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CAPITOLO I L’EVOLUZIONE DEI RIFIUTI

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CAPITOLO I

L’EVOLUZIONE DEI RIFIUTI

Fin dalla preistoria ogni attività svolta dall’uomo è stata caratterizzata dalla produzione di rifiuti. Possiamo tranquillamente asserire che i rifiuti e quanto legato a loro sono in stretta relazione all’uomo, alle sue attività ed alle sue evoluzioni nel tempo.

Questi, inizialmente di origine solo organica, dato che la natura delle attività svolte dall’uomo erano la coltivazione della terra e la caccia, hanno poi cambiato notevolmente la loro caratteristica di base con il passare dei secoli e delle epoche.

Dopo un breve periodo di convivenza con i rifiuti l’uomo preistorico si accorge che il cattivo odore emanato poteva essere evitato con il semplice allontanamento dai centri di abitazione.

All’inizio, quindi, gli scarti venivano semplicemente allontanati dalle zone dove l’uomo viveva e svolgeva le poche attività rurali, questo si poteva fare con semplicità grazie alle ridotte volumetrie e ai grandi spazi disponibili dove portare i rifiuti.

Con l’evoluzione delle attività umane, la scoperta di nuovi materiali e nuove lavorazioni anche il problema rifiuti si è complicato. L’allontanamento non era più una soluzione, dato che l’espansione dei centri abitati li avvicinava ai luoghi prescelti per lo stoccaggio riproponendo il problema iniziale.

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Le molestie create dalle crescenti quantità di scarti e la pericolosità per la salute pubblica, in quel tempo solo celata dietro il semplice “cattivo odore”, hanno portato alla nascita delle prime forme di discariche, lontane dalle abitazioni, dove gli uomini depositavano i loro rifiuti senza però preoccuparsi delle conseguenze, a causa delle limitate conoscenze sull’argomento.

Un’ulteriore forma di smaltimento prende vita nel momento in cui l’uomo scopre le potenzialità del fuoco e le sfrutta a proprio vantaggio. Fra le numerose attività che l’uomo riesce a svolgere con questo elemento c’è anche la distruzione dei rifiuti, metodologia spesso preferita grazie alla sua capacità di riduzione dei volumi ed alla possibilità di praticarla in loco.

Le forme di primordiale “trattamento” dei rifiuti prodotti, viste sopra, hanno accompagnato la vita e lo sviluppo dell’uomo nel corso dei secoli e per molto tempo sono state le uniche applicate così come lo erano state dai primi uomini comparsi sulla terra.

Prima della rivoluzione industriale le famiglie, che vivevano sia in campagna che in città, basavano la loro economia sul concetto del riutilizzo e il problema rifiuti, comunque, non era ancora molto sentito.

L’avvento dell’industrializzazione nel XIX secolo ha portato alla luce il problema dei rifiuti a causa della crescita esponenziale della popolazione e allo sfruttamento intensivo delle risorse con realizzazione di nuovi prodotti e di conseguenza nuove tipologie di rifiuto.

Nel secondo dopoguerra, nasce poi la cosiddetta "civiltà dei

consumi" che ha portato ad una produzione di rifiuti via via sempre

maggiore, sia di materiale organico che di vetro, carta e prodotti nuovi come plastiche e materiali provenienti dalle industrie chimiche e siderurgiche.

Nel grafico sotto riportato è posta l’attenzione sull’aumento del potere calorico dei rifiuti urbani, caratterizzati dalla presenza di tipologie di

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materiali, quali gli imballaggi, che ne fanno lievitare il valore: il grafico 1.1 riporta l’andamento nel ventennio 1980 – 2000.

1250 1800 2200 2500 0 500 1000 1500 2000 2500 K c a l / K g 1980 1993 1997 2000 ANNO

CRESCITA DEL POTERE CALORICO DEI RSU

Grafico 1.1

Per meglio capire questi cambiamenti, riporto sotto due grafici che mostrano l’andamento nel tempo della produzione pro capite e la variazione di degradabilità naturale nel rifiuto.

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0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1500 1700 1900 2030 Anni P ro d u z io n e i n K g p ro c a p it e / a Produzione annua di rifiuti per abitante Grafico 1.2 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1500 1700 1900 2030 Anni P e rc e n tu a le Degradabilità naturale dei rifiuti Potere calorico dei rifiuti Grafico 1.3

Come si nota nei grafici, elaborati dalla rivista di settore “L’Ambiente“, si evidenziano tre aspetti fondamentali nell’evoluzione della produzione dei rifiuti:

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~ la degradabilità naturale è in diminuzione (a causa della produzione sempre maggiore di materiali di sintesi);

~ la quantità prodotta pro capite annua è in costante aumento;

~ il potere chilocalorico è in aumento (a causa della maggiore produzione e consumo di materiale prevalentemente a matrice cellulosica, lignocellulosica e soprattutto plastica).

