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IL BILANCIO DI ESERCIZIO LINEAMENTI INTRODUTTIVI

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CAPITOLO I

IL BILANCIO DI ESERCIZIO LINEAMENTI INTRODUTTIVI

Prima di introdurre il concetto di falso in bilancio ed entrare nel merito della sua disciplina, pare opportuno dedicare questo primo capitolo al bilancio di esercizio «corretto», ricordandone la funzione e i postulati fondamentali per la sua redazione1.

1. LA FUNZIONE DEL BILANCIO

Il bilancio d’esercizio è il documento, redatto dagli amministratori al termine del periodo amministrativo, con cui si rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria dell’azienda e il risultato economico dell’esercizio. La

1

Per approfondimenti sulla tematica del bilancio di esercizio si confronti: F. BESTA, La ragioneria. Parte prima: Ragioneria generale, Vallardi, Milano, 1922; C. CARAMIELLO, La ragioneria come disciplina di «conversione» e di «riconversione», in AA.VV., Scritti di economia aziendale per Egidio Giannessi, Pacini, Pisa, 1987; M. CATTANEO, Il bilancio di esercizio. Struttura e finalità, Etas Libri, Milano, 1979; E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale con particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979; P. ONIDA, Il bilancio di esercizio nelle imprese. Significato economico del bilancio. Problemi di valutazione, Giuffrè, Milano, 1974; A.PALMA (a cura di), Il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato, seconda edizione, Giuffrè, Milano, 1999; F. SUPERTI FURGA, Il bilancio di esercizio italiano secondo la normativa europea, terza edizione, Giuffrè, Milano, 1997; G. ZAPPA, Il reddito d’impresa, Giuffrè, Milano, 1950.

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funzione da esso assolta si è gradualmente evoluta nel tempo: inizialmente tale documento costituiva esclusivamente il principale strumento rappresentativo ed interpretativo della dinamica, con il quale i «proprietari» dell’azienda potevano valutare l’operato dei propri amministratori. Proprio per la sua capacità di sintesi della gestione, esso possiede un contenuto conoscitivo importante anche per gli stessi amministratori e per tutti i soggetti che partecipano alle decisioni aziendali (c.d. soggetti interni)2. Grazie alla sua capacità di convertire in termini monetari la dinamica aziendale3, il bilancio si è imposto, successivamente con sempre maggiore forza, quale strumento di controllo a consuntivo ed a preventivo della gestione a vantaggio dei decisori interni. In tal senso Savioli lo definisce uno strumento di conoscenza attraverso il quale “[…] verificare il perseguimento ed il mantenimento di condizioni di equilibrio del complessivo sistema aziendale”4. Per poter assolvere tale funzione è, però, necessario redigere il documento in questione periodicamente. Ciò porta i redattori del bilancio a dover basare le loro “azioni” su una ipotesi artificiosa di divisibilità della unitaria gestione, in sub-sistemi di operazioni, della durata convenzionale di un anno solare, denominati esercizi5. Questo implica la necessità di integrare i dati contabili con accertamenti e valutazioni extracontabili, chiaramente influenzate dall’esperienza e dalle percezioni del soggetto economico, finalizzate alla determinazione del reddito di periodo e del correlato capitale di gestione6, sulla base del principio della competenza economica7. Su tale concetto torneremo più diffusamente in seguito.

2

A.QUAGLI, Bilancio di esercizio e principi contabili, Giappichelli, Torino, 2004, pag. 3 e seguenti.

3

Giannessi pone in evidenza come nella conversione della dinamica aziendale in cifre possano essere distinte quattro fasi: 1) analisi dei fenomeni osservati; 2) interpretazione del loro significato; 3) discriminazione e riferimento dei caratteri dei fenomeni osservati al fine perseguito; 4) scelta dei mezzi – cifre o altri simboli – più idonei per rappresentare il materiale discriminato. E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale, op. cit., pagg. 261-264.

4

Cfr. G. SAVIOLI, Verità e falsità nel bilancio di esercizio – interpretazione del concetto di falso in bilancio alla luce dei principi di economia aziendale, Giappichelli, Torino, 1998, pag. 38.

5 L’informazione a cadenza annuale risulta tuttavia inadeguata a soddisfare le esigenze

informative del management, che ricorre sovente ai bilanci infrannuali; cfr. M. CONFALONIERI, I bilanci infrannuali, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n. 1, 1990, pag. 25 e seguenti.

6A seguito della “rivoluzione zappiana” siamo passati dal sistema patrimoniale di Besta,

che aveva come unico oggetto di rilevazione il patrimonio aziendale, al sistema reddituale, il quale sposta l’attenzione sulla misurazione del reddito prodotto dal complesso aziendale. Secondo Zappa il bilancio deve esprimere le condizioni di economicità dell’azienda, il valore

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A seguito del crescente ruolo dell’azienda nella vita dell’intera società, in particolar modo se siamo di fronte a società per azioni, con riferimento alla sua capacità di creare o distruggere posti di lavoro, di raccogliere capitali dai piccoli e medi risparmiatori, di incidere negativamente sulle risorse ambientali, la gamma dei soggetti interessati alle sue sorti si è notevolmente ampliata. Essa comprende non più soltanto soggetti interni, ma pure soggetti esterni (finanziatori, dipendenti, clienti e fornitori, ma anche associazioni di consumatori ed ambientalistiche), che per il soddisfacimento dei loro personali interessi, non sempre convergenti8, dipendono direttamente dalle vicende aziendali.

Il bilancio è divenuto, quindi, il principale strumento di comunicazione, utilizzato per informare gli stakeholder sul proprio andamento economico e finanziario9 ed è l’unico documento sul quale tali soggetti esterni possano basare i propri giudizi di convenienza. Dal punto di vista di quest’ultimi è perciò evidente l’importanza di disporre di informazioni chiare, complete e neutrali. Esse, però, assumono un’importanza strategica anche dal punto di vista delle aziende: poiché l’economia dell’impresa è essenzialmente un’economia di scambio, in cui tutti i fattori produttivi sono acquistati all’esterno e all’esterno sono collocati i risultati della produzione effettuata, è necessario che i terzi siano indotti ad intrattenere con essa rapporti economici stabili, affinché si possa

del capitale è un aspetto secondario e derivato, poiché questo ha valore solo in funzione della capacità di reddito dell’azienda. G.ZAPPA, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927.

7

M. ALLEGRINI, Le frodi nel bilancio di esercizio, pag. 53 e segg., in AA. VV., M. ALLEGRINI – G. D’ONZA – S. GARZELLA – D. MANCINI, Le frodi aziendali. Frodi amministrative, alterazioni di bilancio e computer crime, Franco Angeli, Milano, 2003.

