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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

Rel. n. 33 Roma, 20 marzo 2007 LA SOPRAVVENUTA APPLICAZIONE DELL’ART. 43 D.P.R. N. 327 DEL 2001 (NUOVO T.U. SULL’ESPROPRIAZIONE PER P.U.) E I RELATIVI EFFETTI SULLA

GIURISDIZIONE

Oggetto: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITA’) - COMPETENZA E GIURISDIZIONE - Perdita della proprietà per effetto di occupazione illegittima - Azione di risarcimento del danno dinanzi al giudice ordinario - Sopravvenuta emanazione di provvedimento di acquisizione sanante dell’utilizzazione senza titolo ai sensi dell’art. 43 T.U. n. 327 del 2001 - Questione relativa all’applicabilità o meno di tale norma sui giudizi pendenti, in relazione al disposto dell’art. 57 cit. T.U. ed in considerazione anche dell’eventuale giudicato - Effetti sulla giurisdizione della sopravvenuta applicazione, in generale, dello stesso art. 43, in dipendenza delle sentenze nn.

204 del 2004 e 191 del 2006 della Corte Costituzionale, ed individuazione degli eventuali spazi di persistenza della giurisdizione del giudice ordinario.

SOMMARIO:

1.- Il caso sottoposto all’esame delle Sezioni unite.

2.- La genesi dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo e del conseguente provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 43 T.U. n. 327 del 2001:

la precedente alterazione patologica del procedimento espropriativo e le soluzioni individuate in giurisprudenza.

3.- La creazione pretoria della figura dell’occupazione appropriativa (o accessione invertita) e la successiva identificazione della c.d. occupazione usurpativa.

4.- Gli interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

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5.- Il t.u. sulle espropriazioni per pubblica utilità di cui al d.P.R. n. 327/2001 e l’occupazione sine titulo.

6.- L’incidenza e la portata delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006: gli effetti riguardanti la determinazione della giurisdizione con riferimento alle azioni restitutorie e risarcitorie riconducibili ai comportamenti della P.A.

7.- L’art. 43 del T.U. n. 327/2001: la natura e i presupposti dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo.

8.- La specifica disciplina positiva dello stesso art. 43 e distinzione tra l’atto di acquisizione previsto dai commi 1° e 2° e quello contemplato dai successivi commi 3° e 4°: aspetti funzionali, limiti inesplicati e spunti critici.

9.- Il regime transitorio relativo all’applicabilità del citato art. 43 e la sua correlazione con la disciplina contenuta nell’art. 57 dello stesso T.U.

10.- Gli effetti sulla giurisdizione della sopravvenuta applicazione a regime dell’art. 43 e la nuova ridefinizione delle controversie includibili nell’area di appartenenza alla giurisdizione del giudice ordinario sulla scorta del nuovo quadro normativo inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 191 del 2006.

***********************

1.- Il caso sottoposto all’esame delle Sezioni unite.

(Omissis)

2.- La genesi dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo e del conseguente provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 43 T.U. n. 327 del 2001: la precedente alterazione patologica del procedimento espropriativo e le soluzioni individuate in giurisprudenza.

In linea generale, nel sistema normativo antecedente a quello innovato con l’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (a decorrere dal 30 giugno 2003), l’espropriazione per pubblica utilità presupponeva un provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera alla quale era finalizzata, nonché la fissazione dei termini per l’inizio ed il termine dei lavori (secondo quanto emergente soprattutto dalle previsioni degli artt. 9 e 13 della cosiddetta legge fondamentale in materia di espropriazione per p.u. n. 2359 del 25 giugno 1865). Nelle ipotesi di indifferibilità ed urgenza, l’espropriazione definitiva veniva, peraltro, preceduta dall’emissione di un provvedimento di occupazione (appunto “d’urgenza”1, richiamato nell’art. 71, comma secondo, della stessa legge n. 2359/1865) in funzione del soddisfacimento

1 Le altre forme principali di occupazione previste erano quelle temporanee, l’una contemplata dall’art. 64, concepita come direttamente strumentale alla predisposizione dei lavori, e l’altra prevista nello stesso art. 71, al comma 1°, ma configurata in considerazione della posizione naturale del fondo rispetto all’opera pubblica da realizzare.

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dell’esigenza di accelerare l’esecuzione dell’opera pubblica mediante l’intervento dell’anticipata immissione, da parte della P.A., nel possesso dell’immobile destinato a tale finalità.

Nella sua impostazione di fondo, quindi, la predetta legge fondamentale del 1865 individuava un sostanziale “punto di equilibrio” tra le due esigenze basilari alle quali avrebbe dovuto essere improntato il procedimento espropriativo, ovvero quella della garanzia (e, quindi, della tutela della proprietà privata) e quella della celerità (alla quale si sarebbe dovuta ispirare l’azione della P.A. espropriante)2.

Nello sviluppo della successiva legislazione, soprattutto di quella prodottasi a decorrere dagli anni settanta del secolo scorso3, si era, però, assistito all’avvio di un percorso distorsivo del meccanismo procedimentale fisiologico espropriativo poiché l’istituto dell’occupazione d’urgenza da strumento eccezionale era stato elevato al rango di strumento ordinariamente utilizzato nell’ambito di siffatto procedimento ablatorio in funzione della valutazione in termini di prevalenza della necessità della P.A. di dar corso al più sollecito inizio dell’opera pubblica attraverso una immediata apprensione della disponibilità materiale degli immobili privati interessati. In particolare, fu soprattutto con la importante L. 22 ottobre 1971, n. 865 (cosiddetta

“legge sulla casa”) - e in dipendenza del suo vasto ambito di applicabilità come individuato nel suo art. 9 - che questa deviazione (pur nel rafforzamento delle garanzie partecipative) cominciò ad evidenziarsi mediante la previsione della concentrazione in un’unica fase della dichiarazione di pubblica utilità e della identificazione dei beni da espropriare e tale tendenza raggiunse il suo culmine nella disciplina (sulle opere pubbliche) introdotta dalla L. 3 gennaio 1978, n. 1, il cui articolo iniziale incise profondamente sull’istituto della dichiarazione di pubblica utilità, la quale venne ricollegata - unitamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza delle opere pubbliche - automaticamente all’approvazione dei progetti delle opere stesse da parte dei competenti organi statali, regionali e degli altri enti territoriali. Si era così giunti ad un’accentuazione massima delle fasi procedimentali, con un sostanziale ridimensionamento4 delle garanzie partecipative del privato proprietario in virtù della legittimazione normativa di una sorta di saldatura tra il momento pianificatorio e quello espropriativo: in tal senso i più acuti indirizzi scientifici5 hanno sostenuto che, nel quadro normativo venutosi così a configurare, l’approvazione di uno strumento urbanistico o di un progetto di opera pubblica implicante finalità pianificatorie assumeva un ruolo ben definito nel corso del procedimento espropriativo,

2 V., ad es., in questo senso ANDREIS M., sub art. 43 T.U. n. 327/2001, in La nuova disciplina dell’espropriazione - Commentario al d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) a cura di Francesco Piterà, Torino, 2004, spec. 304-306; sull’argomento, in generale, relativo al quadro normativo individuato dalla L. n. 2359 del 1865 e ai successivi sviluppi legislativi, cfr., anche, SATURNO A., sub art. 43 T.U. n. 327/2001, in L’espropriazione per pubblica utilità - Commentario al T.U.

n. 327/2001, a cura di Angelo Saturno e Pasquale Stanzione, Milano, 2002, 402 e segg., nonché MARUOTTI L., sub art. 43 T.U. n. 327/2001, in L’espropriazione per pubblica utilità - Commento al testo unico emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 come modificato dal d. lgs. 302/2002, a cura di Caringella-De Marzo-De Nictolis-Maruotti, Milano, 2003, II ed., 575 e segg.

3 Ma già con la legge n. 167 del 1962 (art. 9) il legislatore aveva previsto l’equivalenza dell’approvazione dei progetti di opere pubbliche alla dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità delle opere.

