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Capitolo I Introduzione

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Academic year: 2021

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Capitolo I

Introduzione

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1.1: Il cavallo e la comunicazione; organi di senso;

linguaggio del corpo e comportamento sociale

1.1.1-Il cavallo

Il cavallo (Equus Caballus) è un mammifero ungulato di grossa taglia appartenente al genere Equus, unico della famiglia equidae.

Il cavallo viene utilizzato come animale da sella, da tiro, da soma e da carne, è in grado di rinselvatichirsi e di sopravvivere autonomamente allo stato brado.

I presunti progenitori del cavallo sono apparsi sulla Terra circa 55 milioni di anni fa, gli studi sui fossili dimostrano che il probabile progenitore dell'odierno cavallo era il H y r a c o t h e r i u m d'altezza non superiore a 30–40

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centimetri al garrese e con arti di almeno 4 dita; il suo habitat naturale era la foresta ed aveva una dentatura tipica degli onnivori. Durante il processo evolutivo i suoi discendenti si adattarono alla condizione di erbivori stretti e alla vita nella prateria, ciò comportò un aumento di statura, un allungamento degli arti, la diminuzione del numero delle dita (il cavallo di oggi ne possiede solo uno) ed un cambiamento anche nei denti aumentati in lunghezza e modificati anche per quel che riguarda i caratteri della superficie masticatoria.

In America il cavallo si estinse in epoca preistorica contemporaneamente ad altri grandi mammiferi probabilmente a causa del disturbo antropico costituito dalla caccia. Sopravvisse in Europa ed Asia dove la prima evidenza storica dell’addomesticamento del cavallo si ha in Asia Centrale verso il 3000 a. C. Secondo altri studiosi l’addomesticamento risale invece a 6000 anni fa nell’Età del rame presso la cultura di Srednij Stog fiorente in Ucraina.

Un progenitore dell’attuale cavallo è considerato il Tarpan un cavallo selvatico europeo ufficialmente estinto tra il 1918 ed il 1919.

Rispetto alla classificazione attuale i cavalli vengono suddivisi in dolicomorfi, mesomorfi e brachimorfi: il tipo dolicomorfo comprende le “razze leggere da sella” come il purosangue inglese, l’arabo e i trottatori; il tipo mesomorfo comprende le “razze da sella”, come il Quarter Horse; infine il tipo brachimorfo comprende le “razze pesanti” cavalli da tiro, avelignese ecc..

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1.1.2-La Comunicazione

La comunicazione è il passaggio di segnali da un individuo all’altro, segnali che interferiscono sul comportamento del ricevente.

Le due parti si sono reciprocamente adattate al processo che prevede tre importanti componenti:

 Il segnale mandato al mittente

 Il mezzo di trasferimento (canale) utilizzato per lo scambio di informazione

 Il messaggio captato dal ricevente

La comunicazione non identifica solo un individuo, la sua attività ed il suo stato, ma è anche essenziale per il coordinamento delle attività di gruppo (Mills & Nankervis,2001).

I diversi animali si sono specializzati in tipi di segnale diverso, che usano a seconda dello sviluppo delle loro diverse modalità sensoriali. Esistono infatti vari tipi di comunicazione: la comunicazione tattile, visiva, uditiva, chimica, acustica ed elettrica.

Per quanto riguarda la comunicazione tattile questa possiede limitate possibilità di trasmettere l’informazione ma è forse il più importante tra i canali informativi perché quasi ogni individuo vivente risponde al contatto fisico.

La comunicazione tattile è importante in molti vertebrati, soprattutto nei mammiferi in cui il contatto fisico è di solito rassicurante nella cura della prole e nel comportamento sessuale. Questo tipo di comunicazione può operare solo a brevissima distanza, ma i tipi di contatto possono essere vari come natura e come struttura temporale cosicché le possibili forme dei segnali sono molto ampie. I segnali possono rapidamente venire cambiati di natura e di intensità e possono facilmente essere interrotti.

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In tutti i casi in cui gli animali hanno occhi ben sviluppati, essi sviluppano un sistema di segnali visivi, naturalmente l’efficacia di questi segnali dipende dalla sensibilità dell’unità recettrice.

I segnali visivi danno la migliore indicazione della direzione, sono rapidamente variabili nel tempo e possono essere usati in una vasta gamma di intensità e ciò dà loro una grande flessibilità, non sono segnali persistenti e possono essere rapidamente iniziati ed interrotti, permettendo così una precisa codificazione dell’informazione.

I metodi per comunicare utilizzando il canale visivo sono tre

1: Segnali ottici prodotti per emissione di luce con produzione di un messaggio in codice ( segnali delle lucciole ) ;

2: utilizzo di forme corporee e di colori tipici;

3: schemi di movimento ed atteggiamenti e mimiche facciali.

Per quanto riguarda questo ultimo punto di fondamentale importanza sono i segnali visivi di allarme, di dominanza, di aggressività, di sottomissione, segnali sessuali e di corteggiamento.

Se si considera la comunicazione chimica, i sensi chimici risultano essere i canali di comunicazione più largamente utilizzati nel regno animale.

Nell'uomo si riconoscono 2 sensi chimici, l'odorato ed il gusto; in molti animali è difficile separare con accuratezza l'uno dall'altro.

In genere nella comunicazione chimica l'olfatto è il senso più importante. I segnali chimici possono agire a grande distanza e danno solo una limitata informazione sulla direzione, questi segnali possono essere cambiati lentamente, una volta che un odore è prodotto, non può essere facilmente sostituito da un altro ed è generalmente duraturo.

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Tipici sono i Feromoni utilizzati come canale della comunicazione biologica; questi vengono definiti come sostanze che secrete all'esterno da un individuo provocano una reazione specifica o un processo di sviluppo nell'individuo della stessa specie che li riceve ( Klarson e Luscher, 1959 ).

Parlando ora della comunicazione acustica, il suono possiede il vantaggio di potersi propagare oltre ed attraverso ostacoli naturali, come una densa vegetazione, il modo in cui è emesso un segnale sonoro può favorirne la diffusione. Il suono viaggia nell’acqua a maggiore velocità e con minore smorzamento rispetto all’aria e quindi gli animali acquatici per comunicare usano molti suoni.

Il suono può avere una grande varietà di frequenza, intensità e modulazione nella trasmissione. I suoni usati dagli animali per la comunicazione sono prodotti in diversi modi. Tra i vertebrati superiori si riscontrano spesso suoni prodotti da organi non specializzati (il battersi il petto del gorilla, lo sbattere le ali del colombo, i rumori prodotti con il becco dalle cicogne), esistono comunque degli organi specializzati per la produzione di suoni che convertono il flusso d’aria che proviene dai polmoni o dai sacchi aerei in energia acustica; negli anfibi rettili e mammiferi quest’organo è la laringe, mentre negli uccelli si è evoluta una nuova struttura che è la siringe.

In entrambi i casi questi organi contengono strutture elastiche mobili che agiscono come vibratori meccanici e possono ridurre o fermare il passaggio dell’aria riducendo il lume dell’organo.

Il messaggio sonoro animale contiene almeno due tipi di informazione:

1: la prima parte intrinseca indica la presenza di un individuo della stessa specie, la sua posizione spaziale ed in alcune specie l’individualizzazione. In specie gregarie è presente anche lo stato gerarchico

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2: La seconda parte del messaggio trasporta il contenuto semantico che traduce la motivazione del trasmittente.

I segnali sono di solito classificati in funzioni, relativamente al comportamento che provocano nel ricevente.

Nel regno animale i segnali sono connessi soprattutto con la vita sessuale (richiamo del partner, corteggiamento e rivalità), la vita familiare (segnali di contatto e di inter-relazione genitori-piccoli), la vita sociale (gerarchia, attività di gruppo, allarme, indicazione dei predatori, comportamento territoriale).

