programma criminoso.

66 Sterminata la letteratura in materia. Si vedano, per esempio, Maiello V., Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale; Giappichelli, Torino, 2014; Visconti C., Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003; Cavaliere A., Il concorso eventuale nel reato associativo, Napoli, 2003; Fiandaca G., Il concorso esterno tra guerre di religione e laicità giuridica, in questa Rivista, 1/2012;

Mezzetti E., I reati contro l’ordine pubblico, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale (a cura di Fiorella A.), Giappichelli, Torino, 2012, pp. 423 ss. che definisce il concorso “eventuale” quale «figura di matrice giurisprudenziale» e sottolinea come il fatto che ci siano volute ben quattro sentenze a Sezioni Unite della Cassazione a chiarire i tratti distintivi della figura criminosa dimostri «come le istanze di certezza e di chiarezza su di essi siano del tutto velleitarie. Con la gravosa conseguenza che l’osservanza del principio di legalità e di tutti i suoi corollari […] trova verosimilmente un ostacolo alla sua compiuta realizzazione». Nello stesso senso, da ultimo, Donini M., Il caso Contrada e la Corte Edu. La responsabilità dello Stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria, in Riv. it. dir.

proc. pen., fasc. 1/2016, p. 346; Id. Il diritto giurisprudenziale penale. Collisioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell’illecito interpretativo, in questa Rivista, 3/2016, pp. 13 ss.

67 Si pensi, per esempio, ad un soggetto che intende costituire un’organizzazione criminale e si rivolge ad un imprenditore che, pur non volendo far parte della compagine associativa, ne finanzi la costituzione con il fine di ottenere, poi, facilitazioni nell’aggiudicazione degli appalti;

oppure si immagini il promotore che si rivolge ad un politico affinché quest’ultimo lo metta in contatto con imprenditori o amministratori locali interessati al malaffare.

Riferimenti

Documenti correlati

309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere

146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione

1.1.– Il ricorrente ricorda che la disposizione asseritamente lesiva delle proprie attribuzioni testualmente prevede: «[…] al fine di rafforzare gli interventi di

ipotesi, quest’ultima, invero normativamente non prevista, ma rispetto alla quale la stessa giurisprudenza della Cassazione si è ormai orientata nel ritenere

Sul versante interno, il codice di procedura penale del 1988 – innovando al regime meno favorevole prefigurato dal codice anteriore – ha sancito il diritto dell’imputato

81, che è così formulato: «Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono

Nella questione all’esame di questa Corte, tuttavia, il collegio rimettente non è chiamato a valutare nel giudizio principale la legittimità di un provvedimento con cui l’Agenzia