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Le Disposizioni Anticipate di Trattamento, come strategia per decisioni realmente condivise

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Academic year: 2022

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Contributo per Sessione n. 4: I trattamenti necessari e gli abusi, cattive e buone pratiche

Le Disposizioni Anticipate di Trattamento, come strategia per decisioni realmente condivise

Giuseppe Tibaldi – DSM-DP AUSL Modena

La Legge 219 del 22.12.17 (Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento), entrata in vigore il 31.01.18, viene considerata un passo in avanti sul piano dei diritti civili in Italia, in quanto garantisce una esplicita tutela delle decisioni personali riguardanti i trattamenti sanitari, presenti e futuri, cui accettare o rifiutare di sottoporsi (dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie per assumere tali decisioni). Anche se il dibattito che ha preceduto ed accompagnato l’iter di approvazione della legge si è concentrato quasi esclusivamente sul “fine vita”, le norme di questa legge hanno ambiti di applicazione molto più ampi, in quanto riguardano tutte le situazioni in cui è prevedibile “un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi” e la conseguente nomina di un “fiduciario, che ne faccia le veci”

in quei frangenti. Uno degli ambiti di applicazione è sicuramente quello della salute mentale, come già accade a livello internazionale.

Il processo di Riforma, iniziato con la chiusura degli Ospedali Psichiatrici, non è stato accompagnato da una critica radicale del principio di subalternità decisionale dei pazienti (rispetto alle proposte dei professionisti della salute mentale). Nella pratica quotidiana della maggioranza dei Servizi, moltissimi professionisti sono sicuri di “prendere le decisioni giuste”, a tutela degli interessi dei propri pazienti. Ciò si traduce, ad esempio, nel fatto che le proposte vengano discusse e messe a punto in riunioni a cui partecipano solo i professionisti sanitari e sociali, in assenza di paziente e familiari. Se poi tali proposte, o decisioni, non vengono accettate o condivise, non è raro che questa opposizione venga considerata qualcosa di incomprensibile oppure venga trasformata in una ulteriore manifestazione della patologia o della “mancata coscienza di malattia” del paziente, o della mancanza di “collaborazione” dei familiari.

Anche se è prevedibile che, nel prossimo futuro, le DAT vengano formulate, autonomamente, dai diretti interessati per chiedere il rispetto delle loro preferenze nelle situazioni critiche, esse possono rappresentare un’occasione preziosissima per i professionisti della salute mentale, per costruire percorsi terapeutici pienamente condivisi, che includano tutti i dettagli relativi alla gestione concordata delle situazioni critiche (come le recidive o le fasi di “rottura” degli accordi) e che vedano la piena partecipazione di tutte le persone significative della rete sociale dell’interessato (in particolare, del suo “fiduciario” e dei suoi familiari). L’esclusione dei familiari dal processo di valutazione e di trattamento non è ulteriormente accettabile ed è una delle principali critiche mosse ai professionisti dei DSM.

I tre principali ambiti di applicazione delle DAT hanno molti elementi in comune: il principale è dato dalla prevenzione e dalla gestione preordinata e condivisa delle crisi che possono verificarsi dopo la stesura dell’accordo:

1. i soggetti che soffrono di Disturbi Bipolari, che sono caratterizzati da episodi euforici che possono avere un impatto distruttivo sul piano delle relazioni familiari, affettive, lavorative ed economiche;

2. i soggetti che sono andati incontro – a prescindere dalla diagnosi specifica – a ricoveri coercitivi, cioé a TSO, in occasione di episodi critici di varia natura (clinica, comportamentale, relazionale);

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3. i soggetti che desiderano intraprendere un percorso di riduzione ed eventuale sospensione dei trattamenti psicofarmacologici e che sono consapevoli che ai possibili vantaggi – sul piano degli esiti a lungo termine - sono associati, nella fase di riduzione/sospensione, anche i rischi di episodi critici.

Uno dei contenuti della Legge 219 che può facilitare un coinvolgimento attivo dei professionisti nella formulazione delle DAT è quello dell’assunzione esplicita di responsabilità da parte del soggetto che le propone e le sottoscrive. Questo esercizio del diritto a vincolare le possibili scelte terapeutiche alle proprie preferenze può incidere profondamente sul profilo di responsabilità dei sanitari, nel momento in cui si conformino alle indicazioni vincolanti del soggetto malato.

In questa prospettiva, le DAT possono contribuire in modo significativo al ridimensionamento di tutte le scelte professionali che rientrano nelle pratiche di “psichiatria difensiva”.

Se condividiamo l’ipotesi che la tradizione coercitiva (che si esprime nella contenzione meccanica, oltre che negli ASO e nei TSO) sia uno dei residui della cultura manicomiale e, come tale, sia una pratica da superare, non possiamo che salutare positivamente l’introduzione di una Legge che ci dà uno strumento per avvicinarci a questo obiettivo.

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