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CENTRO PER LA PRODUZIONE E L'ESPOSIZIONE DELL'ARTE MIGRATORIANuovi ruoli per la città dei migranti

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Academic year: 2021

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SCUOLA DI ARCHITETTURA URBANISTICA INGEGNERIA

DELLE COSTRUZIONI MI

CENTRO PER LA PRODUZIONE E L'ESPOSIZIONE DELL'ARTE MIGRATORIA Nuovi ruoli per la città dei migranti

Corso di Laurea Magistrale in

ARCHITETTURA - PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA Relatore

Giovanni Luca Ferreri Correlatori: Luca Monica Luca Bergamaschi Giulio Pasquale Campaiola

Andrea Antonio Bassoli Laureando

Luca Russo, 840976 Anno Accademico

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Indice dei contenuti

ABSTRACT... 3

INTRODUZIONE... 4

1_“CHI BUSSA ALLA NOSTRA PORTA?”...5

1.1 EUROPA E MIGRAZIONE...5

1.2_UN PO' DI NUMERI... 6

1.2.1_ CRESCITA E DECRESCITA DEMOGRAFICA...6

1.2.2_A COSA STIAMO ASSISTENDO?...9

2_GLI STRUMENTI DI ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE...13

2.1_ COME FUNZIONA IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA ITALIANO...13

2.1.1_ PRIMA ACCOGLIENZA...14

2.1.2_ SECONDA ACCOGLIENZA...14

2.1.3_ IL NUOVO SISTEMA DI ACCOGLIENZA...16

2.2.1_ L'ARTE COME STRUMENTO DI INTEGRAZIONE: IL CASI DI SADIQ ALIZADA...16

2.2.2_ COSE DICE L'UE AL RIGUARDO...18

2.2.3_ “AFRICAN METROPOLIS. UNA CITTÀ IMMAGINARIA”...20

3_RELAZIONE TECNICA DEL PROGETTO...24

3.1_ PREMESSA ... 24

3.2_INSERIMENTO URBANO...24

3.3_PROGETTO ARCHITETTONICO...24

3.3.1_ PARCO ... 25

3.3.2_PARCO RIALZATO...25

3.3.3_COPERTURA DELLA FERROVIA ...25

3.3.4_TORRE MUSEO... 26

3.3.5_ PADIGLIONE PER LE MOSTRE TEMPORANEE...27

3.3.5.1_ ACCESSIBILITA' AI PIANI...28

3.3.6_LABORATORI D'ARTE...28

3.3.6.1_ MOVIMENTAZIONE OPERE E MATERIALI...29

3.3.7_ALLESTIMENTO... 29

3.4.1_STRADA E PARCO RIALZATI E TERRAPIENI...30

3.4.1.1_ CORPO CENTRALE...30

3.4.1.2_VOLUMI A SBALZO “CORTI”...30

3.4.1.3_VOLUMI A SBALZO “LUNGHI”...31

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3.4.1.5_ULTIMO PIANO...31

3.4.1.6_COPERTURA... 31

3.5_ASPETTI IMPIANTISTICI...31

BIBLIOGRAFIA... 34

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ABSTRACT

Nel panorama politico e sociale italiano ed europeo non esiste, attualmente, tema più presente e prorompente della gestione del fenomeno migratorio. Ognuno ha un'opinione, ognuno ha una soluzione, chi con toni più aggressivi, chi meno.

In un oceano di voci, quella dell'Architettura non può esimersi dal cercare di mettere a

disposizione i propri strumenti per fare in modo che quello che oggi viene per lo più percepito come un problema, possa in realtà trasformarsi in un'opportunità.

Ma in che modo l'architettura può trasformare un problema sociale come quello

dell'immigrazione in un opportunità? Non esiste una ricetta precisa, una formula magica capace di rimettere insieme i cocci con uno schiocco di dita.

Esistono però vari strumenti in dotazione al mondo architettonico capaci di dare almeno una linea su quello che può essere o meno una strada da seguire.

Lo strumento più forte è quello della progettazione. Se è vero l'architetto plasma lo spazio, è vero anche che lo spazio influisce il nostro modo di vivere tanto quanto quello del migrante. Ecco quindi che fornire spazi adeguati ad usi adeguati può essere un forte strumento per l'integrazione.

Il tema di questa trattazione sarà quindi quello della progettazione di uno spazio adeguato dove il migrante possa svolgere attività sia lavorative che non, che accelerino e facilitino il suo

percorso di ingresso nella società.

In particolare è stata individuata nell'attività artistico culturale, e più precisamente nella

produzione e nell'esposizione di opere d'arte da parte dei migranti, la risposta alla domanda di un forte strumento per l'integrazione.

Progettare un “Centro per la produzione e l'esposizione dell'arte migratoria”sarà quindi lo scopo finale del trattato.

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INTRODUZIONE

Oggetto di questo elaborato di tesi è la progettazione di un Centro per la produzione e l'esposizione dell'arte migratoria.

In un contesto sociale e politico dove è sempre più difficile pensare all'integrazione come un aspetto positivo, è necessario trovare nuovi strumenti capaci di potenziare il fenomeno dell'integrazione.

Come verrà presentato all'interno dell'elaborato, L'Unione Europea raccomanda l'utilizzo

dell'arte e della cultura in generale come strumento di integrazione e questo elaborato si muove proprio in questo senso presentando un progetto di un museo dove i migranti possano esporre le opere prodotte nei laboratori d'arte adiacenti al museo.

Le motivazioni che mi hanno portato ad affrontare questo tema di ricerca e progettazione sono in parte in parte politiche e in parte dettate da una personale curiosità e propensione al pensare a possibili soluzioni per quelli che vengono considerati dai più problemi sociali.

Dal punto di vista dell'architettura inoltre, il tema museale, specialmente nella sua declinazione contemporanea, è un tema che mi ha sempre affascinato, in particolare per il modo in cui può capitare che una medesima mostra, trasferita in un architettura differente, abbia un effetto completamente diverso sul visitatore. Il ruolo dell'architetto, nella progettazione di un museo, diventa a tutto campo una collaborazione con l'artista, e non solo per quel che concerne il progetto di allestimento, ma anche per la progettazione dell'edificio che accoglie, che in un certo senso diventa lui stesso in prima istanza un'opera d'arte, la prima che il visitatore si trova ad ammirare.