Gli ultimi due punti trovano giustificazione, senz’altro, nella diversa composizione merceologica dei rifiuti prodotti che, in risposta alle nuove abitudini sociali e culturali, hanno dato origine ad una maggiore produzione degli imballaggi, che si ritrovano nelle diverse fasi dell’intero ciclo economico: produzione, distribuzione, vendita e consumo.

Un’altra causa dell’aumento della produzione pro capite è la cultura dell’usa e getta che si sta sempre più diffondendo.

In tabella sono riportati a titolo indicativo i poteri calorifici dei principali componenti riscontrati nei rifiuti solidi urbani (RSU).

Tab. 1.1 - Potere calorifico (

Mj/kg )

dei componenti principali degli

RSU

( * )

Carta e cartoni 12.23 – 18.56

Film cellulosici 17.09

Rifiuti alimentari 4.12 – 38.33

Legno 14.97 – 17.00

Rifiuti organici vegetali 4.79 – 18.59

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Pellami 16.86 – 18.53 Gomma 26.07 Materie Plastiche Polietilene 45.81 Polistirene 38.22 PVC 22.71 Mescole 32.82 Tessili Stracci 16.06 Tappezzerie 16.20

( * ) Fonte Commissione Europea (2000)

1.

Lo smaltimento

Il concetto di gestione e successivo smaltimento degli RSU nacque partendo dal presupposto che non era più sufficiente bruciare od allontanare i rifiuti tal quali, ed ancor più adoperarsi in pratiche che non erano eseguite in modo corretto, con la totale assenza di relative tecniche a salvaguardia della sicurezza per l’ambiente e per l’uomo.

Dagli anni ’70, grazie a una sempre crescente sensibilità nei confronti dell’ambiente, hanno cominciato ad essere redatte le prime norme in materia ambientale, che per la prima volta definivano parametri da analizzare e limiti da rispettare.

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In materia di rifiuti è necessario ricordare la Legge n. 748 del 19/10/1984 e il D.P.R. n. 915 del 04/02/1992, nonché l’applicazione dello stesso 915/82, ovvero il D.C.I. 27/07/1984.

Con il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (Decreto Ronchi) si è costituita la norma quadro di riferimento in materia di rifiuti (in attuazione alle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio) e ha cominciato a delinearsi l’attuale concetto di gestione del rifiuto, fino ad arrivare al Dlgs 152/06 (testo unico in materia ambientale) che ha sostituito le precedenti normative senza però apportare grande modificazioni ai concetti fondamentali.

Tale Decreto definisce rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto, che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A(*), di cui il detentore si disfi, o abbia deciso, o abbia l'obbligo di disfarsi”. Un oggetto o un prodotto, quindi, diventa rifiuto nel momento in cui cessa di essere utilizzato e sorge la volontà o l'obbligo di disfarsene.

(*)(Allegato A Parte IV Dlgs 152/06)

Il Decreto Ronchi introdusse anche un nuovo sistema di classificazione dei rifiuti (Catalogo Europeo dei Rifiuti, codici CER). Questo sistema, utile anche per l’identificazione dei rifiuti durante il trasporto, si basa sui seguenti

concetti:

• Origine :

-rifiuti urbani -rifiuti speciali

• Pericolosità:

- rifiuti (urbani o speciali) non pericolosi - rifiuti (urbani o speciali) pericolosi .

Prima di parlare dei metodi di smaltimento è necessario dare qualche definizione per capire come si differenziano le varie tipologie di rifiuti. Con RSU si intendono i rifiuti:

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- provenienti dalle abitazioni (sia differenziati che indifferenziati);

- non pericolosi provenienti da insediamenti industriali, diversi da quelli domestici, ma assimilabili a questi per quantità e qualità;

- giacenti su strade e aree pubbliche, spiagge, laghi, mari, rive dei fiumi; - vegetali provenienti da giardini e aree verdi.

I Rifiuti Speciali sono invece quelli provenienti da:

- lavorazioni industriali, attività agricole, artigianali, commerciali e dei servizi;

- ospedali;

- scavi, demolizioni e costruzioni;

- macchinari e apparecchiature dismesse; - veicoli, motori e loro parti;

- residui del trattamento dei rifiuti stessi.

