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I. Caraibi: il contesto storico

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Academic year: 2021

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I. Caraibi: il contesto storico

I'm just a red nigger who love the sea, I had a sound colonial

education, I have Dutch, nigger, and English in me, and either I'm

nobody, or I'm a nation.

(Derek Walcott)

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La società che si è sviluppata nel bacino caraibico è costituita da popolazioni importate e, in tal senso, è un esempio di società costruita artificialmente. Nel corso del tempo, queste popolazioni hanno modellato l'ambiente seguendo due direzioni principali: da una parte, hanno avviato un processo verso la determinazione di strutture di potere, storie politiche e identità nazionali proprie; dall'altra, hanno continuato a emigrare in altre parti del mondo portando con sé il loro retaggio caraibico.

La diversità di forme e sistemi politici riflette le esperienze e le tradizioni coloniali proprie del singolo territorio. In generale, la presenza di distinti poteri coloniali, i quali hanno imposto tradizioni, valori e istituzioni proprie, ha contribuito alla percezione diffusa dei Caraibi come un'area divisa da barriere linguistiche, culturali e politiche.

1. L'età precolombiana

Il popolamento originario dei territori caraibici, avvenuto in un periodo che va dal 10.000 a.C. al I secolo a.C., si articolò in tre serie successive di migrazioni: i Siboney dalla Florida e Yucatan, gli Arawak dal Bacino amazzonico e infine i Caribi, sempre dall'America meridionale.1 Mentre tra

Siboney e Arawak si stabilì una convivenza generalmente pacifica, dando luogo a nuove civiltà e culture come i Lucayan e i Taino, i Caribi imposero la propria presenza principalmente con la forza e la dominazione.

1 I Siboney (o Ciboney) erano in gran parte gruppi nomadi dediti alla caccia e alla raccolta e si insediarono principalmente nelle isole più grandi del bacino caraibico. Gli Arawak erano dediti soprattutto all'agricoltura e sono considerati i discendenti diretti della tribù dei Galibi della Guyana. I Caribi erano un popolo dal temperamento guerrigliero e si stabilirono soprattutto nelle isole nord-occidentali.

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2. La colonizzazione europea

La colonizzazione europea è stata caratterizzata da cinque aspetti principali.2

Anzitutto, fu invasiva: al loro arrivo, gli Europei trovarono occupati la maggior parte dei territori e solo poche zone erano rimaste terra di nessuno. Occuparono dunque i territori con la forza, schiavizzando o uccidendo le popolazioni indigene. In secondo luogo, l'introduzione di flora e fauna nuove e la conseguente deforestazione locale, alterò completamente la biodiversità delle isole.

Il terzo aspetto fu che i nuovi coloni imposero nuovi modi di rivendicazione dei diritti e sistemi di governo e di lavoro: istituirono il sistema economico del capitalismo, con l'obiettivo principale di esportare le ricchezze in Europa e instaurarono governi di tipo imperialista con a capo il paese europeo che aveva colonizzato il territorio. Quarto aspetto: tutti questi cambiamenti sociali, politici, economici e ambientali furono causati da un nuovo sistema di idee sull'uomo e sull'umanità, che fu imposto alle popolazioni indigene sottomesse e, in seguito, agli schiavi deportati dall'Africa, favorendo il radicamento nella società del concetto di gerarchia sociale e di disuguaglianza tra gli uomini.3

L'ultimo aspetto fu che la compresenza di gruppi di persone provenienti dall'Europa, dall'Africa e in seguito dall'Asia, assieme ai nativi americani, invece di creare una popolazione omogenea e unita, aumentò in modo esponenziale la diversità genetica e di retaggio, con la progressiva comparsa di popoli, lingue e culture definite ibride o creole, radicate nei Caraibi e caratterizzate da elementi universali, o per meglio dire coloniali, più che locali.

2 Mentre nella prima colonizzazione delle Americhe l'arcipelago caraibico è stato l'ultimo territorio a essere popolato, la seconda colonizzazione iniziò proprio da queste isole. I primi ad arrivare furono Spagna e Portogallo nel XV secolo, seguiti nei secoli successivi da Francia, Inghilterra, Paesi Bassi e altre potenze tra cui Svezia, Danimarca e Norvegia.

3 La mentalità europea si basava sulla convinzione della superiorità dell'essere umano, il quale era posto in una posizione centrale e al di sopra del mondo naturale: nei Caraibi, questo pensiero si scontrò con l'animismo degli Amerindi, secondo i quali mondo naturale e soprannaturale erano interconnessi.

