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Le nuove società commerciali forensi. Una analisi e una protesta - Judicium

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Academic year: 2022

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GIULIANO SCARSELLI

Le nuove società commerciali forensi Una analisi e una protesta

Sommario: 1. Le società commerciali forensi della nuova legge sulla concorrenza. 2. Una extravaganza: un ricordo di Francesco Carnelutti. 3. L’illusoria idea che le società forensi possano essere governate dai soci avvocati. 4. L’illusoria idea della personalità della prestazione professionale. 5. Il regime delle società forensi e i rischi che vi hanno gli avvocati a prenderne parte. 6. La perdita del principio della libertà della professione.

7. Conclusioni.

1. Dopo due anni è mezzo il ddl concorrenza è legge, ed è esattamente la l. 4 agosto 2017 n. 124.

La legge riguarda anche le professioni, ed in particolare per noi quella forense, dove è stato modificato l’art. 4 alla legge professionale n. 247/2012, inserito un art. 4 bis, ed ancora abrogato l’art. 5.

La nuova legge dà ora disciplina compiuta all’esercizio della professione di avvocato in forma societaria.

Tale attività è consentita sia in società di persone che in società di capitale, con l’unico limite del divieto di partecipazione societaria tramite fiduciarie, trust e interposte persone. I soci devono essere, per almeno due terzi del capitale sociale, avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti in albi di altre professioni. La maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati non estranei alla compagine sociale. Resta inoltre fermo il principio della personalità della prestazione professionale, cosicché responsabili dell’attività professionale saranno tanto il professionista che ha eseguito la specifica prestazione, quanto la società e i soci.

Da ultimo si prevede altresì che la società sia tenuta al rispetto del codice deontologico forense e soggetta alla competenza disciplinare dell’ordine di appartenenza.

Da precisare che l’art. 5 della legge professionale n. 247/2012 conteneva già una delega al Governo, ancorché scaduta, affinché questi provvedesse alla disciplina delle società commerciali forensi.

Il governo avrebbe dovuto approvare un decreto legislativo di attuazione; invece è intervenuta la legge qui a commento, la quale, da una parte ha abrogato l’art. l’art. 5 della legge professionale, e dall’altra ha provveduto essa stessa a istituire e disciplinare le nuove società commerciali forensi.

Tutto questo, così, è potuto avvenire derogando alle garanzie che l’art. 5 della legge delega n. 247/2012 conteneva, tra le quali: a) l’attività forense esercitata in forma societaria non costituisce attività d’impresa (art.

5, 2° comma, lettera m); b) le società commerciali forensi non sono soggette alle procedure concorsuali (art. 5, 2° comma, lettera m); c) le società commerciali forensi devono essere composte di soci tutti avvocati (art. 5, 2°

comma, lettera a); d) ogni avvocato può partecipare ad una sola società forense (art. 5, 2° comma, lettera b); e) i redditi prodotti dalla società tra avvocati sono considerati redditi da lavoro autonomo anche ai fini previdenziali (art. 5, 2° comma, lettera l); f) infine alle società tra avvocati si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sull’esercizio della professione di avvocati in forma societaria di cui al decreto legislativo 96/2001 (art. 5, 2°

comma, lettera n).

Nessuno di questi principi è stato rispettato dalla nuova legge n. 124/2017, non avendo la stessa, ovviamente, ne’ forma ne’ limiti del decreto legislativo, e tutte le garanzie della legge delega di cui all’art. 5 l. 247/2012 sono venute meno per scelta di questo nuovo legislatore, peraltro con discussione del testo presso le commissioni attività produttive delle Camere, e non nelle commissioni giustizia.

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Il tutto, tanto più grave quanto lo stesso art. 5 disponeva che il Governo era delegato ad adottare la disciplina delle società tra avvocati “in considerazione della rilevanza costituzionale del diritto di difesa, su proposta del Ministro della giustizia e sentito il Consiglio nazionale forense”.

Non che il legislatore, nella sua sovranità, non posso abrogare una legge e farne un’altra, però mi chiedo in che Paese si viva.

Bisognerebbe inventare, oltre all’incostituzionalità per eccesso di delega, l’incostituzionalità per difetto di delega.