Esistono infine segnali elettrici che vengono utilizzati ad esempio dai pesci elettrici (gimnotidie mormoridi) che possiedono nella coda degli organi preposti ad inviare scariche elettriche (fino a 300 al secondo) delle quali si servono per la navigazione, per individuare le prede e per la comunicazione sociale.

La frequenza delle scariche elettriche oltre al sesso può anche indicare la sua posizione all’interno della gerarchia della sua struttura sociale.

Il cavallo è stato descritto come essere una delle specie più percettive fra gli animali (Blake, 1977), quindi le conoscenze sui diversi organi di percezione del cavallo possono aiutare nella comprensione del suo comportamento, soprattutto quando si cerca di analizzarne distinti aspetti, in diversi contesti.

Per la percezione dell’ambiente circostante, il cavallo utilizza tutti gli organi di senso a disposizione; grazie alla visione, l’olfatto, il tatto, l’udito e il gusto riesce a comunicare con i propri coospecifici e a relazionarsi all’interno del gruppo.

Una panoramica sulla funzionalità dei sensi del cavallo può facilitare la comprensione di determinati suoi comportamenti emessi in ambito sociale.

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1.1.3: Organi di senso nel cavallo

L’occhio equino è per dimensioni assolute, uno tra i più grandi fra i mammiferi terrestri (Knill et al, 1977). Partendo da questa osservazione si può dedurre come la visione, per il cavallo, sia una caratteristica fondamentale per la percezione dell’ambiente circostante e di ciò che accade intorno a sé.

Il cavallo, che in natura rappresenta una preda, ha sviluppato un’ ampia visione panoramica che gli permette di vedere intorno a sé con un angolo cieco di appena 20°circa per ciascun occhio (Beaver,1982).

Ciascun occhio possiede un campo visivo compreso tra i 190°e 215° gradi, quella che viene definita visione binoculare, che permette di riconoscere le distanze, nel cavallo è rappresentata da un arco di circa 70° di fronte a sé, quindi non è un animale abilissimo nel riconoscere le distanze.

Per visione monoculare, invece, si intende l’area coperta solo da un’ occhio che è di circa 290° in total (145°per ciascun lato). Sul piano verticale ciascun occhio possiede un piano di 180°. La posizione laterale degli occhi permette al cavallo un’ottima visione monoculare e panoramica mentre la visione binoculare come detto, è scarsa; naturalmente esistono differenze di razza da considerare.

Grazie all’angolazione degli occhi il cavallo può vedere cosa c’è al suolo durante il pascolo piegando la testa, mentre avendo un angolo cieco proprio davanti al naso non riesce a distinguere un ostacolo davanti a sé approssimativamente entro i due metri (McGreevy, 2004).

La visione panoramica permette al cavallo di accorgersi di una possibile minaccia anche a distanza e quindi di poter fuggire o difendersi in caso di necessità; per una preda è vitale accorgersi in tempo di un possibile pericolo piuttosto che vedere nel dettaglio di cosa si tratta.

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Altra caratteristica relativa al senso della vista è l’acutezza visiva, ossia la capacità di percepire i dettagli. Nel cavallo questa capacità è poco sviluppata.

Per quanto riguarda invece il senso dell'udito, l’orecchio nel cavallo è una struttura complessa che oltre a ricevere i segnali uditivi è atto all’invio di informazioni visive (movimento del padiglione auricolare). In particolare la mobilità delle orecchie di un cavallo è utile per localizzare la provenienza di un suono e, a seconda anche della postura generale, per inviare segnali di minaccia o di sottomissione (Mills & Nankervis, 2001).

Per quanto riguarda la capacità uditive, Rees (1984) riporta come i cavalli possano distinguere differenze di un solo decibel e quindi sarebbero molto abili nel distinguere l’ampiezza di un suono ossia il volume; in caso di suoni molto alti il cavallo può schiacciare le orecchie indietro per proteggersi.

Per quanto riguarda la frequenza o tonalità si può affermare che il cavallo sia in grado di udire vibrazioni sonore in un range tra i 60 Hz e i 33,5 Hz (Heffner & Heffner, 1985), quindi il cavallo riesce ad udire suoni ad alta frequenza, ossia con una tonalità più acuta, mentre ha più difficoltà ad udire suoni a bassa tonalità.

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Nel cavallo esistono tre organi con recettori chimici esterni che permettono di identificare la presenza e la concentrazione di sostanze chimiche e quindi di operare importanti cambiamenti fisiologici.

Questi organi che implicano l’utilizzo dei sensi di olfatto, gusto e tatto sono: 1: terminazioni olfattorie dell’epitelio olfattivo del naso

2: nervi recettori dell’organo vomero-nasale a livello del palato duro

3: recettori gustativi sulla lingua (Mills & Nankervis, 2001)

Il sistema olfattivo serve a rilevare e interpretare la presenza di sostanze chimiche disperse nell’aria e trasferirle dalla regione del naso al Sistema Nervoso Centrale attraverso il I° paio di nervi cranici (nervo olfattorio). Il cavallo ha un’ ampia area sensitiva sul fondo della cavità nasale ed ha un senso dell’olfatto molto sviluppato. La forma allungata del naso del cavallo permette l’esistenza di un’ ampia base per la mucosa olfattoria, costituita da neuroni bipolari modificati con sottili proiezioni (ciglia) che si allungano sulla superficie della mucosa. Le informazioni ricevute a questo livello giungono in parte alla corteccia cerebrale (elaborazione conscia) ed in parte al sistema limbico (risposta emozionale) (Mills & Nankervis, 2001). L’organo vomero nasale o organo di Jacobson nel cavallo presenta due recessi a fondo cieco (circa 12 cm) situati sui due lati del setto nasale all’interno del palato duro e nei pressi della parte anteriore della cavità nasale; si tratta di strutture vascolarizzate cartilaginee con epitelio mucoso e la comunicazione con la cavità nasale avviene grazie al dotto naso-palatino. L’organo vomero nasale è innervato da strutture del nervo olfattorio che vanno direttamente al sistema limbico permettendo risposte comportamentali immediate e dirette. La presenza di sostanze eccitanti è riconosciuta dall’apparato olfattorio che d e t e r m i n a l a produzione da parte del cavallo d e l l ’atteggiamento di “flehmen” (labbro arricciato) che concentra

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le sostanze a livello vomero nasale. L’organo vomero nasale è importante per il controllo di alcune attività tra cui quella sessuale e probabilmente alcune forme di ansia (Mills & Nankervis, 2001).

Il gusto permette agli animali di distinguere tra diversi alimenti, fornire indicazioni riguardanti il valore nutrizionale di un alimento, regolare la digestione e l’assunzione degli alimenti.

Il tutto viene svolto da recettori gustativi raggruppati in strutture chiamate bottoni gustativi, dotati di sottili pori da cui protendono microvilli che si legano alle sostanze chimiche e producono potenziali d’azione all’interno delle cellule gustative (sulla lingua soprattutto, ma anche palato molle ed epiglottide).

I bottoni gustativi sono innervati dal ramo linguale del trigemino o dal glossofaringeo.

Uno studio ha messo in evidenza che i gusti percepiti dal cavallo sono, come nell’uomo, l’acido, il salato, il dolce e l’amaro ma in concentrazioni diverse (Randall et al, 1978).

Il senso del tatto è diverso a seconda delle diverse aree del corpo del cavallo che si prendono in considerazione. Il garrese, la bocca, il fianco e i

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gomiti sono regioni molto sensibili; per un animale che vive in branco è fondamentale rendersi conto del contatto e della vicinanza con gli altri animali (McGreevy, 2004).