Gli obiettivi di ricerca sono quindi volti a trovare se vi siano o meno motivazioni tali da rendere auspicabile la realizzazione di un museo per l'arte migratoria.

Si è quindi proceduto con una prima fase in cui si sono analizzate la caratteristiche attuali del fenomeno migratorio. Nel primo capitolo si affronta il tema della migrazione, come esse abbia condizionato la storia di interi continenti, determinandone in alcuni casi il successo o il declino. Si è poi proceduto nel ricercare e quantificare l'andamento dei flussi migratori attuali che coinvolgono l'Europa in prima istanza e l'Italia in particolar modo, analizzando in seguito quello che gli studi più importanti ipotizzano per il futuro.

Tema del secondo capitolo è invece quello dell'analisi delle strategie che l'Italia mette in atto per l'accoglienza. Dopo uno sguardo sul funzionamento del sistema dell'accoglienza si è poi

cercato di dare una risposta a chi si domanda come si possa agire per contenere quello che appunto parte della società definisce come un problema.

Attraverso la presentazione di alcuni casi tipo, si è visto come l'arte possa servire ed addirittura potenziare il processo di integrazione.

Gli strumenti di utilizzati nella trattazione di questi primi due capitoli sono stati per lo più testi di storia e di geopolitica come il mensile Limes, i dati e i rapporti di Frontex, ed altri supporti di questo tipo.

Nel terzo capitolo invece è presentata una breve relazione del progetto realizzato, analizzando i temi trattati partendo dalla scala più ampia per scendere man mano sempre più nel dettaglio sino ad arrivare ad una prima proposta d'allestimento, al funzionamento della parte

concernente le strutture portanti dell'edificio e degli impianti di illuminazione e trattamento aria. Per questo capitolo, oltre alle classiche manualistiche d'architettura, alla consultazione delle carte storiche di Milano sono stati consultati anche vari volumi sulle arti, in particolar modo su quella africana.

In appendice si trova invece un'intervista realizzata dal quotidiano ReggiOnline a Sadiq Alizada, un migrante che ha potuto usufruire della produzione artistica nel suo processo di integrazione (caso analizzato nel secondo capitolo).

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1_“CHI BUSSA ALLA NOSTRA PORTA?”

1.1 EUROPA E MIGRAZIONE

La migrazione fa parte dell'umanità fin dai suoi albori. L'Uomo come lo conosciamo oggi non esisteva ancora, ma i suoi antenati muovevano i primi passi fuori dal continente africano già 1,7 milioni di anni fa in quella che gli antropologi definiscono la prima Out of Africa I. Le ragioni, all'epoca, erano di natura primaria: trovare nuove aree abitabili ricchi di risorse. Quasi 1,5 milioni di anni dopo era la volta del secondo Out of Africa, in questo caso ad opera dell'uomo moderno. Anche qui le ragioni erano date dalla volontà di trovare nuove aree

abitabili dove stabilirsi e cacciare.

Con il progredire delle conoscenze e della tecnologia e con l'invenzione dell'agricoltura l'Uomo ha potuto spingersi sempre più al di fuori di aree caratterizzate da climi caldi. La conciatura delle pelli, le prime tessiture, l'abilità sempre crescente nel costruire ripari, hanno dato la possibilità anche a continenti dal clima più impervio, come per l'appunto l'Europa, di vedere l'arrivo di Homo Sapiens.

Ed è così che circa quarantamila anni fa, l'Uomo si sposta e si stabilisce nel nostro continente. Si può dire quindi che l'Europa è nata, antropologicamente parlando, dalle migrazioni, e per tutta la sua storia la migrazione è sempre stata la spina dorsale sul quale le civiltà si sono evolute.

Si pensi alle migrazioni in cerca di nuove colonie dei Greci in sud Italia e nel sud della Francia, migrazioni che hanno contribuito alla nascita culturale di Roma. Si pensi alle colonizzazioni, e quindi alle migrazioni, dei Romani nel resto del continente e di conseguenza all'espansione della sua cultura o, se si preferisce, civiltà.

Si pensi alle migrazioni dei “barbari”, che hanno costellato la storia Romana fin dai suoi albori, determinandone, in parte, la sua fine in occidente.

E gli esempi potrebbero continuare fino ad oggi.

Si può quindi confermare quanto accennato in precedenza: la storia antropologica, sociale, e culturale Europea è fortemente ancorata ai processi migratori.

Attraverso la migrazione, però, l'Europa non ha solamente “subito” il proprio destino, ma ha anche plasmato quello di altri continenti. La storia dell'intero continente americano dal '500 in poi è stata completamente determinata della migrazione, spesso violenta, degli europei. In quei secoli vennero gettate la basi per “una prima grande globalizzazione moderna, aprendo il continente a consistenti flussi di emigrazione”1. Durante questo periodo quindi l'Europa

conosce, per la prima volta in modo così consistente, il fenomeno dell'emigrazione dai propri territori verso altri che promettevano un futuro più allettante.

Una seconda fase, che si può definire come seconda globalizzazione, l'Europa la vive a partire dall'800. Qui i flussi verso i Nuovi Mondi vedono un incremento vertiginoso. I grandi capitali della nuova società industriale, quella Statunitense in testa, affamati di forza lavoro, attiravano dall'Europa un fiume in piena di nuovi coloni.

Fiume che rallentò, senza però prosciugarsi del tutto, con il crollo demografico europeo causato dapprima dalla Prima Guerra Mondiale e dall'Influenza Spagnola in seguito.

Negli ultimi decenni qualcosa è cambiato: dopo più di '500 anni in cui l'Europa si trovava ad esportare il proprio stile di vita, le proprie lingue, la propria religione, e in senso più ampio la propria cultura nel mondo, il flusso si è invertito. L'Europa è tornata ad essere un terreno di approdo. Questo fenomeno ha colto il nostro continente totalmente impreparato. In modo quasi frastornato ci troviamo quindi in un momento storico dove ogni scelta, che sia di chiusura

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o di apertura, sembra essere allo stesso tempo quella più giusta e quella più sbagliata. E mentre la politica è bloccata dalle sue indecisioni, il continente è costantemente popolato e insediato, e per molti insidiato, da nuovi migranti in cerca di una nuova e più promettente esistenza.

