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Psicopatologia della legislazione per il superamento degli OPG: un raccapricciante acting out cella c.d. "riforma Orlando"

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Direttore Responsabile Francesco Viganò | Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | redazione@penalecontemporaneo.it 2010-2017 Diritto Penale Contemporaneo

PSICOPATOLOGIA DELLA LEGISLAZIONE PER IL SUPERAMENTO DEGLI OPG:

UN RACCAPRICCIANTE ACTING OUT NELLA C.D. “RIFORMA ORLANDO”(*) di Francesco Schiaffo

SOMMARIO: 1. Giustizia penale e stato sociale: oltre le funzioni della pena. – 2. Le sanzioni penali tra funzioni manifeste e funzioni latenti. – 3. Il fondamento giuridico di una distorsione funzionale: la pericolosità sociale. – 4. I criteri normativi della pericolosità sociale tra teoria e prassi. – 5. I rilievi del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura dopo la visita nell’OPG di Aversa (2008). – 6. La pericolosità sociale tra aspirazioni scientifiche e funzioni politiche. – 7. Una probatio diabolica nel terzo millennio: la “pericolosità latente”. – 8. Pericolosità sociale ed evoluzioni legislative, politiche e sociali. – 9. La via maestra: la sentenza della Corte costituzionale n.253/2003. – 10. L’emersione legislativa delle strategie per il superamento degli OPG: il d.P.C.M. del 2008. – 11. La legge n.9/2012: l’art.3-ter del d.l. n.211/2011. – 12. Il testo definitivo dell’art.3-ter dopo sei riforme in due anni. – 13. La legge n.81/2014: l’abrogazione tacita del fondamento giuridico della distorsione funzionale. – 14. Gli esiti della riforma 14 anni dopo la sentenza della Corte costituzionale n.253/2003. – 15. Il raccapricciante acting out di un legislatore schizofrenico: l’art.1 co.16 lett.

d) della c.d. “riforma Orlando”.

1. Giustizia penale e stato sociale: oltre le funzioni della pena.

In materia penale il compito primario della Repubblica di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art.3 co.2 Cost.) implica, come è noto, innanzitutto pene che, nonostante il contenuto inevitabilmente afflittivo, diventano anche occasioni di politiche sociali perché «devono tendere alla rieducazione del condannato»

(art.27 co.3 Cost.).

C’è stata, tuttavia, un’epoca, ancora recente, nella storia politica e sociale dell’Italia repubblicana e democratica, in cui, per ragioni del tutto specifiche, è apparso particolarmente evidente che il rapporto tra giustizia penale e welfare non è stato conforme al disegno costituzionale.

Infatti è capitato, per esempio, che – per ragioni riconducibili anche a specifiche disposizioni legislative! –, misure di sicurezza detentive sono state applicate e,

* Il contributo costituisce il testo rielaborato dell’intervento tenuto dall’Autore al Convegno di studi su

“Giustizia e welfare. Le misure di sicurezza non detentive e le politiche sociali”, tenutosi il 31 marzo 2017 presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Salerno. Il testo, immediatamente successivo al voto di fiducia espresso dal Senato il 15 marzo 2017 sul d.d.l. S2067, è stato aggiornato in ragione della successiva e definitiva approvazione dello stesso d.d.l. con voto di fiducia espresso dalla Camera dei deputati il 14 giugno 2017.

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2 soprattutto, eseguite per ragioni che non erano riferibili in alcun modo al comportamento ed alle scelte dell’autore del fatto di reato e che, dunque, non avevano nulla a che fare con la loro primaria funzione sanzionatoria.

Piuttosto, nella prassi esse sono diventate sostituti funzionali di altre strutture sociali destinate alla realizzazione di altre forme di politica sociale.

Esemplare, in proposito, è stato il caso della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), tuttora previsto all’art.222 c.p., a cui, anche sotto questo profilo, potrebbe essere pienamente assimilato il ricovero in case di cura e custodia (CCC).

Ai sensi degli artt.219 e 220 c.p., quest’ultimo dovrebbe essere una ulteriore misura di sicurezza, diversa per disciplina, struttura e, soprattutto, destinazione.

Tuttavia, le due misure sono assimilate già nelle previsioni legislative, poiché l’art.62 co.3 l. n.354/1975 autorizza la organizzazione dei luoghi di esecuzione del ricovero in casa di cura e custodia come «sezioni interne» agli OOPPGG.