Particolarmente sensibili sono le vibrisse, lunghi peli tattili collegati a terminazioni nervose e utilizzati come organi di tatto in molte specie di mammiferi; nel cavallo, intorno agli occhi e al naso, rappresentano un’area ricca di afferenze nervose che questo animale utilizza per tastare i cibi e per localizzarsi nello spazio.

Sulla cute del cavallo esistono diversi tipi di recettori nervosi: per il caldo e il freddo (termocettori), per il tatto, la pressione e le vibrazioni (meccanocettori) e per la percezione del dolore (nocicettori) e questi sono distribuiti a seconda delle aree del corpo; inoltre la sensibilità varia molto anche in base alla consistenza del pelo del soggetto (Mills & Nankervis, 2001). Considerando la sensibilità di alcune zone come l’area del muso, il garrese e i fianchi, risulta chiaro quanto siano importanti per il cavallo il comportamento di mutual grooming e il contatto diretto tra i soggetti; questi sono tra i comportamenti sociali affiliativi che permettono di unire due cavalli in un’ attività di rassicurazione reciproca e di pulizia e probabilmente utile a consolidare i legami all’interno di un gruppo (McGreevy, 2004).

La stimolazione tattile delle aree elettive del grooming provoca nel cavallo una riduzione della frequenza cardiaca dell' 11,4%. Il grooming esercita quindi un effetto calmante su chi lo riceve.

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1.2- Il linguaggio del corpo nel cavallo

I cavalli, essendo delle prede, hanno sviluppato nel tempo sistemi di comunicazione senza l’ausilio di vocalizzazioni ma piuttosto utilizzando posture del corpo e/o il movimento di alcune parti del corpo come, ad esempio, le orecchie e la coda (McGreevy, 2004).

Per quanto riguarda la comunicazione non vocale, le orecchie sono l’organo più importante. Quando sono schiacciate indietro si tratta di una interazione agonistica e solitamente, quanto più lo sono, tanto più grave è la minaccia (Waring, 1983).

Anche a seconda della posizione in gruppo i cavalli usano le orecchie per percepire l’ambiente circostante: solitamente il primo le tiene tese in avanti e l’ultimo tese indietro, entrambi per recepire gli stimoli che possono presentarsi dalle varie direzioni. Sono utilizzate anche come strumento per le strategie di vita sociale e per difendersi da possibili minacce.

Fare ruotare le orecchie può anche indicare una sensazione di dolore, come si osserva per esempio nei cavalli in colica.

Anche il collo è un importante parte del corpo del cavallo da osservare, infatti, la sua eventuale flessione o irrigidimento possono essere indicativi delle possibili reazioni di un cavallo. Infatti è flesso durante le interazioni pacifiche e arcuato quando l’interazione è agonistica, per esempio durante una minaccia e specialmente negli stalloni (McDonnell & Haviland, 1995).

Le narici sono un importante organo da osservare: dilatate completamente spesso durante interazioni agonistiche e invece semi dilatate quando il cavallo è intento ad esplorare, per esempio, il terreno durante il pascolo.

Anche se più raro e più difficile da osservare il movimento della coda sembra avere una valenza di comunicazione importante (McGreevy, 2004).

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Caratteristici movimenti della coda si osservano durante le minacce, il gioco, il corteggiamento e spesso durante le dispute per la spartizione del cibo; inoltre la coda è uno strumento utile per la difesa da ectoprassiti.

In situazioni di estrema paura, sottomissione e dolore prolungato, la coda è tenuta schiacciata e aderente ai glutei (Araba & Crowell-Davis, 1994).

L’utilizzo degli arti posteriori o anteriori è associato spesso a situazioni di minaccia (calciare) oppure a situazioni di isolamento spaziale dove si sviluppano comportamenti relativi alla frustrazione del cavallo, che può quindi utilizzare gli arti ad esempio per calciare all’interno del box.

1.2.1: Il mutual grooming, l’allogrooming ed altri comportamenti

sociali.

Tra i cavalli si sono evoluti diversi comportamenti per mantenere la coesione tra gli individui di un gruppo, tra questi è sicuramente molto interessante analizzare il mutual grooming (toelettatura reciproca) e l’allogrooming (un cavallo emette il comportamento di toelettatura nei confronti di un altro), questi comportamenti si possono valutare frequentemente osservando un branco di cavalli. Per mutual grooming si intende quando due cavalli si sfregano con i denti incisivi in modo ritmico (circa 2 volte al secondo) reciprocamente per più di 3 minuti (Feist & McCullough, 1976).

I siti preferiti per il mutual grooming sono il garrese e l’area compresa tra le scapole. I puledri possono mostrare questo comportamento già dal primo giorno di vita.

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Fig.1: Mappa mutual-grooming (Feh & de Mazieres 1993)

Oltre a svolgere una funzione di pulizia del pelo, i comportamenti di grooming reciproco servono ad affermare il legame sociale, a rinforzarlo e a scambiarsi odori. Più spesso sono i soggetti giovani ad iniziare il grooming rispetto agli adulti, e sembra che il comportamento di mutual grooming abbia azione calmante e tranquillizzante tra i cavalli di un gruppo; esistono studi che dimostrano come questo comportamento abbassi la frequenza cardiaca soprattutto quando viene fatto all’altezza del garrese del cavallo (Feh & de Mazieres, 1993). Spesso questo comportamento tra i cavalli compare già alla prima settimana di vita e il picco si ha verso i due/tre mesi in cui il puledro riceve un’intensa gratificazione dal contatto fisico con un altro membro del gruppo. Inizialmente il partner preferito per i puledri è la madre che può evitare il partner abituale se il suo puledro richiede il grooming.

Solitamente le femmine spendono più tempo nel mutual grooming rispetto a quanto fanno i maschi, anche se in un gruppo con più stalloni, questi possono emettere il grooming anche tra di loro.

Il mutual grooming parte dal collo e poi i cavalli procedono mordicchiandosi fino al garrese, le spalle fino al contatto coda-testa e poi cambiano lato (Waring, 1983). Spesso tra i puledri è osservato il mutual grooming prima o dopo una sessione di gioco (McDonnel & Poulin, 2002).

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Oltre ai comportamenti descritti, le vocalizzazioni e gli odori giocano un ruolo importante nella vita relazionale del cavallo, le vocalizzazioni si dividono principalmente in laringee, considerate le più importanti per il cavallo e non laringee (McGreevy, 2004). Le vocalizzazioni laringee possono essere usate in diversi contesti e con diverse durate medie e frequenze a seconda della situazione: ad esempio sono utilizzate durante interazioni aggressive o difensive e durante il comportamento sessuale da parte delle cavalle. Allo stesso tempo, suoni laringei sono associati all’approccio tra cavalli che si conoscono, oppure precedono interazioni amichevoli o il gioco; possono essere legate al momento dell’arrivo del cibo oppure all’affermazione del legame madre-puledro da parte della cavalla; infine nella parte iniziale del corteggiamento oppure in alcune situazioni associate al dolore o all’investigazione olfattiva.

Vocalizzazioni non laringee, ossia prodotte da espirazioni forti che passano attraverso le vie aeree superiori, sono legate a momenti di sonno, a minacce da parte di stalloni per scacciare cavalli sconosciuti, oppure durante l’investigazione olfattoria (Waring, 1983).

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La comunicazione tramite gli odori riveste un ruolo importante ad esempio nel saluto tra due cavalli dello stesso gruppo: annusarsi il corpo, le narici o gli organi genitali è un mezzo di riconoscimento.