1.2_UN PO' DI NUMERI

1.2.1_ CRESCITA E DECRESCITA DEMOGRAFICA

Nel paragrafo precedente si è accennato all'interruzione dell'enorme flusso migratorio che dall'Europa ha interessato i Nuovi Mondi durante il XIX secolo, e si è accennato al calo della popolazione europea, dovuto alle guerre e alle epidemie di inizio secolo, come una delle cause che ha determinato questa interruzione.

In effetti tra le cause che possiamo definire come determinanti in un fenomeno migratorio di quelle proporzioni, l'aspetto demografico è sicuramente una delle principali. Ovviamente non è il solo: povertà, guerra, destabilizzazioni politiche ed economiche nei paesi di partenza e prospettive di ricchezza e stabilità politica in quelli di arrivo, sono tutti fattori cruciali nel

determinare il peso di un fenomeno migratorio. Si può dire però che il fattore demografico sia quello scatenante e soprattutto quello che determina l'andamento dei fattori appena elencati. Banalmente: se nel XIX secolo in Europa non ci fosse stata una tale espansione demografica, che al netto delle emigrazioni ha visto crescere la popolazione dai 224 milioni del 1820 ai 498 milioni del 1913 (+122,32%), difficilmente vi sarebbe stato un sufficiente numero di coloni per sfamare la sete di lavoratori delle industrie americane. Allo stesso tempo in Europa, senza una tale crescita di popolazione, probabilmente le risorse disponibili sarebbero state sufficienti per la popolazione, permettendo quindi ai residenti di vivere secondo standard mediamente accettabili per l'epoca. Sarebbe quindi mancata la principale molla che da il via ad un flusso migratorio, vale a dire la speranza, in chi lascia la propria terra, di trovare nella nuova casa prospettive di vita migliori.

Per provare a dimostrare questa ipotesi è utile osservare i recenti dati sull'immigrazione in Europa.

Se quanto ipotizzato fosse vero si dovrebbe quindi trovare una correlazione tra gli indici di crescita demografica e la provenienza dei migranti.

Per prima cosa si procede con l'analisi dei saldi di crescita della popolazione europea. Partendo dal primo dopo guerra fino ad arrivare ai giorni nostri il saldo di crescita ha

conosciuto due fasi: la prima fase va dal 1945 al 1980: qui la popolazione europea è cresciuta del 33%, passando da 524 milioni a 695 milioni (+171 milioni). Questo forte aumento è sicuramente dovuto al periodo di espansione economica e benessere sociale successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Con gli assestamenti delle economie, e le prime crisi, si è invece assistito nel periodo che va dal 1980 al 2015 ad un significativo rallentamento nella crescita della popolazione.

In questi trentacinque anni infatti si è passati dai 695 milioni del 1980 ai 743 del 2015, con una crescita del 7%, molto lontano dal +33% degli anni precedenti. Se si pensa poi che in parte questo aumento è stato causato dall'arrivo dei primi grandi flussi di extracomunitari iniziato negli anni '90, si può ben intuire come l'Europa sia interessata da un periodo di stagnazione demografica.

In parole povere, e per utilizzare un gergo popolare che però semplifica molto bene quello che sta accadendo, “non si fanno più figli”.

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Per il 2017 il tasso annuo medio di crescita nel mondo è attestato dalla Banca Mondiale attorno all'1,6 % .

Dividendo la popolazione mondiale in sei macro-aree si possono osservare i dati più nel dettaglio:

–Africa sub-sahariana: 2,7% –America del Nord: 0,77%

–America Latina e Caraibi: 1,02% –Asia meridionale: 1,25%

–Asia orientale e Pacifico: 0,68% –Europa e Asia Centrale: 0,42% –Medio Oriente e Nord Africa: 1,74%

Da una prima e rapida analisi di questo semplice elenco risulta chiara una cosa: l'Africa sub-sahariana cresce ad un ritmo quasi sette volte superiore a quanto sta facendo l'Europa.

Per dare un'idea di ciò che questo può significare, quanto emerge equivale a dire che se i tassi rimanessero invariati (aspetto che difficilmente tenderà a verificarsi in quanto per l'Europa è prevista addirittura una decrescita) tra dieci anni la popolazione europea aumenterebbe di circa 30 milioni di individui, mentre quella dell'Africa sub-sahariana aumenterebbe di quasi la stessa cifra, 27 milioni, in un solo anno, e di quasi 300 milioni in dieci anni!

Da qui al 2050 le previsioni rendono ancor più giustizia all'enorme divario in termini di crescita demografica: in Europa si passerebbe addirittura, data la decrescita prevista, ad una

diminuzione della popolazione rispetto al 2017 di circa 40 milioni, mentre nell'Africa sub-sahariana l'aumento della popolazione rispetto al 2017 di 1 miliardo e 100 milioni, praticamente più che raddoppiata.

Scendendo nel dettaglio, e analizzando quelle che sono le due nazioni più popolose dei due continenti, Germania e Nigeria, possiamo avere un altro resoconto di quanto sta accadendo. In Germania la popolazione al 2050 subirà una diminuzione di ben il 18%.

Nello stesso periodo di tempo in Nigeria si osserverà un aumento del 141%.

Appare chiaro come nel prossimo futuro il mondo, ed in particolare l'Europa che si trova a pochi passi, dovrà fare i conti con questo enorme boom demografico del quale l'Africa sarà protagonista.

Per quanto riguarda l'ipotesi di partenza non resta ora che analizzare i dati sull'immigrazione Europea, in particolare i paesi di provenienza dei migranti, e osservare se può esistere una qualche correlazione gli andamenti demografici mondiali.

Si analizzeranno quindi i dati sugli ingressi irregolari2 andando ad osservare quali sono le

nazioni di provenienza dei migranti in arrivo.

