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OMAGGIO A ROBERT CAPA

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Academic year: 2022

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OMAGGIO A ROBERT CAPA

Oggi ricorre il sessantaseiesimo anniversario della morte di Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernö Friedman (Budapest 1913 – TháiBinh, Vietnam 1954).

La storia della fotografia lo ha venerato, e con ragione, per l’originalità del segno che ha caratterizzato la sua vasta e straordinaria

produzione; da alcuni commentatori considerata un vero e proprio lascito per la

generazione di reporter venuti dopo di lui e dediti al fotogiornalismo che ha

caratterizzato la cultura fotografica di buona parte del Novecento, un secolo

ricco di figure carismatiche in molti ambiti.

C o n o s c i u t o c o m e u n o d e i m a g g i o r i e s p o n e n t i d e l fotogiornalismo, è sua

la famosa affermazione: “if your pictures aren’t good enough, you

aren’t close enough”. Una convinzione che gli costò la vita in Indocina, colpito dall’esplosione di una mina. Una perdita grave negli ambienti della

fotografia internazionale. Una sorte simile subì la compagna Gerda Taro,

fotografa, che morì travolta da un carro armato durante guerra civile spagnola.

Capa fu co-fondatore della Magnum Photos Inc., assieme a Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandivert.

Fu anche reporter per la rivista Life, che pubblicò i suoi reportage sulla presenza delle truppe anglo-americane nel nostro Paese.

Uomo apolide e giramondo, ebbe una vita personale intensa e

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appassionata. Seguendolo su e giù per gli scenari di guerra è possibile

cogliere l’essenza di un fotografo

audace, che non esita a mettersi in gioco con l’azzardo di un vincente per

rendere al mondo testimonianze di grande spessore fotografico, fino al fatale

momento in cui esplose la mina; una fine beffardamente coerente per un uomo che

scelse di vivere fino in fondo, con grande integrità, il mestiere di

corrispondente di guerra.

Capa asseconda il cambio di passo nella fotografia di guerra, di cui

diventa riferimento emblematico, facendosi partecipe di un nuovo modo di

vedere, deideologizzato, degli atti bellici. E ciò avviene fra la Guerra civile

spagnola e la Seconda guerra mondiale.

Infatti la tradizione di epoca precedente, fino alla Prima guerra

mondiale, imponeva un linguaggio fotografico vincolato a un monopolio formale.

Nel 2015 visitai a Milano una mostra dedicata all’autore in occasione del centenario della sua nascita, ed è proprio di questa esposizione che vorrei parlare per ricordarlo.

Una mostra incentrata sul periodo italiano. Gli anni sono quelli della Seconda guerra mondiale: una raccolta di scatti datati 1943-44.

Una rassegna di 78 immagini che trattano dello sbarco degli alleati in

Italia: Monreale, Anzio, Cassino, Palermo, Agrigento, alcuni dei luoghi toccati

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dall’evento.

Un bianco e nero di qualità indiscutibile al servizio di un realismo

limpido nelle scene ritratte, dove la guerra si mescola alla vita quotidiana

della gente, della povera gente che accoglie i soldati americani con grandi

sorrisi di sollievo e sorpresa; alcuni tendono le mani verso di loro, con la

massima apertura tipica della gente del nostro meridione, gente che non aveva

più nulla da perdere.

Foto di un’epoca nella quale la fatica di vivere era dominante, lo spaccato di un’Italia misera, nella quale la ricchezza era poter esibire un paio di pani, tenuti in mano quasi come un trofeo, passeggiando in piazza Luigi Pirandello ad Agrigento con indosso l’abito buono.

Uno sguardo concentrato sulle milizie alleate; giovani ritratti nei

loro bei volti ben nutriti della ormai vittoriosa America, i portatori di aiuti

insperati, protagonisti dell’attrazione verso lo straniero venuto a liberare

una terra lacera e affamata.

Suggestive, data l’insolita collocazione e i chiaroscuri sapientemente

distribuiti, le immagini dell’unità chirurgica allestita dagli alleati

all’interno di una chiesa.

Nel nostro mondo moderno, ve l’immaginate un’equipe chirurgica che

opera nella sagrestia o di fronte all’altare di una chiesa sconquassata dalla

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guerra?

Forse oggi sì, ce lo immaginiamo data la grave emergenza sanitaria che

stiamo vivendo a causa della pandemia. Estreme misure per far fronte a estreme

necessità.

Il dolore, la distruzione e la morte sono il nucleo tematico di questa

raccolta, eppure nelle foto di Capa ho intravisto un profondo senso della vita;

una grande forza compositiva anima le persone e i luoghi con l’ausilio di

un’enfasi storicizzante ma nessuna retorica.

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Robert Capa / Magnum Photos, © International Center of Photography

Ancora un cenno sulla dimensione culturale della fotografia di guerra di Capa: come rappresentare la violenza e la morte “in diretta”. L’autore lo fece con il “Miliziano“, e fu il primo a mostrare la morte in battaglia dandone la visione più cruda.

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Robert Capa / Magnum Photos, SPAIN. 1936. Spanish Civil War © International Center of Photography

Dalle parole di Luigi Tomassini:

La fotografia del miliziano, ma anche e forse

ancor più le fotografie dello sbarco in Normandia o della campagna d’Italia,

introducono l’aspetto relativo all’annullamento della distanza fra evento e sua

rappresentazione Quando J?nger affermava che l’azione del soldato e quella del

fotografo erano assimilabili, ma

“chi spara non può fotografare”, intendeva dire che la distanza fra

la vera esperienza di guerra e la sua rappresentazione appariva ai suoi tempi

incolmabile […] i fotografi come Robert Capa, che cercavano per primi di

fotografare da dentro l’esperienza di guerra, aprono la strada a un processo

nuovo, in cui anche quel confine appare valicabile, determinando quindi l’avvio

di una ridefinizione dei rapporti fra reale, virtuale,

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immaginario, con

conseguenze che ad oggi, forse, non siamo ancora pienamente in grado di

valutare.

Ancora, lo scrittore americano John Steinbeck:

Capa sapeva cercare, e poi sapeva usare ciò che

trovava. Sapeva, ad esempio, che la guerra, fatta in così larga misura di

emozione, non si può fotografare; ma egli spostò l’angolo, e la fotografò. Su

un volto di bambino sapeva rivelare l’orrore di tutto un popolo. Il suo

apparecchio coglieva le emozioni, e le conservava. L’opera di Capa è da sola,

tutta insieme, l’immagine di un grande cuore e di una irresistibile pietà.

…Capa era in grado di fotografare il moto, la gaiezza, la desolazione, Era in

grado di fotografare i pensieri. Ha creato un mondo, che è il mondo di Capa.

Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati e/o dal web per puro scopo divulgativo, tutte le altre sono soggette a copyright. Foto copertina Robert Capa / Magnum Photos, SPAIN. 1936. Spanish Civil War © International Center of Photography

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