4 Forse sarebbe meglio discorrere di incisiva compromissione.

5 V., per tutti, ANDREIS, op. cit., 306.

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connotandosi quale presupposto per la valutazione dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera e, quindi, per la produzione dell’effetto ablatorio che a tale realizzazione era strumentale. Nell’impianto normativo conseguito alla riferita produzione legislativa risaltava, inoltre, la peculiarità della contestualità tra la dichiarazione (implicita) di pubblica utilità e quella di indifferibilità ed urgenza dell’opera, dalla quale derivava la immediata applicabilità dell’istituto dell’occupazione d’urgenza, preordinata, appunto, al risultato dell’espropriazione finale.

Così strutturato per grandi linee il procedimento espropriativo, con la evidenziata compressione e concentrazione della fase relativa alla dichiarazione di pubblica utilità, non fu difficile riscontrare che ben presto, al momento dell’impatto applicativo, si erano venute a verificare alcune situazioni patologiche che sfociavano nell’accertamento dell’occupazione sine titulo6 da parte della P.A., come nel caso dell’inizio dell’esecuzione dell’opera pubblica in virtù di anticipato spossessamento (legale) dell’area a sfavore del privato, con successiva ultimazione dell’opera, senza, però, l’intervento della legittima conclusione del procedimento espropriativo nei termini di legge con l’adozione del provvedimento definitivo traslativo della proprietà in capo all’Amministrazione espropriante (verso il riconoscimento della dovuta indennità in favore del privato espropriato). A fronte di questa - non rara - eventualità, il privato aveva pensato all’attivazione dell’esperimento dell’azione di restituzione dei fondi assoggettati illegittimamente alla procedura espropriativa, affiancandola a quella risarcitoria (quando non si accontentava in via esclusiva dell’esercizio di quest’ultima, anche in funzione sostitutiva dell’altra).

Ricorrendo uno dei casi di occupazione non titolata7, la giurisprudenza8 aveva, fin dall’inizio, fatto ricorso all’applicazione del principio della specialità del diritto pubblico rispetto alle ordinarie regole del diritto comune, così escludendo l’operatività della disciplina dell’accessione (artt. 934-936 cod. civ., applicabile solo tra privati) e ravvisando la problematicità dell’attuazione della tutela restitutoria (anche successivamente all’entrata in vigore del codice civile del 1942), dal momento che l’art.

4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, impediva ai giudici ordinari di annullare principaliter gli atti amministrativi e tale divieto veniva esteso, in via interpretativa, a tutti gli ordini implicanti un facere nei confronti della P.A. Sulla scorta di questo inquadramento, gli indirizzi giurisprudenziali in argomento ritennero che al privato andasse riconosciuta la sola azione risarcitoria rapportata ai danni subiti in conseguenza della perdita delle utilità ritraibili dalla sua proprietà incisa dall’espropriazione illegittimamente attuata, il cui illecito era da qualificarsi come permanente con inassoggettabilità di detta azione al termine di prescrizione

6 Altre ipotesi riconducibili a questa situazione sono state pacificamente individuate, a titolo esemplificativo, nella sopravvenuta scadenza del termine di efficacia del provvedimento di occupazione d’urgenza, nella carenza ab origine di un valido provvedimento di occupazione, nella persistente occupazione a seguito di annullamento del decreto di espropriazione da parte del giudice amministrativo oppure nel caso della disapplicazione di quest’ultimo provvedimento da parte del giudice ordinario sul presupposto della rilevazione della carenza di potere in concreto in capo alla P.A.

7 Per patologia propria (come nel caso di mancata tempestiva emanazione del decreto di espropriazione) oppure derivata (siccome dipendente da annullamento o disapplicazione del decreto di espropriazione).

8 Per un panorama di massima sugli orientamenti giurisprudenziali in materia nel periodo in questione v., ad es., ORIANI R., Occupazione d’urgrnza, costruzione dell’opera pubblica, decreto di espropriazione tardivo, tutela giurisdizionale del proprietario; contribuo ad uno studio interdisciplinare, in Foro it., 1982, V, 205 e segg.

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quinquennale. Non si escludeva, peraltro, che la P.A. potesse divenire proprietaria dell’area illegittimamente occupata per effetto di una condotta “sanante” susseguente, concretantesi nell’adozione di un rituale provvedimento di espropriazione, idoneo a reincanalare nell’ambito della legittimità la pregressa disposta occupazione d’urgenza, pervenendosi addirittura al riconoscimento della possibilità, qualora fosse stato emanato il decreto di esproprio in sanatoria anteriormente all’emanazione della sentenza di condanna all’integrale risarcimento del danno, della conversione della domanda risarcitoria - in virtù di un assunto principio di economia processuale - in opposizione alla stima9.

9 Con l’effetto che al privato, intervenendo il richiamato atto autoritativo in sanatoria, spettava il diritto al risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo ed all’indennità di espropriazione per la perdita definitiva del bene. Sulla figura della riferita conversione di domande (da risarcitoria in opposizione alla stima) v., soprattutto, Cass., SS.UU., 22 luglio 1960, n. 2087, in Riv. giur. edil., 1960, I, 605, con nota di A.M. SANDULLI, e Cass. 30 dicembre 1968, n. 4086, in Giust. civ., 1969, I, 613. Sul riconoscimento, in ogni caso, della sola tutela risarcitoria v., tra le più recenti fino alla svolta avutasi con la sentenza delle Sezioni unite n. 1464 del 1983, Cass. 18 novembre 1977, n. 5054; Cass. 22 luglio 1978, n. 3668; Cass. 6 giugno 1979, n. 3204; Cass. 3 dicembre 1980, n.

6308; Cass. 13 gennaio 1981, n. 288.

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3.- La creazione pretoria della figura dell’occupazione appropriativa (o accessione invertita) e la successiva identificazione della c.d. occupazione usurpativa.

In presenza di una tendenza al consolidamento dell’orientamento (non propriamente convincente) propugnante - a fronte della varietà delle ipotesi di occupazioni illegittime verificabili - l’inammissibilità dell’azione di rivendicazione in favore del privato proprietario dell’immobile interessato, con la fondamentale sentenza n. 1464 del 26 febbraio 198310 le Sezioni unite abbracciarono una diversa ed innovativa prospettiva che introduceva nell’elaborazione giurisprudenziale l’istituto della c.d. “occupazione acquisitiva”11, asserendo che la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato ai fini della costruzione dell’opera pubblica comportava l’acquisto a titolo originario da parte dell’ente pubblico costruttore della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato:

questa ricostruzione12 - ricondotta al fenomeno ribattezzato della c.d. “accessione invertita” (o, anche, per alcuni, definibile come “espropriazione sostanziale”) - consentiva, secondo le Sezioni unite, di superare, per un verso, le incongruenze cui dava luogo la permanenza in capo al privato della titolarità della proprietà separata definitivamente dalla possibilità effettiva di godimento e, per altro verso, attestava la rilevanza del decreto sopravvenuto di espropriazione e, quindi, permetteva di sormontare tutti i problemi connessi alla “conversione” in opposizione alla stima della originaria azione risarcitoria13.

Con tale indirizzo, stabilizzatosi nel tempo14, la giurisprudenza aveva, in sostanza, ritenuto che, allorquando l’occupazione di un immobile da parte della P.A. fosse stata qualificabile come illegittima perché non assistita da un valido titolo15, l’edificazione sul fondo stesso di un’opera pubblica che importasse una trasformazione così radicale da determinare la perdita, in forma irreversibile, dei caratteri e della destinazione

10 Edita, tra le altre riviste, in Foro it. 1983, I, 1983, 626 e segg., con nota di ORIANI; in Giust. civ, 1983, I, 707 e segg., con nota di MASTROCINQUE; in Riv. amm. 1983, 337, con nota di PALLOTTINO.

