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Academic year: 2021

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1 1.2 Conflict Resolution

Prima di giungere ad una definizione del concetto conflict resolution è opportuno fare un breve cenno alla sua storia ed evoluzione durante gli anni, e soprattutto alla sua stretta correlazione con lo sviluppo e la visione dei concetti collegabili come pace e guerra.

Benché alcuni studiosi fanno risalire la nascita di studi legati alla pace e alla guerra a tempi antichi, la maggior parte degli studiosi ritiene che gli orrori, le sofferenze, e le distruzioni prodotte dalle due guerre mondiali abbiano indotto molti scienziati a ricercare alternative al paradigma del realismo politico il quale dominava le relazioni internazionali a quel tempo. Da questa ricerca si sono prodotte successivamente nuove teorie sulle origini, la natura e le dinamiche del conflitto che tutt’oggi dominano la disciplina delle relazioni internazionali.

Secondo il sociologo J. Scimecca, l’istituzionalizzazione della conflict resolution come ambito di studi teorici ed applicativi dipendeva oltre che dall’impatto della seconda guerra mondiale e dalla nascita dei cosiddetti “conflitti a bassa intensità” che hanno caratterizzato le relazioni internazionali negli anni ’70- ’80, anche da altri fattori come ad esempio dai nuovi sviluppi nelle relazioni tra organizzazioni, dall’introduzione del problem- solving workshop nelle relazioni internazionali, dal passaggio dall’attivismo a un più preciso coinvolgimento alle attività di peacekeeping e dall’introduzione dell’ADR (alternative dispute resolution, trad. risoluzione alternativa della controversia).

Difatti, la conflict resolution si costituisce come un campo preciso di studi teorici e applicativi prendendo le distanze dai tradizionali processi autoritari e antagonistici, per dar spazio a processi decisionali più collaborativi e tesi alla soluzione di problemi. Il termine conflict resolution, deriva dall’inglese e negli ultimi trent’anni viene utilizzato sia per denotare lo studio scientifico dei processi di risoluzione dei conflitti, specie tra gli stati, sia per denotare l’insieme delle pratiche di risoluzione dei conflitti, fondate su tale studio. L’autrice del volume “La logica della pace: la trasformazione

dei conflitti dal basso” S. Sharoni, utilizza tale espressione come la traduzione di «teoria

e pratica della risoluzione del conflitto». Sempre secondo la tradizione inglese, tale termine viene spesso utilizzato assieme e intercambiabilmente con i termini peacekeeping, peacemaking, sicurezza e diplomazia internazionale.

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Tale concetto è stato da sempre oggetto di disputa: all’interno della disciplina stessa, e tanto fra coloro che studiano risoluzione dei conflitti, quanto fra quelli che sono attivamente impegnati nella risoluzione di essi, si sottoscrivono definizioni differenti di conflitto e di risoluzione dei conflitti. Le definizioni dei termini e le distinzioni fra di essi si basano su premesse esplicite o implicite circa il ruolo che il potere, la cultura e altre dimensioni dell’identità giocano nella risoluzione del conflitto. Ad esempio, ciò che J. Burton intendeva per «risoluzione di un conflitto» si ispirava al personale tentativo di andare al di là di quanto egli definisce come i modelli di «politiche del potere». Secondo lui, il potere relativo delle parti del conflitto, deriva irrilevante da una situazione nella quale ciò cui si mira è la soluzione dei problemi. Pertanto, caratterizza la risoluzione dei conflitti come la trasformazione delle relazioni, attraverso la soluzione dei problemi che inizialmente hanno condotto al comportamento conflittuale.

Solamente negli ultimi due decenni la conflict resolution è stata istituzionalizzata sia come un preciso ambito di studio a livello accademico, sia come un corpo di conoscenze e competenze pratiche che si possono applicare a vari livelli: dal personale, al politico, passando per il sociale.

La conflict resolution, nelle sue varie forme, ivi compresa la diplomazia internazionale, è considerata da molti come una nuova espressione emergente. Al tempo stesso non possiamo ignorare la relazione sussistente tra il livello teorico ed il livello pratico, nonché i legami che la conflict resolution stringe con altre discipline come la psicologia, la sociologia, la scienza della comunicazione, gli studi sulla pace, le relazioni internazionali, gli studi sulla sicurezza e sulla politica estera.