In entrambi i casi, si tratta di misure di sicurezza che, ai sensi della relativa disciplina codicistica, possono essere applicate in via provvisoria (art.206 c.p.) o definitiva a seguito della realizzazione di un «fatto preveduto dalla legge come reato»

(art.202 co.1 c.p.) da persone ritenute «socialmente pericolose» (artt.203 e 133 c.p.) e non imputabili per vizio totale di mente (OPG: art 222 c.p.) o semimputabili per vizio parziale di mente (CCC: art.219 c.p.) o, infine, anche a seguito della intervenuta infermità psichica del condannato a pena detentiva (art.148 c.p.).

2. Le sanzioni penali tra funzioni manifeste e funzioni latenti.

Il modello teorico di riferimento per l’analisi delle funzioni reali svolte da OPG e CCC è, innanzitutto, la distinzione tra funzioni latenti e funzioni manifeste di una struttura sociale.

Nella evoluzione del pensiero sociologico, essa trova una nota ed efficacissima rappresentazione nell’opera di Robert K. Merton, che, nel 1949, ritenne di poterla esemplificare nelle danze per la pioggia praticate dalle tribù degli indiani d’America. La funzione manifesta di quelle danze ne faceva un rito utile a favorire la pioggia in tempo di siccità e, ben più dell’interesse dei sociologi, avrebbe dovuto suscitare quello dei meteorologi che, meglio di altri, avrebbero potuto verificarne la reale efficacia; per i sociologi, invece, sarebbero state interessanti le funzioni latenti e reali di quei riti che, nella prospettiva specifica delle loro indagini, si risolvevano in occasioni periodiche per riunire la tribù e favorirne, quindi, la coesione sociale di fronte al comune pericolo, rappresentato, in quel caso, dalla siccità1.

Il corollario di quella distinzione teoretica era rappresentato dalla definizione di

“sostituto (o equivalente) funzionale”, assunta come riduzione concettuale del rimedio

1 R.K.MERTON, Social Theory and Social Structure (1949), III ed., New York (New York) 1968, p.118 ss.

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3 alle «deficienze funzionali della struttura ufficiale»2. Oltre le sue funzioni manifeste, una struttura sociale può svolgere, secondo modalità latenti, le funzioni proprie di altre strutture sociali che non funzionano come dovrebbero o, addirittura, non esistono: la danza per la pioggia potrebbe essere preziosa per la coesione sociale se la tribù non ha altre occasioni di aggregazione e condivisione.

Un esempio più vicino ai nostri contesti sociali potrebbe essere rappresentato dal volontariato. Nei settori in cui opera, esso potrebbe essere considerato sostituto funzionale delle istituzioni di assistenza sociale che, dato il paradigma di «solidarietà politica, economica e sociale» esplicitamente condiviso all’art.2 della Costituzione italiana, uno stato sociale dovrebbe prevedere, organizzare e, innanzitutto, finanziare.

3. Il fondamento giuridico di una distorsione funzionale: la pericolosità sociale.

Nella disciplina giuridica di riferimento, una occasione utile alla distorsione funzionale del ricovero in OPG e in CCC sarebbe stata la definizione normativa dei criteri per la valutazione della pericolosità sociale, qualora fossero stati rigorosamente e coscientemente applicati in luogo delle astruse e inquietanti creazioni giurisprudenziali che hanno prodotto, comunque, lo stesso esito.

Si tratta, come è noto, di uno dei due presupposti per l’applicazione delle misure di sicurezza, che, agli artt.202 co.1 c.p. e 204 co.1 c.p., sono indicati nella realizzazione di un «fatto preveduto dalla legge come reato» e nella pericolosità sociale del suo autore.

Mentre, però, la «legge penale» può determinare anche «i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato» (art.202 co.2 c.p.), «le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose» (art.202 co.1 c.p.) e «tutte le misure di sicurezza sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa» (art.31 co.2 l. n.663/1986).

La pericolosità sociale, dunque, è l’unico presupposto sempre necessario e mai derogabile per l’applicazione delle misure di sicurezza.