8Secondo Amaduzzi nel bilancio “[…] convergono vari gruppi o specie di interessi che

possono tra loro collimare come possono essere in opposizione gli uni agli altri. E poiché ogni gruppo di interessi tende a far comporre il bilancio con dati criteri di fattura e di valutazione, si tratta di vedere come tale gioco si ripercuota sulla composizione di quel sistema di simboli”. A. AMADUZZI, Conflitto ed equilibrio di interessi nel bilancio dell’impresa, Cacucci, Bari, 1949, pag. 12.

9

A ragione si parla oggi di Bilancio Sociale, documento con il quale si vuole evidenziare il ruolo sociale dell’impresa fornendo informazioni in merito al rapporto impresa-lavoratori e al rapporto impresa-ambiente.

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sviluppare in modo virtuoso. Diventa allora evidente come il bilancio stesso possa essere manipolato per il raggiungimento di particolari finalità10.

Questa terza funzione di comunicazione con l’ambiente esterno si va ad aggiungere alle due precedentemente descritte, ed anche se hanno avuto origine in modo non contestuale, oggi tutte coesistono assieme. Questo può creare un concreto rischio di conflitto tra le diverse funzioni sopra illustrate: infatti si può facilmente comprendere che quanto più esso si allontana da un utilizzo esclusivamente interno, aprendosi all’esterno, divenendo di fatto pubblico, tanto più aumenterà l’esigenza di garantire ai terzi l’esistenza di un bilancio unico11 in grado di fornire informazioni chiare, attendibili, corrette e comparabili con quelle delle concorrenti. Si tratta, però di informazioni minime, di comune interesse12: il bilancio, così come tradizionalmente viene inteso13, non può soddisfare interamente le eterogenee esigenze informative delle diverse categorie di stakeholder. Gli amministratori dovranno pertanto fornire ulteriori flussi informativi, anche di natura non monetaria, a seguito delle proprie relazioni bilaterali con i vari soggetti esterni. In questo modo si è cercato di conciliare le due contrapposte esigenze, di riservatezza interna da una parte e di soddisfacimento dei bisogni informativi degli stakeholder dall’altra, ottenendo così un unico documento che, seppur maggiormente sintetico, non impedisca di rappresentare correttamente i valori fondamentali della gestione aziendale.

10

Sul tema delle politiche di bilancio si veda M. PINI, Politiche di bilancio e direzione aziendale, Etas Libri, Milano, 1991; R. VERONA, Le politiche di bilancio. Motivazioni e

riflessioni economico-aziendali, Giuffrè, Milano, 2006.

11 In passato era normale ipotizzare l’esistenza di un bilancio interno e di uno esterno

destinato a pubblicazione. Tale prassi si era sviluppata sia per motivi di segretezza, per non rendere disponibili ai terzi concorrenti informazioni riservate che possano essere da loro usate contro l’azienda stessa, sia per migliorare lo stato di salute dei conti aziendali in modo da invogliare eventuali finanziatori; ciò ha portato all’inattendibilità del bilancio pubblico.

12 In proposito Viganò osserva che per le diverse categorie di interessi esiste “[…] una

base comune di esigenze conoscitive che possono essere soddisfatte con la disponibilità di informazioni significative sull’assetto reddituale, patrimoniale, finanziario d’impresa e sulla sua evoluzione nel tempo”. A. VIGANÒ, I principi e le regole di valutazione in alcuni paesi CEE, pag. 106, in AA.VV., A. PROVASOLI (a cura di), L’IV e la VII Direttiva CEE nel processo di attuazione, Giuffrè, Milano, 1989.

13 L’art. 2423 1° comma del codice civile dispone che “Gli amministratori devono

redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa”.

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Perché sia tutelata la funzione informativa verso l’esterno, e con essa gli interessi dei soggetti terzi, ed al fine di evitare la formazione di politiche di bilancio che vadano ad inquinare il risultato di periodo, si è universalmente sviluppata una regolamentazione sempre più analitica e vincolante del bilancio di esercizio. Il compito di creare un simile sistema normativo è stato affidato sia alle leggi nazionali ed alle direttive comunitarie, sia a regolamentazioni fornite da qualificate associazioni professionali, tra le quali il più importante è il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri (CNDC e CNR). Tale regolamentazione è stata accompagnata da un sistema di controlli e dalle relative sanzioni di carattere civile e penale che assolvono anche ad un’altra importante funzione: rendere credibili le informazioni stesse.

2. I POSTULATI DI BILANCIO SECONDO IL CODICE CIVILE

L’esigenza di garantire ai terzi un’agevole comprensione della realtà aziendale attraverso le cifre14 presenti nel bilancio di esercizio è stata perseguita dal legislatore italiano disciplinando in modo sistematico tale materia15 e ponendo al vertice della piramide normativa, che disciplina la sua redazione, una clausola generale. Essa è esplicitata nel 2° comma dell’art. 2423 c.c. il cui contenuto è il seguente: “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve

14 Secondo Giannessi il processo di riconversione delle cifre in andamenti economici

avviene secondo le seguenti fasi: 1) lettura delle cifre nel loro significato formale; 2) interpretazione delle espressioni numerico – letterali; 3) interpretazione delle espressioni composte; 4) riconnessione del fenomeno considerato con gli altri fenomeni e, insieme ad essi, col sistema del quale tutti fanno parte. E.GIANNESSI, Appunti di economia aziendale, op. cit., pagg. 274-282.

15Vedi il D. Lgs. 9 aprile 1991 n. 127 emanato in attuazione della IV e VII Direttiva CEE

in materia di bilancio di esercizio e di bilancio consolidato. Tali direttive comunitarie hanno assolto alla funzione di armonizzare a livello internazionale l’impianto normativo di redazione del bilancio dei singoli paesi europei.

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rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e il risultato economico dell’esercizio.”16.