11 Definita anche “occupazione appropriativa”, la cui concezione era stata, peraltro, già accolta da Cass. 8 giugno 1979, n. 3243, in Giust. civ. 1979, I, 1629.

12 È importante rilevare come la dottrina più perspicace (v., ad es., SALVAGO S., Occupazione acquisitiva nelle espropriazioni per p.u., Milano, 1997, 120 e segg.; CARBONE V., Espropri illeciti, risarcimenti dimezzati, in Corr.

giur. 1996, 139 e segg.) aveva evidenziato che, in effetti, l’occupazione acquisitiva esisteva sicuramente nella realtà giuridica quantomeno dall’epoca della L. n. 2359 del 1865, sottolineando che la dottrina e la giurisprudenza ne avevano soltanto ritardato il riconoscimento formale a causa di un malinteso senso di difesa della proprietà privata e dei suoi modi tradizionali di acquisto, ricorrendo alle più contorte e contrastanti costruzioni giuridiche quali erano quelle che ammettevano, da un lato, che la compressione del diritto dominicale potesse egualmente conseguire ad un’apprensione illecita del terreno privato e protrarsi sine die, mentre, dall’altro, escludevano, appellandosi al quadro normativo della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, che il proprietario del suolo avesse la facoltà di ottenerne la restituzione, previa rimozione dell’opera, così assegnandogli la proprietà meramente nominale e catastale dell’immobile.

13 Dall’affermazione di tali principi le Sezioni unite avevano fatto derivare la trasformazione dell’illecito permanente in illecito istantaneo e l’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione risarcitoria.

14 Smentito solo da Cass., sez. II, 18 aprile 1987, n. 3872, in Foro it. 1987, I, 1727, e in Corr. giur. 1987, 642 (annotata da CARBONE V., Una clamorosa riproposta in tema di occupazione espropriativa) che aveva ripreso il concetto della c.d. elasticità del diritto di proprietà e riaffermato il principio di legalità espresso dal secondo comma dell’art. 42 Cost.

15 Per difetto originario del provvedimento di occupazione, o per scadenza dello stesso in virtù del decorso dei termine di cinque anni, ossia perché non era intervenuto un formale, valido ed efficace provvedimento di esproprio.

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propria dell’immobile, avrebbe prodotto l’acquisto a titolo originario della proprietà del suolo occupato senza titolo, secondo i principi tipici - ma, come detto, applicati all’inverso - dell’accessione. La ragione giustificativa del nuovo orientamento era incentrato, ancora una volta, sull’asserita prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato.

Tuttavia, nella sentenza n. 1464 del 1983, era rimasto in ombra l’aspetto relativo alla essenziale valorizzazione - per l’iscrizione dell’occupazione appropriativa nell’ambito del fenomeno espropriativo - della preventiva necessità della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica e, perciò, con la successiva sentenza n. 3940 del 10 giugno 198816, le stesse Sezioni unite ridefinirono la figura dell’occupazione acquisitiva, ponendo in luce come la stessa non si riferisse indeterminatamente e genericamente ad ogni occupazione senza titolo da parte della P.A., bensì ad un fenomeno specifico “caratterizzato quale suo indefettibile punto di partenza da una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e quale suo indefettibile punto di arrivo dalla realizzazione dell’opera stessa”, trovando, quindi, il suo presupposto necessario in una valida e corretta dichiarazione di pubblica utilità, quale provvedimento, non inficiato da vizi, che sanciva la valutazione della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato. Nella stessa sentenza - accanto al riconoscimento dell’essenzialità, ai fini del perfezionamento della fattispecie estintivo-acquisitiva riconducibile all’occupazione appropriativa17, della preesistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità - si rinviene, per la prima volta, in un’ottica di contrapposizione, il riferimento al fenomeno della c.d. “occupazione usurpativa”18, che si sarebbe, invece, venuto a realizzare nel caso in cui l’occupazione di un’area, o genericamente di un immobile privato, fosse avvenuta senza la preventiva dichiarazione di pubblica utilità, oppure quando questa fosse stata viziata o fosse decaduta per intervenuta scadenza19 e,

16 Con la quale (edita in Foro it. 1988, I, 2242 e segg.) fu risolto il contrasto sollevato proprio con la richiamata sentenza della II sezione n. 3872 del 1987. In particolare, con la sentenza n. 3940 del 1988 fu, a chiare lettere, sottolineato che solo l’esistenza della dichiarazione di p.u. costituiva “la guarentigia prima e fondamentale del cittadino e la pietra angolare su cui deve poggiare, per legge, l’espropriazione per pubblico interesse”.

17 Sulle cui complessive problematiche v., anche, più recentemente, con i primi importanti riferimenti anche alle nuove questioni indotte dalla successiva entrata in vigore dell’art. 43 T.U. n. 327 del 2001, BENINI S., L’occupazione appropriativa è proprio da epurare?, in Foro it. 2002, I, 2591 e segg., in nota a Cass., sez. I, 29 agosto 2002, n. 12650.

18 Isolato dogmaticamente e sistematicamente inquadrato soprattutto nell’importante successiva sentenza delle stesse Sezioni unite n. 1907 del 4 marzo 1997, in Foro it. 1997, I, 721, con nota di ANNUNZIATA, con la quale si provvide a completare la tutela del privato prevedendo la possibilità per il titolare del diritto dominicale di avvalersi, in alternativa con le azioni restitutorie, di un’azione di risarcimento del danno per perdita definitiva del bene, ponendo in essere un meccanismo abdicatario del diritto reale del tutto analogo a quello previsto in altre ipotesi rilevanti sul piano privatistico, quali quelle di cui all’art. 1070 cod. civ. o quelle contemplate dagli artt. 1104 o 550 cod. civ., così consentendo anche al privato di ottenere l’equivalente del valore del bene in conseguenza di una libera scelta. Nella stessa sentenza, peraltro, si ribadiva che “il fenomeno dell’occupazione appropriativa può essere giustificato solo nella misura in cui all’attività di costruzione sia attribuito un vincolo di rispondenza in concreto a fini pubblici mediante una dichiarazione di p.u.”.

19 Risultano incanalate nella stessa direzione anche Cass., SS.UU., 3 ottobre 1989, n. 3963, in Giust. civ. 1990, I, 370; Cass., SS.UU., 13 aprile 1992, n. 4477, in Resp. civ. e prev. 1993, 582; Cass., sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814, in Foro it.. 2000, I, 1857 e segg., con nota di SALVAGO, L’occupazione “usurpativa” non può essere espropriazione, nella quale viene oculatamente rimarcata la mera apparenza dell’analogia tra i due istituti dell’occupazione appropriativa e di quella usurpativa, poiché solo la prima appartiene alla materia delle espropriazioni per p.u., tant’è che tutti i profili di costituzionalità (riproposti attualmente con le ordinanze della Corte di cassazione nn. 11887, 12810 e 22357 del 2006) che l’hanno riguardata sono stati sollevati e risolti in base ai precetti contenuti nell’art. 42 Cost. e che il 6° comma dell’art. 5 bis della L. n. 359 del 1992 la considera(va) uno dei

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perciò, senza che il fenomeno ablatorio avesse avuto un valido collegamento con l’esplicazione in concreto della pubblica funzione indirizzata all’ottenimento della finalità espropriativa. In quest’ultima fattispecie20, dunque, la carenza di potere espropriativo avrebbe determinato la non qualificabilità in termini di opera di pubblica utilità di quanto realizzato sul fondo del privato e, pertanto, avrebbe comportato l’esclusione della perdita del diritto dominicale da parte del proprietario. In altri termini, l’inoperatività in tal caso dell’istituto dell’occupazione appropriativa, in assenza dell’ineludibile presupposto del riconoscimento, da parte degli organi competenti, della pubblica utilità dell’opera, avrebbe dovuto comportare la conseguenza che il privato, durante l’illegittima occupazione, potesse fruire dei rimedi reipersecutori a tutela della proprietà non perduta.