Ma, come pure è noto, non si tratta soltanto della iniziale applicazione delle misure di sicurezza personali perché, ai sensi dell’art.207 co.1 c.p., «le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose»: d’altra parte, nel sistema del codice penale non è previsto un limite massimo alla durata delle misure di sicurezza.

La regolare periodicità del riesame di pericolosità sociale – previsto all’art.208 c.p. e dettagliatamente disciplinato agli artt.69 co.4, 71-bis e 72 co.2 l. n.354/1975 nonché all’art.20 d.P.R. n.230/2000 – consente, infine, una costante verifica della persistenza del requisito essenziale della misura di sicurezza che, se confermato, determinerà l’ordinanza con cui, a conclusione del riesame, il magistrato di sorveglianza ne deciderà la proroga.

2 R.K.MERTON, op. cit., p.123.

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4 4. I criteri normativi della pericolosità sociale tra teoria e prassi.

Fino al 2014, l’assetto fondamentale della disciplina delle misure di sicurezza è stato definito in via del tutto esclusiva dalle disposizioni del codice penale del 1930.

Per oltre ottanta anni, dunque, la definizione normativa dei criteri per la valutazione di pericolosità sociale di cui al combinato disposto degli artt.203 co.2 e 133 c.p. è stata decisiva per le sorti della libertà personale degli internati in applicazione di misura di sicurezza detentiva.

Tra le «circostanze indicate nell’art.133» – da cui l’art.203 co.2 c.p. «desume» «la qualità di persona socialmente pericolosa» – diventano evidentemente preponderanti gli indici della «capacità a delinquere» di cui all.art.133 co.2 c.p., posto che lo stesso art.203 c.p., al primo comma, in via prioritaria definisce «socialmente pericolosa la persona […]

quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati».

Tuttavia, tra gli indici della capacità a delinquere di cui all’art.133 co.2 c.p. ricorre, al n.4, anche il riferimento alle «condizioni di vita personale, familiare e sociale».

In sede di riesame della pericolosità sociale, esse sono chiaramente dedotte dalle indicazioni degli «uffici locali di esecuzione penale esterna» – che, ai sensi dell’art.72 l.

n.354/1975, «svolgono, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza» – e, soprattutto, del «servizio sanitario territorialmente competente», che, ai sensi delle

«disposizioni particolari per gli infermi e i seminfermi di mente» di cui all’art.20 del D.P.R.

n.230/2000, «accede all’istituto per rilevare le condizioni e le esigenze degli interessati e concordare con gli operatori penitenziari l’individuazione delle risorse esterne utili per la loro presa in carico da parte del servizio pubblico e per il successivo reinserimento sociale».

Se, dunque, non risulta alcun “dato” utile alla modificazione o alla revoca della misura di sicurezza del ricovero in OPG o in CCC o non risultano contesti familiari o

«risorse esterne utili» per la presa in carico dell’internato (che, sotto ogni altro profilo, sarebbe invece dimissibile), per lui ricorrono comunque le condizioni per affermare la persistenza della pericolosità sociale e, quindi, la proroga della misura di sicurezza.

È evidente che, fino al 2014, OPG e CCC, in casi del genere, hanno svolto funzioni reali molto diverse dalle loro funzioni manifeste e troppo simili alle funzioni che avrebbero dovuto svolgere, invece, le strutture del servizio socio-sanitario e socio- assistenziale.

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5 5. I rilievi del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura dopo la visita nell’OPG di Aversa (2008).

Esiti di questo tipo furono rilevati nel 2009 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT), nel report pubblicato nel 2010 sulla visita avvenuta nel 2008 presso l’OPG di Aversa3.

In particolare, ai sensi dell’art.8 co.5 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti del 1987 e successivi protocolli di integrazione, ratificata dall’Italia con le leggi n.7/1989 e n.467/1998, il CPT segnalava all’Italia che, «come riconoscono gli stessi psichiatri, solo a causa della mancanza di cure adeguate e sistemazioni nella comunità esterna rimane nell’ospedale psichiatrico giudiziario il 20-30% dei pazienti internati che non rappresenta più alcun pericolo per la società e le cui condizioni psichiche non sono più tali da rendere necessaria la permanenza in un istituto psichiatrico». Con particolare «enfasi», inoltre, il CPT sottolineava che «essere privati della propria libertà personale solo a causa della mancanza di appropriate soluzioni esterne rappresenta una situazione altamente problematica».