Per quanto riguarda la pericolosità, invece, sono considerati Pericolosi i rifiuti che contengano o siano contaminati da sostanze ritenute tossiche e/o nocive per l'uomo e l'ambiente, come batterie, pile, farmaci, oli usati, pannelli contenenti amianto.

Esiste poi una diversa classificazione, valida per lo smaltimento, basata sulla natura e composizione dei rifiuti, che prevede queste categorie:

1. rifiuti inerti: vetro, rocce, materiali provenienti da demolizioni e scavi;

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2. rifiuti speciali assimilabili agli urbani ai fini dello smaltimento in discarica: imballaggi, scarti di produzioni alimentari, imbottiture, ecc.;

3. rifiuti urbani pericolosi (RUP): batterie, pile, prodotti riconoscibili dal marchio assegnato e prodotti farmaceutici. Detto quindi che è nata una nuova visione sulla problematica dei rifiuti, passando dal solo concetto di allontanamento a quello di smaltimento e gestione, diventa necessario gestire tutto il ciclo, raccolta, trasporto, trattamento, recupero e smaltimento definitivo, per annullare o almeno contenere gli impatti ambientali e sanitari.

Allo stesso tempo, in relazione alle problematiche di sfruttamento sostenibile delle risorse rinnovabili e non portato alla luce da studi dell’Organizzazione Nazionale Rifiuti (ONR), sulla capacità del pianeta Terra di sopperire alle richieste sempre crescenti della popolazione umana, lo smaltimento rifiuti comincia ad essere affrontato anche dal punto di vista di “perdita di risorse preziose”.

Questa problematica presuppone che, uno smaltimento dei rifiuti, industriali o domestici, superficiale, senza criterio logico e sensibilità ambientale, porta a una perdita di materie seconde preziose, che recuperate e riciclate contribuirebbero così a ridurre la richiesta di materie prime vergini.

Oltre alle problematiche di sfruttamento sopra descritte, la lavorazione per la trasformazione delle materie prime, costituisce fonte di produzione di rifiuti ed impiego energetico, mentre nel riciclo o nel recupero dei rifiuti l’impegno è, di contro, molto minore. Va comunque tenuto presente che anche il processo di selezione del differenziato e la lavorazione delle materie riciclate, nei loro processi di trasformazione in beni di consumo, sono a loro volta fonte di produzione dei rifiuti. E’ per questo quindi che, per non incorrere in un “circolo vizioso”, diventa prioritario un impegno nel ridurre al minimo la produzione di rifiuti superflui a monte.

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Per fare ciò la normativa nazionale (D. Lgs 22/97) e quella regionale (LR 25/98) hanno introdotto indicazioni che promuovono una gestione dei rifiuti secondo i seguenti criteri :

• Prevenzione della produzione dei rifiuti (urbani ed industriali) e della loro pericolosità

• Riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti

• Riciclaggio dei rifiuti

• Recupero di materia dai rifiuti

• Recupero di energia dai rifiuti

• Smaltimento finale dei rifiuti in condizioni di sicurezza per l'uomo e l'ambiente.

Esiste quindi anche nell’”industria” dei rifiuti uno schema a stadi sequenziali principalmente rivolto alla tutela ambientale che comprende non solo le operazioni di trattamento vere e proprie, ma si estende alla raccolta, alla movimentazione, alla manipolazione ed allo stoccaggio, a monte e a valle del complessivo iter di smaltimento e al recupero.

La figura 1.1 mostra quello che dovrebbe essere il percorso ottimale dei rifiuti in Italia. L’invio dei rifiuti direttamente in discarica e’ vietato dal Decreto Legislativo N° 22 del 05/02/1997 meglio conosciuto come Decreto Ronchi.

Lo schema rappresenta in sintesi la gestione integrata dei rifiuti.

Ma purtroppo secondo fonti ANPA APAT e come riportato sul rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti 2006 pubblicato da ONR, la discarica rappresenta in Italia ancora il metodo maggiormente utilizzato per lo smaltimento finale dei rifiuti (62% di gran lunga superiore alla media europea),

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Fig 1.1 – Schema della gestione integrata dei rifiuti

Focalizzando i flussi dei rifiuti prodotti e trattati in Toscana si evince, dalla tabella riportata, che persiste un buon allineamento con il resto d’Europa già da qualche anno. La tabella riporta, in percentuali, il ricorso alla discarica nel corso degli anni a cavallo del 2000 ed i quantitativi avviati a recupero di materia od energia.