Oltre a questi strumenti e modi di comunicare anche il marcare il territorio, soprattutto con le feci, ha un importante valore per il cavallo; spesso il territorio è marcato con le feci soprattutto dagli stalloni, i cavalli per affermare il proprio ruolo nel gruppo marcano con le feci sopra altre feci di altri cavalli del gruppo (McGreevy, 2004).

1.2.2: Le coppie di cavalli

Il meccanismo centrale da cui si iniziano a creare tutte le relazioni per la coesione del branco, è la formazione di coppie madre e puledro (Goodwin, 1999).

I legami di coppia sono generalmente più deboli tra i maschi giovani di 2-3 anni rispetto ai puledri, e diventano meno stretti con la maturità sessuale, perché i maschi si indirizzano verso la riproduzione e quindi i partner possono cambiare; in ogni caso, durante la propria vita, un cavallo tende a ricercare un partner fisso per formare una coppia e vivere all’interno del gruppo che può essere più o meno numeroso (McGreevy, 2004).

Generalmente, i cavalli formano legami di coppia tra membri dello stesso rango sociale e sesso, ossia coppie di femmine adulte, di puledri, di giovani maschi e talvolta si creano legami di coppia tra femmine che sono nello stesso periodo riproduttivo, ad esempio gravide o appena dopo il parto. La maggior parte dei cavalli sembra avere un proprio partner preferito all’interno del gruppo e i due soggetti si mantengono in stretta vicinanza per la maggior parte della giornata (Clutton-Brock, 1976).

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Il legame che si crea tra due cavalli è molto solido e testimoniato da comportamenti quali il seguirsi negli spostamenti, lo stare l’uno accanto all’altro e il mutual grooming,. Naturalmente anche tra coppie di cavalli possono esserci dispute, il più delle volte per le risorse, ma in questo caso si hanno solitamente minacce molto lievi e modulate da comportamenti sottili quali, ad esempio, il portare indietro le orecchie o lo sguardo fisso, comportamenti sufficienti a placare i contendenti (Ellard & Crowell-Davis, 1989). Al contrario, tra membri del gruppo che non vivono a stretto contatto e non formano una coppia, le aggressioni possono essere di intensità maggiore (ad esempio si assiste al comportamento di calciare o di mordere).

L’attaccamento tra i puledri aumenta dopo le prime 2-3 settimane di vita e gli incontri di grooming alternati a momenti di gioco nelle coppie di puledri, accresce e rende più solidi i legami (Crowell-Davis, 1986).

Testimonianza dell’intensità del legame tra due cavalli è il fatto che questo si ricrei anche dopo mesi di separazione, il che dimostra anche le capacità di memoria del cavallo.

Inoltre, accade spesso che un membro della coppia difenda l’altro dagli altri individui del gruppo e che le femmine possano anche attaccare gli stalloni nel caso in cui essi corteggino la loro compagna.

Nella vita di gruppo le coppie di cavalli svolgono insieme le attività quotidiane quali il pascolare o il bere e, se altri cavalli entrano troppo a contatto con la coppia, possono essere scacciati, fatto che avviene quando non è rispettata la cosiddetta distanza sociale, definita come il limite spaziale occupato dai cavalli compagni, oltre al quale o essi ritornano dal compagno o aspettano il suo arrivo (McGreevy, 2004). Questa distanza è molto stretta nelle prime settimane di vita (soprattutto tra madre e puledro) e successivamente diventa più ampia e dipende anche dalla disponibilità di cibo e di acqua; nonostante questa distanza aumenti con il passare del tempo è da sottolineare come le coppie di cavalli siano stabili anche in età adulta.

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1.3: Il comportamento sociale del cavallo; ampiezza del

branco e territorio; la gerarchia e il rango.

1.3.1: Il comportamento sociale

Il cavalo essendo un animale sociale vive all’interno del branco; nel branco sono presenti due principali gruppi di cavalli: il gruppo familiare ed il gruppo degli scapoli (Keiper & Houpt, 1984).

Si definisce “gruppo familiare o harem” un’associazione stabile di femmine, i loro puledri fino all’età dell’abbandono del gruppo (che è variabile ma di solito avviene al momento delle nascite dell’anno successivo), ed uno o più stalloni, che difendono e mantengono il gruppo di femmine e le loro opportunità di accoppiamento (Linklater et al, 2000). Nel gruppo familiare l’animale-guida indica agli altri la via per le risorse quali il pascolo, le fonti d’acqua ed i luoghi di rotolamento e ne regola l’accesso dando inizio ad attività come il pascolamento o il riposo. Spesso l’animale guida è una femmina anziana di esperienza ma, a seconda del contesto, lo stesso maschio residente (stallone) può dirigere il branco.

Sempre più è stata evidenziata l’importanza delle femmine come “cuore funzionale” del branco, con il 25% di queste che restano in maniera permanente nel loro gruppo familiare e con dinastie matrilineari che uniscono le generazioni (Keiper & Houpt, 1984); femmine che invece si allontanano dal gruppo familiare originale, affluiscono in un nuovo gruppo e vi rimangono quasi sempre per il resto della loro vita.

Lo stallone può non essere il membro alfa del gruppo familiare (Houpt & Keiper, 1982; Keiper & Receveur, 1992), il sesso quindi sembra non avere molta importanza nella determinazione del rango, come evidenziato anche nei puledri.

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All’interno di un gruppo familiare possono essere presenti più stalloni, essi stabiliscono una gerarchia che risulta fondamentale nel definire il ruolo di ciascuno. Quando ci sono diversi stalloni associati allo stesso gruppo familiare, lo stallone definito “dominante” si accoppia più volte rispetto agli stalloni “subordinati”, scegliendo preferenzialmente femmine di alto rango, mentre gli stalloni subordinati tendono ad accoppiarsi con femmine di rango inferiore (Keiper & Houpt, 1984). In genere tra gli stalloni di un gruppo sono molto più frequenti i comportamenti agonistici rispetto alle interazioni affiliative (Linklater & Cameron, 2000).

I maschi puberi vengono allontanati dal loro gruppo familiare quando raggiungono la maturità sessuale ed iniziano a rappresentare un pericolo per i diritti di accoppiamento dello stallone residente; più in generale i puledri gravitano nel gruppo degli scapoli perché è li che possono trovare facilmente potenziali partner di gioco.

Nel gruppo degli scapoli si possono trovare gran parte dei soggetti giovani che si allontanano dal gruppo familiare ed anche gli stalloni vecchi che non sono riusciti a difendere il proprio harem dall’arrivo di nuovi stalloni (Cox, 1986). I maschi giovani vivono nel gruppo degli scapoli, vicino al gruppo familiare, per “catturare” femmine isolate, effettuare accoppiamenti furtivi con femmine dell’harem, oppure radunare (imbrancare) le femmine e cambiare il gruppo familiare, formando in alcuni casi un nuovo harem. Per questa ragione i membri giovani del gruppo degli scapoli sono soggetti a notevoli flussi durante la stagione della riproduzione.

Nel gruppo degli scapoli ci sono molti competitori che ingaggiano scontri agonistici che possono durare mesi e concludersi con la dispersione dei contendenti.

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1.3.2: Branco e territorio

I branchi di cavalli possono arrivare a più di 600 individui e i diversi gruppi all’interno di un branco possono formare nuclei relativamente stabili. Questi gruppi sono spesso separati durante i periodi di riposo, ma possono pascolare molto vicini l’uno all’altro e di solito sono uniti quando devono scappare dai predatori (Klingel, 1975; Salter & Hudson, 1982). L’ampiezza di ciascun gruppo all’interno del branco tende a variare con la densità della popolazione: esistono esempi con 12.3 individui nelle Shackleford Banks (Scozia), con una densità di popolazione di 11 individui/km2 (Rubenstein, 1981), oppure 3.3 in Wassuk Ridge, (deserto del Nevada), con una densità di popolazione di 0.1 individui/km2 (Pellegrini, 1971). Il territorio di un branco che può essere più o meno utilizzato a seconda di fattori come il clima, la stagione, i predatori o gli insetti presenti è suddiviso in luoghi di pascolamento, rotolamento, d’ombra, ripari dal vento, i rifugi dagli insetti e fonti di acqua. In media il territorio può variare da 0.9 a 52 km2 (Linklater et al, 2000).