Il CPT, pertanto, chiedeva alle autorità italiane di prendere soluzioni adeguate

«affinché i pazienti non siano trattenuti in OPG più di quanto sia necessario per le loro condizioni psichiche».

In particolare – si legge ancora nella relazione – «la delegazione del CPT nota che i vari concetti di “pericolosità sociale” (espressamente menzionato nella legislazione), pericolosità criminale (rischio di recidiva) e pericolosità psichiatrica (riferita a patologia psichiche) influenzano e interagiscono con le decisioni del magistrato di sorveglianza in sede di riesame della posizione del paziente in OPG. Finché non saranno ben definiti, questi concetti si prestano ad interpretazioni troppo ampie e soggettive».

6. La pericolosità sociale tra aspirazioni scientifiche e funzioni politiche.

Il problema potrebbe avere dimensioni ben più ampie – e potrebbe essere superato solo con soluzioni radicali! – se, come pure è stato autorevolmente affermato, si ritiene che la pericolosità sia una «malattia infantile della criminologia»4 e che sia

«indispensabile lavorare per il superamento dell’equivoco, riduttivo e non scientifico concetto di

“socialmente pericoloso”»5.

3 Italy: Visit 2008
CPT/Inf (2010) 12 | Section: 45/48 | Date: 09/04/2009
D. Psychiatric establishments / 1.

Filippo Saporito Judicial Psychiatric Hospital, Aversa / g. safeguards, in questa pagina web, n.159 s.

4 DEBUYST, La notion de dangerosité, maladie infantile de la criminologie, in Criminologie, 1984, 7 ss. che considerava la pericolosità sociale un «costrutto criminologico riconducibile alla affermazione di uno schema causale» (7 ss.) contrapposto al carattere multidisciplinare della criminologia (14 ss.)

5 Così, per tutti, FORNARI, Trattato di psichiatria forense, cit., 223. Nelle precedenti edizioni del trattato le considerazioni critiche dell’Autore erano limitate alla «nozione di pericolosità sociale psichiatrica», di cui era ritenuta «auspicabile» l’abolizione: cfr. FORNARI, Trattato di psichiatria forense (1989), II ed., Torino, 1997, 158.

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6 Il CPT, tuttavia, si limitava a rilevare la mancata precisazione nell’ordinamento italiano dei criteri per la valutazione della pericolosità sociale e ad essa riconduceva anche la deplorevole «necessità di introdurre nel processo perizie di psichiatri indipendenti che non hanno un rapporto terapeutico con il paziente».

Si tratta, sotto questo profilo, di esiti del tutto conformi alle valutazioni di chi, in passato, aveva già ritenuto che, nelle previsioni di pericolosità, «troppo spesso i tribunali si adeguano semplicemente all'opinione di psichiatri e psicologi» e che «i clinici assumono troppa responsabilità e troppo poca ne assumono i tribunali. Ma è con i tribunali e con il legislatore che la responsabilità deve restare» perché «bilanciare ordine e libertà è un problema sociopolitico e non clinico ed è un dovere dei tribunali e dei legislatori»6.

7. Una probatio diabolica nel terzo millennio: la “pericolosità latente”.

Appare esemplare, in proposito, la inquietante elaborazione giurisprudenziale del concetto di «pericolosità latente».

Nelle ordinanze degli uffici di sorveglianza, infatti, esso tradisce chiaramente la funzione di evitare, per chi lo usa, una chiara ed esclusiva assunzione della responsabilità di «bilanciare ordine e libertà» in applicazione di criteri rigorosamente giuridici per la valutazione della pericolosità sociale.

In termini giuridico-penali, l’esito è una palese ed inquietante violazione del principio di legalità (e di altri fondamentali principi che rappresentano secolari conquiste di civiltà giuridica).

Infatti, in luogo dei criteri espressamente previsti al combinato disposto degli artt.203 e 133 c.p., si è proposta la «pericolosità latente» come libera elaborazione e raccapricciante sintesi delle relazioni sull’internato comunicate al magistrato di sorveglianza dai competenti uffici sanitari e penitenziari: dipartimento di salute mentale della azienda sanitaria locale del territorio di residenza dell’internato, ufficio locale di esecuzione penale esterna, psichiatri e tecnici del gruppo di osservazione e trattamento dell’OPG di internamento.