In seguito alla recente e rapida espansione degli studi sulla pace e sulla risoluzione del conflitto non si può non intraprendere anche un’esplorazione critica degli assunti che si pongono alla base di questo insieme di studi: il far emergere i punti di forza e le debolezze di determinate teorie, di indicarne le lacune e di prestare attenzione alle prospettive delle persone la cui vita è stata segnata dai conflitti. Si cercherà per l’appunto, di rendere esplicite alcune ipotesi a livello generale che hanno dominato la teoria e la pratica nel campo della risoluzione dei conflitti negli ultimi decenni.

Nell’affermazione, il conflitto è un fenomeno naturale; si sott’intende la caratteristica che esso diviene parte integrante della vita delle persone, considerato non come distruttivo ma come costruttivo nello sviluppo umano, anche se la sua valenza negativa, rispetto alla positiva o neutrale, permane.

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La maggior parte dei conflict resolution sono ispirati alle ipotesi che i conflitti condividano caratteristiche essenziali che hanno radici nel comportamento umano e si manifestano in modi analoghi in culture e contesti differenti.

Il conflitto, situato nelle società e nelle comunità divise, è radicato nelle relazioni di potere, sociale e politico predominanti che strutturano la possibilità di una sua risoluzione. Esso non deve essere trattato a priori come un fenomeno positivo o negativo, prima di giudizi di valore di questo genere, occorre studiarne la struttura delle relazioni di potere che si pongono alla base. La tendenza a classificare i conflitti sulla base del livello sociale al quale essi si verificano e la trattazione di questi livelli come se fossero divisi e separati, cela la complessità del conflitto ed ostacola una risoluzione stabile e positiva di questi. Considerato che ogni conflitto si verifica simultaneamente a livelli diversi di interazione umana, i nuovi approcci devono andare oltre la classificazione tradizionale riconoscendo l’inseparabilità delle varie dimensioni che caratterizzano i conflitti: dimensioni personali, politiche, interne, esterne, nazionali, internazionali…

Nella letteratura tipica dell’approccio tradizionale alla conflict resolution si tende a mettere in risalto la capacità delle persone e dei gruppi coinvolti in conflitti di giungere ad un accordo fondato sul riconoscimento reciproco delle svariate somiglianze che esistono fra essi. Tale approccio non risulta adeguato per affrontare quei problemi che sorgono in caso di conflitto e che hanno radici profonde e durature. Un attento esame di tali problemi richiede una conoscenza approfondita delle parti in conflitto: più che considerarli come attori razionali caratterizzati da unità e coesione interna, occorre mettere bene in luce la loro rispettiva composizione e l’immagine che esse hanno di se stesse.

Negli ultimi anni, nel campo degli studi sulla pace e sulla risoluzione dei conflitti, il termine «trasformazione» è divenuto sempre più popolare: secondo diversi autori, tale termine non va a suggerire semplicemente l'eliminazione o il controllo del conflitto, bensì rimanda in maniera descrittiva, alla sua interna natura dialettica. Secondo gli stessi, tale concetto è il più adatto ad indicare le lotte intraprese al fine di giungere a delle soluzioni giuste e durature dei conflitti. Si viene dunque affermandosi, che il termine trasformazione indica un allontanamento, non solamente linguistico, dagli approcci tradizionali allo studio e alla conduzione di un conflitto.

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Il passaggio dalla risoluzione alla trasformazione del conflitto ha implicazioni teoriche, metodologiche, pratiche e politiche e nuove direzioni di indagine: da una teoria universale ad una basata sul contesto specifico; la sostituzione di un modello normativo d'intervento dall'alto, con uno maieutico dal basso; l'acquisizione di un metodo di ricerca costruttivista e post- positivista ed infine, l'allontanamento dalle politiche finalizzate allo status quo per avvicinarsi a quelle orientate al cambiamento sociale. In questo modo non s'intende screditare o delegittimare le metodologie e le pratiche convenzionali nel campo della conflict resolution, quanto piuttosto opporsi alla loro egemonia, indicando così, nuove rotte per la ricerca futura.