Secondo l'Annual Risk Analysis di Frontex, nel 2017 le prime dieci posizioni, per quanto riguarda le nazioni di provenienza dei migranti in arrivo, erano ricoperte rispettivamente da: 1. Siria, 88697 arrivi

2. Afghanistan, 54385 arrivi

3. Nigeria, 37811 arrivi

4. Iraq, 32069 arrivi

2. Si è scelto di considerare gli arrivi irregolari e non quelli complessivi in quanto viene considerata ipotesi di partenza che l'immigrato regolare sia, per ragioni legate alla regolarità della permanenza, già integrato per lo meno nel panorama lavorativo Europeo. Scopo di questa trattazione è invece fornire uno strumento, di integrazione per chi ancora deve essere inserito nel tessuto economico e sociale.

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5. Eritrea, 21349 arrivi

6. Pakistan,17973 arrivi

7. Guinea,15985 arrivi

8. Costa d'Avorio,14300 arrivi

9. Gambia,12927 arrivi

10. Altri, 111992 arrivi

A questi vanno aggiunti 103953 arrivi di nazionalità non accertata, ma di cui è logico ipotizzare che buona parte provenga da paesi Africani. Tuttavia non avendo la certezza della cosa si lascerà questo dato fuori dall'analisi.

Già da una prima analisi è interessante notare come cinque delle dieci posizioni siano occupate da nazioni africane.

In termini assoluti spiccano però i numeri riguardanti gli arrivi da Siria e Iraq, il che

presupporrebbe la non correttezza dell'ipotesi di partenza. Tuttavia è utile considerare un fatto: i migranti in arrivo da Siria e Iraq è ipotizzabile giungano in gran parte a causa della crisi

umanitaria generata dalla guerra civile in Siria e dall'ascesa e declino di Daesh nell'est della Siria e nel nord dell'Iraq.

Questo non sta a significare di certo che il loro peso sulla bilancia dei numeri sia inferiore, qualcuno infatti potrebbe obiettare che il motivo per cui i migranti africani lasciano il loro paese è, allo stesso modo, dovuto ad emergenze umanitarie. E avrebbe ragione!

L'ipotesi di partenza è infatti che gli andamenti demografici siano tra le cause principali dei fenomeni di migrazione, ma non che siano i soli. Come è già stato accennato, infatti, la situazione economica, sociale e politica in un determinato territorio è anch'essa determinante. Cosa emerge quindi da questa breve analisi?

Sostanzialmente quanto appena detto. Se la migrazione fosse imputabile al solo andamento demografico, nelle tabelle di Frontex dovremmo leggere arrivi solamente dall'Africa, o

comunque con numeri diversi, e percentuali ben maggiori. Ma non è così. Questo perché non basta che in un territorio si sia “in troppi” per generare una migrazione. I fattori sono

decisamente molteplici e troppo complessi per essere analizzati esaustivamente in questa sede. Esiste però una considerazione importante da fare: da quanto è emerso nell'analisi degli indici di crescita della popolazione, l'Africa nei prossimi anni dovrà fare i conti non solo con una situazione economica e politica per la maggior parte caratterizzata da una forte instabilità, ma anche con una crescita demografica che difficilmente non aggraverà la situazione. Il medio-oriente invece, al netto di tutti i suoi problemi di stabilità politica, non avrà da confrontarsi con un tale problema.

Per arrivare ad una conclusione che giustifichi quanto detto fino ad ora si può quindi affermare che certamente non è solo la demografia a determinare in linea generale le migrazioni, ma da qui ai prossimi cinquant'anni, per meno tra Europa ed Africa, il peso maggiore sugli

spostamenti l'avrà senza dubbio questo fattore.

Con buona probabilità gli arrivi dalle nazioni medio-orientali, dall'Europa orientale, dall'Asia e dal Sud-Est Asiatico sono destinati di certo a non fermarsi, ma per lo meno a subire un

rallentamento.

Lo stesso non sembra possa dirsi per gli arrivi dal continente Africano, che secondo le tendenze degli ultimi anni sono destinati solamente ad aumentare.

Difficilmente la situazione potrà stabilizzarsi fino a quando nei paesi di partenza non si arriverà ad un sufficiente livello di benessere tale da disincentivare le partenze, e allo stesso tempo finché nei paesi di arrivo il saldo demografico non tornerà ad essere al meno in pari; e tutto questo con molta probabilità non accadrà prima di un paio di generazioni. Che fare quindi?

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1.2.2_A COSA STIAMO ASSISTENDO?

Il tema della migrazione ha ormai preso il sopravvento sul panorama politico europeo. Le elezioni per il nuovo Parlamento Europeo sono alle porte e la partita sembra ormai giocarsi più di tutto sul campo della risposta alla domanda “cosa farne dei migranti?”. Al di là delle

opinioni politiche, non opinabili in questa sede, appare chiaro come l'Europa sia di fronte ad un fenomeno che l'ha colta totalmente impreparata e per il quale storicamente non poteva esserlo. Come si è già detto, infatti, la storia europea aveva visto il vecchio continente “esportare” migranti, e tutto quel che ne consegue, per quasi un millennio.

Trovare una soluzione a questo fenomeno in tempi brevi è sicuramente molto complesso, e spesso è oggetto di troppe speculazioni, politiche e non.

Al di là delle facili propagande, però, cosa sta accadendo attorno a noi, e in che modo ci riguarda.

Sicuramente gli scenari a cui guardare trovano la loro origine nella storia più recente.

A partire dalla fine delle due Guerre Mondiali infatti vi è stato un notevole sconvolgimento in quegli equilibri mondiali che duravano quasi da cinquecento anni e che permettevano al Vecchio Continente di guardare all'IMMigrazione come ad un fenomeno che non lo riguardava. Facendo un rapido elenco possiamo ricordare:

le crisi che, a seguito della caduta dell'Impero Ottomano, il medio-oriente ha vissuto, o per alcuni subito, in vari periodi, l'ultimo dei quali cominciato a seguito degli attentati dell'11 Settembre negli Stati Uniti, e che continua tutt'ora.

La perdita di egemonia che nazioni come Francia e Gran Bretagna hanno visto a partire dalla fine dell'ultima Guerra Mondiale e la perdita della maggior parte delle colonie con la

conseguente instabilità nelle nuove nazioni appena formatesi.