I singoli gruppi tendono a passare molto tempo in aree focali, relativamente piccole all’interno del territorio, quindi non usano tutto lo spazio a loro disposizione (Waring, 1983). Anche se le diverse aree del territorio vengono spesso usate in momenti diversi dell’anno, non è mai stato rilevato un ordine ciclico di utilizzo dei diversi spazi sul territorio. Un’ipotesi è che l’utilizzo del territorio sia regolato dai membri che guidano il gruppo e perciò, un cambio di cavallo che guida, può portare ad un cambio nell’uso delle risorse da parte del gruppo.

Il comportamento sociale e la coesione del gruppo nelle popolazioni di cavalli sono più importanti del comportamento territoriale (Waring, 1983). Quando un gruppo di cavalli ne incontra un altro, tutti gli atteggiamenti difensivi mostrati, sono rivolti a mantenere l’integrità del gruppo, piuttosto che a difendere un territorio. Spesso il territorio di un branco si sovrappone a quello

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di un altro ma i due branchi hanno ciascuno un’area che prediligono e, se vengono a contatto, si instaura una gerarchia che fa avvenire lo spostamento del branco subordinato, solitamente quello con meno individui, dalle risorse usate in comune, come le fonti d’acqua ad esempio (Miller, 1980). Le dispute fra branchi sono generalmente risolte dall’interazione fra uno o occasionalmente due soggetti di alto rango rappresentativi di ciascun branco, la restante parte dei cavalli di entrambi i branchi tipicamente stanno a guardare ed aspettano la risoluzione della disputa (Miller, 1979).

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1.3.3: Gerarchia e rango

Di fondamentale importanza all’interno di un gruppo, è lo stabilire uno stato sociale definito, favorendo la stabilità di tutto il branco. Se non viene sviluppata e mantenuta una gerarchia, ciascun cavallo sentirà il bisogno di affermare il suo rango (ossia il suo ruolo all’interno del branco), aumentando il livello di aggressione in ogni disputa per il controllo di una determinata risorsa, inoltre una struttura sociale stabile ed armoniosa è importante per l’organizzazione durante le emergenze, come nel caso di attacco dei predatori. Una struttura sociale definita, basata su relazioni affiliative, permette al gruppo di preparare una risposta appropriata che sia di aumento della difesa o di fuga di tutto il branco (McGreevy, 2004). Ciascuna posizione gerarchica del cavallo dentro il branco è mantenuta attraverso un insieme di comportamenti di aggressione, minaccia e di pacificazione. Tra i comportamenti aggressivi si ritrovano morso, calcio, spingere, colpire, inseguire ma anche le minacce come il tentativo di morso e di calcio, tentativo di colpire o la minaccia leggera (Christensen et al, 2002). Il rango è determinato non solo dalle minacce emesse ma anche dalla deferenza in seguito alla minaccia mostrata da un altro individuo, comportamenti di sottomissione di solito sono considerati un abbassamento della testa ed il distogliere lo sguardo, il mouth clapping, lo schiacciamento della coda o il ritirarsi (Araba and Crowell-Davis, 1994). L’ordine di rango individuale è unidirezionale ma, contrariamente a ciò che si pensava, può non essere lineare all’interno del gruppo; Houpt nel 1978 spiega come A possa “dominare” B, B possa “dominare” C e C possa “dominare” A, questo facilita la formazione di quelli che vengono chiamati triangoli sociali. Generalmente l’ordine di rango risulta lineare al vertice e alla base della gerarchia del branco, mentre nel mezzo possono esserci vari triangoli sociali. Altezza e peso, o entrambi, possono essere correlati con il rango (Tyler, 1972; Ellard et al, 1989) anche se in alcuni studi è stato affermato il contrario (Van

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Dierendonck, 1995); l’età ha mostrato più spesso una correlazione con il rango negli studi sui cavalli selvaggi (E. caballus e E. przewalski).

E’ naturale per i cavalli il tentativo di anteporsi ad un altro cavallo quando questi competono per le differenti risorse quali l’accoppiamento, il cibo o l’ acqua, per questa ragione alcuni studi sulla gerarchia tendono a registrare tutte le occorrenze del comportamento agonistico fra coppie di soggetti soprattutto durante l’alimentazione (Weeks et al, 2000).

Dato il fatto che la semplice registrazione dell’esito di uno scontro può essere una misura non reale del rango dei contendenti, i comportamenti di sottomissione, di sostituzione, affiliativi e di aggressività, dovrebbero essere analizzati parallelamente ed in dettaglio, come sono da tenere in considerazione per il mantenimento dell’ordine sociale anche comportamenti di evitamento, segni di pacificazione o di sostituzione da parte dei diversi cavalli del gruppo. Quindi piuttosto che accettare il concetto di una gerarchia basata sulla dominanza e sulla subordinazione, la gerarchia potrebbe essere considerata in un’ ottica basata sulla tolleranza e sull’attaccamento (Kolter, 1984).

I gruppi sociali si sono evoluti per fornire una protezione individuale contro i predatori, e la coesione viene mantenuta da una varietà di comportamenti benefici mutuali tra cui i comportamenti affiliativi. I legami sociali che contribuiscono alla stabilità del gruppo sono evidenziati dalle attività quotidiane quali le interazioni affiliative come il mutual grooming o l’approccio, il seguire, l’annusarsi il naso, il contatto amichevole (Heitor et al, 2006). Per ciascuna interazione si possono analizzare il comportamento e l’identità del ricevente e di colui che emette il comportamento utilizzando metodi quali il focal sampling (Altmann, 1974), nome dato alle tecniche di osservazione sistematica in cui l’osservatore si concentra su un solo individuo. Il rango indica l’ordine di evacuazione con cui i membri di un gruppo evacuano sugli escrementi di un altro, soprattutto per gli stalloni (Feist &

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McCullough, 1976), così come indica l’ordine di rotolamento, con l’animale di rango elevato che spesso marca per ultimo e si rotola per ultimo in modo da far prevalere il suo odore. Il rango influenza le dinamiche sociali dentro il branco, compresa la selezione dei partners del mutual grooming e le modalità di esecuzione dello stesso, con l’evidenza che gli animali di rango elevato più frequentemente iniziano una seduta di mutual grooming (Heitor et al, 2006). I cavalli di medio rango tendono molto più frequentemente a restare nelle immediate vicinanze di un altro cavallo piuttosto che quelli di alto rango o di basso rango che, al contrario, più facilmente troviamo isolati dal resto dei compagni.

Il rango sociale influisce sul comportamento riproduttivo in vari modi: ad esempio lo stallone può rifiutare l’accoppiamento con una femmina giovane e selezionare una femmina in estro di alto rango, quando è possibile una scelta (Asa et al, 1979). Gli stalloni periferici, ossia i maschi al di fuori del gruppo familiare ed i maschi di basso rango possono raramente accoppiarsi con femmine di rango elevato e, quando riescono, lo fanno in maniera furtiva, perché lo stallone residente rimane di solito molto vicino alle femmine in estro.

1.3.4: Etogramma

Nel nostro studio abbiamo tenuto in considerazione l’etogramma, ossia il catalogo del repertorio comportamentale relativo ad una specie, per analizzare i comportamenti di interesse riscontrati in un contesto post conflittuale.