Una cosa del genere, se fatta da un privato, sarebbe considerata in contrasto con la buona fede e con il principio di affidamento.

2. Subito alcune osservazioni sulla normativa di cui all’art. 4 bis l. 247/2012.

La prima è questa: la legge, come già era nell’art. 10, comma 3 della l. 183/2011, non pone limiti alle forme societarie, dunque la professione forense potrà essere esercitata anche da una società di capitali, financo una società per azioni.

Potremmo avere, così, la Francesco Carnelutti s.p.a. contro la Rosario Nicolò s.r.l., o la Piero Camalandrei coop. s.p.a. contro la Giuseppe Chiovenda s.a.p.a.

Commentando la creazione dell’ufficio del processo di cui alla recente l. 57/2016 rilevavo come un difetto di essa fosse quello di allontanare il giudice dal “fatto” e dalle “parti”, in una sorta di disumanizzazione dell’attività giudiziaria, affidata sempre più ad un percorso burocratico, anziché alla “persona”1.

Questa disumanizzazione è ora completata nella disciplina della professione forense, che può essere esercitata da società commerciali.

Scriveva Carnelutti che “Non è la gloria, ma la sofferenza dell’avvocato che mi interessa……Non pretendo che quella dell’avvocato sia la strada più diritta, è soltanto la strada che conosco. Ancora una volta mi volto indietro, per prendere fiato, e la vedo svolgersi come uno di quei sentieri di montagna, che, a guardarli da lontano, sembrano ghirigori, tutti giri e rigiri e impennate e discese e precipizi. Di tanto in tanto, sul margine, è piantata una croce”2.

Non ci saranno più avvocati così.

Prendo atto con tristezza che il mondo forense è cambiato, e che le ragioni per le quali molti volevano fare l’avvocato, come me fin da ragazzo, rischiano di non esserci più.

Scrivevo anni addietro3, e qui mi permetto di ribadire, che queste riforme stravolgano la professione, poiché è fuori da ogni seria discussione che l’esercizio della professione di avvocato non necessita di capitali, se non per forme deleterie che, se non vanno vietate, vanno quanto meno non incentivate ne’ incoraggiate.

La professione di avvocato è una professione intellettuale: per svolgerla, più che capitali, servono cultura, impegno, studio e intelligenza. Il rischio è che i capitali sostituiscano queste qualità, e che si pensi in futuro che i migliori avvocati siano quelli con i soci di capitali alle spalle, anche se ignoranti, svogliati, superficiali.

Penso sia interesse non solo degli avvocati, ma di tutta la società e di tutti i cittadini che abbiano la necessità di servirsi di loro, che la classe forense non faccia questa fine.

3. Si dirà che la legge prevede comunque che il capitale sociale di queste nuove società sia in larga maggioranza in mano ad avvocati, e che l’organo di gestione sia composto in maggioranza da avvocati.

Penso però si debba dubitare della bontà di queste disposizioni.

a) Quanto a società a maggioranza di avvocati, a me sembra che il testo di legge non sia chiaro al riguardo.

                                                                                                               

1 ID., Note critiche sul disegno di legge per la riforma organica della magistratura onoraria, Foro . it., 2015, V, 367.

2 CARNELUTTI, Vita di avvocato, Milano, 2006, CNF, 4.

3 ID., Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2013, 413.

(3)

Si legge che i soci debbano essere, per almeno due terzi del capitale sociale, “avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti in albi di altre professioni”.

Sottolineo “ovvero” e “professionisti in albi di altre professioni”.

Dal che, mi pare, in modo difficilmente discutibile, la società che esercita la professione forense non è assicurata per due terzi ad avvocati, in quanto in questi 2/3 possono ricomprendersi anche altri professionisti; e dunque potrebbe darsi una società forense fatta, ad esempio, di un solo avvocato che abbia un piccolo capitale sociale, e poi tanti altri professionisti che, unitamente a lui, riescono a raggiungere la quota del 2/3 di capitale sociale.

Sotto questo profilo, la prima conclusione è quella che queste società, allora, non necessariamente sono a maggioranza di avvocati; e ciò in deroga al già menzionato art. 5 l. 247/2012, che prevedeva che dette società potessero essere formate solo da avvocati.

b) Poi l’art. 4 bis l. 247/2012 prosegue statuendo che: “la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati”.