La fine della Guerra Fredda che ha portato all'apertura verso l'Europa di un immenso bacino di persone in cerca delle facili fortune promesse dall'occidente.

Il fenomeno delle Primavere Arabe, che ha interessato il nord Africa e la Siria, portando livelli di destabilizzazione politica senza precedenti per quelle aree.

La Guerra Civile Siriana, ancora in corso da ormai 8 anni.

Nuovi giganti economici e demografici come Cina e India che hanno invaso i mercati mondiali, e non solo.

La crisi economica del 2008 che ha interessato le economie di tutto il mondo globalizzato. Questo elencando solamente le più immediate, e volendo banali, degli avvenimenti che hanno portato l'Europa a fare i conti con quanto sta accadendo ai propri confini.

Da tutte questi avvenimenti si è infatti generato un nuovo panorama geopolitico che ha da una parte dato il via ad un enorme flusso di persone che guarda all'Europa come la terra promessa, come una meta da raggiungere per vedere finalmente le loro vite realizzarsi e dall'altra ha colto totalmente impreparate quelle che fino a non poco tempo fa erano le “nazioni leader” del mondo.

Quando si parla di flussi migratori è sempre doveroso quantificare, almeno in linea generale, il fenomeno. Ancor più utile è quello di qualificarlo: capire chi sono le persone che partono e che arrivano, a quali culture appartengono, a quale tenore di vita sono abituati e a cosa aspirano, sono tutti aspetti importantissimi al fine di capire il fenomeno migratorio, e se serve a porre rimedio agli inevitabili problemi che esso comporta. Ma non solo. Cosa ancor più importante del risolvere i problemi generati dalla migrazione è cogliere le opportunità che essa comporta, saper quindi utilizzare la migrazione come slancio e molla per lo sviluppo.

Questo è possibile prima di tutto per un motivo, se si vuole definirlo così, romantico: i contatti, ma ancor di più la mescolanza delle culture ha da sempre generato innovazione; ma è

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possibile anche per un motivo molto più pratico e tangibile: le città, le economie, e in scala ancor più larga le società, per funzionare hanno bisogno di persone. Sembra banale ma non esiste una società senza le persone che ne fanno parte. Un'industria non funziona senza operai. I mercati non aprono senza le persone che comprano le merci che altre persone hanno

prodotto. In questo momento, e da quanto abbiamo visto nel prossimo futuro, la popolazione europea è in diminuzione e i problemi generati da questa inversione di crescita iniziano a palesarsi già da qualche anno. Si pensi per esempio alla crisi del welfare, ed in particolare alla crisi del sistema pensionistico a livello europeo, ed ancor di più a livello italiano. Modelli che un tempo funzionavano alimentati dalla crescita della popolazione e dalla sua giovane età, ma che ora in un continente che sempre di più si “spopola” e sempre di più invecchia, fanno fatica a reggere.

Anche in questo caso però le visioni sono sempre discordanti. Specialmente sul piano , e quindi decisionale, gli scontri sono all'ordine del giorno, e non sempre è facile districarsi tra le diverse prospettive che ogni parte presenta.

Ecco allora che una, quanto più possibile, imparziale analisi dei dati permette di farsi un'idea per lo meno di quello che sta accadendo, rimandando al prossimo capitolo le ipotesi sulle possibili azioni da intraprendere per quanto concerne il campo d'azione della progettazione architettonica.

Per quanto sia interessante analizzare i dati dal punto di vista europeo, le premesse fin'ora fatte indirizzerebbero su questa strada, alla luce delle considerazioni che verranno prese nei prossimi capitoli riguardanti la progettazione, si analizzerà nello specifico il caso italiano, andando, quando serve, a rapportare alcuni dati con la media europea, o in casi specifici con altre nazioni dell'Unione Europea.

Lo spettro temporale di analisi riguarderà per lo più il periodo tra il 2015 e 2018, quelli più recenti e che danno una lettura più chiara e immediata della situazione attuale.

La prima raccolta di dati che si ritiene interessante da analizzare è quella riguardanti gli stranieri regolari residenti in Italia: secondo i dati dell'ISTAT nel 2018 i residenti stranieri erano

5144440.

Di questi 224970 erano uomini e 234139 erano donne. L'età media dei residenti era compresa tra i 35 e i 39 anni.

La provenienza era per lo più Europea, 50,9%, di cui la prevalenza era di cittadini rumeni e albanesi.

Il 21.31% era invece di origine africana, il 20,48% di origine asiatica, il 7,22% americana, mentre lo 0,04% e lo 0,01% erano rispettivamente di provenienza oceanica e apolidi. Di questi stranieri circa il 12% è giunto in Italia via mare, il 15% via terra e il 73% in aereo grazie a visti.

Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio nazionale, ciò che interessa in questa sede di analisi è il dato riguardante i residenti in Lombardia, al primo posto tra le regioni con 1153835 residenti, di cui 592420 donne e 561415 uomini, con una percentuale quindi del 22,42% sul totale nazionale.

A Milano risiedono invece 459109 stranieri regolari, suddivisi in 234139 donne e 224970 uomini. La percentuale di residenti a Milano rispetto al totale regionale in questo caso è del 39,78%.

Da questa prima visione di dati balzano subito all'occhio tre aspetti: il primo è l'enorme capacità attrattiva che la Regione Lombardia, ed in particolare che ha Milano, nel determinare il luogo di residenza degli stranieri, dato che non sorprende andando ad osservare le capacità della regione in termini di offerta di lavoro e tenore di vita.

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Il secondo aspetto che emerge è quello di un'equa suddivisione tra uomini e donne nella composizione di genere dei residenti.

Il terzo aspetto è invece quello riguardante l'età: gli stranieri in Italia hanno un'età media ben più bassa rispetto a quella dei nati in Italia che è di 45 anni. Sono infatti in media dai sei ai 10 anni più giovani.

La seconda raccolta che interessa analizzare, e che è legata in maniera più stretta con la trattazione di questa tesi, è quella riguardante gli stranieri irregolari e i richiedenti asilo. E' importante sottolineare che quando si parla di numeri sugli irregolari presenti in Italia, ma allo stesso modo in qualsiasi altra nazione, ci si riferisce sempre a stime e mai a dati certi, in quanto proprio per la natura del caso dell'irregolarità non esistono metodi di raccolta dati validi.