Ciò è evidentemente accaduto quando si è affermato, per esempio, che

«l’internato non ha creato particolari problemi, ha partecipato al corso di yoga e al laboratorio teatrale, ha frequentato il corso per giardiniere, ha fruito di licenze con i familiari» e quando, contestualmente, si dava conferma che «gli operatori del servizio territoriale competente hanno partecipato alla riunione d’equipe, concludendo per la sperimentabilità del soggetto in idonea struttura esterna, poiché i familiari, pur molto affezionati e disponibili, non sono in grado di gestirlo nel quotidiano».

In tal caso, «non disponendo la ASL di […omissis…] di strutture adeguate e disponibili al caso concreto», è stata ritenuta «necessaria una ulteriore proroga» della misura di sicurezza applicata all’internato «in quanto la patologia psichiatrica che lo affligge potrebbe peggiorare,

6 COHEN,GROTH,SIEGEL, The Clinical Prediction of Dangerousness, in Crime and Delinquency, 1978, 28 ss., 38 s.

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7 riacutizzandone la pericolosità latente, qualora […omissis…] non seguisse la terapia che gli viene attualmente garantita dall’OPG»7

8. Pericolosità sociale ed evoluzioni legislative, politiche e sociali.

La «pericolosità latente», data la sua natura non verificabile e irrimediabilmente ed esclusivamente ipotetica, si risolve in una sostanziale ma palese elusione dell'obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali stabilito all'art.111 co.6 Cost., del tutto analoga a quella che, nella originaria disciplina codicistica delle misure di sicurezza, era assolutamente lecita in ragione delle presunzioni di durata e di sussistenza della pericolosità sociale previste, rispettivamente, agli artt.204 co.2 e 207 co.2 e 3, nonché, in riferimento specifico all’infermo totale di mente autore di un fatto di reato, all’art.222 c.p..

Si tratta, tuttavia, di disposizioni che, rispettivamente, furono dichiarate costituzionalmente illegittime con le sentenze della Corte costituzionale n.110/1974 e n.139/1982, per poi essere in parte espressamente abrogate all’art.89 co.1 l. n.354/1975 e all’art.31 co.1 l. n.663/1986.

Nella stessa epoca furono approvati due provvedimenti legislativi che hanno segnato la storia politica e sociale dell’Italia repubblicana.

Con la legge n.180/1978, dopo 74 anni fu abrogato, tra le altre disposizioni di legge, l’art.1 co.1 della legge n.36/1904 che disponeva che «debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé e agli altri» (art.11 l. n.180/1974).

Le disposizioni fondamentali di quella legge confluirono, poi, nella legge n.833/1978 che istitutiva e attribuiva al servizio sanitario nazionale (SSN) il compito di perseguire «la tutela della salute mentale privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione pur nella specificità delle misure terapeutiche, e da favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei disturbati psichici» (art.2 co.2 lett. G l. n.833/1978).

Era stata decisa la chiusura degli ospedali psichiatrici civili e, da quel momento, sono rimaste soltanto le disposizioni del codice penale sulle misure di sicurezza ad attribuire esplicita rilevanza giuridica alla possibilità di una pericolosità sociale dell'infermo di mente.

7 Ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, proc. n.71/2010 R.G.M.S.D., ordinanza del 1.3.2012;

in senso analogo cfr., tra le altre, Ufficio di sorveglianza di Messina, proc. n.2909/10 Reg. Es. Mis. Sic., ordinanza del 10.11.2011; Ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, proc. n.97/2009 R.G.M.S.D., ordinanza del 18.1.2012.

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8 9. La via maestra: la sentenza della Corte costituzionale n.253/2003.

La visita nell’OPG di Aversa e, poi, le osservazioni e le sollecitazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti sono intervenute, dunque, in un contesto politico e sociale già profondamente segnato dalla chiusura degli ospedali psichiatrici civili, dalla contestuale istituzione dei servizi territoriali per la salute mentale di cui alle leggi nn.180 e 833 del 1978 e, infine, dai coevi interventi della Corte costituzionale che, nel 1974 e nel 1982, anticiparono specifiche disposizioni previste nelle leggi nn.354/1975 e 663/1986 e determinarono il superamento delle presunzioni di persistenza e sussistenza della pericolosità sociale (espressamente prevista all’art.222 c.p. per l’infermo totale di mente autore di un fatto previsto dalla legge come reato).