Di fatto i tre requisiti della chiarezza, della veridicità e della correttezza contenuti nella clausola generale, pur godendo di un’autonomia concettuale, concorrono congiuntamente a realizzare l’intelligibilità del bilancio, che rappresenta il vero scopo della sua redazione17. Tale più generale concetto, sottendendo i tre postulati fondamentali, vuole esprimere la capacità di rendere comprensibile ai terzi la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Gerarchicamente subordinati alla clausola generale vi sono i principi di redazione di cui all’art. 2423-bis c.c.. Essi consistono in principi contabili che, ponendosi ad un livello di generalità inferiore rispetto ai postulati ex art. 2423 c.c., forniscono esplicazioni su come perseguire l’obiettivo della rappresentazione veritiera e corretta. Questi principi ricoprono, inoltre, un ruolo di giunzione tra i postulati contenuti nell’art. 2423 c.c. e i criteri di valutazione di cui all’art. 2426 c.c., di rango ancora più inferiore, a prevalente contenuto applicativo. Dal loro rispetto dipende quindi l’adempimento di tale clausola generale. Questo, però, non implica necessariamente che il sopraccitato enunciato si esaurisca completamente nel rispetto dei principi di redazione e nei criteri di valutazione: al contrario non avrebbe senso indicare un principio generale, quando la sua applicazione si risolve nel pedissequo rispetto della successiva normativa18. Di fatto il legislatore, nella seconda parte dell’art. 2423 c.c., lascia alcuni margini di discrezionalità al redattore, laddove prevede l’obbligo di fornire informazioni complementari necessarie al raggiungimento della rappresentazione veritiera e corretta (3° comma). Ovvero, quando consente di derogare, anche se solo in casi eccezionali, alle singole disposizioni successivamente dettate, se la loro applicazione dovesse risultare incompatibile

16La IV direttiva CEE in realtà utilizza la locuzione «quadro fedele», quale traduzione

letterale dell’espressione inglese “true and fair view”. Bisogna però rilevare che la formula utilizzata nel D. Lgs. 127 /91 sembra la più esatta traduzione di tale espressione inglese: infatti true, riferito a fatti o ad affermazioni, significa vero e non fedele.

17Cfr.

F. SUPERTI FURGA, Il bilancio di esercizio italiano, op. cit., pagg. 5-8.

18Cfr.

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con tale principio generale: se dovesse cioè comportare l’esposizione in bilancio di un valore non corretto (4° comma).

Vediamo adesso nel dettaglio la clausola generale.

2.l IL PRINCIPIO DELLA CHIAREZZA

Il principio di chiarezza attiene alla forma espositiva dei documenti che compongono il bilancio ed è essenziale affinché il lettore sia in grado di comprenderne agevolmente il contenuto. Al riguardo Ferrero precisa che “[…] redigere un bilancio con chiarezza significa far sì che esso risulti pienamente comprensibile per chiunque […] deve essere perciò «trasparente» per tutti, tanto da rendere pienamente «aperta» la propria funzione informativa […]”19. Secondo Pini la chiarezza dei bilanci deve essere considerata sotto molteplici dimensioni: vi è la chiarezza morfologica, la quale attiene alla compilazione formale del documento amministrativo; vi è la chiarezza sintattica, la quale riguarda l’espressività logica del bilancio; ed infine vi è la chiarezza lessicale, la quale dovrebbe essere tenuta in considerazione allo scopo di evitare ambiguità e generalità terminologiche20.

Per poter giungere ad un «bilancio trasparente» è necessario anzitutto liberarlo dall’influsso delle cosiddette «politiche di bilancio» e delle «politiche fiscali», frutto della discrezionalità degli amministratori. In secondo luogo è opportuno accogliere la nozione di reddito prodotto21 come la più congeniale con la finalità del legislatore di pervenire ad un bilancio neutrale e comparabile.

Inoltre, nei successivi articoli del codice civile sono enunciate alcune disposizioni volte a specificare questo principio. In primo luogo è necessario il

19 Cfr.

G. FERRERO, I complementari principi della «chiarezza», della «verità» e della «correttezza» nella redazione del bilancio d’esercizio, Giuffrè, Milano, 1991, pag. 13.

20 Cfr.

M. PINI, I principi del nuovo bilancio di esercizio. Le logiche di redazione secondo il D. Lgs. 127/91 in attuazione della IV Direttiva CEE, Etas Libri, Milano, 1993, pagg. 26-30.

21 Al concetto di reddito prodotto si contrappone quello di reddito consumabile o

distribuibile; per una trattazione puntuale dell’argomento si veda G. SAVIOLI, Verità e falsità nel bilancio di esercizio, op. cit., pag. 47 e seguenti.

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rispetto degli schemi di bilancio previsti agli artt. 2424 e 2425: tale codificazione favorisce senza dubbio la chiarezza del bilancio e permette la sua comparazione nel tempo e nello spazio. L’art. 2423-ter nel 2° e 3° comma prevede inoltre la possibilità di raggruppare alcune voci o di aggiungerne altre non presenti nello schema dettato dal codice “[…] quando esso favorisce la chiarezza del bilancio”. Tale disposizione rappresenta una deroga al principio generale del divieto di raggruppamento di voci e di compensazioni di partite (1° comma, art. 2423-ter) finalizzata al raggiungimento di una maggiore trasparenza dello stesso.

In considerazione del fatto che le varie implicazioni del principio di chiarezza sono ora contenute in norme specifiche di rango inferiore, il principio di chiarezza, come clausola generale, finisce così per avere rilievo principalmente per quanto attiene alle modalità di redazione della nota integrativa, dato che questa parte del bilancio non è retta da schemi rigidi. Per tale motivo è particolarmente sentita l’esigenza di una formulazione ordinata, inequivoca, facilmente comprensibile ed esauriente.

Quest’ultima considerazione non è però di per se sufficiente a sostenere l’ipotesi di una collocazione del principio di chiarezza in posizione di minor rilievo rispetto al principio della rappresentazione veritiera e corretta.

2.2 IL PRINCIPIO DELLA RAPPRESENTAZIONE VERITIERA

In merito al concetto di verità occorre in primo luogo soffermarci su quanto affermato nella Relazione allo Schema di legge delegata. Tale relazione sottolinea l’utilizzo dell’aggettivo «veritiero», precisandone la sua portata informativa: “[…] l’impiego dell’aggettivo veritiero non significa pretendere dai redattori del bilancio – né promettere ai lettori di esso – una verità oggettiva di bilancio, irraggiungibile con riguardo ai valori stimati, ma richiedere che i redattori del bilancio operino correttamente le stime e ne rappresentino il risultato”.

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Da quanto sopra riportato si può desumere che la «verità» non deve essere intesa in senso assoluto, in quanto un bilancio non potrà mai esprimere valori che aspirano alla esattezza matematica, essendo coinvolti nei processi valutativi di fine esercizio numerosi giudizi soggettivi. Una «verità oggettiva» è quindi irraggiungibile rispetto ai valori stimati e congetturati: la loro valutazione sarà influenzata da come gli amministratori interpreteranno l’andamento della gestione e le relazioni tra eventi passati e prospettive per il futuro. La «verità» deve dunque consistere nella corrispondenza tra enunciati e giudizi accurati e sorretti da adeguate conoscenze tecniche. Ed è per questa ragione che il legislatore ha parlato di «bilancio veritiero» e non di «bilancio vero». Inoltre la veridicità implica che le stime siano attendibili: cioè, malgrado il condizionamento dell’inevitabile soggettività, i valori e le risultanze di bilancio debbono risultare ragionevolmente credibili22.