Da quanto riportato in letteratura (Araba & Crowell-Davis, 1994; Kimura, 1998; Weeks et al, 2000; Christensen et al 2002; Strand et al, 2002;

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McGreevy, 2004; Mills & McDonnell, 2005; Heitor et al, 2006; Lloyd et al, 2007) sono stati definiti i diversi comportamenti osservati:

comportamenti aggressivi: comportamenti diretti verso membri della stessa o di un’altra specie per causare un danno fisico o impedire un azione; possono essere di natura sia vocale sia fisica e possono manifestarsi con un contatto diretto oppure con minacce (Aureli, 2002).

comportamenti affiliativi: quei comportamenti utili a mantenere la coesione di gruppo o fra due individui.

comportamenti di sottomissione: comportamenti che permettono ai soggetti subordinati di evitare attacchi (McGreevy, 2004).

le attività di sostituzione: comportamenti esibiti da un animale e non hanno apparentemente nessuna funzione evidente (Tinbergen, 1952; Zeigler, 1964); si pensa vengano emessi in situazioni di conflitto motivazionale e spesso consistono in attività dirette verso il proprio corpo; questi patterns comportamentali sono stati utilizzati nei primati non umani (Mastripieri et al, 1992) e nelle capre domestiche (Capra Hircus) da Schino (1998) come indici di ansia.

Oltre a questi comportamenti sono state osservate varie attività quotidiane quali il mangiare il fieno, pascolare, bere, sdraiarsi e le diverse andature (passo, trotto, galoppo). Successivamente tutti questi comportamenti saranno descritti nel dettaglio

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1.4: La risoluzione del conflitto all’interno del gruppo

1.4.1: La storia

Il comportamento aggressivo è fra quelli che hanno attratto maggiormente l'attenzione degli etologi.

Nel 1967 nel libro “On aggression” Konrad Lorenz definisce l’aggressività umana come un istinto, prodotto da una guida innata, difficile o addirittura impossibile da controllare. Questa definizione ha fatto discutere molti fisiologi ed antropologi ed ha avviato un dibattito acceso sulla natura dell’aggressività e sulle sue manifestazioni e conseguenze. Il dibattito si basa sulla dimostrazione che esistano fattori genetici e di apprendimento che influenzano l’aggressività ed inoltre, altro aspetto interessante è che da sempre l’aggressività è stata trattata come un comportamento isolato rispetto agli aspetti della vita sociale (Aureli & de Waal, 2000).

Le prime teorie riguardanti il comportamento aggressivo negli animali definiscono questo come esclusivamente distruttivo: la vittima di un’aggressione evita l’aggressore (Marler, 1976) e in generale gli animale mantengono “distanze individuali” per rispondere con ostilità a chi invade il loro spazio (Hedinger, 1941). Emerge da queste definizioni come l’unica visione del dibattito riguardante l’aggressività negli animali sia stata in un primo tempo negativa e di dispersione.

Di contro esistono studi sulla coesione del gruppo in specie gregarie e sull’importanza di questa coesione che viene comunque mantenuta nonostante in tutti i gruppi sociali si verifichino episodi di aggressione tra i vari individui. Alcuni autori (Aureli & de Waal,2000) riportano come nella loro esperienza, soprattutto con i primati, abbiano osservato che gli animali sociali dopo un conflitto piuttosto che evitarsi si cercano. In questa visione l’aggressività viene

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considerata un comportamento sociale piuttosto che un comportamento antisociale che prevede diverse possibili conseguenze e comportamenti tra i quali oltre alla dispersione o ad una nuova aggressione anche quello di riconciliazione.

1.4.2: La riconciliazione

La riconciliazione, o interazione amichevole fra due precedenti antagonisti subito dopo un conflitto, è stata descritta per la prima volta da De Waal e Van Roosmalen (1979) negli scimpanzé (Pan Troglodytes) nello zoo di Arnhem in Olanda. In questo studio si dimostra, per la prima volta, come nei primati alcuni patterns comportamentali (sequenze di baci, abbracci, vocalizzazioni), siano maggiormente emessi dopo un conflitto rispetto a situazioni di vita normale di gruppo, dai due soggetti implicati nel conflitto.

Successivamente i meccanismi della riconciliazione sono stati studiati in circa 30 specie di primati (Aureli & de Waal 2000; Aureli et al, 2002), e alcune specie di mammiferi non primati come il delfino (Tursiop truncatus) (Weaver, 2003; Samuels & Flaherty, 2000), la capra domestica (Capra Hircus) (Schino,1998), la jena (Crocuta, crocuta) (Hofer & East, 2000; Wahaj et al, 2001) il cane (Cools et al, 2007; Cozzi et al, 2008), il lupo (Cordoni & Palagi, 2008) e gli uccelli (Corvus frugileus) (Seed et al, 2007).

La riconciliazione è comune a molte specie gregarie con specifici sistemi sociali e permette di recuperare una relazione compromessa fra due antagonisti e a far diminuire l’ansia dei momenti successivi al conflitto (Koski et al, 2007), infatti, fenomeni aggressivi minano i rapporti tra i protagonisti del conflitto e provocano tensioni sociali all’interno dei gruppi (Cords, 1992; Aureli et al., 1999; Matsumura & Okamoto, 2000).

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A proposito del comportamento di riconciliazione, il concetto dell’ “Integrated Hypothesis” collega il livello di qualità della relazione degli antagonisti con l’ansia post conflict. Secondo tale modello è stato ipotizzato che i conflitti fra individui con un elevato livello di relazione, possano portare ad alti livelli di ansia post conflittuale che a sua volta potrà produrre un aumento della probabilità di riconciliazione (Aureli, 1997; Aureli & Smucny, 2000; Koski et al 2007).

Come riportato da De Waal e Yoshihara (1983), la riconciliazione dipende da introspezione e consapevolezza di sé e i requisiti per riconciliare sono principalmente tre:

a) capacità di riconoscersi

b) una buona memoria degli eventi appena passati

c) tendenza a riconciliare (CCT = Contact Conciliatory Tendency)

Questo non significa che i meccanismi di riconciliazione siano semplici ma spiega come, da specie a specie, questi meccanismi possano variare e ogni specie a seconda poi del grado delle proprie abilità cognitive, li possa utilizzare per le strategie di gruppo riferite alla gestione dei conflitti ed al mantenimento della coesione. Altro aspetto importante relativamente alla riunione post conflitto ed alle capacità cognitive implicate, è il fatto che negli individui debba cambiare la percezione di un contesto, ossia passare da antagonista ad amichevole e questo appunto avviene tramite alcuni comportamenti indicatori in ciascuna specie, di predisposizione all’interazione pacifica piuttosto che all’aggressività (Aureli et al, 2002).

Oltre al termine “riconciliazione” De Waal descrive (1979) la “consolazione” nei primati, ossia il contatto amichevole tra la vittima dell’aggressione ed un terzo individuo del gruppo.

Nel 1976 Hinde spiega che, quando si osserva un gruppo di animali, gli episodi di aggressività non sono isolati tra loro ma ogni interazione influisce sulla successiva e in questo modo due individui costruiscono una storia di

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interazioni e una maniera di comportarsi reciprocamente che viene definita “relazione sociale”; inoltre in ogni coppia di animali un individuo A investe su un individuo B e viceversa nel tentativo di migliorare la qualità della relazione e questo modello va a beneficio di entrambi i soggetti (Kummer, 1978). Queste considerazioni preparano il terreno per lo sviluppo della ricerca nell’ambito delle relazioni sociali e della risoluzione dei conflitti in specie che formano gruppi stabili e i presupposti sono:

- Riduzione dell’arousal in gruppo e promozione della stabilità di gruppo mantenuta grazie a particolari comportamenti quali il contatto amichevole ed il grooming.