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Tab. 1.2 - Flussi dei rifiuti prodotti e smaltiti in Toscana

(1998-2004)*

ANNO

MATERIA

ENERGIA

DISCARICA

totale

1998

14.8 9.9 75.3 100

1999

20.9 9.8 69.3

2000

24.8 10.1 65.1

2001

29.6 7.8 62.6

2002

31.9 10.1 58.0

2003

35.6 11.0 53.4

2004

37.5 11.0 51.5

(*)Fonte: La gestione dei RSU in Toscana – Osservatorio economico 1998/2004 ARRR e Regione Toscana

Ribadiamo quindi che con la reale applicazione delle indicazioni della normativa (DPR n. 915/82) la discarica dovrebbe diventare una fase residuale del sistema di gestione, alla quale sarebbero destinati solo i rifiuti non più suscettibili ad essere riciclati o trattati, nelle condizioni tecniche ed

economiche del momento.

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Il ricorso alla discarica risulterebbe perciò notevolmente ridotto, non avendo essa alcuna funzione di valorizzazione delle risorse, e comportando un rischio per l’ambiente, anche in considerazione del contributo elevato in termini di emissioni di gas serra, e di quella, non trascurabile, di numerosi composti a basse concentrazioni, molti dei quali responsabili delle molestie olfattive associate a questi impianti.

Per fornire maggiori informazioni e chiarezza sulla scelta delle metodologie, i diversi processi di trattamento dei rifiuti sono stati classificati come segue:

• Trattamenti a flusso unico (uso di una sola tecnologia per l’intero processo, come discarica e inceneritore)

• Trattamenti a flusso separato (diversi passaggi intermedi tra la produzione dei rifiuti stessi ed il loro smaltimento, impiego e riutilizzo finale, come produzione di Combustibile da Rifiuti (CDR), compost o ammendanti)

Come si vede le possibili tecnologie applicabili allo smaltimento sono diverse e la loro scelta dipende da molti fattori, tra i quali possiamo asserire che, quello fondamentale, è sicuramente la composizione del rifiuto da trattare.

La scelta della tecnologia più opportuna per il trattamento dei rifiuti, siano essi di origine urbana o industriale, deve prendere in considerazione tutta una serie di conoscenze e informazioni relative a :

• Leggi e regolamenti;

• Caratteristiche chimico – fisiche, merceologiche, e per l’aspetto puramente impiantistico, quantitative dei rifiuti;

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• Capacità di trattamento in termini di disponibilità, inerente i

quantitativi, e tecnologie di impianti, per quanto riguarda la tipologia del rifiuto;

• Problematiche di impatto ambientale.

Vista la complessità della gestione legata al trattamento dei rifiuti, a causa sia della loro costante e crescente produzione, sia della notevole eterogeneità della loro composizione, non sempre è accettabile proporre un sistema rigido di smaltimento, soprattutto per i processi a “ più stadi “.

Occorrerebbe un sistema in grado di adattarsi alle diverse tipologie di rifiuto che arrivano al sito di smaltimento, proponendo tecniche di trattamento diversificate .

Per questo motivo, in diverse realtà produttive è stato proposto ed adottato il concetto di piattaforma a più linee di trattamento, ovvero un sistema in grado di trattare, tramite tecnologie differenti, rifiuti aventi composizione diversa tra loro.

In questa tipologia di impianti, i rifiuti in ingresso, attraverso un articolato percorso di separazioni in relazione a peso specifico e dimensione, sono ripartiti generalmente, alla fine del processo, in tre flussi principali, in percentuali variabili in base alla tipologia impiantistica e dalla composizione intrinseca del rifiuto d’origine:

1. Frazione secca combustibile (40–50%) 2. Frazione organica (30-35%)

3. Sovvallo (15-25%)

1. La frazione secca combustibile, attraverso un successivo processo di affinamento e eventuale pellettizzazione (riduzione in piccoli pezzi), va a costituire il Combustibile da Rifiuto (CDR) da avviare agli impianti di termovalorizzazione.

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2. La frazione organica, successivamente stabilizzata (FOS) tramite trattamento in impianti di compostaggio, attualmente è utilizzata per copertura di discariche, con ulteriori miglioramenti sui processi e sui rifiuti in ingresso, pur non avendo utilizzi agronomici, potrebbe essere utilizzata per ripristini ambientali di cave, declini, scarpate ed aree degradate.

3. Il sovvallo, costituito da matrici ferrose, materiali ingombranti e materiali accoppiati, costituisce quella componente di scarto destinata direttamente al conferimento in discarica.

2

Sistemi di trattamento del rifiuto a flusso unico

2.1 La discarica

Secondo il Decreto Legislativo 13 gennaio 2003 n. 36, le discariche sono “aree adibite a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi; è considerata una discarica qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.”