Ad ogni modo per quanto riguarda gli stranieri irregolari sul suolo italiano vengono prese in considerazione due stime: la prima dell'OCSE nel suo rapporto International Migration Outlook del 2018 parla di un numero che varia dai 270000 ai 416000 irregolari, la seconda è invece quella della fondazione ISMU che sempre nel 2018 quantificava gli irregolari presenti in Italia in una cifra che si aggira attorno ai 491000 individui.

In questo panorama è interessante osservare sul piano europeo quali sono i principali punti di accesso per quanto riguarda gli attraversamenti dei confini dell'Unione Europea compiuti da migranti.

Nei suoi “Annual Risk Analisys” Frontex fornisce i dati al riguardo.

Si considera in questo caso il biennio 2016-2017 e si individuano quattro principali corridoi di accesso all'Unione Europea: il corridoio del Mediterraneo occidentale, che interessa

principalmente la Spagna, quello del Mediterraneo centrale, che interessa direttamente l'Italia, quello del Mediterraneo orientale per quanto riguarda nazioni come la Grecia e la Turchia, e quello dei Balcani di diretto interesse di Slovenia, Croazia e Ungheria.

Nel 2017 i dati dicono quanto segue:

– Mediterraneo occidentale: 10231 ingressi

– Mediterraneo centrale: 181459 ingressi

– Mediterraneo orientale: 182277 ingressi

– Balcani: 10261

Per il 2017 invece la situazione era la seguente:

– Mediterraneo occidentale: 23143 ingressi

– Mediterraneo centrale: 118962 ingressi

– Mediterraneo orientale: 42305 ingressi

– Balcani: 12178

La prima considerazione che viene naturale fare è che negli ultimi due anni il numero degli ingressi attraverso questi corridoi è nettamente diminuito (-48,83%).

La seconda è invece che a subire il maggior decremento in termini di ingressi è stato il corridoio dell'est Mediterraneo (-76,79%).

Scendendo nel dettaglio del panorama italiano si scopre che se nel 2017 gli ingressi irregolari, o sbarchi come vengono definiti nel linguaggio comune vista la natura degli arrivi, sono stati 112000, nel 2018 il numero è sceso vertiginosamente a 22000 con un calo di circa l'80%.

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Le prime cinque nazionalità in termini di provenienza nel 2018 erano in ordine: tunisina, eritrea, sudanese, nigeriana ed ivoriana.

Un triste ma importante dato fornito dal IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) nel suo “Missing migrant project” è quello riguardante le morti in mare che parlano di 5243 decessi o dispersi nel 2016 e di 5413 nel periodo che va da gennaio 2017 ad aprile 2018. Altro aspetto di rilievo è quello dei richiedenti asili. Secondo il Ministero dell'Intero i richiedenti nel 2017 sono stati 130119, 109066 uomini e 21053 donne e di questi 9782 erano minori non accompagnati.

Il totale delle domande rifiutate per quel periodo è di circa il 58%.

La percentuale di rifiutati sale al 67% nel 2018, anno in cui però le domande sono diminuite passando a 53596, 41851 uomini e 11745 donne, di cui 3676 minori non accompagnati. Sempre nel 2018 i migranti stabiliti nei centri di accoglienza erano 65080, di cui 24105 in Lombardia (15%).

Per la maggior parte i richiedenti erano cittadini di nazioni africane, nel dettaglio le prime dieci posizioni nazionalità di provenienza sono ricoperte nel 2018 da:

– Pakistan, 7368 – Nigeria, 6336 – Bangladesh, 5026 – Senegal, 2867 – Ucraina, 2517 – Mali, 2266 – Gambia, 2101 – El Salvador, 1735 – Marocco, 1734 – Costa d'Avorio, 1668

Per lo scopo di questa trattazione risulta infine utile analizzare le tempistiche nella presa in esame delle domande di accoglienza.

Nel 2017, sempre secondo i dati del Viminale, le domande prese in esame sono state 81527, mentre nel 2018 sono state 95576.

I tempi medi di attesa per la valutazione delle domande, secondo i dati Eurostat, era di dieci mesi nel 2015, sempre di dieci mesi nel 2016 mentre nel 2017 si è saliti a diciotto mesi. I dati appena presentati forniscono un panorama più chiaro di quello che sta accadendo. Se da un lato esiste già comunità di stranieri in Italia, per lo meno inseriti in quello che è il sistema economico della nazione, dall'altro esiste una comunità sempre più consistente di migranti, alcuni cosi detti “economici”, altri facenti rifugiati, che cerca una propria collocazione all'interno della società italiana e quindi europea. L'attuale situazione di instabilità che vive il medio-oriente e il boom demografico che interessa l'Africa non potranno che peggiorare lo scenario, per lo meno in termine dei gestione dei numeri in arrivo.

La politica attualmente non sembra essere capace di dare una risposta efficace al problema, rifugiandosi troppo spesso nella semplicistica soluzione della chiusura delle frontiere, che storicamente non ha quasi mai fermato i flussi migratori.

La gestione del fenomeno da parte degli organismi adibiti all'accoglienza, per usare un

eufemismo, non sempre è riuscita ed anzi, molto spesso è stata terreno fertile per la corruzione e la criminalità.

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piano politico e sociale a cui stiamo assistendo lo dimostra. Il compito che si prospetta per il futuro è arduo. Tuttavia esiste un modo, in realtà più di uno, per provare ad arginare le

problematiche che i flussi migratori stanno portando nella nostra società. Questo modo, come già accennato è quello di capire che nel migrante esiste molto di più di un qualcuno in cerca di aiuto. Per non fermarsi alla più volte denigrata frase “i migranti sono risorse”, si può andare oltre dicendo la cosa più banale e più vera che si possa dire: i migranti sono persone. E come tutte le persone hanno conoscenze, desideri, ambizioni, voglia di riscatto. Perché non cogliere la potenzialità che risiede in questo aspetto?

Si è appena detto che mediamente per una risposta alla domanda di asilo passano tra i dieci e i diciotto mesi. Sorge spontanea una domanda: quanto può dare una persona in termini di ricchezza culturale e sociale in diciotto mesi? E quanto può prendere?

