OMAGGIO A ROBERT CAPA
Oggi ricorre il sessantaseiesimo anniversario della morte di Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernö Friedman (Budapest 1913 – TháiBinh, Vietnam 1954).
La storia della fotografia lo ha venerato, e con ragione, per l’originalità del segno che ha caratterizzato la sua vasta e straordinaria
produzione; da alcuni commentatori considerata un vero e proprio lascito per la
generazione di reporter venuti dopo di lui e dediti al fotogiornalismo che ha
caratterizzato la cultura fotografica di buona parte del Novecento, un secolo
ricco di figure carismatiche in molti ambiti.
C o n o s c i u t o c o m e u n o d e i m a g g i o r i e s p o n e n t i d e l fotogiornalismo, è sua
la famosa affermazione: “if your pictures aren’t good enough, you
aren’t close enough”. Una convinzione che gli costò la vita in Indocina, colpito dall’esplosione di una mina. Una perdita grave negli ambienti della
fotografia internazionale. Una sorte simile subì la compagna Gerda Taro,
fotografa, che morì travolta da un carro armato durante guerra civile spagnola.
Capa fu co-fondatore della Magnum Photos Inc., assieme a Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandivert.
Fu anche reporter per la rivista Life, che pubblicò i suoi reportage sulla presenza delle truppe anglo-americane nel nostro Paese.
Uomo apolide e giramondo, ebbe una vita personale intensa e
appassionata. Seguendolo su e giù per gli scenari di guerra è possibile
cogliere l’essenza di un fotografo
audace, che non esita a mettersi in gioco con l’azzardo di un vincente per
rendere al mondo testimonianze di grande spessore fotografico, fino al fatale
momento in cui esplose la mina; una fine beffardamente coerente per un uomo che
scelse di vivere fino in fondo, con grande integrità, il mestiere di
corrispondente di guerra.
Capa asseconda il cambio di passo nella fotografia di guerra, di cui
diventa riferimento emblematico, facendosi partecipe di un nuovo modo di
vedere, deideologizzato, degli atti bellici. E ciò avviene fra la Guerra civile
spagnola e la Seconda guerra mondiale.
Infatti la tradizione di epoca precedente, fino alla Prima guerra
mondiale, imponeva un linguaggio fotografico vincolato a un monopolio formale.
Nel 2015 visitai a Milano una mostra dedicata all’autore in occasione del centenario della sua nascita, ed è proprio di questa esposizione che vorrei parlare per ricordarlo.
Una mostra incentrata sul periodo italiano. Gli anni sono quelli della Seconda guerra mondiale: una raccolta di scatti datati 1943-44.
Una rassegna di 78 immagini che trattano dello sbarco degli alleati in
Italia: Monreale, Anzio, Cassino, Palermo, Agrigento, alcuni dei luoghi toccati
dall’evento.
Un bianco e nero di qualità indiscutibile al servizio di un realismo
limpido nelle scene ritratte, dove la guerra si mescola alla vita quotidiana
della gente, della povera gente che accoglie i soldati americani con grandi
sorrisi di sollievo e sorpresa; alcuni tendono le mani verso di loro, con la
massima apertura tipica della gente del nostro meridione, gente che non aveva
più nulla da perdere.
Foto di un’epoca nella quale la fatica di vivere era dominante, lo spaccato di un’Italia misera, nella quale la ricchezza era poter esibire un paio di pani, tenuti in mano quasi come un trofeo, passeggiando in piazza Luigi Pirandello ad Agrigento con indosso l’abito buono.
Uno sguardo concentrato sulle milizie alleate; giovani ritratti nei
loro bei volti ben nutriti della ormai vittoriosa America, i portatori di aiuti
insperati, protagonisti dell’attrazione verso lo straniero venuto a liberare
una terra lacera e affamata.
Suggestive, data l’insolita collocazione e i chiaroscuri sapientemente
distribuiti, le immagini dell’unità chirurgica allestita dagli alleati
all’interno di una chiesa.
Nel nostro mondo moderno, ve l’immaginate un’equipe chirurgica che
opera nella sagrestia o di fronte all’altare di una chiesa sconquassata dalla
guerra?
Forse oggi sì, ce lo immaginiamo data la grave emergenza sanitaria che
stiamo vivendo a causa della pandemia. Estreme misure per far fronte a estreme
necessità.
Il dolore, la distruzione e la morte sono il nucleo tematico di questa
raccolta, eppure nelle foto di Capa ho intravisto un profondo senso della vita;
una grande forza compositiva anima le persone e i luoghi con l’ausilio di
un’enfasi storicizzante ma nessuna retorica.
Robert Capa / Magnum Photos, © International Center of Photography
Ancora un cenno sulla dimensione culturale della fotografia di guerra di Capa: come rappresentare la violenza e la morte “in diretta”. L’autore lo fece con il “Miliziano“, e fu il primo a mostrare la morte in battaglia dandone la visione più cruda.
Robert Capa / Magnum Photos, SPAIN. 1936. Spanish Civil War © International Center of Photography
Dalle parole di Luigi Tomassini:
La fotografia del miliziano, ma anche e forse
ancor più le fotografie dello sbarco in Normandia o della campagna d’Italia,
introducono l’aspetto relativo all’annullamento della distanza fra evento e sua
rappresentazione Quando J?nger affermava che l’azione del soldato e quella del
fotografo erano assimilabili, ma
“chi spara non può fotografare”, intendeva dire che la distanza fra
la vera esperienza di guerra e la sua rappresentazione appariva ai suoi tempi
incolmabile […] i fotografi come Robert Capa, che cercavano per primi di
fotografare da dentro l’esperienza di guerra, aprono la strada a un processo
nuovo, in cui anche quel confine appare valicabile, determinando quindi l’avvio
di una ridefinizione dei rapporti fra reale, virtuale,
immaginario, con
conseguenze che ad oggi, forse, non siamo ancora pienamente in grado di
valutare.
Ancora, lo scrittore americano John Steinbeck:
Capa sapeva cercare, e poi sapeva usare ciò che
trovava. Sapeva, ad esempio, che la guerra, fatta in così larga misura di
emozione, non si può fotografare; ma egli spostò l’angolo, e la fotografò. Su
un volto di bambino sapeva rivelare l’orrore di tutto un popolo. Il suo
apparecchio coglieva le emozioni, e le conservava. L’opera di Capa è da sola,
tutta insieme, l’immagine di un grande cuore e di una irresistibile pietà.
…Capa era in grado di fotografare il moto, la gaiezza, la desolazione, Era in
grado di fotografare i pensieri. Ha creato un mondo, che è il mondo di Capa.
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