Sulla scia di questo inquadramento, la successiva giurisprudenza si era venuta assestando, rimarcando come l’acquisto a favore della P.A. del fondo occupato si determinava solamente se l’opera era funzionale ad una destinazione pubblicistica e che ciò avveniva solo per effetto di una pubblica utilità formale o connessa ad atto amministrativo che, per legge, producesse una tale conseguenza21, precisando che la mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, o perché mai formalmente dichiarata o conseguente ad un successivo annullamento o alla scadenza dei relativi termini, non comportava il succitato acquisto, escludendo che, in tal caso, si potesse concretizzare la fattispecie dell’occupazione appropriativa, configurandosi, piuttosto, quella dell’occupazione usurpativa.

Il fenomeno della cosiddetta occupazione appropriativa veniva a presentare, in sintesi, i seguenti caratteri: a) la trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico, determinava l’acquisizione della proprietà da parte della P.A.; b) il fenomeno, in assenza di formale decreto di esproprio, aveva il carattere dell’illiceità, che si consumava alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata (e, quindi, legittima) se nel frattempo l’opera pubblica era stata realizzata, oppure al momento della trasformazione qualora l’ingerenza nella proprietà privata avesse già carattere abusivo o se essa acquistasse tale carattere perché la trasformazione medesima avveniva dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima; c) l’acquisto a favore della P.A. si determinava soltanto qualora l’opera fosse funzionale ad una destinazione pubblicistica e ciò avveniva solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità formale o connessa ad un atto amministrativo che, per legge, producesse tale effetto, con conseguente esclusione dall'ambito applicativo dell'istituto dei comportamenti della P.A. non collegati ad alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata (cosiddetta occupazione usurpativa), o per mancanza “ab inizio” della dichiarazione di pubblica utilità o perché questa era venuta meno in

modi normali di definizione del procedimento ablatorio accanto alla cessione volontaria ed al decreto di esproprio;

diversamente, l’occupazione usurpativa esula da tale materia e rientra fra i comuni fatti illeciti disciplinati dall’art.

2043 cod. civ., in cui non è ravvisabile l’espressione di alcuna funzione amministrativa.

20 Tra gli ulteriori commenti in proposito si segnalano SAN GIORGIO M.R., Un limite al “sacrificio” della proprietà, in Diritto&Giustizia 2000, n. 8, 49 e segg.; GRECO G. G., Occupazione appropriativa e occupazione usurpativa: due illeciti a confronto, in Urb. e app. 2000, I, 1204 e segg.; IACONE F.C., Le occupazioni illegittime tra espropriazione e usurpazione, in Giust. civ. 2000, I, 2667 e segg.

21 V., ad es., in questi termini, la più recente Cass., SS.UU., 6 maggio 2003, n. 6853 (in Danno e resp. 2004, I, 91, e in Foro it. 2003, I, 2368).

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seguito ad annullamento dell’atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini (in tal caso non si produceva l’effetto acquisitivo a favore della P.A. ed il proprietario poteva chiedere la restituzione del fondo occupato e, se a tanto non aveva interesse e quindi vi rinunziava, poteva avanzare domanda di risarcimento del danno, che avrebbe dovuto essere liquidato in misura integrale); d) il soggetto che aveva subito l’ablazione di fatto, per ottenere il risarcimento del danno, aveva l’onere di proporre domanda in sede giudiziale entro il termine di prescrizione quinquennale (art. 2947 cod. civ.), la cui decorrenza era ancorata alla data di scadenza dell'occupazione legittima, se l’opera pubblica era realizzata nel corso di tale occupazione, oppure al momento dell’irreversibile trasformazione del fondo, se essa era avvenuta dopo quella scadenza (o in assenza di decreto di occupazione d’urgenza, ma sempre nell’ambito di valida dichiarazione di pubblica utilità).

4.- Gli interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Nella ricostruzione dell’istituto dell’espropriazione acquisitiva non possono essere trascurati gli interventi diretti a valutare la conformità di tale istituto con i parametri fondamentali dell’ordinamento interno (e, quindi, con i correlativi principi costituzionali) e di quello internazionale, risultando anzi, a quest’ultimo proposito, risolutivi proprio gli interventi della Corte di Strasburgo ai fini dell’approvazione della riforma in materia di espropriazione per pubblica utilità recepita nel d.P.R. n. 327 del 2001.

Già con la sentenza n. 188 del 23 maggio 199522, il giudice delle leggi, per ritenere conforme alla Costituzione il modo di acquisto della proprietà originato dall’affermata accessione invertita aveva dovuto rielaborare la problematica in questione isolando al suo interno due diversi momenti operandone una netta separazione23.

In particolare, la Corte Costituzionale aveva scisso, in proposito, la fase dello spossessamento con radicale ed irreversibile trasformazione del bene (ovvero il momento della configurazione del fatto illecito correlato all’atto della realizzazione dell’opera pubblica) da quella consequenziale relativa alla non restituibilità dell’area di sedime sulla quale essa insisteva e su cui si era venuta ad innestare in modo irreversibile (e, quindi, relativa al momento del fatto casualmente generatore dell’acquisto dell’opera di pubblica utilità, edificata a vantaggio della collettività). Sulla scorta di tali premesse, i giudici della Consulta erano giunti ad escludere la fondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati, in particolar modo, in relazione al principio che non consentiva la produzione di effetti positivi a mezzo di atto illecito a favore dell’autore dell’illecito stesso24.

22 Pubblicata in Foro it. 1996, I, 464 e segg.

23 Si ricorda che, nel frattempo, il legislatore, ancorché in un circoscritto settore (ovvero quello dell’edilizia residenziale pubblica), aveva propriamente normativizzato l’istituto dell’accessione invertita prevedendolo nell’art.

3 della L. 27 ottobre 1988, n. 458.

24 Cfr., per tali richiami, ANDREIS, op. cit., 312.

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Successivamente, la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 4 febbraio 2000, n. 2425, aveva chiarito che l’istituto dell’occupazione appropriativa, ritenuto applicabile alla P.A., non aveva, in realtà, alcunché in comune con la fattispecie disciplinata dall’art. 938 cod. civ., risultando completamente diversi la ratio e l’interesse tutelato, ragion per cui il fondamento giustificativo dell’accessione invertita in favore della P.A.

si sarebbe dovuto considerare insito, piuttosto, nella funzione sociale della proprietà, resa attuale e concreta dalla dichiarazione di pubblica utilità, per il cui assolvimento poteva ritenersi giustificato il sacrificio del privato.

Anche alla luce dell’approccio che con esso aveva avuto la giurisprudenza costituzionale, rimane, tuttavia, confermato che, in effetti, all’istituto dell’occupazione acquisitiva risultava conferita una chiara connotazione rimediale, poiché concepito in funzione di evitare la perdita di un’area che avrebbe potuto essere legittimamente appresa e di un’opera che avrebbe potuto essere altrettanto legittimamente costruita alla semplice condizione della tempestiva emanazione del decreto di esproprio.

Secondo la ricostruzione della giurisprudenza, in fondo, la P.A., diventata detentrice senza titolo dell’area di proprietà privata, avrebbe dovuto essere, in linea di principio, obbligata alla restituzione della stessa e, tuttavia, l’intrapreso procedimento ablatorio attualizzava la funzione sociale della proprietà, legittimandone il sacrificio, sicché, nell’ipotesi in cui il bene fosse già stato utilizzato per l’esecuzione delle opere destinate in modo permanente al soddisfacimento di un pubblico interesse, il privato non avrebbe potuto chiedere al giudice ordinario la restituzione del fondo, bensì solo il risarcimento del danno, perdendo la proprietà sull’immobile in favore della P.A., che, perciò, in virtù di questa manifestazione invertita dell’accessione, l’acquisiva26 (in questo senso, perciò, da parte di alcuni, si era fatto ricorso alla definizione di

“espropriazione sostanziale”, in via alternativa a quella di “occupazione appropriativa o acquisitiva”27).