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3. Il sistema delle piantagioni

All'inizio del XVII secolo, le popolazioni e le civiltà indigene dei Caraibi erano sparite quasi del tutto, fatta eccezione per le isole più piccole.4 Il fenomeno

precipuo di questo periodo e che caratterizzerà il bacino per oltre quattro secoli fu la rivoluzione dello zucchero. Questa rivoluzione portò notevoli cambiamenti in molti aspetti della società e, sul piano storico internazionale, comportò un aumento massiccio del commercio di prodotti e di schiavi nell'Atlantico.

La tratta atlantica degli schiavi, conosciuta anche come commercio triangolare, fu un sistema attivo dalla metà del Quattrocento fino all'inizio dell'Ottocento. Infatti, l'espansione degli imperi europei nel Nuovo mondo era fondata su una risorsa principale, la forza lavoro: le popolazioni indigene si erano dimostrate inaffidabili (molti di loro morivano per le malattie portate dagli Europei), mentre gli Europei risentivano del clima e non erano immuni alle malattie tropicali. Gli Africani, invece, erano lavoratori eccellenti: esperti nell'agricoltura e nell'allevamento, abituati al clima torrido, resistenti alle malattie tropicali e potevano essere impiegati in modo estensivo nei campi e nelle miniere.

Si trattava di un commercio particolarmente fruttuoso, dato che i mercanti ricavavano profitto in ogni fase del viaggio. Nella prima fase, le navi partivano dall'Europa verso le coste africane occidentali5 con prodotti manifatturieri

(tessuti, perline, oggetti luccicanti), alcolici e armi che erano usati per la compravendita degli schiavi. Nella seconda, conosciuta come Middle Passage, le navi salpavano dall'Africa alla volta dei Caraibi, dove gli schiavi venivano venduti e i mercanti caricavano le stive con i prodotti delle piantagioni (melassa,

4 Verso la fine del Seicento, i Caraibi erano stati colonizzati completamente; ebbe inizio una lunga serie di battaglie tra le potenze europee per il controllo dei territori e le singole isole cambiarono spesso proprietà; tuttavia, verso la fine del Settecento la situazione diventò più o meno stabile.

5 Le principali regioni di provenienza degli schiavi erano l'Africa occidentale e centro-meridionale, in particolare le odierne Senegal, Gambia, Guinea superiore, Costa d'Oro, Golfo del Benin e Golfo del Biafra.

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rum, tabacco) da portare in Europa, chiudendo così il triangolo.

Il Middle Passage durava diversi mesi e gli africani viaggiavano in condizioni disumane: erano incatenati e ammassati a centinaia nelle stive, con poche occasioni di muoversi o di uscire sul ponte e ricevevano razioni di cibo e acqua insufficienti.6 Gli spazi angusti in cui erano costretti a passare la maggior

parte del tempo e il fatto che i membri delle comunità africane venivano intenzionalmente separati tra di loro, costringevano gli schiavi a creare nuovi legami con altri individui, formando così nuove comunità transatlantiche: è durante il Middle Passage che ha inizio l'alterazione dell'identità e della cultura africane di ciascuna comunità.

Nelle colonie, la piantagione diventò il modello di impresa dominante e cambiò profondamente l'assetto ambientale e la vita quotidiana.7 La piantagione

di zucchero non solo occupava la maggior parte della terra coltivata, ma richiedeva anche molta forza lavoro concentrata esclusivamente sui campi della piantagione e la costruzione di un complesso industriale e un sistema gerarchico di amministrazione; costituiva un vero e proprio microcosmo proiettato su se stesso, che si rivelò forte, resistente e prospero, anche dopo l'abolizione della schiavitù.

La società caraibica del XVIII secolo è stata definita dagli storici secondo due modelli, la società schiavista e quella creola: il primo modello evidenzia il fatto che gli schiavi rappresentavano un terzo o più della popolazione ed erano alla base della produzione economica, mentre il potere era nelle mani di una élite esclusiva. In effetti, in questa fase storica i Caraibi erano una comunità poco integrata composta da microcosmi di piantagioni tenuti insieme da relazioni di

6 Si stima che il 15% degli schiavi moriva durante il Middle Passage, per malattie dovute alle pessime condizioni igieniche, per denutrizione e per suicidi: il numero totale di morti africane attribuibili direttamente al Middle Passage è stimato a più di due milioni. Più in generale, il commercio triangolare dal Seicento all'Ottocento ha causato la morte di circa quattro milioni di Africani.