Comunque la si pensi, quello a cui l'Europa intera si trova di fronte è sicuramente qualcosa che metterà a dura prova le sue fondamenta, ma allo stesso tempo una partita sul quale è possibile programmare il rilancio di un continente che da ormai più di mezzo secolo sembra bloccato nella nostalgia dei suoi “antichi splendori”.

2_GLI STRUMENTI DI ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

Nel capitolo precedente si è offerto al lettore un breve riassunto della situazione attuale ai confini dell'Unione Europea e dell'Italia. Dopo una prima introduzione sul tema delle migrazioni si è passati nel fornire un'analisi quantitativa del fenomeno, cercando di presentare un quadro chiaro sui numeri che coinvolgono il nostro paese e l'Europa.

In questo secondo capitolo invece si cercherà di riassumere quali sono e quali possono essere le strategie in risposta all'attuale situazione. In particolare verrà presentato il tema dell'arte, del suo uso come canale di comunicazione e di come questa, unita all'architettura possa essere una strada da percorrere nel percorso di inclusione dei migranti nella nostra società.

2.1_ COME FUNZIONA IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA ITALIANO

Molto spesso si sente parlare del sistema di accoglienza italiano come di un organismo

estremamente complesso e farraginoso, di un sistema quasi infernale dal quale era impossibile uscirne, come di un qualcosa talmente difficile da comprendere da dare luogo alla nascita di concetti nel pensiero comune come quello del “business dell'immigrazione”.

Ma cosa c'è di vero in questo?

Il sistema di accoglienza italiano è cambiato molto negli ultimi anni, cercando di diventare più diffuso e chiaro, almeno nelle intenzioni dell'ex Ministro dell'Interno Minniti e subendo poi una radicale modifica con il cosiddetto “decreto sicurezza” di dicembre 2018 ad opera del Ministro Salvini.

Il risultato di questi avvicendamenti politici è stato quello di avere un meccanismo in transizione che si cercherà ora di descrivere brevemente nonostante le informazioni al riguardo siano ancora frammentate.

Il sistema di accoglienza si divide praticamente in due fasi: una fase di PRIMA ACCOGLIENZA ed una fase di SECONDA ACCOGLIENZA.

A questi si aggiungono sistemi di accoglienza straordinaria.

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subito delle modifiche con il decreto sicurezza, modifiche che in seguito si andrà a vedere come influiscono sull'intero sistema.

2.1.1_ PRIMA ACCOGLIENZA

Al momento dell'arrivo sul territorio italiano il migrante viene accolto in quelli che sono definiti Hotspot. Si tratta di centri collettivi dove i migranti vengono identificati e dove possono avviare le procedure per l'ottenimento dello status di rifugiato. Come appena detto si procede con l'identificazione ma anche con le prime cure mediche e gli screening sanitari.

In teoria la detenzione massima in questi centri è di quarantotto ore, ma non sempre le tempistiche vengono rispettate.

Dopo la prima fase degli hotspot i migranti vengono trasferiti nei Centri di Prima Accoglienza. Questo sistema ha sostituito quello basato su sigle che, almeno sulla carta, dovrebbe essere superato.

Prima infatti esistevano una serie di centri dove il migrante poteva essere mandato in base ai criteri di identificazione stabiliti negli hotspot.

Esistevano -ma esistono tutt'ora- i CPSA, Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), i CDA, ovvero i Centri di Accoglienza, e i più famosi CARA, Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo.

Come detto questo sistema è stato superato ed oggi dovrebbero esistere solamente i Centri di Prima Accoglienza.

Trovare informazioni dettagliate, ma soprattutto aggiornate, al riguardo tuttavia è abbastanza difficile, in quanto il Ministero dell'Interno non aggiorna i dati presenti nella pagina del suo sito dal luglio del 2015!

Dalle informazioni reperibili si sa tuttavia che gli Hotspot dovrebbero essere quattro: Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto.

Più complicato è invece sapere dove si trovano i Centri di Prima Accoglienza, d'ora in poi CPA. Dall'ultimo report reso disponibile dalla Camera dei Deputati3 i CPA risultano essere quindici

distribuiti in sette regioni: Sicilia (4), Puglia (3), Veneto (3), Friuli Venezia Giulia (2), Calabria (1), Emilia Romagna (1), Lazio (1).

Nell'aprile del 2018 erano presenti in totale tra Hotspot e CPA circa 9500 persone, ripartite in 500 negli Hotspot e 9000 nei CPA.

Esistono poi quei migranti, pochi in realtà, che non fanno domanda d'asilo. Per loro sono stati istituiti i CPR (Centri di Permanenza e Rimpatrio), gli ex CIE. Qui potevano essere trattenuti fino ad un massimo di novanta giorni, diventati centottanta con l'ultimo decreto governativo.

Informazioni chiari riguardo ai CPR sono carenti.

Al momento della soppressione dei CIE, nel 2017, si parlava di quattro centri: Torino, Roma, Brindisi, Caltanissetta.

Nelle indicazioni legislative del Ministro Minniti dovevano diventare in totale venti, uno per ogni regione, ed essere più piccoli. Non si conosce in realtà cosa sia stato fatto e se le indicazioni ministeriali siano state eseguite.

2.1.2_ SECONDA ACCOGLIENZA

In questo caso occorre distinguere tra quello che accadeva prima del decreto Salvini, e ciò che accade ora, o che dovrebbe accadere.

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Prima di dicembre 2018 il sistema della seconda accoglienza si basava sugli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).

Il sistema SPRAR prevedeva un coordinamento tra Ministero dell'Interno e ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani).

Il primo passo per l'istituzione di un progetto SPRAR era la volontà del comune, o dell'ente locale, di partecipare. Questo di per se era già un ostacolo non da poco, in quanto per questioni politiche ed elettorali difficilmente un comune faceva richiesta (si vedranno in seguito le statistiche al riguardo).

Una volta che il comune presentava domanda al Ministero dell'Interno quest'ultimo doveva approvarla.

In caso di approvazione si procedeva ad un finanziamento triennale per il progetto sul territorio. Da qui l'iter prevedeva l'avvio, da parte del comune, di una pubblica gara d'appalto per

assegnare la gestione ad un ente gestore, secondo la legge, rigorosamente senza fini di lucro. La proposta ritenuta migliore otteneva il finanziamento.