Quindi l’attendibilità del bilancio, complementare condizione dell’intelligibilità del medesimo, rispetto al processo di formazione di tale documento presuppone:

a) la verità delle quantità oggettive (valori numerari certi e assimilati, costi, ricavi e valori di capitale netto aventi origine numeraria);

b) la credibilità delle quantità stimate e congetturate che, in quanto tali, non possono essere né vere né false, possono essere solo credibili rispetto alle ipotesi che ne stanno alla base23.

A questo punto è opportuno soffermarsi sulla natura dei componenti del bilancio24.

22

In tal senso si confronti A.PALMA (a cura di), Il bilancio di esercizio, op. cit., pagg. 17-22; G. FERRERO, I complementari principi della «chiarezza», della «verità» e della «correttezza», op. cit., pagg. 9-10 e 21-25.

23

Cfr. M. ALLEGRINI, Le frodi nel bilancio di esercizio, in op. cit., pag. 56.

24 Secondo l’impostazione di Zappa i conti si dividono in originari e derivati: l’aspetto

originario è rappresentato dal movimento del denaro e dei suoi assimilati (debiti e crediti), anche chiamati conti numerari; l’aspetto derivato si riferisce invece alle grandezze economiche. I conti numerari si dividono, a loro volta, in tre sottocategorie: certi, assimilati e presunti.

Sono conti certi la cassa e la banca; i conti assimilati sono incerti nell’ammontare o nel periodo di disponibilità; mentre i conti presunti sono incerti sia nell’ammontare che nel periodo di disponibilità. G. ZAPPA, Il reddito d’impresa, Giuffrè, Milano, 1950, pagg. 427-502.

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Come è noto, i valori numerici che compongono il bilancio sono sostanzialmente di tre tipi, a seconda del grado di verificabilità che li caratterizza. Si distingue, come sopra detto, in valori certi, stimati e congetturati25.

I valori certi derivano da scambi avvenuti con terze economie, sono perciò già espressi in moneta di conto e quindi non necessitano di alcun processo valutativo.

I valori certi sono gli unici ad essere suscettibili di un giudizio di verità/falsità, in quanto oggettivamente verificabili e quantificabili in modo univoco attraverso il confronto tra i valori indicati in bilancio e i fatti posti in essere nel periodo rilevato. Tale verifica si basa sul confronto con le rilevazioni effettuate in contabilità generale, che hanno registrato le avvenute operazioni di vendita o di acquisto, di competenza dell’esercizio, alle quali tali valori si riferiscono. La loro alterazione rende il bilancio oggettivamente falso poiché incapace di rappresentare la reale situazione aziendale.

Ne sono un esempio l’ammontare del denaro in cassa o presso la banca, i costi e i ricavi derivanti da rapporti con terze economie e il conseguente valore nominale dei crediti e debiti.

Per questa peculiarità si distinguono dai valori stimati, costituenti quelle poste non ancora realizzate nell’esercizio, ma che si realizzeranno in quelli futuri. Sono quindi valori previsionali, ma anch’essi correlati direttamente a valori e prezzi, suscettibili di verifica tra previsione indicata in bilancio e valore effettivo futuro, oggettivamente misurabile. Tuttavia tale tipo di confronto, in sede di valutazione di falsità di bilancio, può rivelarsi fuorviante. Colui che valuterà la veridicità di tali tipi di valori, dovrà porsi nella stessa ottica temporale del redattore, e cercare di valutare tali poste con le stesse informazioni di cui, quest’ultimo, poteva disporre in quel tempo.

Esempi di tali tipi di valori sono individuabili, ad esempio, nell’ammontare delle fatture da ricevere alla chiusura dell’esercizio o nel valore di realizzo o di estinzione dei crediti o debiti in valuta estera.

25 Cfr.

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Elemento in comune tra i valori certi e quelli stimati è la riscontrabilità di una correlazione diretta con i prezzi di mercato. La differenza della possibilità di riscontro è di tipo temporale: questo sarà contestuale all’analisi per la prima categoria di valori, e futuro per la seconda26.

Appartengono, infine, alla categoria dei valori congetturati, quelli espressi sulla base delle ipotesi della gestione futura. Tali valori nascono per l’esigenza di quantificare il risultato di periodo dell’esercizio, convenzionalmente creato andando a suddividere la vita aziendale e il contributo dei singoli fattori produttivi a fecondità ripetuta. Ne deriva che tali poste saranno valutate sulla base di assunti ed ipotesi gestionali che sono ad esclusivo appannaggio dell’organo amministrativo. Sono il risultato di mere congetture il cui accertamento non sarà mai suscettibile di una verifica empirica, ma potrà concernere solo sulla coerenza tra i valori stessi e le assunzioni di base. Per tali valori il giudizio esprimibile non potrà mai essere di verità o falsità, bensì di mera attendibilità.

Per tali tipi di voci, infine, è importante, ai fini di una verifica di attendibilità, risalire alle condizioni interne ed esterne che hanno portato i redattori a formulare le ipotesi di gestione dalle quali sono scaturite le scelte valutative.

Esempi di tali voci sono:

a) nello stato patrimoniale, le attività relative a fattori di produzione a fecondità ripetuta, immobilizzazioni materiali ed immateriali (quali costi d'impianto ed avviamento);

b) nel conto economico, le quote d'ammortamento di valori sub a) e le rimanenze.

26I valori stimati, basati su previsioni, ammettono verifica nel momento in cui i valori

previsti si verificano”. F. SUPERTI FURGA, Le valutazioni di bilancio, seconda edizione, Arnoldo Mondadori, Milano, 1979, pag. 24.

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2.3 IL PRINCIPIO DELLA CORRETTEZZA

La definizione del principio di correttezza è tutt’altro che agevole, perché si corre sovente il rischio di confonderlo con il principio della chiarezza e della verità: infatti, un bilancio non corretto è anche un bilancio non redatto con chiarezza oppure che presenta stime non credibili, quindi inattendibile. E’, invece, opinione della dottrina economico-aziendale27 che i tre principi cardine mantengano un proprio autonomo significato, pur agendo congiuntamente per rendere tale documento trasparente e per garantirne l’intelligibilità. In altri termini, “Integrazione tra i tre principi di redazione non vuol dire confusione del loro complementare ruolo”28.