7 L'elemento chiave del sistema era la combinazione di agricoltura, in questo periodo quasi esclusivamente coltivazione di canne da zucchero, e industria, soprattutto produzione di melassa, zucchero e rum.

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potere. Il secondo modello enfatizza le interazioni culturali sottili e complesse e la creatività che esisteva all'interno (e nonostante) la brutalità e lo sfruttamento della schiavitù. Secondo una possibile etimologia del termine, infatti, creolo viene dal portoghese crioulo e ha una connotazione che indica sia “nato in” sia “nativo di” un luogo, ma non indigeno;8 il creolo quindi è un nuovo individuo

che è cresciuto in un ambiente altro rispetto al suo insediamento naturale e che interagisce con gruppi sociali a lui sconosciuti.

4. L'abolizione della schiavitù

Secondo un pregiudizio diffuso ancora oggi, la popolazione nera non ha mai combattuto per la libertà; questo pensiero emergeva anche nella letteratura attraverso la creazione di personaggi deboli e passivi, incapaci di riconoscere la propria forza e determinazione. Questa visione distorta è stata alimentata anche da un'educazione scolastica che esaltava il modello socio-culturale europeo e presentava un'immagine deformata e grottesca dell'abitante delle colonie. In realtà, la ribellione contro i padroni è sempre stata viva tra gli schiavi, in varie forme: suicidio, mutilazione di arti, avvelenamento dei padroni, fughe e altri tentativi di dissidenza. Ribellioni e rivolte sono state un aspetto integrante della resistenza e furono fondamentali per il raggiungimento dell'abolizione della schiavitù9.

L'emancipazione degli schiavi non pose fine al sistema di ingiustizie: all'abolizione formale della schiavitù seguiva, infatti, un periodo di libertà vincolata. Nelle colonie britanniche, per esempio, fu istituito un sistema di

8 Cfr. Franca, Cavagnoli, Il proprio e l'estraneo nella traduzione letteraria di lingua inglese, Monza, Polimetrica, 2010, p. 98.

9 L'abolizione della schiavitù nel bacino caraibico fu il risultato di un processo graduale e progressivo, che durò quasi un secolo; la prima isola fu Haiti nel 1793, l'ultima Cuba nel 1883. I tempi e le modalità con cui ciascuna isola raggiunse l'obiettivo variavano in base al singolo territorio, alla sua posizione geografica e alla potenza imperiale da cui era controllato.

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apprendistato10 con lo scopo dichiarato di inserire gli ex schiavi nel nuovo

contesto sociale, ma che in realtà era una forma di compensazione per i proprietari di piantagioni, poiché si trattava di un tentativo per costringere gli ex schiavi a rimanere nelle stesse.

L'abolizione della schiavitù non alterò la struttura della società fondata su di essa.11 Uno dei motivi del perdurare di questa condizione era che l'abolizione fu

dichiarata dagli stessi proprietari di schiavi e dai governi imperialisti: questi ultimi cambiarono politica con il nuovo obiettivo di uniformare la popolazione caraibica al proprio modello coloniale.

L'imperialismo britannico si fece carico di una vera e propria “missione civilizzatrice”, che partiva dal presupposto secondo cui la bellezza e la perfezione della propria lingua, come pure i benefici della propria cultura “civilizzata”, dovessero essere condivisi con il resto del mondo; questa fede indiscussa nella superiorità della propria civiltà fornì all'impero la giustificazione morale per lo sfruttamento politico ed economico delle colonie.12

Il processo di consolidamento del controllo dei propri domini si fondava sulla convinzione indiscussa che la lingua inglese era così superiore rispetto alle lingue delle popolazioni sottomesse, che i colonizzati l'avrebbero certamente accettata e ne avrebbero apprezzati i benefici. Pertanto, il ruolo della lingua nell'ideologia della missione civilizzatrice era fondamentale: questa missione non prevedeva solo di civilizzare il mondo, ma anche di diffondere i benefici della razza britannica. Nel 1850, la rivista The Anglo Saxon pubblicava questa poesia del poeta e scrittore Martin Tupper:

10 L'apprendistato prevedeva che gli ex schiavi lavorassero nelle stesse piantagioni in cui erano stati schiavi per un periodo, che variava dai quattro ai sei anni, a delle condizioni disumane: i turni di lavoro duravano tutto il giorno, la paga era misera e gli alloggi riservati ai braccianti erano piccoli e in numero insufficiente per tutti. Cfr. B.W., Higman, A concise history of the

Caribbean, New York, Cambridge University Press, 2011, pp. 141-88.