Può sembrare, anche questa, una norma rassicurante, nel senso che l’amministrazione della società, allora, non può che spettare ad avvocati, con esclusione di ogni altro soggetto che non abbia questa qualifica professionale.

Ma anche qui, attenzione: la norma non dice che la maggioranza dell’amministrazione della società spetta ad avvocati, dice semplicemente che “l’organo di gestione” deve essere composto in maggioranza da avvocati.

L’organo di gestione vi è solo nelle società per azioni se queste optano per il sistema dualistico di cui agli artt.

2409 octies e ss. c.c.

Dunque, se l’espressione è stata usata correttamente, e necessariamente deve essere questa l’esegesi del testo, noi dovremmo allora concludere che se la società è amministrata da “amministratori”, questi amministratori possono anche non essere avvocati, perché la legge non pone limiti al riguardo; mentre se la società ha un consiglio di gestione, solo in questo caso la maggioranza del consiglio di gestione deve esser fatto da avvocati.

Il problema, però, è che se la società ha un “consiglio di gestione” (art. 2409 novies c.c.), ha anche un

“consiglio di sorveglianza” (art. 2409 duodecies c.c.), e l’organo che conta, in questi casi, non è quello di gestione, bensì quello di sorveglianza, se non altro perché il consiglio di sorveglianza nomina e revoca i membri del consiglio di gestione, fissandone il compenso (art. 2409 novies, 3° comma, c.c.), approva il bilancio, ed ha azione di responsabilità nei confronti dei componenti dell’organo di gestione; ed, inoltre, se previsto dallo statuto, delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani della società (art. 2409 terdecies c.c.).

Il consiglio di sorveglianza non necessariamente deve essere composto di avvocati, perché niente di ciò è precisato dalla legge.

Peraltro, la legge poi aggiunge che “I componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale”; dal che, di nuovo, si deduce che, se la società è retta da un consiglio di gestione, la maggioranza di questo deve esser fatta da avvocati, ma in minoranza ogni socio, anche di capitale, può entrare nel consiglio di gestione, con l’unico limite che non possono starvi soggetti estranei alla compagine sociale.

Ed infine, la legge non esclude espressamente da nessuna parte che i soci di capitali non possano svolgere funzioni di amministratori, se la società è retta da amministratori e non da un consiglio di gestione, e solo aggiunge, per questi casi, che “i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori”; ed anche qui sottolineo “possono”, che sta a significare che i professionisti possono starvi, come no, nel consiglio di amministrazione.

Dunque, in estrema sintesi: ba) se la società è retta da amministratori, la legge non sembra porre limiti particolari, ne’ da nessuna parte esclude che soci di capitali possano svolgere funzioni di amministratori; bb) se viceversa la società è retta da un consiglio di gestione, questo in maggioranza deve esser composto da avvocati, ma nessun limite è posto al consiglio di sorveglianza.

Forse la mia è una lettura pessimistica, ma mi pare che il testo dell’art. 4 bis, 2 comma l. 247/2012 ben poco dunque assicuri agli avvocati in punto di amministrazione delle società commerciali forensi.

(4)

4. La legge, poi, asserisce all’art. 4 bis, 3° comma l. 247/2012 che: “Anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria, resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale”.

Si tratta dunque di capire cosa significa “personalità della prestazione professionale”.

Certamente significa che se deve essere posto in essere un atto che necessita di un avvocato, solo un avvocato potrà sottoscrivere quell’atto.

Ma qui, direi, siamo nell’ovvio.

Quello che, però, risulta chiaro, è che il rilascio della procura e/o dell’incarico professionale potrà esser dato direttamente alla società, e non più alla persona; l’avvocato sottoscriverà gli atti giudiziali, ma se l’incarico dovesse avere ad oggetto attività non tassativamente sotto riserva forense, queste potranno essere svolte da ogni socio della società, sia non sia avvocato.

La legge, infatti, recita che: “L’incarico deve essere svolto…….” (art. 4 bis 3° comma l. 247/2012), non che l’incarico deve essere affidato; ne’ da nessuna parte la legge esclude che l’incarico possa essere affidato alla società.