25 In Giur. cost. 2000, 171; in Giust. civ. 2000, I, 965 e 1631, con nota di DE SANTIS S.; in Corr. giur. 2000, 540;

in Giur. it. 2000, I, 1, 827 e 1717, con nota di FERIOLI E., e in Urb. e app. 2000, 379, con nota di LIGUORI A.

Con questa sentenza il giudice delle leggi aveva dichiarato infondata, con riferimento all’art. 3 cost. - in relazione all’art. 938 cod. civ. - la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, bis comma 7 bis, d.l. 11 luglio 1992 n.

333, conv. con modificazioni in l. 8 agosto 1992 n. 359, introdotto dall’art. 3, comma 65 l. 23 dicembre 1996 n. 662, nella parte in cui, nel disciplinare gli effetti della c.d. accessione invertita, prevede la corresponsione in favore del soggetto privato della proprietà del suolo ad opera della P.A. in seguito alla costruzione sullo stesso di un’opera di pubblica utilità, di una somma corrispondente alla indennità di esproprio (senza abbattimento del 40%), maggiorata del 10%, pressoché pari al valore dimezzato del bene (per la discriminazione, ritenuta irragionevole, che si verificherebbe rispetto alla previsione di cui all’art. 938 c.c., che, con riferimento alla occupazione, nella costruzione di un edificio da parte di un proprietario su una porzione di fondo attiguo, prevede invece la corresponsione al proprietario del suolo del doppio del valore della superficie occupata, oltre al risarcimento del danno), in quanto il termine di comparazione invocato non è suscettibile di essere utilizzato, trattandosi di ipotesi di accessione palesemente non comparabili perché completamente diverse, sia sotto il profilo dei soggetti, che dei presupposti di applicabilità e della natura delle norme.

26 E’ importante sottolineare che la giurisprudenza ha, in ogni caso, escluso l’applicabilità della disciplina dell’occupazione appropriativa alle opere private di interesse pubblico, trovando, in questa ipotesi, spazio l’operatività della norma generale di cui all’art. 934 cod. civ.: v., da ultimo, Cass., sez. I, 8 novembre 2006, n.

23798, in Urb. e app. 2007, 324 e segg., con nota di MARZANO.

27 In proposito, però, il SATURNO A., sub art. 43 T.U. 327/01, in op. cit., 408, evidenzia come non potesse discorrersi propriamente di un’espropriazione sostanziale contrapposta a quella, normativamente prevista, qualificabile in termini di “espropriazione formale”, dal momento che, in ogni caso, l’occupazione acquisitiva costituisce un’ipotesi di fatto illecito perpetrato dalla P.A. nei confronti di un soggetto privato, che, tuttavia, risolvendosi nella realizzazione di un’opera dichiarata di pubblica utilità, provoca l’acquisto a titolo originario dell’area di sedime in capo alla stessa P.A.

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Malgrado l’attività di “salvataggio” profusa dalla giurisprudenza costituzionale, l’istituto dell’occupazione appropriativa profilatosi nel contesto giurisprudenziale generale non si è sottratto allo scrutinio negativo della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, manifestatosi in prima battuta nelle due famose sentenze del 30 maggio 2000 (note, rispettivamente, come Soc. Belvedere alberghiera e Carbonara-Ventura28), sulla conformità al principio di legalità sancito dall’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Con queste decisioni la Corte di Strasburgo ebbe a muovere delle forti critiche agli istituti dell’occupazione acquisitiva ed usurpativa sul presupposto che una condotta illegittima o illecita della P.A. non potesse produrre in capo alla medesima l’acquisto di un diritto. In particolare, la cosiddetta C.E.D.U.

rilevava che il nostro quadro normativo comportava la violazione del suddetto principio di legalità, poiché le condizioni di legge - per qualificarsi legittime - avrebbero dovuto garantire il rispetto di un giusto equilibrio tra le esigenze di carattere generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. In questo senso, perciò, questo organismo giurisdizionale internazionale aveva considerato come profilo assorbente la completa mancanza di base legale dell’acquisizione alla proprietà pubblica quale effetto dell’occupazione illegittima.

La predetta Corte Europea non aveva, quindi, seguito il ragionamento, pur fatto proprio dalla Corte Costituzionale nelle due richiamate sentenze (di infondatezza delle questioni sollevate), secondo cui non sarebbe il comportamento illecito dell’Amministrazione a determinare il trasferimento di proprietà alla stessa P.A., per doversi tenere distinta la radicale trasformazione del fondo dall’acquisto a titolo originario. Nell’analisi argomentativa della C.E.D.U., invero, ciò che rilevava è che tale effetto si producesse con l’occupazione appropriativa, ovvero in dipendenza di un comportamento illecito della P.A., perché non previsto da legge chiara, precisa e dagli effetti prevedibili (con la conseguenza paradossale che era stata la creazione giurisprudenziale a dover supplire alla carenza normativa in materia). Con riguardo ai rimedi astrattamente prospettabili, la stessa Corte Europea, nei distinti casi sottoposti al suo esame, aveva riconosciuto più consone nel caso Belvedere, in virtù delle circostanze di fatto dedotte - in cui la società ricorrente aveva invocato la restituito in integrum - le misure congiunte della reimmissione in possesso del fondo e del risarcimento tanto del pregiudizio economico che del danno morale. Nel caso Carbonara, invece, il petitum puramente risarcitorio aveva precluso alla Corte ogni futura statuizione che non fosse di condanna pecuniaria. In definitiva, comunque, la C.E.D.U., nel sancire la sussistenza della violazione del riferito principio di legalità, si

28 In Foro it. 2001, IV, 233 e segg., con nota di SABATO. Su tali decisioni si richiamano, soprattutto, i commenti di CARBONE V., Occupazione appropriativa: l’intervento dirompente della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr. giur. 2001, 466-488; DAMONTE R., La Corte di Strasburgo “condanna” l’accessione invertita, in Riv. giur.

edil. 2000, I, 792; PONTICELLI M., L’accessione invertita viola la convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giornale di dir. amm. 2001, 146; BONATTI S., Il crepuscolo dell’occupazione acquisitiva, in Riv. it. dir. pubbl.

comunitario 2000, I, 2591; INVERNIZZI R., Accessione invertita e CEDU: punti di vista, in Riv. giur. edil. 2000, I, 595. Per una completa ricostruzione delle vicende e delle motivazioni poste a fondamento delle due sentenze della CEDU si rimanda, soprattutto, a BENINI S., L’occupazione appropriativa è proprio da epurare?, cit. spec. 2591- 2596.

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era espressa per la possibile restituzione del fondo al legittimo proprietario, oltre al risarcimento dei danno economico per la temporanea perdita del bene29.

Le riflessioni dottrinali immediatamente successive alle due riportate pronunce della Corte Europea di Strasburgo sembravano convergere verso il graduale declino dell’istituto dell’occupazione acquisitiva30.

Il principio di legalità in discorso, nei termini di certezza dei mezzi e delle modalità della tutela dei diritti riconosciuti e garantiti dall’ordinamento, è stato ulteriormente riaffermato dalla Corte di Strasburgo con una pronuncia del 200431, con la quale si è nuovamente sottolineata l’imprescindibile esigenza del rispetto di detto principio, non solo sotto un profilo meramente formale, ma anche attraverso l’effettiva attuazione delle prescrizioni normative, soprattutto quando è in gioco un diritto fondamentale quale il diritto di proprietà.

5.- Il t.u. sulle espropriazioni per pubblica utilità di cui al d.P.R. n. 327/2001 e l’occupazione sine titulo.

Sulla scorta delle sollecitazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della variegata problematicità delle questioni relative alla patologia del procedimento espropriativo il legislatore, con l’emanazione del nuovo testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità contenuto (nella sua versione complessiva riferibile sia alle disposizioni legislative che a quelle regolamentari) nel d.P.R. 8 giugno 2001, n. 32732, ha inteso provvedere ad un riordino della materia, individuando, sostanzialmente, con riguardo ai rapporti intercorrenti tra lo stesso procedimento espropriativo e il suo atto terminale (l’atto di esproprio), un tendenziale ritorno alle origini.