11 La piantagione e la canna da zucchero rimasero elementi fondamentali del panorama caraibico di questo periodo e fino alla metà del XX secolo. La produzione aumentò in modo massiccio, grazie anche all'applicazione di nuove tecnologie nella lavorazione e trasporto delle canne e all'uso di nuovi macchinari più efficienti.

12 Cfr. Bill, Ashcroft, Caliban's Voice. The transformation of English in post-colonial

literatures, Oxford e New York, Routledge, 2009, pp. 35-39.

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Stretch forth! stretch forth! from the south to the north, From the east to the west, - stretch forth! stretch forth! Strengthen thy stakes and lengthen thy cords, -The world is a tent for the world's true lords! Break forth and spread over every place The world is a world for the Saxon race!13

Di conseguenza, l'insegnamento della lingua dell'impero era essenziale: l'istruzione era promossa con l'ottica di forgiare bravi cittadini coloniali, fedeli alla monarchia imperiale britannica e felici di accettare il proprio destino. Gli organi di governo, con la complicità di scuola e chiesa, imposero l'inglese come lingua nazionale, che era impiegata nei contesti istituzionali, nelle parrocchie e nelle aule di scuola, mentre le varietà di inglese, come creolo e pidgin, divennero le lingue dell'ambito domestico, familiare e delle comunità locali.14

Si diffuse un giudizio negativo nei confronti di questi linguaggi, anche se diventarono profondamente radicati nelle singole culture e società:

English by the time was “right”; all the other languages were “wrong” as mediums of schooling and education, an ideology which spoke loudly and clearly to two issues on the colonial frontier: the inequitable distribution and unethical use of power of the one hand, and the extent to which consent for the dominance of English had been manufactured.15

Cominciò a delinearsi, in questo modo, una situazione che in seguito

13 Bill, Ashcroft, op. cit., p. 37.

14 Cfr. Merle, Collins, “Writing and Creole Language Politics. Voice and Story”, in Kathleen M., Balutansky, Marie-Agnès, Sourieau (a cura di), Caribbean creolization. Reflections on the

Cultural Dynamics of Language, Literature, and Identity, USA, University Press of Florida,

1998, pp. 89-95.

15 Norrel A., London, citato in Bill, Ashcroft, op. cit., p. 51.

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Brathwaite definirà in termini di pluralismo linguistico.16 Nelle isole, infatti, sono

presenti: l'inglese, inteso come la lingua europea che è stata imposta dalla potenza imperiale; il creolo a base inglese, che è una mescolanza tra la lingua imperiale e la sua variante nata dall'adattamento al nuovo ambiente e dal contatto con le altre lingue importate. Poi c'è quella che Brathwaite definisce nation language, cioè l'inglese parlato dagli schiavi e lavoratori importati dalle altre parti del mondo; infine, ci sono i linguaggi delle prime popolazioni che sono ancora presenti in qualche zona dell'arcipelago.17

Nei Caraibi, il sistema d'istruzione non solo non riconobbe la presenza di queste varietà linguistiche, ma mantenne la lingua dei conquistatori. Tale sistema, quindi, si delineò come una sorta di eredità dell'impero: per esempio, nelle scuole caraibiche furono imposte le forme e i modelli letterari inglesi, così familiari all'Europa, ma così distanti dal contesto caraibico, costringendo gli studenti a imparare cose che per loro non avevano rilevanza.18

Il pluralismo linguistico si riflette anche nel pluralismo delle società coloniali, fenomeno che porta alla formazione di comunità distinte in base alla lingua ufficiale, le quali vengono a definirsi come Caraibi anglofoni, francofoni, ispanofoni, ecc., in cui si innestano le identità imperiali.

5. Una nuova potenza imperialista

A partire dalla fine del XIX secolo si verificò una spinta verso l'America settentrionale per due motivi principali: gli Stati Uniti si stavano sostituendo all'Europa nel ruolo di potenza imperiale dominante e i Caraibi avevano

16 Cfr. E. Kamau, Brathwaite, “English in the Caribbean: Notes on Nation, Language, and Poetry. An Electronic Lecture.”, in Leslie A., Fiedler, Houston A., Baker, (a cura di), English

Literature: Opening Up the Canon, 1981, pp. 15-53.

17 A questo insieme di varietà inglesi, vanno aggiunte le lingue dei gruppi etnici che sono arrivati successivamente, per esempio l'Hindi, alcune varietà di cinese e ancora qualche traccia delle antiche lingue africane. Cfr. E. Kamau, Brathwaite, op. cit., p. 17.