E v’è da rilevare, sul punto, la differenza con la disciplina delle associazioni professionali di cui all’art. 4, 1°

comma, l. 247/2012.

In quel caso la norma espressamente asserisce che “L’incarico professionale è tuttavia sempre conferito all’avvocato in via personale”, mentre nel 4 bis una disposizione analoga non vi è, poiché il 3° comma dell’art.

4 bis asserisce solo che vige il “principio della personalità della prestazione professionale” e che “l’incarico deve essere svolto soltanto da professionisti in possesso dei requisiti”.

Cosicché, una cosa è dire: “L’incarico professionale è tuttavia sempre conferito all’avvocato in via personale”;

altra cosa è dire: “L’incarico deve essere svolto soltanto da professionisti in possesso dei requisiti”.

Peraltro, da nessuna parte è scritto che le disposizioni circa le associazioni professionali si applicano anche alle società forensi in quanto applicabili e/o per analogia; e, per lo più, se la legge asserisce che “Le società sono tenute al rispetto del codice deontologico” (art. 4 bis, 6° comma l. 247/2012), va da sé che queste possano ricevere incarichi forensi.

Se così è, il decantato principio di personalità della prestazione professionale ha da oggi, davvero, poca consistenza, e siamo di fronte ad un fatto che, se pur in parte già previsto dall’art. 10, comma 3, lettera c) della l. 183/2011, è da ritenere epocale e inquietante.

5. La legge, ancora, niente dice sul regime che le società commerciali forensi devono avere, cosicché queste avranno il regime della forma societaria scelta.

Si consideri allora quanto segue.

a) In primo luogo anche le società forensi, come tutte le società commerciali, potranno fallire.

Ciò era espressamente escluso dall’art. 5 della legge professionale, ma il governo non ha dato seguito alla legge delega, e la nuova legge qui in commento ha abrogato l’art. 5 l. 247/2012.

Nel silenzio del nuovo art. 4 bis l. 247/2012 si applicheranno i principi generali, ovvero le società tra avvocati, in quanto esercitanti attività d’impresa, saranno soggette al fallimento.

Ne seguirà che se la società tra avvocati è personale, il fallimento si estenderà anche agli avvocati personalmente; se la società è di capitali, ai sensi dell’art. 147 l. fall., per come interpretato dalla Corte di cassazione4, potranno egualmente fallire in proprio anche quegli avvocati da considerare soci di fatto o occulti della società di capitali.

                                                                                                               

4 V., per tutte, Cass. 21 gennaio 2016 n. 1095; e poi Cass. 27 febbraio 2017 n. 4917; Cass. 28 febbraio 2017 n. 5069; Cass. 13 giugno 2016 n. 12120.

(5)

b) L’ art. 4 bis l. 247/2012 non vieta che le società tra avvocati siano accompagnate da patti parasociali, ed inoltre le società potranno con statuto darsi regolamentazione ad integrazione e/o deroga alla legge.

Ciò è detto perché anche le società forensi potranno, per statuto o patto parasociale, prevedere, ad esempio, che le delibere necessitino di una maggioranza superiore ai 2/3.

In questo caso, salvo quanto già osservato al punto 3, va da sé che gli avvocati e i professionisti non avranno in nessun caso il controllo della società in tutte le ipotesi nelle quali la loro partecipazione sociale si dovesse fermare a 2/3 del capitale sociale.

c) Vi sono poi delibere che si assumono non in base alla percentuale di capitale sociale, bensì a maggioranza personale dei soci.

Faccio riferimento all’esclusione del socio, e alla disciplina degli artt. 2286 e 2287 c.c. nell’ipotesi in cui la società forense dovesse essere una società personale.

E’ noto che la delibera di esclusione viene presa a maggioranza personale dei soci, non in base alle quote sociali.

Ne segue che in società forensi a prevalenza numerica di soci non avvocati, il socio avvocato potrebbe essere escluso dalla società a prescindere dalla quota che possieda in seno ad essa, e a prescindere dalla circostanza che gli avvocati e/o i professionisti detengano i 2/3 del capitale sociale.