Nonostante in Italia siano ancora il sistema predominante di smaltimento, le discariche rappresentano, purtroppo, l’impianto meno efficiente fra quelli disponibili, infatti quando il rifiuto arriva in discarica perde definitivamente la sua utilità, non può più essere valorizzato ne riutilizzato. Ci sono inoltre aspetti negativi diretti legati alla vita della discarica, che è fonte di cattivi odori, di produzione di percolato ed emissione di gas nocivi per l’ambiente.

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Le discariche dovrebbero perciò costituire la fase finale di gestione dei rifiuti, quando cioè il rifiuto non può più essere riutilizzato e recuperato e il cui unico possibile epilogo è lo stoccaggio definitivo.

La discarica per la sua natura di “reattore biologico” necessita di monitoraggi continui durante la sua gestione ma anche dopo la chiusura, in particolare è importante monitorare alcuni comparti così come evidenziati nella figura 1.1:

- Massa interna

- Strato superficiale

- Percolato

Fig. 1.2 - Struttura di una moderna discarica

L’utilizzo delle discariche come impianti di smaltimento comporta evidenti svantaggi; tra i principali citiamo:

 La vita della discarica che non supera i 10-15 anni.

 Problemi di accettazione da parte della popolazione.

 Si devono affrontare problematiche di impatto ambientale molto delicate come percolazioni. ed emissioni in atmosfera.

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Il percolato è prodotto dalla lisciviazione delle acque piovane e dalla decomposizione delle matrici organiche ancora presenti e non mineralizzate. La sua qualità e composizione dipende da:

- tipo di rifiuto;

- quantità di acqua infiltrata nel corpo della discarica; - età della discarica.

I parametri più importanti da tenere sotto controllo nel percolato, variabili con le diverse fasi temporali della discarica (stadio aerobico, stadio anaerobico non metanigeno, stadio anaerobico metanigeno instabile, stadio anaerobico metanigeno stabile)

Se la discarica non è adeguatamente impermeabilizzata il percolato può infiltrarsi nel sottosuolo e contaminare la matrice suolo e le acque sotterranee.

Il biogas, è il prodotto finale delle trasformazioni biologiche anaerobiche della sostanza organica.

La sua composizione varia a seconda della fase in cui ci troviamo (aerobica, anaerobica acida, anaerobica metanigena), ma comunque il biogas è fondamentalmente costituito da metano e anidride carbonica.

È necessario convogliare il biogas con tubature superficiali e avviarlo alla combustione in torce o a cogeneratori per il recupero energetico. Non sempre e’ possibile usarlo tal quale in centrali termiche per il teleriscaldamento per la presenza di pericolosi inquinanti.

2.2 La termodistruzione

Un altro processo a stadio unico per lo smaltimento dei rifiuti è la termodistruzione.

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La termodistruzione consiste in un processo di ossidazione dei rifiuti, effettuato in condizioni di eccesso di aria rispetto al quantitativo stechiometricamente necessario.

Le finalità della termodistruzione sono:

 La distruzione delle componenti organiche pericolose dei rifiuti

 La riduzione del peso e del volume dei rifiuti da inviare allo smaltimento

 La produzione di residui non putrescibili

 Il recupero della frazione di energia contenuta nei rifiuti In Italia il DLgs 152/06, che riprende norme europee e Decreti precedenti consente la realizzazione e la gestione di nuovi impianti se il relativo processo di combustione e' accompagnato da recupero energetico, con una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile.

Gli impianti adibiti a termodistruzione possono bruciare: sia il rifiuto tal quale, che però non permette di raggiungere temperature tali da consentire l’interconversione da energia termica a energia elettrica, sia CDR e frazione secca del rifiuto, selezionati a monte da impianti che prevedono la produzione di combustibili derivati, e che, date le loro caratteristiche calorifiche, permettono il raggiungimento e il mantenimento di temperature maggiori e quindi la produzione di energia elettrica.

La tecnica dell’incenerimento, condotta in maniera accurata, comporta molti vantaggi, tra cui:

- forte riduzione del volume dei rifiuti da conferire in discarica;

- efficacia di distruzione poco dipendente dalla composizione del rifiuto; - possibilità di recuperi energetici, anche attraverso la produzione di combustibili derivati;

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- notevole varietà di soluzioni tecnologiche;

- tecnologie di trattamento degli effluenti che limitano l’impatto ambientale dei processi.

Lo svantaggio sta però nel fatto che, con tale procedimento, si ha la formazione di ceneri e scorie, indicativamente pari al 10% del volume dei rifiuti trattati, circa il 25% in peso che, anche se prodotte da rifiuti urbani, devono essere conferite in discariche speciali, in quanto la pericolosità di queste è più alta del rifiuto d’origine.