Nel 2003 la stessa Corte costituzionale, inoltre, era intervenuta di nuovo sull’art.222 c.p. per dichiararne la illegittimità «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale» e proporre espressamente, in alternativa al ricovero in OPG, «una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice, di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica)»8.

10. L’emersione legislativa delle strategie per il superamento degli OPG: il d.P.C.M.

del 2008.

Era stato approvato, invece, nello stesso anno in cui il CPT visitava l’OPG di Aversa, il d.P.C.M. del 1 aprile 2008 che trasferì al SSN le funzioni e le strutture della sanità penitenziaria e comportò la piena equiparazione della assistenza sanitaria per cittadini liberi e cittadini ristretti e, quindi, anche la netta distinzione di funzioni penitenziarie e funzioni sanitarie all’interno degli OOPPGG.

Di questi ultimi, peraltro, per la prima volta era espressamente previsto (e delineato in tre fasi) un «programma di superamento graduale», in esplicito riferimento alla scelta di perseguire la tutela della salute mentale in modo di «eliminare ogni forma di discriminazione e segregazione», affermata nella legge n.833/1978 (allegato C, d.P.C.M.

1.4.2008).

Nello stesso anno, infine, con deliberazione del Senato del 30 luglio 2008, fu istituita la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale che, nella seduta del 20 luglio 2011, approvò la “Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari”, dove, confermando implicitamente i rilievi del CPT, si affermava la necessità di «porre un argine al fenomeno delle proroghe sistematiche della misura di sicurezza, basate su una certa dilatazione

8 Corte costituzionale, sentenza 2-18 luglio 2003 n.253, punto 3 del “considerato in diritto”.

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9 del concetto di pericolosità sociale: sovente la proroga risulta disposta non già in ragione di una condizione soggettiva di persistente pericolosità, ma bensì per la carenza di un’adeguata offerta di strutture residenziali e riabilitative esterne»9.

Era ormai chiara, sull’orizzonte della evoluzione politica e sociale, la necessità di completare e chiudere un percorso di riforme legislative iniziato trent’anni prima con la legge n.180/1978.

11. La legge n.9/2012: l’art.3-ter del d.l. n.211/2011.

L’esito fu l’introduzione dell’art.3-ter nel d.l. n.211/2011 con la legge di conversione n.9/2012.

Rubricato «disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari», il testo originario dell’art.3-ter stabiliva, innanzitutto, al 1° febbraio 2013 il

«termine per il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari già previsto all’allegato C del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008» e programmava, nello stesso co.2, la definizione ministeriale dei requisiti delle «strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia».

Nell’economia complessiva del testo originario dell’art.3-ter del d.l. n.211/2011, la soluzione residenziale ed intramuraria era assolutamente prevalente. Solo nella possibilità concessa a regioni e province autonome, ai sensi del co.5, di «assumere personale qualificato da dedicare anche ai percorsi terapeutico-riabilitativi finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari»

era possibile intravedere un riferimento implicito, estremamente vago e comunque meramente eventuale a soluzioni già chiaramente indicate e auspicate dalla Corte costituzionale nella sentenza n.253/2003 con il riferimento alla libertà vigilata in funzione terapeutica.

12. Il testo definitivo dell’art.3-ter dopo sei riforme in due anni.

Non solo per l’impossibilità di rispettare i termini stabiliti nel percorso di superamento, ma anche e soprattutto per le soluzioni proposte per il superamento, il testo originario dell’art.3-ter inserito nel d.l. n.211/2011 con la legge di conversione n.9/2012 fu rivisto sei volte in meno di due anni (d.l. n.158/2012, legge n.189/2012, d.l.

n.24/2013, legge n.57/2013, d.l. n.52/2014, legge n.81/2014)

Anche nel testo definitivo di cui alla legge n.81/2014 è rimasta, al co.4 dell’art.3- ter d.l. n.211/2011, la disposizione secondo cui, dopo la chiusura degli OOPPGG, «le

9 Senato della Repubblica, XVI legislatura, Doc.XXII-bis n.4, Commissione Parlamentale di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, approvata dalla Commissione nella seduta del 20 luglio 2011, p. 6, in questa pagina web.