A protezione di ciò, l’art. 5 della l. 247/2012 prevedeva che tutti i soci dovessero essere avvocati. Ma tale previsione non è stata riportata nell’art. 4 bis l. 247/2012 e, come detto, l’art. l. 5 è stato soppresso.

d) Se la società forense è personale, ogni socio, infine, risponderà con il proprio patrimonio illimitatamente delle obbligazioni sociali, ovvero di debiti che possono aver creato altri soci, anche non avvocati, e anche non professionisti.

e) Soprattutto, la legge non vieta che il cliente, o i clienti, possono essere soci della società forense; e così banche, compagnie di assicurazioni e grandi società potranno essere soci di società forensi e (magari) uniche clienti.

La società forense lavorerà in questi casi esclusivamente per il cliente/socio, visto che neanche l’esclusiva è vietata dalla legge.

Peraltro, in questi casi, il cliente/socio recupererà economicamente gran parte di quanto versato alla società per l’attività professionale, riscuotendo a fine di ogni anno, e in forza del bilancio approvato, il dividendo che gli spetta.

E si avrà, così, un conflitto di interessi non solo ogni volta che la società fisserà il prezzo delle prestazioni professionali al cliente/socio, ma anche ogni volta si provvederà alla distribuzione degli utili.

Mentre l’avvocato non sarà più nemmeno sicuro di ricevere acconti o compensi per l’opera professionale prestata relativa alle singole cause, atteso che per le società vige il generale divieto di attribuire dividendi da ripartirsi anticipatamente all’approvazione del bilancio.

f) Ed ancora, l’avvocato socio dovrà sottostare alla volontà della società, ma parimenti agli altri liberi avvocati risponderà illimitatamente delle eventuali infrazioni civili e/o deontologiche; mentre il socio/cliente di capitale potrà dare ogni direttiva e comando, e al tempo stesso non risponderà se non nei limiti del capitale investito.

g) Infine, la legge delega disponeva che ogni avvocato potesse partecipare ad una sola società forense (art. 5, 2°

comma, lettera b), ma anche questo limite non è stato recepito dall’art. 4 bis l. 247/2012, cosicché oggi un socio, se ha capacità economica, può partecipare ad un numero infinito di società, magari anche collegate e/o controllate fra loro, e dar vita a proprie e vere holding di società aventi ad oggetto l’attività forense. Se si pensa poi che la legge non pone nemmeno requisiti di onorabilità per chi voglia partecipare con il capitale a società forensi, noi avremmo la possibilità che queste possano allora essere usate per investimento di denaro privo di lecita provenienza, se non addirittura per consentire a gruppi organizzati di malavitosi di avere una propria società difensiva.

(6)

6. Da quanto emerso fin ora, credo siano chiari due aspetti: a) che l’interesse a creare queste società non è degli avvocati, ma di chi ha bisogno degli avvocati, che con queste società riuscirà ad ottenere prestazioni forensi a prezzi stralciati; b) e che la disciplina dell’art. 4 bis consente agevolmente di creare società che, per statuto e/o patti parasociali, escludano che il controllo o la direzione di esse spetti agli avvocati.

Se poi si aggiunge che l’art. 4 bis consente la figura del cliente/socio, anche esclusivo, va da sé che queste società saranno comandate indiscutibilmente da chi porta il lavoro, ovvero dal cliente/socio, e quindi va da sé che all’interno di queste società, nella stragrande maggioranza dei casi, gli avvocati saranno solo manovalanza sottopagata.

E qui v’è l’ultima questione da affrontare, ovvero quella della libertà della prestazione, e/o se si vuole della libertà della professione.

La professione forense è, da sempre, la professione della libertà.

La stessa legge professionale stabilisce ciò laddove all’art. 1, 2° comma, lettera b) si dà come compito quello di garantire “l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati, indispensabile condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti”, e dove, all’art. 2, statuisce che: “L’avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, svolge le attività di cui ai comma 5 e 6”; ed ancora l’art. 3, che prevede che

“L’esercizio dell’attività di avvocato deve essere fondato sull’autonomia e sulla indipendenza dell’azione professionale e del giudizio intellettuale”.