Il principio di correttezza attiene all’atteggiamento che il redattore deve assumere nel momento della sua formazione: esso sottende il rispetto delle norme di legge e dei principi contabili in modo tale da giungere ad un bilancio trasparente e neutrale che non privilegi per forma e contenuto qualche centro di interesse particolare. Quindi tale principio è “[…] evocativo dei valori etici e morali che ci si attende siano a fondamento delle decisioni degli amministratori […]”29. Ne consegue che “[…] un bilancio può dirsi «corretto» a condizione innanzitutto che il suo contenuto – al di là degli stretti obblighi di legge – possa servire per rendere edotti in maniera esaustiva i terzi circa i tratti quali-quantitativi della gestione che hanno contrassegnato le vicende dell’impresa nel periodo di riferimento […]”30. L’esaustività informativa, però, non basta: affinché la correttezza possa sussistere è necessario che l’informazione medesima sia fondata sul rispetto di quei principi posti dal legislatore per limitare la discrezionalità degli amministratori e favorire la verificabilità delle loro valutazioni. Da ciò deriva una stretta correlazione tra il principio di correttezza e

27A tale proposito si consulti

F. SUPERTI FURGA, Il bilancio di esercizio italiano, op. cit.; G. FERRERO, I complementari principi della «chiarezza», della «verità» e della «correttezza», op. cit.; A.PALMA (a cura di), Il bilancio di esercizio, op. cit..

28 Cfr.

G. FERRERO, I complementari principi della «chiarezza», della «verità» e della «correttezza», op. cit., pag. 10.

29

M. PINI, I principi del nuovo bilancio di esercizio, op. cit., pag. 32.

30

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i principi di redazione, in particolar modo con il principio di prudenza, espresso dall’art. 2423-bis al punto n°131.

Concludendo questa breve analisi dei postulati costituenti la clausola generale, possiamo osservare che, benché siano tutti essenziali per il perseguimento dell’intelligibilità, la mancanza di uno di essi comporta diversi gradi di gravità nella tutela dei terzi destinatari del bilancio. E’ evidente che il danno potenziale per il lettore derivante da un difetto di veridicità è ben maggiore rispetto a quello che si produce quando tale prospetto manca di chiarezza. Nel primo caso il lettore, ignaro delle alterazioni, interpreterebbe in modo errato i fenomeni economici, con il rischio di prendere decisioni nocive per i propri interessi. Nel secondo caso, invece, il lettore è consapevole della difficoltà di attuare il processo di conversione delle cifre in andamenti economici e, pertanto, sarà più prudente nel prendere le sue decisioni.

3. I PRINCIPI DI REDAZIONE DEL BILANCIO

Come precedentemente accennato tali principi ricoprono un ruolo intermedio tra i postulati generali di cui all’art. 2423 c.c. ed i criteri analitici di valutazione disciplinati all’art. 2426 c.c.. Essi consistono in regole generali, le quali indicano le modalità con cui contabilizzare i fatti della gestione, contenute nell’art. 2423-bis c.c.32.

31Al riguardo si consulti

G. FERRERO, I complementari principi della «chiarezza», della «verità» e della «correttezza», op. cit., pagg. 27-33.

32Art. 2423-bis c.c.:

“Nella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti principi:

1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato;

2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio; 3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio,

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Al punto n. 1) il legislatore italiano ha inserito insieme due diversi principi, che la IV Direttiva esponeva separatamente, ovvero il principio della prudenza e quello di continuità dell’attività. Sebbene sia ipotizzabile che il legislatore non intendesse realizzare una gerarchia tra tali principi, è opinione autorevole33 che il principio di continuità della gestione sia sovraordinato agli altri, poiché solo nel presupposto della continuità assumono significato tutti i postulati di bilancio. Oltre a ciò, tale principio costituisce condizione di esistenza dell’azienda stessa, la quale viene tradizionalmente definita come un istituto economico atto a perdurare nel tempo34. Il principio della continuità indica che le operazioni in corso alla chiusura dell’esercizio devono essere valutate tenendo presente che l’impresa è «in funzionamento», cioè è proiettata nel futuro. Di conseguenza l’esito di tali operazioni sarà condizionato dal verificarsi o meno di particolari eventi futuri ed incerti. Da qui l’esigenza di individuare dei prudenziali valori-limite, massimi per le attività e minimi per le passività, che conferiscano correttezza al bilancio.

Il principio di prudenza assume un significato molto ampio. Esso rappresenta un vero e proprio «stile di vita» al quale gli amministratori si devono uniformare nel redigere il bilancio di esercizio, nel senso che tutte le volte che

4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;

5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente; 6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.

Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico”.

33

In tal senso Ferrero sostiene che “[…] il principio della «continuità» […] appare definibile come «principio prioritario»”. G. FERRERO, I complementari principi della

«chiarezza», della «verità» e della «correttezza», op. cit., pag. 2. Anche Superti Furga rileva che “[…] la continuità è il primo postulato […] che condiziona tutte le valutazioni del bilancio di esercizio”. F. SUPERTI FURGA, Il bilancio di esercizio italiano, op. cit., pag. 13.

34L’azienda ha normalmente la prospettiva di durare nel tempo, nel caso in cui, invece,

intenda cessare la propria attività dovrebbe redigere un altro tipo di bilancio (di fusione, di liquidazione ecc.) con diverse logiche di valutazione. In tali casi si parla di bilanci straordinari. Sul concetto di azienda e di equilibrio economico aziendale si rimanda a E. GIANNESSI, Le aziende di produzione originaria. Vol. I. Le aziende agricole, Editrice Libreria Goliardica, Pisa, 1958, pagg. 57-67; F. SUPETI FURGA, Reddito e capitale nel bilancio di esercizio, seconda edizione, Giuffrè, Milano, 1991, pagg. 71-77. “L’azienda, per svolgere nel tempo la propria funzione produttiva, deve raggiungere e mantenere un adeguato rapporto tra i costi […] ed i ricavi […]”. R. CORTICELLI, La crescita dell’azienda. Ordine ed equilibrio nell’unità produttiva, Giuffrè, Milano, 1998, pag. 85.

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devono presentare stime e valutazioni, devono sempre scegliere quella più prudente, nel rispetto della rappresentazione veritiera e corretta35. Ciò significa che la prudenza deve essere equilibrata36, cioè non esasperata, per un verso, né minimizzata, per l’altro, in modo tale da non ledere i postulati della veridicità e correttezza. Tale principio potrebbe essere sinteticamente definito come la «regola asimmetrica»37 secondo la quale gli utili non ancora realizzati non possono essere inviati al conto economico, mentre i costi o le perdite solo temute devono trovarvi collocazione38. Questo modo di procedere è volto a tutelare la conservazione del capitale aziendale per evitare la distribuzione di utili incerti e il conseguente danno ai terzi creditori. Per una maggiore tutela di questi ultimi il legislatore ha perciò preferito imporre la redazione di un bilancio più prudente.