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10 misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all'interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2».

Tuttavia, con il d.l. n.158/2012 il timido riferimento del co.5 alla possibilità di

«percorsi terapeutico-riabilitativi» era già diventato l’obbligo imposto alle regioni di un programma di utilizzo delle risorse che «deve consentire la realizzabilità di progetti terapeutico-riabilitativi individuali», successivamente esplicitata nella disposizione secondo cui «il programma, oltre agli interventi strutturali, prevede attività volte progressivamente a incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi di cui al comma 5 e comunque a favorire l'adozione di misure alternative all'internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari ovvero anche nelle nuove strutture di cui al comma 2, potenziando i servizi di salute mentale sul territorio», introdotta al co.6 dell’art.3-ter con il d.l. n.24/2013.

Le ulteriori modifiche di cui alla legge n.57/2013 riconducono implicitamente ma evidentemente il co.6 dell’art.3-ter alle indicazioni della sentenza n.253/2003 della Corte costituzionale.

Si dispone, infatti, che il programma regionale di utilizzo delle risorse, ai sensi del riformato co.6 dell’art.3-ter, avrebbe dovuto definire «prioritariamente tempi certi e impegni precisi per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevedendo la dimissione di tutte le persone internate per le quali l'autorità giudiziaria abbia già escluso o escluda la sussistenza della pericolosità sociale, con l'obbligo per le aziende sanitarie locali di presa in carico all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, nonché a favorire l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o all'assegnazione a casa di cura e custodia».

13. La legge n.81/2014: l’abrogazione tacita del fondamento giuridico della distorsione funzionale.

Nonostante l’implicito, ma chiarissimo riferimento alle indicazioni della Corte costituzionale, nel testo del co.6 riformato con la legge n.57/2013 restava, tuttavia, il prioritario riferimento al vincolo di una valutazione di pericolosità sociale che, orientata al criterio delle «condizioni di vita personale, familiare e sociale» – o, altrimenti, della

«pericolosità latente»! –, in assenza di «risorse esterne» utili alla presa in carico dell’internato altrimenti dimissibile, avrebbe precluso l’accesso a qualsiasi progetto terapeutico-riabilitativo individuale ed eluso, quindi, il relativo obbligo delle aziende sanitarie locali.

Non sarebbe stata superata, dunque, la distorsione funzionale degli OOPPGG.

Il rimedio è stato introdotto con la legge n.81/2014 che ha chiuso la tormentata vicenda legislativa del superamento degli OOPPGG e, in particolare, dell’art.3-ter d.l.

n.211/2011, proponendone il testo al momento definitivo e vigente.

Con una soluzione confermata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n.186/2015, la legge n.81/2014 ha riformato, in particolare, il co.4 dell’art.3-ter d.l.

n.211/2011, disponendo espressamente nel senso che l’accertamento della pericolosità sociale dell’infermo e seminfermo di mente sia effettuato «senza tenere conto delle

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11 condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale» e che «non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali».

Mai più, dunque, i «doveri di solidarietà politica economica e sociale» nei confronti dell’infermo e seminfermo di mente potranno essere adempiuti con la privazione della libertà personale e rappresentare l’unica ragione del loro internamento in ospedali psichiatrici giudiziari e case di cura e custodia.

14. Gli esiti della riforma 14 anni dopo la sentenza della Corte costituzionale n.253/2003.

L’evoluzione legislativa dell’art.3-ter del d.l. n.211/2011 può essere agevolmente sintetizzata e rappresentata come un percorso di riforme necessario a ricondurne il testo ad una coerente applicazione del principio di extrema ratio o sussidiarietà delle soluzioni intramurarie, chiaramente affermato con la sentenza n.253/2003 della Corte costituzionale (che, sotto questo profilo, condivideva chiaramente le posizioni di chi, nel 1978, aveva ispirato e sostenuto le leggi nn.180 e 833).

Nel testo vigente dell’art.3-ter d.l. n.211/2011 definito con la legge n.81/2014 e nei successivi atti di attuazione, la soluzione residenziale delle «strutture» di cui ai co.2 e 4 – che, in origine, era assolutamente preponderante nell’assetto complessivo della disposizione – è diventata, invece, meramente residuale rispetto alla progettazione di percorsi terapeutico-riabilitativi individuali.