Come si vede, questa libertà è ribadita in vario modo in tutti i primi tre articoli della legge professionale, cosicché appare davvero stonato e contraddittorio che l’art. 4 bis disciplini al contrario un avvocato privo di libertà e autonomia, contraddicendo quanto la legge aveva appena affermato nei primi tre articoli, e contraddicendo la storia dell’avvocatura fin dal suo inizio5.

Peraltro, la libertà dell’avvocato è posta dalla stessa legge quale “condizione dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti”, e quindi posta dalla stessa legge in stretta correlazione con l’art. 24 Cost.; dal che, se l’avvocato non è libero, la stessa tutela dei diritti non è libera.

L’art. 5 della legge professionale prevedeva che le società tra avvocati potessero esser fatte solo da soci avvocati, e in questo modo la libertà e l’indipendenza degli avvocati era assicurata dall’assenza di estranei.

Con l’art. 4 bis è invece la società, quale mandataria, a scegliere se accettare o non accettare un incarico, e chi debba essere il professionista che segue il cliente in caso di accettazione dell’incarico; è la società a determinare i criteri di ripartizione degli incarichi; è la società a scegliere i collaboratori o gli ausiliari e ad assumere il personale; è la società a fissare le modalità di esecuzione delle prestazioni; ed è infine la società a stabilire i compensi per gli avvocati che prestano la loro opera all’interno di essa.

E a niente serve l’inciso di cui al 3° comma dell’art. 4 bis dove si afferma che la prestazione è svolta solo da soci professionisti “i quali assicurano per tutta la durata dell’incarico la piena indipendenza e imparzialità”, perché questi soci professionisti non hanno gli strumenti per assicurare a loro stessi, e a tutti, indipendenza e imparzialità.

7. Questa legge è così solo un atto politico con il quale si è inteso favorire i grandi gruppi economici.

Gli avvocati non hanno bisogno di queste società e la professione forense non necessita di grandi investimenti per essere esercitata.

Queste società saranno composte dagli avvocati più giovani e più deboli, che così entreranno a servizio dei grandi gruppi a condizioni poste da questi.

Non è una riforma che possa nemmeno interessare i cittadini, poiché questi non si rivolgeranno a queste società per essere assistiti, ne’ le società sono in grado di garantire loro un miglior servizio o costi più contenuti.

                                                                                                               

5 Per la storia dell’avvocatura quale storia di libertà v. CAVAGNARI-CALDARA, Avvocati e procuratori, voce del Digesto, Torino, 1893-1899, I, 625.

(7)

I cittadini, per le loro necessità, continueranno a rivolgersi ai singoli avvocati, in un rapporto fiduciario e personale come è sempre stato quello tra cliente e avvocato.

Le società conteranno invece fra i loro clienti solo grandi imprese, per smaltire lavoro ripetitivo, e i clienti di queste società saranno inevitabilmente anche i soci della stessa.

La disciplina di fenomeni che attengono all’esercizio dei diritti e la regolamentazione della professione forense non poteva esser decisa e risolta in sede di ministero dell’economia, unitamente ad altre centinai di questione che niente avevano a che fare con la professione di avvocato, con logiche di tipo economistico e non giuridico, e con radicamento presso le commissioni attività produttive delle Camere piuttosto che nelle commissioni giustizia. La disciplina di fenomeni che attengono all’esercizio dei diritti e la regolamentazione della professione forense è da sempre materia giudiziaria, e il legislatore non poteva non tenerne conto, come ha fatto.

Ogni legge che costringe l’avvocato a lavorare senza libertà, è da considerare una legge in violazione dell’art.

24 Cost., e come tale incostituzionale. E grave è stato che il legislatore, in una ottica solo economicista, abbia voluto abbandonare i principi già contenuti nell’art. 5 della l. 247/2012, così costruendo un sistema di società forensi da ritenersi in contrasto con la costituzione.

“Gli avvocati nel processo rappresentano la libertà; sono il simbolo vivente di quello che forse è il principio vitale delle democrazie moderne: che per arrivare alla giustizia bisogna passare attraverso la libertà”6.

Mi auguro che il legislatore torni di nuovo a correggere questa errata legge, e che gli avvocati si levino in protesta a difesa della loro dignità e della loro storia.

 

                                                                                                               

6 CALAMANDREI, Processo e democrazia, Padova, 1954, 132

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