29 Anche con la successiva decisione (in Urb. e app. 2004, 286 e segg., con nota di SCIULLO G., La Corte europea dei diritti dell’uomo “sanziona” l’occupazione appropriativa) del 30 ottobre 2003 (Belvedere Alberghera s.r.l. c.

Gov. Italiano), riferita ancora al quadro antecedente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, la stessa Corte di Strasburgo ebbe a riconfermare, sotto ulteriori profili, che “nel caso di pronuncia che accerti l’illegittimità dell’occupazione di un terreno di proprietà privata incombe allo Stato convenuto provvedere alla restitutio in integrum. Qualora il diritto nazionale non permetta di realizzarla, l’art. 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo abilita la Corte ad accordare alla parte lesa la riparazione appropriata. Questa comprende il valore attuale del terreno, il mancato godimento dello stesso e la perdita di reddito dal momento dell’occupazione, nonché il deprezzamento dell’immobile residuo. Va inoltre corrisposta una somma a titolo d’indennizzo per i danni morali subiti, ancorché la parte lesa sia una persona giuridica”.

30 V., soprattutto, BONATTI, op. ult. cit., il quale ebbe a preconizzarne “un rapido declino, a meno di un intervento del legislatore che ponesse fine a quella situazione di confusione e incertezza normativa che era parsa inaccettabile alla Corte europea”. BENINI, op. ult. cit., 2595, osserva come il “mito della prevalenza, sempre e comunque, dell’interesse pubblico su quello privato, era stato smentito dalla Corte europea che aveva affermato la priorità dell’accertamento circa la legittimità e non arbitrarietà dell’interferenza dell’autorità nel godimento del bene privato”.

31 E, precisamente, del 15 luglio 2004 (Sez. I), in Riv. giur. edil. 2005, I, 681 e segg., con nota di INVERNIZZI R.;

sull’argomento v., anche, SCIULLO G., op. ult. cit., 290 e segg.; COMPORTI M., La nozione europea della proprietà e il giusto indennizzo espropriativo, in Riv. giur. edil. 2005, I, 10.

32 Per una prima immediata sottolineatura delle luci e delle ombre del nuovo testo unico v., ad es., CARBONE V., Epicedio per il “fatto illecito” da occupazione appropriativa?, in Danno e resp. 2001, 901-909, e Il nuovo t.u. in materia di espropriazione: scompare l’occupazione appropriativa?, in Corr. giur. 2001, 1265 e segg.

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Le linee innovative essenziali33 di detto T.U. si identificano con l’abrogazione dell’istituto della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza e l’eliminazione dell’occupazione d’urgenza34, prevedendosi che la Pubbliche Amministrazioni potranno (legittimamente) iniziare i lavori solo in attuazione del decreto di espropriazione, così imponendosi alle stesse di realizzare le opere pubbliche su beni delle quali siano già divenute legittimamente proprietarie. Il nuovo Testo unico ha comportato una incisiva semplificazione della procedura per giungere al decreto di espropriazione, che potrà essere emanato subito dopo la dichiarazione di pubblica utilità, precisandosi, però, che l’effetto traslativo della proprietà, dal privato alla P.A., si verificherà soltanto con l’effettiva immissione in possesso del fondo, che funge da condizione sospensiva dell’effetto ablativo.

Sulla base di questa impostazione di fondo, nel parere del Consiglio di Stato n.

4/2001 si asserisce, sul piano dei risultati perseguibili, che: “Si torna alla regola per cui la P.A. realizza l’opera sull’area ormai sua con riduzione delle ipotesi di occupazione appropriativa (o usurpativa); si ottengono vari risparmi, perché l’amministrazione occupa l’area e ne diventa proprietaria solo se l’area è stata finanziata ed è subito realizzabile; si riducono le ipotesi di retrocessione divenendo difficilmente ipotizzabili i casi di acquisto delle aree private in assenza della loro utilizzazione; si riduce, conseguentemente, il contenzioso”.

In questo rinnovato contesto normativo il legislatore del 2001, per superare le anomalie evidenziate dalla Corte di Strasburgo ed evitare la permanenza del contrasto sulla materia, ha introdotto, nell’art. 43 del citato T.U., una complessiva disciplina che consente alla P.A. l’emanazione di un provvedimento amministrativo di acquisizione del bene, per sanare la commessa illegalità riconducibile all’attuata occupazione senza titolo35. Infatti, con tale disposizione si prevede che, qualora l’opera sia stata realizzata in assenza di un valido decreto di esproprio, viene riconosciuta alla P.A. l’attribuzione del potere di acquisire l’area al proprio patrimonio indisponibile e garantito all’espropriato il diritto di conseguire il risarcimento del danno, salvo il sindacato in sede giurisdizionale del provvedimento di acquisizione. Risulta così introdotto nel sistema un istituto che legittima l’acquisto dell’area privata ove sia già stata realizzata un’opera pubblica in assenza del valido decreto di espropriazione, poiché tale norma consente che l’illecito aquiliano conseguente alla intervenuta occupazione senza titolo venga meno al momento dell’atto di acquisizione36.

33 Desumibili, in particolar modo, dal parere allo schema di decreto legislativo reso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato del 29 marzo 2001, n. 4/2001, in Cons. Stato 2001, III, 1891 e segg.

34 Peraltro poi reintrodotta per effetto dell’art. 22 bis innestato in virtù delle modifiche ed integrazioni apportate dal successivo d. lgs. n. 302/2002.

35 In dottrina (cfr., per tutti, ANDREIS, op. cit., 314) si evidenzia che, nel disegno originario del T.U. n. 327 /2001, lo scopo del legislatore sembrava quello di prevedere che, una volta fissata la regola a regime, gli effetti patologici del sistema fossero da disciplinare, per così dire, ad esaurimento in quanto destinati a non verificarsi più. Ed in questo quadro normativo originario si sarebbe dovuta intendere la collocazione dell’art. 43, il quale, si occupa appunto dell’utilizzazione senza titolo e, nella prospettiva della riorganizzazione complessiva del sistema normativo in tema di espropriazione per p.u., sembrava acquistare il significato di disposizione transitoria. Tuttavia le modificazioni ed integrazioni disposte dal successivo d. lgs. n. 302 del 2002 (allo scopo di adeguare il T.U. n.

327/2001 alla c.d. legge obiettivo n. 443 del 2001) hanno determinato il sostanziale svilimento di tale funzione.

36 Non sono mancate, nell’immediato, le critiche - anche sferzanti - avverso la concezione del nuovo istituto del provvedimento amministrativo acquisitivo sanante; in particolare, CARBONE V., Il nuovo t.u. in materia di espropriazione: scompare l’occupazione appropriativa?, cit., 1268, dopo aver evidenziato che il legislatore non ha avuto il coraggio di eliminare in radice l’istituto dell’occupazione appropriativa disciplinandola appositamente nell’art. 43 del nuovo t.u. con una diversa denominazione (“utilizzazione senza titolo” per scopi di interesse

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Tale istituto trova, dunque, la sua ragion d’essere nell’esigenza di regolarizzare e di sanare una situazione di illegittimità posta in essere dalla P.A. nel corso di una procedura espropriativa e, perciò, l’emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione c.d. “sanante” previsto dalla norma in questione si pone come l’unico attuale rimedio riconosciuto dall’ordinamento alla P.A. per evitare la restituzione dell’area in favore del privato, in assenza del quale, perciò, non può addurre l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e, quindi, come impedimento alla suddetta restituzione37.