Con la riforma del diritto societario (D. Lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003) è stato modificato questo primo punto dell’art. 2423-bis c.c. con l’introduzione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Questo vuol dire che quando c’è incompatibilità tra dato formale e dato sostanziale si deve dare la precedenza al dato sostanziale. I casi più ricorrenti sono quelli delle operazioni pronti contro termine e delle operazioni di leasing. Per quanto riguarda i contratti di pronti contro termine devono essere trattati come un’unica operazione di finanziamento e non, come avveniva prima quando erano viste dal punto di vista formale, come due operazioni autonome: una di vendita di titoli ed una di riacquisto ad una scadenza successiva. Con la conseguenza che, se l’operazione

35

In caso di contrasto “[…] il requisito della rappresentazione veritiera e corretta deve prevalere sul principio di prudenza.” F. SUPERTI FURGA, Il bilancio di esercizio italiano, op. cit., pag. 18. Con la nuova normativa di bilancio tale contrasto si manifesta in due diversi casi: le partecipazioni possono essere valutate, anziché al costo di acquisizione, al valore corrispondente alla frazione posseduta del patrimonio netto della società partecipata, risultante dall’ultimo bilancio (art. 2426 n. 4); i lavori in corso su ordinazione possono essere valutati, anziché sulla base del costo sostenuto, tenendo conto dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza (art. 2426 n. 11). In entrambi i casi la prudenziale valutazione al costo non garantirebbe una rappresentazione veritiera e corretta del risultato economico d’esercizio.

36 Cfr.

G. FERRERO, I complementari principi della «chiarezza», della «verità» e della «correttezza», op. cit., pag. 28.

37In tal senso si veda A.Q

UAGLI, Bilancio di esercizio e principi contabili, op. cit., pag. 24.

38 Per convenzione un ricavo si considera realizzato quando è avvenuto il realizzo

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avveniva a cavallo tra due esercizi, nel bilancio di fine anno erano esposte liquidità maggiori, ma non si aveva nessuna traccia del futuro riacquisto.

Ai punti n. 2) e n. 4) sono contenute delle disposizioni che da una parte consistono nella specificazione del principio di prudenza e dall’altra rappresentano una logica conseguenza del principio della competenza economica esaminato nel punto n. 3). Infatti, il punto n. 2 dell’art. 2423-bis recita che “si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio” e nel successivo n. 4 si legge che “si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo”. Tale disposizione consiste nella mera acquisizione di informazioni pervenute successivamente al 31/12, ma entro il termine per la redazione del bilancio, in merito ad eventi negativi che hanno avuto origine nel corso del periodo amministrativo trascorso e che sono, quindi, di sua competenza economica.

Un altro principio cardine per la formazione del bilancio è il principio di competenza economica contenuto nel punto n. 3), derivante dall’esigenza di attribuire ad ogni esercizio, artificialmente creato, costi e ricavi relativi alle operazioni in esso compiute in modo tale da determinare il reddito del periodo. In base a tale principio i costi ed i ricavi vanno assegnati all’esercizio in cui le operazioni generatrici degli stessi si realizzano, indipendentemente dalla loro manifestazione monetaria, che può essere anticipata o posticipata rispetto all’anno in cui sono imputati a conto economico39. Per poter meglio comprendere quando un costo o un ricavo può considerarsi di competenza occorre, però, fare riferimento al principio contabile n. 11 emanato dal CNDC, secondo il quale la competenza economica può essere considerata come il prodotto tra i principi di realizzazione e di correlazione. Secondo il primo i ricavi si considerano di competenza solo se lo scambio è già avvenuto, cioè al momento della spedizione o quando i servizi sono resi. Mentre i costi saranno di competenza in base alla correlazione o meno con i ricavi imputati all’esercizio. Il principio di correlazione afferma così la dipendenza funzionale dei costi rispetto ai ricavi:

39Viene così sancita la prevalenza della competenza economica su quella temporale. Cfr.

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solo quei costi che possono essere associati ai ricavi realizzati nel periodo oggetto di valutazione concorrono alla determinazione del reddito di riferimento. Mentre i costi già sostenuti che non sono inerenti ai ricavi realizzati, ma che contribuiranno alla realizzazione di ricavi nel futuro, devono essere «sospesi» ed iscritti nello stato patrimoniale, in modo tale da essere imputati al periodo in cui si realizzeranno i ricavi a loro correlati (vedi, ad esempio, i costi delle rimanenze di magazzino). Tale correlazione si realizza per associazione di causa ad effetto tra costi e ricavi. Non sempre, però, tale legame è facilmente determinabile e nel caso in cui sia comunque stimata un’utilità futura, la correlazione tra costi e ricavi si realizza attraverso la ripartizione di tale costo in modo razionale e sistematico tra i periodi che beneficeranno di tale utilità (un esempio è dato dall’ammortamento dei fattori durevoli). Infine, nell’ipotesi in cui i costi sostenuti non siano associabili ai ricavi realizzati né siano in grado di generare un’utilità futura per l’azienda, essi saranno imputati direttamente al conto economico dell’esercizio in cui sono stati sostenuti40.

Proseguendo nell’analisi della norma civilistica incontriamo al punto n. 5) il principio della valutazione separata degli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci. Questo principio mira ad evitare che, tramite una valutazione complessiva, le perdite presunte relative a particolari elementi siano compensate con utili presunti derivanti dalla valutazione di altri elementi. Il principio in esame non deve essere confuso con il divieto di compensazioni di partite (art. 2423-ter 1° comma), perché, il primo fa riferimento alla valutazione, mentre il secondo all’esposizione dei valori in bilancio.

All’ultimo punto dell’art. 2423-bis troviamo il principio di continuità dei criteri di valutazione. Tale principio assume una particolare importanza, sia perché può essere considerato un’applicazione della clausola della chiarezza, sia perché la costanza nei criteri di valutazione mira ad esaltare la neutralità del bilancio, favorendone la comparabilità nel tempo e nello spazio. Mantenere gli stessi criteri nel tempo consente, da una parte, di ridurre lo spazio di manovra

40 Cfr.

A.PALMA (a cura di), Il bilancio di esercizio, op. cit., pagg. 58-60; A.QUAGLI, Bilancio di esercizio e principi contabili, op. cit., pagg. 32-33.