- Connessione tra gli eventi aggressivi provocati da un conflitto e la seguente affiliazione, con l’impiego di definizioni funzionali quali riconciliazione e consolazione.

- Distinzione tra interazioni sociali e lo stabilirsi di una relazione sociale stabile.

Con la riconciliazione gli animali cercano di riparare il danno provocato da un conflitto attraverso le relazioni sociali; praticamente con un incremento delle interazioni amichevoli dopo un’aggressione e soprattutto un incremento di queste interazioni tra i due soggetti coinvolti in un conflitto. Per misurare ciò è indispensabile conoscere un livello baseline di interazioni di un gruppo e confrontare questo con le interazioni successive ad un conflitto. Diversi autori hanno proposto, nel corso degli anni, diversi metodi di studio della riconciliazione nelle varie specie, ma il metodo è sempre quello di confrontare ciò che succede normalmente durante le interazioni baseline di un gruppo e le interazioni subito successive ad un conflitto (De Waal e Yoshihara,1983; Aureli et al, 1989; Judge, 1991; Veenema et al, 1994).

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1.4.3: Il modello relazionale

L’aggressività è stata considerata inizialmente un comportamento socialmente negativo e come tale, creando molti problemi all’interno del gruppo, andava contenuta ed eliminata. Sino a quando questa è stata la visione del comportamento aggressivo, la sua implicazione nelle interazioni sociali è stata ignorata.

La prospettiva della risoluzione dei conflitti rompe con questa visione tradizionale e sposta l’attenzione sul fatto che l’aggressività non è solo espressione di uno stato interno, ma anche il prodotto di un conflitto di interesse ed una delle possibili vie che gli individui di un gruppo possono intraprendere per risolvere un conflitto.

Questo modello prende il nome di “Modello Relazionale” (De Waal,1996) (Fig. 3)

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Fig.3: Modello Relazionale (De Waal, 1996)

Secondo il Modello Relazionale gli individui coinvolti in un conflitto devono valutare oltre alle risorse, quali il cibo e la possibilità di accoppiarsi, il fatto

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che un’aggressione possa provocare ferite e danni alla relazione ed alla vita di gruppo; inoltre se in un gruppo il danno provocato da un conflitto può essere ridotto facilmente attraverso delle interazioni post-conflitto (riparabilità), i conflitti all’interno di un gruppo si possono verificare.

In pratica il Modello Relazionale sostiene che la tendenza ad iniziare un comportamento di aggressione aumenta con il numero di opportunità di competere riguardo alle risorse ed alla possibilità di risolvere un conflitto, mentre diminuisce con il rischio di ferite. L’intensità di un conflitto aggressivo dipende dall’esperienza ed è basata sui vantaggi a breve termine e le conseguenze negative a lungo termine sulla relazione tra i due individui.

Il Modello Relazionale non implica che in un gruppo non avvengano mai aggressioni violente e potenzialmente distruttive, ma afferma solamente che i conflitti intragruppo sono parte integrante delle relazioni sociali. Infatti già dallo svezzamento, che rappresenta il primo momento nella vita di un mammifero, l’individuo inizia a “negoziare” con il resto del gruppo relativamente alle varie risorse quali il cibo e il territorio (Aureli & de Waal, 2000).

Implicazioni relative al Modello Relazionale sono l’esistenza di una totale integrazione all’interno di un gruppo stabile tra possibilità di competere e di cooperare; e che non sono solo la paura e l’aggressività a sostenere un conflitto ma anche lo stato emozionale e le motivazioni legate alle risorse. In quest’ottica il conflitto può avere anche motivazioni affiliative come accade ad esempio tra madre e figlio tra i quali l’aggressività può esser motivata da punizione e paura , ma sicuramente anche dall’attaccamento (Weaver & de Waal, 1997).

Attualmente alla visione classica della gerarchia verticale, molti studi affiancano il concetto di cooperazione tra gli animali e quindi l’esistenza di una dinamica orizzontale all’interno del gruppo, nella formazione dei legami

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tra individui, legata alla rete delle relazioni affiliative (Aureli & de Waal, 2000).

Alcuni studi propongono di approfondire la ricerca riguardo alle emozioni animali e sostengono che la percezione del rischio e il potenziale danno ad una relazione stabile, possa indurre stress e ansia. Aureli (1997) ha dimostrato come nei primati i comportamenti indice di ansia aumentino nei momenti successivi ad un conflitto tra due individui con un alto grado di relazione, e questo non avvenga solo nell’individuo vittima dell’aggressione ma anche nell’aggressore. L’ipotesi sarebbe legata al fatto che entrambi i soggetti di un gruppo stabile coinvolti in un conflitto, percepirebbero il rischio della distruzione di una relazione che nella vita di gruppo apporta benefici.

1.4.4: La gestione del conflitto

Si ha un conflitto tra due contendenti quando entrambi gli animali hanno lo stesso obbiettivo oppure quando uno cerca di impedire all’altro di raggiungere un obbiettivo.

I conflitti non sono sempre espressi in interazioni comportamentali, ciascun individuo sceglie la strategia migliore per rapportarsi con un altro individuo in relazione all’obbiettivo che si prefigge e in base all’individuo con cui deve confrontarsi.

Come già descritto nel modello relazionale, che fa parte delle nuove teorie riguardanti la gestione del conflitto in un gruppo stabile, gli individui utilizzerebbero strategie per gestire i conflitti con gli altri membri del gruppo. In questo modello l’aggressione come la tolleranza sono possibili reazioni ad un conflitto di interesse all’interno del gruppo riguardo ad una risorsa.

I conflitti tra animali possono essere regolati anche in base al rapporto che intercorre tra i soggetti, ad esempio nel cane sono stati messi a confronto

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gruppi di animali familiari, cioè animali che hanno incontri frequenti e che condividono spesso risorse comuni, e gruppi di animali non familiari, ed è stato osservato come siano significativamente maggiori episodi di riconciliazione in animali familiari rispetto ai non familiari (Cool et al, 2008). Comportamenti di cooperazione e di aggressione non si escludono necessariamente a vicenda, ma hanno un uguale importanza sociale, ed un basso livello di aggressioni nel gruppo può facilitare la cooperazione tra gli individui (Aureli, 2000); inoltre nei gruppi di animali stabili vengono osservati generalmente livelli di aggressività più bassi (Schaffner, 1991) rispetto a gruppi neoformati o ad animali tra loro sconosciuti.

Molti studiosi ritengono che la riconciliazione come definita precedentemente, ossia la riunione amichevole dopo un conflitto, abbia la funzione di riparare ad un danno potenziale causato da un conflitto soprattutto quando la relazione tra gli individui è considerata di “valore”.

In generale, nelle specie gregarie, ossia quelle che hanno la tendenza a formare gruppi stabili, il conflitto di interesse e specialmente l’aggressione possono compromettere i benefici della vita di gruppo (Aureli, 2002).

Tutti i gruppi sociali sperimentano una sorta di competizione intragruppo e in alcune specie di primati ed altri mammiferi è stata studiata la capacità di riunirsi in maniera pacifica senza disperdersi. Questi sono meccanismi comportamentali che appunto mitigano i conflitti e che dovrebbero essere fortemente selezionati in animali che vivono con organizzazioni sociali stabili (Aureli & de Waal 2000).

Affinché si abbia la riconciliazione sono necessari alcuni requisiti quali la possibilità di avere relazioni interindividuali, la possibilità che si verifichino conflitti e che si abbiano quindi aggressioni, e la possibilità che dopo un attacco ci possa essere un nuovo attacco da parte di uno dei due soggetti coinvolti nel conflitto, ed infine il rischio che un conflitto possa portare alla perdita dei benefici che si hanno normalmente.