In particolare, se rapportato ai 1500 internati che rappresenta il dato stabilizzato delle presenze in OPG intorno al 201010, il numero limitato di posti letto oggi disponibili lascia immaginare in termini assolutamente temporanei la soluzione residenziale e, al tempo stesso, tempi di permanenza che la necessità di un continuo turn-over rende inevitabilmente brevi.

Infatti, al fine evidente di evitare un percorso di istituzionalizzazione per i pazienti, l’allegato A del decreto Ministero della salute del 1.10.2012 – che, in ottemperanza del co.2 dell’art.3-ter d.l. n.211/2011, definisce i requisiti delle «strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza» del ricovero in OPG e CCC – indica per ciascuna di esse una capienza massima in 20 posti letto.

Appare, dunque, assolutamente conseguenziale il numero di 609 posti letto che, nella “Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017)”, sono calcolati nelle residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza (R.E.M.S.) attualmente funzionanti sul territorio nazionale, in via provvisoria o definitiva11.

10 Cfr. questa pagina web (elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica).

11 Cfr. Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017), in questa pagina web, p.25.

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12 Il dato di 569 pazienti a fronte di una disponibilità di 609 posti letto riportato nella stessa relazione indica, invece, chiaramente che la strada maestra del trattamento terapeutico in condizioni di libertà, già indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.253/2003, è preferita e praticata dagli operatori di settore indipendentemente da qualsiasi esigenza di turn-over.

15. Il raccapricciante acting out di un legislatore schizofrenico: l’art.1 co.16 lett. d) della c.d. “riforma Orlando”.

I risultati conseguiti nel percorso per il superamento degli OOPPGG sono evidentemente noti anche al legislatore, che, però, per altro verso sembra avere poca consapevolezza dell’impegno continuo e costante che, a tal fine, è profuso ogni giorno dagli operatori di settore.

Infatti, il 14 giugno 2017 con il voto di fiducia espresso dalla Camera dei deputati è stato approvato in via definitiva il d.d.l. C 4368 sulle “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario” che era stato già approvato dal Senato il 15 marzo 2017 con il voto fiducia espresso sul d.d.l. S 2067.

Al co.16 dell’art.1 della nuova legge è conferita delega al Governo per l’adozione di una serie di decreti legislativi.

Alla lettera d) si “tiene conto”, innanzitutto, «dell’effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e dell’assetto delle nuove residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS)».

Poi, però, usando, peraltro, una terminologia che tradisce una discutibile sensibilità politica e sociale condivisa da chi ha proposto la legge e da chi la ha approvata, si dispone che con i successivi decreti legislativi bisognerà prevedere «la destinazione alle REMS» non solo dei «soggetti [sic!] per i quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale», ma anche «dei soggetti [sic!] per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e di tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi».

Le «strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia» di cui all’art.3-ter co.2 d.l. n.211/2011 finirebbero, dunque, per essere destinate ad una serie di problemi psichici e psichiatrici che sarebbe impossibile gestire senza trasformarle nelle istituzioni totali che erano i vecchi manicomi.

Se, infatti, fossero confermate le cifre pubblicizzate a Roma nel 2013 in occasione del Secondo incontro dei Giovani Psichiatri organizzato nell’ambito della Società Italiana di Psichiatria, circa 1/3 dei detenuti negli istituti penitenziari italiani soffrirebbe di

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13 patologie psichiatriche12 e dovrebbe essere destinato, pertanto, alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

In termini assoluti, secondo gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della giustizia13, si tratterebbe di 18812 pazienti che dovrebbero essere sistemati nei 609 posti letto attualmente disponibili.

In ogni caso, sarebbe radicalmente compromesso l’esito del lungo e complesso processo legislativo, politico e sociale per il superamento degli OOPPGG che era finalmente riuscito a prevedere – e, ormai, anche a realizzare – soluzioni assolutamente conformi alla necessità di tutelare la salute mentale «in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione», conformemente a quanto previsto all’art.2 co.2 lett. G della legge n.833/1978.

12 Cfr. questa pagina web.

13 I dati aggiornati al 30 aprile 2017 riferiscono di 56436 detenuti presenti: cfr. questa pagina web.

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