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degli amministratori, che potrebbero mutare i criteri per ottenere risultati migliori e, dall’altra, di pervenire ad un bilancio comparabile con quello degli anni precedenti, in modo tale da facilitare i terzi nella conoscenza delle condizioni di economicità dell’organismo produttivo. Si consideri, peraltro, che questo principio non è assoluto: il 2° comma dell’art. 2423-bis c.c. prevede una deroga, ammessa solo in casi eccezionali. Quando vi sono mutamenti rilevanti nelle condizioni ambientali in cui l’azienda opera, è prevista la possibilità di modificare i criteri valutativi, a condizione che ne sia data spiegazione nella nota integrativa. Quest’ultima dovrà inoltre mettere a confronto i due diversi metodi valutativi in modo tale da porre in evidenza l’influenza che il mutamento del criterio avrà sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico.

Concludendo mi sento di dover rimarcare ancora una volta che in ogni caso questa deroga deve operarsi solo quando la costanza di applicazione condurrebbe alla violazione dei principi della rappresentazione veritiera e corretta, primario postulato del bilancio.

4. LA DISCREZIONALITA’ NELLA REDAZIONE DEL BILANCIO

Come già accennato, la convenzionale ripartizione dell’unitaria gestione aziendale in più esercizi amministrativi, per esigenze informative e conoscitive, impone agli amministratori di compiere valutazioni, al fine di assegnare41 ad ogni periodo i costi e i ricavi di competenza. Per tale motivo, alla formazione del reddito di esercizio concorrono sia grandezze oggettive, certe, sia valori caratterizzati da un margine di soggettività ed incertezza, in quanto collegati ad operazioni ancora da ultimare. Si parla, a proposito di questi ultimi, di valori

41Tale termine è stato preferito, dalla dottrina maggioritaria, alla precedente espressione

“determinazione del reddito” la quale, come osserva Amodeo, “[…] sembrerebbe suggerire la possibilità di una incontrovertibile conoscenza, conseguibile attraverso l’impiego di «regole» e «criteri» non opinabili […]”. D. AMODEO, Le gestioni industriali produttrici di beni, Utet, Torino, 1982, pag. 296.

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stimati e congetturati, perché il loro ammontare potrà essere determinato solo a seguito di un processo valutativo. Si può, quindi, ben capire che il bilancio non può essere visto come la mera risultante di regole tecnico-contabili che consentono la formazione di prospetti numerici matematicamente verificabili, ma è l’ultimo atto di un percorso logico-economico tutt’altro che agevole. Tale percorso richiede un qualificato impegno professionale volto all’ottenimento di quei giudizi di valore che permettano di assegnare il reddito all’esercizio in chiusura.

La conseguenza di quanto ora affermato è l’impossibilità del bilancio di “[…] permettere una conoscenza oggettiva ed incontrovertibile della tumultuosa realtà in cui è inserita la combinazione produttiva. Con esso, semmai, si deve tendere ad una raffigurazione, la più attendibile possibile, anche sotto l’aspetto di ragionevoli proiezioni future, della effettiva condizione in cui versa l’unità operativa, nell’aspetto economico, finanziario e patrimoniale”42. Pertanto in tema di bilancio non sembra corretto parlare di «verità» o di «falsità», bensì di «attendibilità» e «ragionevolezza»43.

Ricordiamo che i fattori che impediscono al documento di sintesi di rappresentare una realtà assoluta sono molteplici: oltre alla discrezionalità delle valutazioni, trattata nel presente paragrafo, possiamo citare la presenza di valori stimati e congetturati e la molteplicità di interessi coinvolti nella redazione del bilancio. Da tale considerazione si evince il carattere di difficoltà nella formulazione di un giudizio in merito alla sua correttezza e veridicità. Si consideri inoltre, che la giurisprudenza ha posto a carico di chi contesta tale documento l’onere di dimostrarne la falsità, così da evitare che lo strumento dell’impugnativa del bilancio venga strumentalizzato al solo scopo di disturbare l’operato degli amministratori.

Al fine di assottigliare la loro discrezionalità e, quindi, di giungere ad un prospetto il più oggettivo e neutrale possibile, il legislatore ha provveduto, nel

42 Cfr.

S. PROSPERI, Ambiti di discrezionalità dell’organo amministrativo in sede di valutazioni di bilancio, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, Anno 1999, n. 1/2, pagg. 71-72.

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corso del secolo passato, ad introdurre una normativa sempre più stringente per contrastare le politiche di bilancio. Benché si siano fatti enormi progressi in tal senso dal Codice di commercio del 1882, i vuoti e le inesattezze legislative, gli inevitabili limiti degli strumenti giuridici e lo stesso legislatore44 consentono ancora ampi margini di manovra45.

La discrezionalità concessa, però, non deve necessariamente essere considerata una pecca nella normativa di bilancio. Secondo Vianello, infatti, solo gli amministratori, nel momento in cui redigono il bilancio, sono in grado di scegliere adeguatamente i metodi di valutazione più idonei per valutare correttamente la gestione nel suo complesso e i singoli elementi patrimoniali nello specifico46. La presenza di disposizioni specifiche e inderogabili potrebbe, al contrario, ridurne drasticamente la capacità informativa. Inoltre, come sottolinea Amaduzzi, nessuna regola di valutazione può essere in grado di donare al bilancio connotati di certezza47. Tutto ciò ci porta alla conclusione che parte della discrezionalità sia ineliminabile.

Secondo l’impostazione proposta da Pini vi possono essere tre diverse accezioni di discrezionalità, che generano altrettanti tipi di politiche di bilancio:

ideale, ideologica e strumentale48.

Prima di approfondire tali concetti è necessario chiarire il significato di «politica di bilancio»: comunemente tale termine viene interpretato nel senso di comportamenti deliberatamente strumentali al raggiungimento di particolari finalità, con conseguente manipolazione dei dati di bilancio a discapito della

44

È lo stesso Codice civile che consente delle deroghe ai principi generali, ad esempio permettendo il raggruppamento o l’aggiunta di voci nello schema di bilancio, o lasciando liberi gli amministratori di scegliere il metodo di valutazione che ritengono più idoneo a rappresentare la realtà aziendale. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si veda: F. PODDIGHE (a cura di), Profili di economia aziendale. Bilancio di esercizio, valori mobiliari, imposte sul reddito e I.V.A., Volume I, Cedam, Padova, 2003, pag. 6 e seguenti.

45 In tal senso si confronti

R. VERONA, Le politiche di bilancio, op. cit., pagg. 3-31.

46Cfr.

V. VIANELLO, Istituzioni di Ragioneria Generale, quarta edizione, Pierro, Napoli, 1924, pag. 557.

47Cfr. A.A

MADUZZI, Conflitto ed equilibrio di interessi, op. cit., pag. 21 e pag. 147.