Gli impianti di termodistruzione possono essere suddivisi in: 1) impianti di incenerimento (combustione)

2) gassificazione 3) pirolisi.

Gli impianti di incenerimento prevedono l’ossidazione ad alta temperatura (900-1200 °C), in eccesso di ossigeno, che trasforma la parte combustibile del rifiuto in anidride carbonica e vapor d’acqua.

Fig. 1.3 – Schema di un moderno inceneritore

Dopo lo scarico dei rifiuti in una fossa di accumulo, attraverso una benna, i rifiuti vengono portati all’interno di un forno dove, con tipologie di

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camere di combustione diverse (combustori a griglia, a tamburo rotante o a letto fluido) avviene la termodistruzione (vedi figura sopra).

La gassificazione prevede invece che la conversione termica del substrato organico di partenza avvenga per ossidazione parziale in difetto di ossigeno. I prodotti ottenuti dalla gassificazione avranno caratteristiche qualitative e quantitative in funzione sia della tipologia del materiale trattato e delle condizioni operative di processo, sia della quantità di aria (o di ossigeno) utilizzata.

La pirolisi, infine, è la degradazione termica in assenza di ossigeno. Questo processo termico (da circa 400 sino a 1000°C) trasforma materiale organico, e quindi anche materie plastiche post-consumo, in composti gassosi e residui carboniosi.

Tutte le tecniche di incenerimento, anche le più innovative presentano però il grosso problema ambientale legato alla produzione di fumi.

Un’altra parte quindi molto importante di un impianto di incenerimento, oltre alla camera di combustione, è la zona dedicata al trattamento e depurazione dei fumi, prima della loro cessione all’atmosfera.

Le tecnologie applicabili sono principalmente: sistemi misti secco-umido, per la rimozione dei metalli pesanti e dei composti organici altobollenti; sistemi di riduzione selettiva non catalitica, per la riduzione degli NOx.

3

Sistemi a flusso separato

Tra i processi a flusso separato trovano idonea collocazione gli impianti che trattano i rifiuti con finalità ed obiettivi mirati al recupero parziale o totale delle matrici di provenienza.

La necessità della riduzione del materiale da conferire in discarica o all’impianto di incenerimento, come previsto dal Decreto Ronchi, fornisce l’input per realizzare processi innovativi di valorizzazione dei rifiuti.

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A questo scopo, negli impianti con trattamento a flussi separati, i rifiuti in ingresso, provenienti sia da raccolta indifferenziata che differenziata, subiscono vari passaggi con diversi trattamenti.

Il passaggio fondamentale di tali trattamenti è la selezione meccanica dei componenti il rifiuto, dalla quale si ottengono diverse matrici:

- la matrice organica e lignocellulosica proveniente da raccolta differenziata, inviata a compostaggio per la produzione di Ammentanti di Qualita’;

- la matrice umida dei rifiuti indifferenziati, da cui si ottiene il Compost Grigio;

- la matrice secca proveniente da RSU, destinata alla produzione di CDR;

- la matrice ferrosa, recuperata durante la fase di selezione con appositi magneti e avviata al riciclo.

Dai canali di raccolta differenziata, oltre alle matrici putrescibili sopra viste, le altre matrici, plastica, vetro, carta ed altre riciclabili, opportunamente purificate, selezionate e lavorate, sono invece inviate al processo di recupero, che permette il loro ritorno sul mercato come materia prima seconda.

3.1 Il Combustibile da Rifiuto (CDR)

L’idea del CDR e’ nata in seguito alla consapevolezza che la combustione dei rifiuti tal quali può comportare un maggiore impatto ambientale e, come definito nel paragrafo inerente la termovalorizzazione, non

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si raggiungono le temperature tali da interconvertire l’energia termica in elettrica, a meno che non si intervenga dall’esterno per far “salire” la temperatura.

In Italia il termine CDR è stato introdotto con il DM 16 gennaio 1995 e successivamente sostituito con la nuova definizione dell'art. 6, lettera p, del D.Lgs. n. 22/1997 e successive modifiche, come: "il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche".

Le norme tecniche citate sono state poi emanate con DM 5 febbraio 1998 riguardante il recupero di rifiuti non pericolosi.

Con la direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, viene ulteriormente sostenuta la valorizzazione energetica dei rifiuti, dal momento che essi vengono inclusi tra le fonti energetiche rinnovabili privi della frazione biodegradabile che in origine contengono.