Ad oggi, nell'ambito della conflict resolution di tipo tradizionale, è necessario sviluppare teorie nuove e nuovi modelli di intervento a partire dalle specifiche esperienze delle persone che vivono in situazioni di conflitto. A questo proposito alcuni studiosi, fra cui R. Falk, stanno muovendosi in tale direzione: egli, invita ad abbandonare i modelli d'intervento basati sull'approccio dall'alto, in quanto, basati esclusivamente sull'analisi delle capacità che le élites governative di accordarsi sui processi di risoluzione di un conflitto; prediligendo invece, approcci dal basso che danno maggiore importanza ai popoli coinvolti e all'emergere di un ethos legata alle attività e agli orizzonti delle forze sociali transnazionali. Questo cambiamento delineato, è teso a fornire al nostro ambito di ricerca una prospettiva più radicale fondata su lotte e precisi impegni politici ed apre ad una migliore comprensione delle questioni politiche sociali ed economiche che compongono un conflitto sorto dal confronto fra donne, uomini, razze, religioni, culture, nazioni e movimenti sociali.

La conflict resolution, inizialmente fu concepita come un settore di studi tale da costruire una valida alternativa ai tradizionali ambiti di studi teorici e pratici sul conflitto. John Burton, e svariati studiosi, hanno evidenziato la capacità di questo approccio di avviare cambiamenti sistematici nelle strutture sociali e politiche in modo tale da renderle più rispondenti ai bisogni umani. Per altri studiosi, invece, uno degli obiettivi della risoluzione dei conflitti è quello di aiutare le parti a creare nuovi sistemi normativi e nuove strutture capaci di soddisfare interessi sociali e bisogni umani fondamentali.

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Il risultato più frequentemente raggiunto utilizzando tale approccio è quello di creare compromessi che il più delle volte vanno a scapito delle parti più deboli e vulnerabili 1.

Seguendo dunque una logica descrittiva è opportuno continuare a menzionare e delineare il pensiero di quegli autori che hanno influenzato l' ambito della risoluzione dei conflitti. A questo mi riferisco ad esempio citando K. Boulding, che scrisse inizialmente utilizzando sillogismi inerenti all'economia per esplicitare in maniera chiara per la comprensione, i complessi fenomeni sociali come conflitto, potere e sostenibilità, centrale ai fini di uno sviluppo precoce dei conflitti e della ricerca sulla pace, e contribuendo a esportare tali pilastri all'interno della rivista Journal of conflict

resolution e dell'associazione sulla ricerca internazionale per la pace.

Secondo lo studioso, il conflitto viene delineato come un’attività che possiamo ricercare e trovare ovunque. Diviene un aspetto caratterizzante della vita dell'uomo ed è facile trovarlo all'interno di tutte le scienze che esso studia assumendo ovviamente aspetti differenti: dalla biologia all'economia, dalle scienze politiche alla psicologia, dalla storia all'antropologia... Il conflitto è anche, un aspetto importante all'interno degli studi che riguardano le relazioni industriali, le relazioni internazionali o qualsiasi altro tipo di relazione.

La questione, perciò, sorge spontanea. La domanda che si sono sempre posti gli studiosi del settore riguardava la possibilità dell'esistenza di un generale fenomeno di conflitto con una generale teoria d'applicazione universale a tutte le scienze, o se doveroso la creazione di una teoria differente per ogni ambito di studio.

A tale quesito Boulding, ipotizza l'esistenza di una teoria generale del confitto che può derivare dalle diverse fonti e diverse discipline in cui possiamo riconoscerlo.

A dimostrazione di tale affermazione, lo stesso studioso, ha individuato alcuni aspetti similari a tutte le situazioni conflittuali e presenti all'interno dei diversi modelli di vasta applicazione. L'applicazione di queste all'interno delle differenti situazioni conflittuali , mostreranno chiaramente le divergenze dei modelli generali.

1S. Sharoni, La logica della pace: la trasformazione dei conflitti dal basso, Edizioni gruppo abele, Torino, 1997. Pp 8-45.

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Possiamo individuare due tipologie di modelli generale di ogni sistema, lo statico ed il dinamico, il quale prende specificamente in considerazione la sequenza di eventi. Per entrambi i modelli di conflitto possiamo individuare un quadro generale di concetti:

The party (trad. mia, le parti). Un conflitto è una situazione che coinvolge almeno due parti, due entità giuridiche, che per prime si concepiscono come parti di esse. Tale entità è un insieme di comportamenti, cioè, un aggregato o un’organizzazione capace di inglobare differenti posizioni pur conservando una propria identità ed un confine comune.