48 Per un approfondimento sulle diverse dimensioni che la politica di bilancio può

assumere, si veda M. PINI, Politiche di bilancio e direzione aziendale, op. cit., pag. 10 e seguenti.

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rappresentazione veritiera e corretta49. In realtà la «politica di bilancio» consiste in una «scelta»50, che gli amministratori sono chiamati a compiere nel processo valutativo volto ad attribuire il reddito di periodo all’esercizio considerato. Quindi, non necessariamente, essa porterà alla falsità del bilancio.

Con l’approccio ideale gli amministratori sono realmente intenzionati a fornire una rappresentazione oggettiva della realtà aziendale, anche se non raggiungibile in assoluto. Il secondo tipo di discrezionalità, di carattere

ideologico, porta gli amministratori, anche se involontariamente e

inconsciamente, a redigere un bilancio influenzato dalle proprie convinzioni, dalla propria cultura e dal proprio modo di vedere la realtà e di affrontarla51. Le diverse esperienze professionali e le differenze connesse all’ambiente socioculturale, come i valori dominanti nella società e le ideologie politiche, inevitabilmente influenzano la percezione personale della realtà, con la conseguenza che ogni soggetto potrà giungere a valutazioni diverse, ma ugualmente corrette, purché supportate dalla buona fede. Con riguardo all’ambiente socioculturale si può sottolineare, inoltre, che le diverse lingue nazionali con le quali viene redatto il bilancio rappresentano un ostacolo alla sua comparabilità a livello internazionale, in quanto nell’ambito di ogni lingua si sviluppa, in genere, un proprio linguaggio tecnico-specialistico. Quando la buona fede manca e la libertà di scelta viene utilizzata per favorire gli interessi di particolari soggetti, quali gli amministratori o i soci di maggioranza, allora la discrezionalità diventa strumentale. È nei confronti di questo tipo di politica di bilancio che si concentrano le attenzioni dei revisori contabili, al fine di smascherarle ed eliminarne gli effetti, ma non è certo agevole distinguerle dalla discrezionalità ideologica. Sulle diverse tipologie di politiche di bilancio strumentali e sulla loro liceità torneremo nei capitoli successivi.

49 A tal proposito Amodeo precisa che la “La politica di bilancio non è sinonimo di

alcunché di artefatto o di insincero e di falso, anche se sia suscettibile di degradare fino a questo livello”. D. AMODEO, Le gestioni industriali, op. cit., pag. 435.

50In tal senso si consulti,

F. SUPERTI FURGA, Reddito e capitale, op. cit., pag. 79.

51Non si dimentichi che “Nel bilancio predomina la valutazione, cioè un’interpretazione

personale della realtà, non dunque la misurazione come riproduzione tendenzialmente obiettiva”. F. PODDIGHE, La manutenzione degli impianti. Aspetti economico-aziendali, Vallerini, Pisa, 1979, pag. 161.

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5. ASPETTI INTRODUTTIVI DELLE DIVERSE CASISTICHE DELL’ERRORE

Il principio di intelligibilità sancito dal legislatore può, tuttavia, non essere conseguito dai redattori del bilancio, i quali possono incorrere in una serie di inesattezze che presentano un diverso grado di gravità. Per meglio comprendere la complessa disciplina del falso in bilancio sembra opportuno individuare le possibili casistiche dell’errore.

Innanzitutto la non intelligibilità del bilancio è da imputare a comportamenti involontari o volontari. I comportamenti involontari sono attribuibili ad errori in buona fede derivanti dall’incertezza nell’applicazione di alcune norme o dalla non sufficiente conoscenza dei principi contabili. Nei comportamenti volontari, invece, vi è l’intenzione da parte del redattore di modificare la rappresentazione della realtà al fine di conseguire un indebito vantaggio a scapito dei terzi52. Da entrambe le ipotesi può scaturire un giudizio di inattendibilità del bilancio e conseguenti sanzioni civili, alle quali si aggiungono nella seconda fattispecie53, quelle penali.

Ad un livello di gravità meno elevato potremmo inserire gli errori formali, i quali derivano dal mancato rispetto delle singole regole e dei principi che presiedono alla formazione del bilancio. Generalmente essi rientrano negli atti involontari e sono facilmente riconoscibili, quindi non sono tali da condurre i terzi in errore. In questi casi, pertanto, non è possibile parlare di bilancio inattendibile. Di tale opinione è la Cassazione, la quale “[…] ha indirettamente sottolineato l’irrilevanza di impugnative di bilancio fondate su vizi di natura puramente formale […]”54, data l’impossibilità di evitare ogni inesattezza o

52 In tal senso si confronti

M. ALLEGRINI, Le frodi nel bilancio di esercizio, in op. cit., pagg. 57-58.

53Tale fattispecie può essere ricondotta nel campo delle frodi. La frode deriva da uno o

più atti intenzionali effettuati allo scopo di ottenere per sé un vantaggio ingiusto, causando un danno finanziario a terzi soggetti.

54

F. FRANGUELLI – K. GIUSEPPONI, Il falso in bilancio, Maggioli Editore, Rimini, 1997, pag. 78.

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errore. Di maggior importanza sono, invece, gli errori sostanziali, definiti come l’indicazione di poste non vere o di diverso importo o l’omissione di poste vere che siano tali da ingenerare, in ordine alla situazione economico-patrimoniale, incertezze ed erronee rappresentazioni. Tale tipologia di errore fa riferimento al documento nel suo complesso e alla sua capacità informativa, di conseguenza la verità o falsità del bilancio va stabilita sulla base dell’affidabilità delle informazioni trasmesse, pertanto non basta aver disatteso una regola per poter parlare di bilancio falso.

Infine, è necessario distinguere le inesattezze tra rilevanti ed irrilevanti. Ciò significa che la verifica del rispetto dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza deve avvenire sulla base del parametro qualitativo della rilevanza. Vi è unanimità dei consensi nel dichiarare che “[…] errori da cui derivano effetti dell’ordine dello 0,5-1% sui risultati di bilancio sono praticamente irrilevanti sulla qualità delle informazioni […]”55. Affinché alterazioni di valori o distorsioni informative implichino l’inattendibilità dei dati contenuti nel bilancio, è necessario che esse producano effetti rilevanti sulla sua capacità informativa tali da ledere gli interessi dei terzi.

Da questa classificazione possiamo evincere che solo per le alterazioni sostanziali e rilevanti compiute con un intento fraudolento, alle conseguenze civilistiche si aggiungono quelle penali con l’assoggettamento al reato di falso in bilancio, di cui agli artt. 2621 e 2622 del Codice civile.

55

P. CAPALDO, Reddito, capitale e bilancio di esercizio. Una introduzione, Giuffrè, Milano, 1998, pag. 244.

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