Ai fini pratici della termovalorizzazione il parametro che interessa maggiormente e’ il potere calorifico inferiore umido, il cui limite è di 3600 Kcal/Kg, in quanto la presenza di umidità, e quindi di sostanza organica, nei rifiuti porta ad una diminuzione del loro potere calorifico, e quindi a un rendimento inferiore del processo di combustione, dal momento che l’acqua passa allo stato gassoso e assorbe calore.

Perché un rifiuto possa avere un’apprezzabile resa energetica è necessario che alla termovalorizzazione venga avviato un materiale con un sufficiente contenuto di carbonio combustibile.

Per ottenere tale prodotto, è possibile operare essenzialmente attraverso tre tipi di trattamenti:

- raffinazione della frazione secca, per separazione meccanica dei rifiuti urbani (trattamento separato)

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- raffinazione dei rifiuti essiccati biologicamente o termicamente (trattamento unico)

- raffinazione della frazione secca non riciclabile proveniente dalla pulizia di materiali separati attraverso la raccolta differenziata

3.2 Il Compost Grigio

Il Compost Grigio è un prodotto della digestione aerobica della frazione organica recuperata dai rifiuti raccolti in modo indifferenziato, previo processo di compostaggio.

Per ottenere tale compost, il materiale indifferenziato in ingresso deve essere prima triturato e successivamente vagliato, per ottenere la separazione dalla frazione secca.

La frazione organica deve poi essere inviata al parco di compostaggio dove, una volta allestita in cumuli statici, deve stazionare per circa 30 giorni, nel corso dei quali il materiale è posto sotto insufflazione forzata dal basso,

FRAZIONE SECCA IMPIANTO DI BRICCHETTAGGIO TRITURAZIONE ED ESSICCAMENTO COMPATTAZIONE BRICCHETTE FLUFF

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per raggiungere tutti i punti del cumulo; tale “ossigenazione” innesca il processo di degradazione, trasformazione e stabilizzazione della sostanza organica; la temperatura raggiunta, circa 65 °C, ne igienizza i componenti; tale processo prende, appunto, il nome di “compostaggio”.

Nei trenta giorni circa la parte umida del rifiuto indifferenziato subisce la perdita delle acque di processo, che possono o percolare seguendo quindi appositi sistemi di captazione sul fondo del parco e avviate ad idoneo impianto di depurazione, oppure evaporare, e sono quindi allontanate sotto forma di vapore; queste non sono emesse direttamente in atmosfera ma, previa la depressione del parco di compostaggio e conseguente aspirazione, vengono avviate a depurazione attraverso il biofiltro.

A questo punto la matrice ormai secca è pronta per essere raffinata tramite vaglio rotante.

Per le sue qualità agronomiche chimiche e fisiche non è certo una tipologia di materiale che può essere conferito in agricoltura, dove invece sono destinati gli ammendanti di qualità, ma può comunque essere gestito in modo tale da permettere il suo utilizzo come materiale tecnico da discarica o per recuperi – ripristini ambientali.

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Schema di un impianto di Selezione dei Rifiuti Urbani Indifferenziati che prevede anche la preparazione del Compost grigio

INGRESSO R.S.U. TRITURAZIONE E VAGLIATURA PESATURA E CONTROLLO QUALITA’ DEFERRIZZAZIONE FRAZIONE SECCA FRAZIONE UMIDA IMPIANTO DI BRICCHETT. STABILIZZAZIONE TRITURAZ. ESSICCAM. COMPATTAZ. FLUFF BRICCHETTE RAFFINAZIONE COMPOST GRIGIO SCARTI DI RAFFINAZ. FERRO AL RICICLO

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3.3 Produzione di Ammendanti di Qualità

La produzione di Ammendanti di Qualità, a livello industriale, ha origine con il Decreto Ronchi, che inserisce nelle frazioni da raccogliere in modo differenziato, tra le altre, anche quelle putrescibili e lignocellulosiche.

Nasce così la necessità di trattare queste matrici, un tempo raccolte in modo indifferenziato e destinate ad impieghi limitati o direttamente alla discarica, che non ne esaltavano le qualità agronomiche.

Emerge la volontà di predisporre linee di trattamento e gestione delle “nuove matrici in ingresso” appositamente studiate.

Ecco spiegato il perché, nel panorama del compostaggio, si sono sviluppate nel corso degli anni diverse tecnologie, dai reattori, alle trincee, alle biocelle, ai circuiti dinamici, a quelli statici, aerobici od anaerobici.