Sul piano generale - come evidenziato nel primo comma dello stesso art. 43 in discorso - l’atto di acquisizione in oggetto presuppone una valutazione degli interessi in conflitto da condurre con particolare rigore, poiché - assorbendo la dichiarazione di pubblica utilità e decreto di esproprio - deve, non solo, valutare la pubblica utilità dell’opera ma tener conto, altresì, della circostanza che il potere acquisitivo in parola (avente, come detto, valore “sanante” dell’illegittimità della procedura espropriativa) ha natura eccezionale e non può risolversi in una mera alternativa alla procedura ordinaria. Ne consegue che il nuovo provvedimento tardivo acquisitivo deve trovare la sua giustificazione nella particolare rilevanza dell’interesse pubblico comparato con quello del privato, esigenza, peraltro, ritenuta imprescindibile dallo stesso Consiglio di Stato, nell’anzidetto parere n. 4/2001, dopo la reintroduzione, ad opera del d. lgs. n.

302 del 2002, dell’istituto dell’occupazione d’urgenza38.

6.- L’incidenza e la portata delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006: gli effetti riguardanti la determinazione della giurisdizione con riferimento alle azioni restitutorie e risarcitorie riconducibili ai comportamenti della P.A.

E’ risaputo che con l’avvento del d.lgs. n. 80 del 1998 il legislatore aveva optato per una tendenziale suddivisione dei criteri attributivi della giurisdizione per le controversie nei confronti della P.A. secondo un modello di ripartizione per blocchi

pubblico), osserva: “resta il <<pasticciaccio>> del capo VII, titolo II del t.u. che con l’art. 43 rappresenta un’ambigua legittimazione di <<utilizzazione senza titolo>> cioè di nuovi comportamenti illeciti della P.A. che vengono giustificati per il solo fatto che la P.A. si trinceri dietro un interesse pubblico anche se non ha rispetto per l’iter procedimentale normativamente previsto. E’ grave che uno Stato preveda il rifiuto di tutela del diritto del privato anche nel caso espressamente previsto di <<fondatezza>> del ricorso; la tutela del diritto di proprietà del privato non dovrebbe ancora una volta ridursi al risarcimento del danno con esclusione della restituzione del bene senza limiti”; l’autore, poi, così conclude: “violazioni di legge e comportamenti illeciti non devono essere consentiti a nessuno, neppure alla P.A. che anzi dovrebbe essere d’esempio rispettando, per prima, il principio di legalità di cui all’art. 97 Cost., ribadito dall’art. 2 d.P.R. n. 327/2001, senza tentare giustificazioni con la machiavellica affermazione che il fine, <<la costruzione dell’opera pubblica>>, giustifica i mezzi adoperati, e quindi anche l’attività illecita della P.A., in quanto il primo segno della corruzione di una società è la giustificazione dei mezzi adoperati con il fine che si vorrebbe perseguire”.

37 Sul punto v., specialmente, ROLFI G., La mancata irreversibile trasformazione del fondo non configura l’ipotesi di occupazione acquisitiva, in nota a T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 4 aprile 2006, n. 1830, in Riv. giur. edil. 2006, 1041 e segg.

38 ROLFI G., in op. ult. cit., 1044, sottolinea come, alla luce della richiamata prospettiva, la motivazione dell’atto di acquisizione sanante debba essere particolarmente esaustiva in merito alla valutazione degli “interessi in conflitto”, evidenziando, inoltre, come l’intento del legislatore, con l’introduzione dell’art. 43 T.U. n. 327/2001, sembri indirizzato nel senso di giungere all’eliminazione dell’automatismo traslativo dell’acquisto del diritto di proprietà, conseguente all’attività di trasformazione della P.A. per fini di pubblica utilità.

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di materie. In base a questa logica di fondo la previsione dei “comportamenti”39 in una condizione di equiparazione con gli “atti e provvedimenti”, quale attività di manifestazione della P.A., aveva costituito lo strumento attraverso il quale il legislatore si era premurato di operare l'indiscriminata devoluzione delle controversie in “materia edilizia ed urbanistica” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: la categoria espletava nella previsione dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 una funzione

“di chiusura”, idonea ad avvalorare l’attribuzione onnicomprensiva della materia alla giurisdizione amministrativa (e ad attestare, simultaneamente, l’eccezionalità della giurisdizione ordinaria).

L’equivocità e l’inidoneità nell’ambito del sistema giuridico del termine

“comportamenti” ricollegato al profilo della giurisdizione sono state poste in risalto e, quindi, in crisi, dapprima con la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 200440 (alla quale è collegata la sentenza 28 luglio 2004, n. 281), e, poi, nell’ottica della sua riferibilità all’attività materiale scollegata dall’esercizio di qualsiasi potere pubblicistico, dalla sentenza della stessa Corte n. 191 del 200641.

Per effetto della sentenza costituzionale del 2004, la n. 204 del 6 luglio, vengono riscritti sia l’art. 33 che l’art. 34 d.lgs. 80/98: in particolare, la parola “comportamenti”

è stata espunta dal testo dell’art. 34. La pronuncia, del tipo manipolativo, è pervenuta, quindi, alla riformulazione del dettato normativo in modo da renderlo indenne da censure42.

39 Con riferimento all’impostazione originaria dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 parte della dottrina (v., ad es., AVANZINO G., La giurisdizione in materia di azione di nunciazione dopo il d.lgs. 80 del 1998, in Urb. e app.

1999, 435) proponeva un’interpretazione restrittiva, basata sulla ricostruzione sistematica dell’art. 34, sostenendo la rilevanza dei comportamenti solo nel caso in cui ci si fosse trovati di fronte all’esecuzione di un precedente atto; se così non fosse stato, si sarebbe rischiato di estendere la cognizione del giudice amministrativo anche a fattispecie tipicamente di diritto comune. Per un inquadramento sistematico della nozione di “comportamento” v. DI NOTO F.

M., I comportamenti della P.A. in materia espropriativa – tutela giurisdizionale, 2005, su www.diritto.it, 14 e segg.

40 Edita, tra le tante riviste, in Foro it. 2004, I, 2594, con note di BENINI S. - TRAVI A. e FRACCHIA F.; in Guida al dir. 2004, n. 29, 88 e segg., con nota di FORLENZA O.; in Foro amm.-C.d.S. 7/8, 2004, 1903 e segg., con nota di SATTA F.; in Dir. proc. amm. N. 4/2005, 849 e segg., con nota di DOMENICHELLI e ivi n. 1/2005, 241 e segg., con nota di MAZZAROLLI.

41 In Foro it. 2006, I, 1625, con nota di TRAVI A. e DE MARZO G.; in Riv. giur. edil. 2006, I, 465 e segg. e 779 e segg., con nota di IUDICA.

42 L’argomentazione attraverso cui si perviene alla dichiarazione di illegittimità “nei limiti” da essa precisati, è sintetizzabile nei seguenti passaggi:

- muovendo dall’esame dei lavori dell’Assemblea Costituente, al fine di rettamente intendere il disposto dell’art. 103 Cost., si afferma che il potere di indicare le “particolari materie” in cui il giudice amministrativo può conoscere anche di diritti soggettivi “non è assoluto né incondizionato”, ma deve pur considerare la natura delle posizioni giuridiche coinvolte;

- la peculiarità concerne il rapporto di tali questioni rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che esse devono fondamentalmente partecipare della medesima natura, costituita dall’agire la pubblica amministrazione come autorità nei confronti della quale al cittadino sia dato di agire davanti al giudice amministrativo, non essendo sufficiente la mera partecipazione al giudizio del soggetto munito di pubblici poteri, o il mero coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia;

- riguardo alla formulazione dell’art. 34 d. lgs. 80 del 1998, quale recata dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000, che oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso “soggetti alle stesse equiparati”) svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia, comprende nella giurisdizione esclusiva anche “i comportamenti”, l’estensione riguarda inaccettabilmente le controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere.

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I commenti alla predetta sentenza n. 204 del 200443, nella parte concernente l’art.