La maggior parte delle unità comportamentali sono soggetti all’interno di un conflitto. Tali unità divengono parti quando vengono coinvolti da altre unità comportamentali all’interno di una situazione conflittuale.

Behavior space (trad. mia, spazio del comportamento). La posizione di una unità di comportamento in un dato momento di tempo, è definito sulla base di un insieme di valori (per essere più tecnici, sottoinsieme) di un insieme di variabili che definiscono l’unità di comportamento stessa. Queste variabili non devono essere necessariamente continue o quantitativamente misurabili, ma i differenti valori delle variabili devono essere facilmente ordinabili.

Competition (trad. mia, la competizione). Tale concetto, nel suo più ampio significato esistente, è l’eventuale posizione delle due unità di comportamento reciprocamente incompatibile. Questo è il quadro concettuale del conflitto, nel senso che, mentre tutti i casi di conflitto coinvolgono il concetto di competizione appena descritto, non tutti i casi di competizione. Due posizioni sono reciprocamente incompatibili, se una esclude l’altra, cioè, quando accade che la massima realizzazione di una parte, rende impossibile la piena realizzazione dell’altra.

Conflict (trad. mia, conflitto). Può essere definito conflitto, quella situazione di competizione nella quale le parti sono consapevoli dell’incompatibilità delle potenziali posizioni future e dove ogni parte desidererebbe occupare una posizione che risulta essere incompatibile con i desideri dell’altra parte.

All’ interno della suddetta definizione è opportuno sottolineare l’importanza delle seguenti parole chiave: consapevolezza (aware) e desideri (wishes), entrambe cariche di dinamite filosofica. Il mondo degli uomini, rispetto al regno

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animale, è molto più complesso. All’interno, vi possono essere alcuni individui o gruppi in competizione fra loro e tuttavia essere tranquillamente ignari del fatto. Anche quando le persone sono consapevoli del potenziale conflitto attorno a loro, può non esservi il conflitto se non vi è il desiderio da parte di una parte che occupa una regione dello spazio comportamentale che va a escludere l’altra 2

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Un altro autore, di cui diviene importante la menzione, è John Burton il primo che introdusse la distinzione fra disputa e conflitto profondo e radicato, sostenendo per la risoluzione, piuttosto che il raggiungimento di un compromesso e promuovendo i vantaggi di un’azione di prevenzione del conflitto come strategia per evitare il moltiplicarsi di conflitti distruttivi.

La risoluzione del conflitto, è un processo che deriva da una presa di decisioni da parte delle parti interessate. Coinvolge la rivalutazione dei valori, delle alternative e dei costi ed è guidata da appropriate istituzioni a livello internazionale che hanno il compito di facilitare tale processo.

Tale metodologia assume una posizione critica nei confronti della tradizionale pratica diplomatica.

Le molteplici funzioni differenti della parte terza derivano dalle differenze oggettive; il mediatore tradizionale cerca tutti i possibili argomenti per raggiungere un compromesso, o per persuadere le parti che i loro migliori interessi dovrebbero essere quelli di cessare la violenza e raggiungere una soluzione. Il tutto accompagnato con un utilizzo controllato della comunicazione che si sforza ad essere la condizione per cui le parti vedono la loro relazione come la presentazione del problema che andrebbero a risolvere.

L’autore, quindi, esprime tutto il suo appoggio nell’uso di una comunicazione controllata per l’analisi e la risoluzione dei conflitti e per la promozione di una funzione cooperativa fra le parti stesse. In questo contesto la risoluzione dei conflitti si avvale di una tecnica facilmente comparabile con ciò che potremmo definire risoluzione pacifica delle controversie.

2 K. Boulding «conflict and defense: a general theory», all’interno del volume T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. Pp. 22-27.

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I tradizionali significati di risoluzione pacifica delle controversie, sono rilevanti per particolari problemi dopo che sono sorti e agli eventi che portano successivamente. Difficoltoso prevedere ogni circostanza nella quale potrebbero essere impiegati per anticipare ed evitare futuri conflitti possibili fra gli stati e le nazioni 3.