La trattazione nel dettaglio di tutte le tecnologie degli ammendanti esula dei nostri scopi, tratteremo nei prossimi capitoli le varie fasi operative per la produzione di Ammendante Compostato Verde, con il solo trattamento della frazione lignocellulosica, e di Ammendante Compostato Misto, con il trattamento sia della frazione lignocellulosica che della frazione cosiddetta “umida” proveniente dalla raccolta degli scarti delle attività mercatali, dalla ristorazione e dall’utenza privata. Indichiamo soltanto due schemi che sintetizzano le fasi del processo di compostaggio delle matrici putrescibili.

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Impianto di Compostaggio di Qualita’ – A.C.M.(Ammendante

Compostato Misto)

FRAZIONE ORGANICA TRITURAZIONE E MISCELAZIONE LIGNOCELLULOSICI STABILIZZAZIONE, MATURAZIONE, RAFFINAZIONE AMMENDANTE COMPOSTATO MISTO SCARTI DISCARICA RICIRCOLI COMMERCIALIZZAZIONE RIVOLTAMENTI E MONITORAGGIO

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Impianto di Compostaggio di Qualita’ – A.C.V.(Ammendante

Compostato Verde)

MATRICI LIGNOCELLULOSICHE (POTATURE E SFALCI) TRITURAZIONE STABILIZZAZIONE, MATURAZIONE RAFFINAZIONE AMMENDANTE COMPOSTATO VERDE SCARTI COMMERCIALIZ- ZAZIONE DISCARICA RICIRCOLI RIVOLTAMENTI E MONITORAGGIO

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Il concetto di raccolta differenziata

A conclusione di questo capitolo è doveroso introdurre questo “nuovo” sistema di raccolta dei rifiuti che si pone al termine dell’evoluzione e del percorso storico.

L’ufficiale nascita della raccolta differenziata è legata all’emanazione del Decreto 22/97, meglio conosciuto col nome del Ministro dell’Ambiente di quel periodo ovvero Edo Ronchi.

Nel 1997 infatti, nel nostro Paese si forniscono le prime indicazioni su come dovrà, da lì in poi cambiare il sistema “rifiuto” toccando tutti i poli d’argomento e tutti i protagonisti, dai produttori su vasta scala ai consumatori finali e quindi ai semplici conferitori.

Il sistema sino a quell’epoca impiegato era soltanto quello che non riconosceva differenze tra i rifiuti prodotti e che potevano, quindi, essere trasferiti nei contenitori stradali “monocromatici”.

Vero è che alcune Province virtuose si erano già poste il problema prima dell’avvento del Decreto, anticipando le indicazioni che quelle norme enunciavano.

Nella prima metà degli anni “90” molte Province, tra queste anche Massa – Carrara, avevano coinvolto i cittadini in quelle che erano le prime forme di raccolta differenziata, prendendo spunto dalle frazioni più diffuse, quali carta, cartone e plastica.

Nel territorio vennero posizionati raccoglitori più o meno grandi con specifici colori che ne evidenziavano la diversità con il comune contenitore, spesso di colore grigio.

Nel 1995, come potremo vedere nel prossimo capitolo, sorge presso CERMEC il centro di stoccaggio e pressatura, per il rinvio a recupero, della carte a del cartone e sul finire del 1996 prende corpo e funzione la piazzola per la frazione plastica.

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La risposta dell’utenza è stata da subito pronta e con quantitativi importanti sin dai primi mesi di attività.

Dopo un primo periodo ben promettente si è passata ad una inversione nella risposta della cittadinanza della Provincia che raggiunge a malapena il 25% di rifiuti differenziati nel 2006, ben al di sotto dei limiti imposti dal Decreto Ronchi, ovvero almeno 35% di rifiuti raccolti con sistema differenziato entro il 2003 e che difficilmente rispetterà le direttive delle normative espresse dai piani Provinciali, ovvero 45% entro il 2008 e 65% entro i1 2012.

Il cambiamento nella risposta dell’utenza è imputabile ad un mancato coinvolgimento e ad un servizio che non ha saputo adeguarsi alle esigenze mutate nel tempo.

Nei capitoli successivi, dopo una descrizione dei soggetti interessati alla gestione dei rifiuti, si metterà in luce proprio questo aspetto grazie all’uso di indicatori di stato, pressione e risposta.

Figura

Tab. 1.1 - Potere calorifico ( Mj/kg ) dei componenti principali degli  RSU  ( * )
Fig 1.1 – Schema della gestione integrata dei rifiuti
Tab.  1.2  -  Flussi  dei  rifiuti  prodotti  e  smaltiti  in  Toscana  (1998- (1998-2004)*
Fig. 1.2 - Struttura di una moderna discarica
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