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Dopo il caso Bruno Contrada la politica definisca meglio il concorso esterno in associazione mafiosa

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Giovanni Fiandaca – Intervista di Nicola Mirenzi

Dopo il caso Bruno Contrada la politica definisca meglio il concorso esterno in associazione mafiosa

www.huffingtonpost.it/ 14 aprile 2015

«Rivolgo un invito alle forze politiche perché s’impegnino a definire meglio il reato di concorso esterno in associazione mafiosa». È questo l’appello che il professor Giovanni Fiandaca – uno dei più grandi giuristi italiani, autore insieme a Giovanni Lupo di un un libro importante e molto

discusso La mafia non ha vinto (Laterza) – rivolge al parlamento italiano dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani sul caso di Bruno Contrada, che ha messo un punto a un caso giudiziario andato avanti per 23 anni, centrato su un tema tra i «più dibattuti della giustizia

italiana», intorno al quale «non solo si fanno battaglie mediatiche ma si combattono vere e proprie guerre di religione».

Professore, come giudica la sentenza della Corte di Strasburgo?

È una sentenza corretta. Hanno ragione i giudici ad affermare che «il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un'evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80» e proseguito negli anni.

L’Italia è stata condannata a pagare 10 mila euro di danni morali. La nostra giustizia non poteva prevedere che sarebbe accaduto?

Le prese di posizione della Corte europea non sempre sono così rigorose e sistematiche da poter essere previste con certezza. Dunque, no: era una pronuncia concretamente possibile, ma tutt’altro che prevedibile con certezza.

Ora il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è definito con certezza nell’ordinamento italiano?

Il caso è complesso, perché dal punto di vista normativo la situazione è indeterminata. È stata la Cassazione ad affinare i presupposti di questa responsabilità nel corso del tempo, attraverso diverse prese di posizione che hanno tentato di “tipizzare” per via giudiziaria una fattispecie in ampia parte non definita.

Non è riuscita nell’intento?

Ci sono stati tre tentativi, tradottisi in altrettante sentenze a sezioni unite: la sentenza Dell’Utri (1994), la sentenza Carnevale (2002) e la Mannino (2005). Quest’ultima, soprattutto, è molto importante per la definizione dei presupposti della rilevanza penale del concorso esterno. Ma a mio avviso neanche questa sentenza è riuscita a risolvere il problema in termini del tutto appaganti.

Dove pecca?

Il problema è che la giurisprudenza successiva alla sentenza non sempre è riuscita ad applicare in maniera fedele e rigorosa i principi fissati dalla stessa sentenza Mannino.

Ci sono stati abusi?

I principi fissati dalla sentenza Mannino sono principi garantistici, ma sono principi di non facile applicazione pratica. Per cui continuano a esserci margini di incertezza nella ricostruzione del reato. Per questo dico che la questione non è ancora risolta.

Cosa bisognerebbe fare allora?

Se le forze politiche fossero in grado di farlo – ma dubito che lo siano in questo momento – dovrebbero tipizzare i presupposti del concorso esterno.

Cioè?

Noi dovremmo rinunciare alla gestione giurisprudenziale del problema e responsabilizzare una buona volta il legislatore. Secondo il nostro ordinamento costituzionale democratico è il legislatore il titolare del potere di definire i reati. La giurisprudenza, quando lo fa, lo fa supplendo al

legislatore.

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Sta dicendo che la politica deve far cessare la supplenza della magistratura?

Sto dicendo che il legislatore dovrebbe finalmente responsabilizzarsi e prendere in mano la questione.

Si eliminerebbe così l’incertezza?

Si tenterebbe di eliminarla. Perché l’altro problema è questo, vede: anche una presa di posizione legislativa – ripeto: auspicabile – non è detto che eliminerebbe l’incertezza. Stiamo parlando di una materia sfuggente, di difficile definizione normativa. Però, certo, bisognerebbe farlo.

Giuliano Ferrara ha scritto che «l’Italia da anni “processa le ombre” e fa di un simil-reato la sostanza della persecuzione ingiusta degli innocenti fino a prova contraria»

Questa considerazione di Ferrara è eccessiva. In questi termini non la condivido. Però un problema reale esiste. È il problema di riuscire a definire meglio questo reato. Non avallo la tesi della persecuzione giudiziaria ingiustificata, però Ferrara ha ragione quando pone il problema di definire ancora meglio il reato.

Lei però non mette in dubbio che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa debba esistere?

Assolutamente. Deve esistere, ma va fissato meglio nei suoi presupposti.

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