34 cit., hanno evidenziato, in larga misura, la necessità di correlare la scarna indicazione del dispositivo con il frammento di motivazione ad esso riferito: la giurisdizione esclusiva sui comportamenti in materia urbanistico-edilizia si sarebbe dovuta considerare illegittima, in quanto estesa a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente - alcun pubblico potere44.

L’eliminazione dei comportamenti dall’anzidetta formula normativa portava ad avvalorare, con particolare riguardo alle occupazioni illegittime, la ricostruzione che la giurisprudenza aveva nel frattempo elaborato, distinguendo le occupazioni non assistite da dichiarazione di pubblica utilità da quelle semplicemente carenti del provvedimento conclusivo della procedura ablatoria, ma caratterizzate, tuttavia, dall’esercizio del potere espropriativo45.

Era stata, però, proposta una diversa lettura della sentenza 204 del 2004, che da un lato si sforzasse di essere esente da pregiudizi dottrinali, in particolare sull’uso dei termini (“comportamento” tra tutti), e dall’altro ristabilisse un corretto ordine logico, nel rapporto tra dispositivo e motivazione46.

Ci si era chiesti se la lettura di questa sentenza autorizzasse davvero una distinzione tra i comportamenti, secondo quanto la motivazione della sentenza sembrava implicare, con il risultato di limitare la dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 34 d. lgs. n. 80/1998 a quelli che non costituivano esercizio di alcun potere, o se invece l’espulsione dei comportamenti quale modalità di manifestazione dell’azione della P.A., dall’ambito della giurisdizione esclusiva, fosse da intendere in modo assoluto e generalizzato, come pareva dovesse ricavarsi, senza alcuna incertezza, dal dispositivo della sentenza47.

43 Per una ricognizione complessiva delle inerenti questioni v., tra gli altri, FRASCA R., Giurisdizione civile e Corte Costituzionale, relazione n. 80 del 23 maggio 2005 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, in www.cortedicassazione.it, nonché LAMORGESE A., Il punto su…il riparto della giurisdizione dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, in Giur. mer. 2006, 1341-1366.

44 Così, tra gli altri, MATTARELLA B.G., Il lessico amministrativo della Consulta e il rilievo costituzionale dell’attività amministrativa, Giorn. dir. amm. 2004, 979; MADDALENA M.L., Comportamenti della p.a. in materia urbanistica e riparto di giurisdizione dopo Corte cost. 204/2004, Urb. e.app. 2005, 86; CINTIOLI F., La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale, Dir. e form., 2004, 1352.

45 La giurisdizione esclusiva era da riconoscere per l’azione risarcitoria da occupazione appropriativa, dunque in costanza di dichiarazione di pubblica utilità (Cass. 15 ottobre 2003, n. 15471, rv. 567471; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5443, in Cons. Stato, 2002, I, 2188; sez. IV, 13 settembre 2001, n. 4783, in Giust. amm., 2001, 1071; 14 giugno 2001, n. 3169, in Giur. it., 2001, 2386; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 14 giugno 2001, n.

296, in Cons. Stato, 2001, I, 1501), ed esclusa riguardo all’occupazione detta usurpativa, che configura un comportamento del tutto scollegato dal potere amministrativo e provoca una lesione del cui risarcimento è competente il giudice ordinario (Cass. 6 giugno 2003, n. 9139, in Corr. giur., 2003, 1594; 19 aprile 2004, n. 7460, rv. 572167; 9 giugno 2004, n. 10978, rv. 573494; Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819,in Cons. Stato, 2002, I, 1542; 20 maggio 2004, n. 3267, id., 2004, I, 1104).

46 V., in proposito, DE BERARDINIS P., Il riparto di giurisdizione nelle controversie risarcitorie in materia di occupazione appropriativa ed usurpativa, Urb. e app. 2005, 1055 e segg.

47 L’opinione tendenzialmente maggioritaria nella dottrina costituzionalista è nel senso che ove vi sia contraddittorietà tra gli elementi di cui si compone la sentenza, prevale il dispositivo: la volontà emergente dal corpo della motivazione non può sovrapporsi a quella espressa da un dispositivo di significato univoco (v., ad es., GARDINO CARLI A., Giudici e Corte costituzionale nel sindacato sulle leggi, Milano, 1988, 114-115).

(17)

Tale impostazione aveva portato a concludere, logicamente, che le controversie risarcitorie in tema di occupazione appropriativa fossero da attribuire alla giurisdizione ordinaria48.

Le riportate riflessioni indotte dalla necessità di conferire un significato assoluto alla sottrazione del termine “comportamenti” dal testo dell’art. 34 d.lgs. 80 del 1998, trovavano applicazione preferenziale nelle fattispecie relative ai casi in cui alla procedura di occupazione d’urgenza dell’immobile non avesse fatto seguito la conclusione del procedimento espropriativo nel termine di validità del decreto di occupazione d’urgenza (occupazione c.d. appropriativa), e a maggior ragione, nelle fattispecie in cui difettasse la dichiarazione di pubblica utilità (occupazione c.d.

usurpativa). Per tali comportamenti, in quanto incidenti su posizioni di diritto soggettivo, sembrava doversi ritenere sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, posto che principio fondamentale, nel nostro ordinamento, ribadito dalla sentenza n.

204 del 2004, è quello secondo cui, salvi i casi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, la tutela dei diritti soggettivi viene esercitata davanti al giudice ordinario. In dette ipotesi non si sarebbe potuta, invero, ravvisare neppure la giurisdizione generale di legittimità dello stesso giudice amministrativo, in quanto nell’illecito che si sostanzia attraverso l’irreversibile trasformazione del fondo - si tratti di occupazione usurpativa o di occupazione appropriativa - non sono configurabili situazioni giuridiche aventi consistenza di interesse legittimo, bensì solo situazioni di diritto soggettivo49.

Ove la Corte Costituzionale avesse semplicemente avvalorato le interpretazioni dell’art. 34 in discorso, fino a quel momento operate dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato, nel senso dell’attribuzione alla giurisdizione esclusiva, nell’ambito dei comportamenti in materia urbanistica, della sola occupazione appropriativa, la decisione avrebbe dovuto conformarsi come una statuizione interpretativa di rigetto.

L’espulsione dei comportamenti dal testo del citato art. 34 ha determinato una presunzione di esclusione della fattispecie comportamentale dalla giurisdizione esclusiva, superabile solo ove si ravvisino riscontri inequivoci sulla diretta riconducibilità dell’azione fattuale della P.A. all’attuazione di provvedimenti autoritativi: inquadrata in una diversa ottica, la dichiarazione d’incostituzionalità sarebbe intervenuta inutilmente50. Sul versante processuale, ove una domanda di restituzione o risarcimento avesse denunciato l’abusività del comportamento amministrativo di occupazione, l’eccezione dell’amministrazione convenuta, per cui quell’attività era autorizzata da un decreto, sarebbe valsa a qualificare la controversia, nella contrapposizione domanda-eccezione, come attinente all’esercizio del potere, ovvero non già ad un comportamento, ma all’attuazione di un determinato provvedimento autoritativo. Non altrettanto si sarebbe potuto affermare con

48 Vedi, più diffusamente, S. BENINI, I comportamenti in materia urbanistica ed edilizia, rel. n. 128 del 24 ottobre 2005 a cura dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo, Corte di Cassazione, in www.cortedicassazione.it.

49 Non sembrava decisiva l’osservazione, per un recupero dell’occupazione appropriativa alla giurisdizione esclusiva, che in tale figura, a differenza della fattispecie usurpativa, vi sarebbe comunque esercizio di potere, per dipanarsi l’azione amministrativa, pur in violazione delle regole del procedimento espropriativo, sotto il baluardo della dichiarazione di pubblica utilità.

50 Cfr. MARZANO L., La Corte costituzionale restituisce i comportamenti di cui all’art. 34 d.lgs. 80/98 al giudice ordinario: in tema di occupazione appropriativa una pronuncia inutiliter data?, Foro amm. - Cds 2004, 2486.

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