18 Cfr. E. Kamau, Brathwaite, op. cit., pp. 18-19.

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sviluppato forti legami economici con questa nuova potenza emergente.19

Un malcontento generale cominciò a farsi strada tra i coloni a causa di diversi fattori: depressione economica, instabilità lavorativa, nascita e ascesa di una borghesia nera e “coloured”20, una coscienza razziale emergente, una

crescente consapevolezza dell'esistenza di movimenti anti-coloniali, un'esposizione a un mondo più vasto a seguito della migrazione e della I Guerra mondiale.

Tra le popolazioni dei Caraibi, le lingue africane sparirono quasi del tutto, mentre i creoli diventarono le lingue più diffuse e radicate, sebbene le scuole, i mezzi di comunicazione e gli organi governativi usassero le lingue europee; anche nell'ambito letterario gli scrittori esitavano nell'uso del creolo. L'imposizione delle lingue europee e la svalutazione dei creoli costituirono uno strumento di dominazione delle società caraibiche da parte del potere coloniale: un individuo che si vergogna di parlare la sua prima lingua è indotto a considerare tutto il proprio bagaglio culturale inferiore rispetto alle culture altre.21

6. I Caraibi oggi

Alla fine della II Guerra mondiale, la maggior parte delle isole era ancora

19 Forti della dottrina Monroe, gli Stati Uniti iniziarono una serie di interventi e occupazioni e molti territori caraibici subirono un'alternanza di regimi dittatoriali e democratici: durante la I Guerra Mondiale occuparono Haiti e la Repubblica Domenicana, intervennero a Cuba e comprarono le Isole Vergini dalla Danimarca. Tuttavia, le colonie di Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi rimasero più o meno invariate.

20 Nelle Americhe è noto il concetto di colorism, ossia la discriminazione razziale in base al colore della pelle: gli individui sono classificati in razze in base al colore della pelle, cui viene associato uno status sociale più o meno elevato; più la pelle è chiara, più alto sarà lo status. Pertanto, non è insolito sentire termini come “light-skinned”, “brown-skinned”,

“black-skinned” e “coloured”. Cfr. David, Dabydeen, Nana, Wilson-Tagoe, A Reader's Guide to Westindian and Black British Literature, London, Hansib Educational Publication, 1997, pp.

31-33.

21 L'istruzione elementare divenne obbligatoria e gratuita per tutti; anche se costituiva uno strumento di plagio e di controllo sociale da parte delle istituzioni coloniali, allo stesso tempo era una risorsa preziosa per le popolazioni caraibiche, poiché rappresentava uno dei pochi mezzi per fuggire dai confini ristretti della piantagione e della colonia.

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sotto il dominio coloniale. La situazione cambiò velocemente nella seconda metà del Novecento, e dal 1975 al 2010 sono nate tredici nazioni indipendenti, mentre altri undici paesi sono rimasti sotto il controllo di paesi stranieri, con diverse forme di governo. Questa riorganizzazione ha portato molti cambiamenti politici e sociali; si è trattato di un processo articolato, poiché il declino dell'imperialismo formale e dello status coloniale è stato parallelo a fenomeni quali l'americanizzazione, l'internazionalismo, il transnazionalismo e la globalizzazione.

La storia moderna dei Caraibi è dominata da un conflitto, iniziato già nel XVII secolo, tra le forze omologanti e integranti dei sistemi economici globali e i prodotti creativi della creolizzazione che nascono e si sviluppano nei territori locali. Molti studiosi e scrittori, primo fra tutti Brathwaite, si sono dedicati allo studio critico del fenomeno della creolizzazione; egli definisce i processi di adattamento e adeguamento alla schiavitù e colonizzazione dei “processi creolizzanti” e li considera delle possibilità creative in grado di costituire un fondamento storico per una tradizione poetica.22

Durante il secondo dopoguerra, la spinta verso la globalizzazione si rafforza, ma allo stesso tempo assume gli aspetti locali della creolizzazione, creando un sistema molto più interattivo che riporta i Caraibi al centro del mondo. Contemporaneamente, la popolazione caraibica tende sempre più a considerarsi come indigena, non solo nel senso che i propri antenati sono nati nelle isole ma soprattutto perché, a tutti gli effetti, discende dagli abitanti aborigeni pre-colombiani; questo ritrovato senso di “indigeno” è stato interiorizzato come parte integrante dell'identità nazionale.

22 Cfr. David, Dabydeen, Nana, Wilson-Tagoe, op. cit., pp. 19-21.

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