Il conflict mapping che s’intende utilizzare all’interno di questo elaborato per analizzare il conflitto siriano attualmente in atto nel contesto siriano, è stato elaborato da S. Mason e S. Rychard e riportato in maniera sintetica nel volume T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader.

Tale strumento viene paragonato ad una mappa geografica, che ha lo scopo di semplificare il conflitto; rappresentare gli attori e il loro potere, o la loro influenza all’interno del conflitto stesso; di esplicitare la loro relazione reciproca ed infine palesare il tema o il problema alla base dello stesso. Tale mappa rappresenta anche uno specifico punto di vista (del singolo o del gruppo preso in considerazione), riguardo ad una determinata situazione conflittuale, durante un particolare momento: similarmente ad una fotografia.

Gli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere attraverso tale strumento riguardano il chiarificare la relazione che intercorre fra gli attori, visualizzare e riflettere riguardo al potere dei vari attori ed infine, rappresentare il conflitto da analizzare, sopra ad un foglio di carta per fornire una prima panoramica di esso 4.

Le istruzioni per applicare tale strumento riguardano dapprima, la decisione sul conflitto che si desidera analizzare, impostando a questo punto i confini del sistema di conflitto; la formazione di gruppi di persone che collaborano all’interno della mappatura ed infine, la rappresentazione grafica delle variabili da considerare all’interno della situazione attraverso una simbologia ben costituita.

3 J. Burton «conflict and communication», all’interno del volume T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. Pp. 28-32.

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S. Mason e S. Rychard, «Conflict analysis tools» saggio presente nel volume, T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. P. 146.

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Possiamo, a tal proposito, riportare alcuni dei simboli che ritroviamo solitamente all’interno di tale mappatura del conflitto:

cerchi, che corrispondono alle parti coinvolte nel

conflitto. La loro dimensione simbolizza il potere dell’attore in relazione al conflitto.

. linea retta, la quale, corrisponde alla relazione

chiusa che intercorre fra le parti stesse. Se ve ne si pongono due , la relazione delle parti viene definita come molto buona, o come un’alleanza fra esse. Se, al contrario, essa è

tratteggiata la relazione fra le parti è considerata debole, discontinua o informale.

a seguito di una rappresentazione grafica così riportata, la sua descrizione riguarda la predominante direzione dell’influenza o delle azioni fra le parti. Se tale linea risulta essere non solamente a forma di freccia ma anche

a zig zag, la relazione fra le parti è caratterizzata da discordia e conflitto.

tale forma, rappresenta gli eventuali attori terzi ed esterni che ritroviamo all’interno del conflitto.

una forma rettangolare rappresenta i problemi e i temi che riguardano le parti singole o le organizzazioni all’interno del conflitto 5.

5 Ibidem, p.147.

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La mappatura del conflitto come s’intende riportare in questa sede, è composita di tre fasi all’interno delle quali vengono analizzate le varie variabili che compongono il conflitto e la risoluzione finale.

Fase iniziale (backgroud)

1. Delineazione generica dei confini del conflitto 2. riassunto del conflitto

3. delineazione degli attori sia che essi siano immediatamente visibili, sia che essi si pongono in una posizione secondaria. Tale fase può essere supportata da una rappresentazione a cerchi concentrici.

parti marginali (M) parti influenti (I)

parti centrali (C)

Fase analitica

4. andamento del conflitto

5. oggetto della contesa, che può essere supportato da rappresentazioni grafiche che mostra la gerarchia delle cause: dalle diverse posizioni nelle fasi del conflitto, agli interessi delle parti fino a giungere ai bisogni profondi degli attori, e alle vere cause che si celano nel conflitto e che mutano nel tempo.

6. analisi del contesto (dal locale, al regionale, passando per l’internazionale e giungendo al globale).

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11 Fase della trasformazione

7. brainstorming

8. studio di scenario, ovvero la formulazione di ipotesi dalle più positive a quelle estremamente negative, da quelle facilmente attuabili a quelle che richiedono maggior impegno e difficoltà

9. azioni per un effettiva trasformazione del conflitto, per un suo contenimento ed una sua minimizzazione 6.

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Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea magistrale in Scienze per la pace, anno accademico 2014-2015.

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