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1.4.5: Le relazioni diadiche

Per relazioni diadiche si intendono quelle interazioni che avvengono tra due soggetti di un gruppo, e nel caso specifico di un conflitto quelle interazioni che si stabiliscono tra la vittima e l’aggressore prima, durante e dopo il conflitto stesso.

Dagli studi esistenti emerge come i comportamenti attuati dai soggetti in un gruppo dopo un conflitto per avviare una riunione post conflitto amichevole, siano l’allogrooming, il toccarsi, lo stare a contatto, l’approcciarsi e poi altri particolari comportamenti di specie come “l’holding-bottom” (stare dietro) nei macachi o il anogenital sniffing (annusarsi i genitali e l’ano) nel cane (Cools et al, 2008). Questi studi hanno documentato spesso la funzione di questi incontri post conflitto per ristabilire i livelli di tolleranza tra le diadi di un gruppo, ridurre il rinnovarsi di attacchi ravvicinati e diminuire le manifestazioni di comportamenti indice di ansia.

In tutti gli studi fatti la percentuale dei conflitti con riconciliazione diadica non è mai stata del 100%, perché “riconciliare” presenta, come già detto, dei costi: ad esempio approcciarsi ad un precedente oppositore può portare ad una nuova aggressione, oppure sono documentati casi di “falsa riconciliazione” in cui un individuo si approccia amichevolmente per poi aggredire nuovamente appena arriva in contatto (Aureli & de Waal, 2000).

Secondo questo modello si comprende come la riconciliazione diadica sia il risultato di un bilancio che due individui fanno tra benefici e costi di una relazione.

Nello studio delle relazioni diadiche sono importanti le qualità della relazione sociale che si possono riassumere in “valore”, “sicurezza” e “compatibilità” e sono proprie di ciascun individuo e valutate nella relazione.

Quindi la Tendenza a riconciliare (Contact Conciliatory Tendency-CCT) è un accurata misura per comparare la frequenza di riconciliazione tra differenti

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diadi, gruppi o specie e rappresenta l’aumento di possibilità di contatto fra i vari animali (Aureli & deWall, 2000). Essa è influenzata come detto da:

Valore: cosa il soggetto guadagna dalla sua relazione con un altro soggetto che dipende da cosa questo soggetto ha da offrire, da cosa questo soggetto è disposto ad offrire e quanto sia accessibile un soggetto per l’altro.

Sicurezza: la probabilità percepita che la relazione tra due soggetti possa cambiare, che è in relazione con la consistenza delle risposte comportamentali dei soggetti.

Compatibilità: il tenore generale delle interazioni sociali di una diade che può risultare sia dal temperamento di entrambi i soggetti che dalla loro precedente storia e dagli scambi sociali.

I primi ad investigare e trattare l’argomento della qualità della relazione e della tendenza conciliatoria sono stati Hinde (1979) e Kummer (1978). Questi autori descrivono le relazioni diadiche in termini di contenuto, schema e qualità delle interazioni sociali tra due individui; ed affermano inoltre come una precedente interazione influenzi la successiva e così via, in modo da creare tra ogni coppia di individui una storia unica di relazione; alcune interazioni quindi servirebbero ai due soggetti coinvolti per beneficiare della relazione.

In quest’ottica diventa fondamentale il fatto che due individui siano in grado di avere una relazione di valore, infatti quando un partner ha un valore diventa molto importante ristabilire, attraverso interazioni amichevoli, la relazione dopo un conflitto. E’ importante sottolineare alcuni aspetti che spiegano come la qualità di una relazione (valore, sicurezza e compatibilità) possano influenzare i livelli di tendenza conciliatoria. In primo luogo, valore, sicurezza e compatibilità in una diade possono non essere reciprocamente uguali tra i due individui; quindi la possibilità di riconciliazione dipenderà dalla prospettiva di entrambi i soggetti ed aumenta quando la relazione ha un

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elevato valore per entrambi, quando un conflitto potrebbe rendere meno sicura la relazione o quando c’è un’alta compatibilità tra i soggetti. Pochi studi sinora hanno approfondito il discorso del potenziale effetto delle differenti prospettive dei due soggetti sulla relazione. In secondo luogo la tendenza conciliatoria può essere verificata su diverse scale: in una diade durante il tempo, in una diade rispetto al gruppo, fra diadi di una stessa specie ma di gruppi diversi e fra specie diverse. In terzo luogo misurare la tendenza conciliatoria non è semplice: nei vari studi pubblicati vengono proposti metodi differenti che variano in funzione della specie e dell’ambiente delle osservazioni (ad esempio animali in cattività o allo stato selvatico). Infine non ci sono studi che definiscano nello specifico le correlazioni tra i tre fattori (valore, sicurezza e compatibilità)(Aureli, 1997).

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1.4.6: Le relazioni triadiche

La ricerca riguardo le relazioni triadiche, ossia l’interazione amichevole di un terzo individuo del gruppo con uno dei due soggetti coinvolti in un conflitto nei momenti successivi al conflitto stesso, non è stata molto oggetto di studi. La Triadic Contact Tendency (TCT) è la misura della tendenza ad avere una interazione triadica post conflitto fra un partecipante al conflitto ed un terzo individuo del gruppo (Koski et al, 2007). Alcuni studi hanno approfondito questo aspetto (Judge,1991; Palagi et al, 2004; Seed et al, 2007; Cools et al, 2008) ed attualmente è un nuovo campo di ricerca in cui si è ancora in fase di formulazione di ipotesi.

Per quanto riguarda i primati le interazioni tra due soggetti in un gruppo sono influenzate dagli altri membri del gruppo, ad esempio è stato studiato come nei macachi giovani le relazioni e le interazioni con gli altri membri del gruppo siano influenzate dalla presenza delle loro madri (Walters & Seyfarth, 1987). Questo esempio è utile ad introdurre il concetto che la struttura sociale di un gruppo è molto di più di una semplice somma di relazioni di coppie, ed è quindi necessario studiare la risoluzione dei conflitti e il “management” di questi non solo a livello diadico ma anche a livello di gruppo prendendo in considerazione il ruolo degli altri soggetti.

I soggetti coinvolti in un conflitto possono ricevere un’interazione triadica e averne dei benefici, quali la protezione, il supporto o la diminuzione di uno stress, inoltre l’intromissione di un terzo individuo può far allontanare nell’immediato i due soggetti implicati nel conflitto e quindi evitare un’ escalation di aggressività.

Nei primati sono stati osservati come comportamenti triadici sia contatti con il corpo sia lo stare seduti vicino per marcare la fine di un conflitto; sempre nei primati sono state individuate anche caratteristiche vocalizzazioni utilizzate come interazioni triadiche dopo un conflitto.

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L’affiliazione post conflitto è stata spesso interpretata con una valenza di “appeasement” (calmante), andrebbe quindi a ridurre il rischio di una nuova aggressione, e avrebbe la funzione di alleviare lo stress negativo, assumendo una funzionalità di “consolation” (consolazione).

Alcuni autori hanno definito “appeaser” un terzo animale che ha un’interazione affiliativa durante un post conflitto con l’aggressore coinvolto nel conflitto; il consolatore “consolator” è un terzo animale che ha un interazione affiliativa, durante un post conflitto, con la vittima coinvolta nel disputa (Kutsukake and Castles, 2004).

Attualmente tra i primati interazioni affiliative triadiche postconflitto sono state descritte negli scimpanzé, nei bonobo, nei macachi e nei gorilla il cui rapporto all’interno del gruppo è paritario (de Waal and van Roosmalen, 1979; Call et al, 2002; Palagi et al, 2004; Mallavarapu et al, 2006).

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