Il principio base a sostegno di questo sistema era quello dell'accoglienza integrata, vale a dire la costituzione di una rete locale per un'integrazione completa nella comunità attraverso attività di inclusione sociale, lavorativa e culturale.

A questo, per la completa riuscita del progetto, dovevano essere affiancati una serie di servizi come per esempio l'iscrizione alla residenza anagrafica del comune, l'ottenimento del codice fiscale, l'iscrizione al servizio sanitario nazionale, l'inserimento dei minori nelle scuole, il supporto legale, corsi in lingua italiana, l'inserimento e l'orientamento lavorativo, ecc. Sfortunatamente, vista la sua complessità, la natura del principio di adesione dei comuni al progetto, e l'incapacità all'istituzione del sistema di prevedere flussi migratori di tale portata, il sistema dello SPRAR non ha avuto molto successo, per lo meno in termini di numeri.

Nel gennaio 2019 secondo i dati dello stesso SPRAR i progetti attivi erano 875, intrapresi da 746 enti locali, per lo più comuni, 645. Se si rapporta con il totale dei 7918 comuni italiani si scopre un desolante tasso di adesione del'8,14%.

I soggetti beneficiari del sistema erano, sempre nel gennaio 2019, 35650, di cui circa 3700 minori non accompagnati.

Sempre nella fase della seconda accoglienza rientrano i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), che come suggerirebbe il nome, sono appunto per quei straordinari di accoglienza che non rientrano nelle competenze degli SPRAR.

Anche se il loro carattere è straordinario, a partire dal 2014, visto il continuo aumento del flusso migratorio e la difficoltà della sua gestione attraverso strumenti ordinari, i CAS hanno sempre più ricoperto un ruolo centrale nella gestione dei migranti.

Dal rapporto Centri d’Italia curato da Openpolis e ActionAid di aprile 2018 si scopre che circa l'80% dei migranti affidati alla gestione del sistema di accoglienza era alloggiata nei CAS. A differenza del sistema SPRAR, quello dei CAS non prevede assegnazione tramite gara

d'appalto, che viene invece assegnata direttamente dal prefetto; inoltre i centri possono essere gestiti sia da enti con fini di lucro che non.

La gestione può essere di due caratteri: accoglienza collettiva e accoglienza diffusa.

La prima si basa sulla locazione dei migranti in strutture capaci di accoglierne anche centinaia alla volta. Per lo più si tratta di Hotel, Bed and Breakfast, Agriturismi e case colonie.

Anche da una prima lettura delle cronache locali appare chiaro come questo sistema sia altamente problematico, e questo sia dal punto di vista delle comunità nelle quali si trovano i centri, sia da quello dei migranti che vi risiedono.

Il secondo tipo di gestione è quello diffuso, dove i migranti vengono alloggiati in appartamenti dalle capacità di poche unità. Questo impianto di gestione sembra più sostenibile sul territorio,

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ma anche più difficile da organizzare.

Altro aspetto importante da sottolineare è che nei regolamenti di gestione dei CAS non vi sono linee guida chiare e comuni, e ciò porta troppo spesso ad una gestione difficile da coordinare ed analizzare.

2.1.3_ IL NUOVO SISTEMA DI ACCOGLIENZA

Il nuovo sistema di accoglienza che si prospetta nel prossimo futuro, e basato sul decreto Salvini di dicembre 2018, va nella direzione di una seria e sostanziale diminuzione di quelli che ormai si possono definire come ex-SPRAR, privilegiando invece il vecchio sistema dei CAS, CARA, CA, ecc.

Ora infatti i richiedenti asilo restano in attesa di una risposta nei centri di prima accoglienza o nei CAS.

Gli SPRAR sono diventati ciò che viene ora chiamato Sistema di Protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati.

La conseguenza più immediata, e secondo alcuni grave, di questo provvedimento è che molte persone che prima potevano beneficiare dei servizi garantiti dal sistema precedente, ora non verranno più inserite nel processo di integrazione, prerogativa che ora è possibile solamente a chi ha già ricevuto esito positivo alla domanda di asilo o ai minori non accompagnati.

2.2.1_ L'ARTE COME STRUMENTO DI INTEGRAZIONE: IL CASI DI SADIQ ALIZADA

Si sente molto spesso parlare di come attuare un processo di integrazione che abbia buon fine. Sicuramente il centro di tutto è l'attività lavorativa e l'inclusione nel tessuto sociale. Su questo non si può che esser d'accordo, tuttavia il discorso è differente per quanto concerne i modi in cui un migrante può trovare lavoro, specialmente in una situazione economica dove la disoccupazione è in costante aumento, e i modi con cui un migrante può essere inserito nel tessuto sociale. Non sempre, anzi quasi mai, su questo tema è facile trovare un punto comune. Il mondo politico che dovrebbe prendere le decisioni, ma per esempio anche quello della sociologia che dovrebbe aiutare la politica nelle decisioni, difficilmente trovano un'intesa sulla soluzione del problema.

Guardando la situazione da un punto di vista storico e geopolitico appare chiaro prima di tutto un aspetto: le nazioni giovani ed in pieno processo storico, si pensi agli Stati Uniti d'America per esempio, hanno grandi capacità di assimilazione, sia dal punto di vista politico che sociale; riescono cioè ad attuare un migliore processo di integrazione, o ancora meglio di assimilazione rispetto a nazioni vecchie e caratterizzate da un passato di “dominazione”, come appunto quelle europee, che al contrario tendono a subire l'immigrazione.

Questo è dato anche da un fatto molto semplice e banale: le nazioni giovani vivono una forte volontà di egemonia, e in questa volontà risiede la capacità di riconoscere nel migrante un prezioso elemento capace di “potenziare” la nazione sia dal punto di vista della forza lavoro, sia da quello culturale. Nazioni invece dalla storia più antica, hanno abbandonato questo sentimento di egemonia, e tendono per lo più al raggiungimento di un buon livello di benessere, rischiando di vedere nel migrante una minaccia a quest'obiettivo.

Molto spesso quindi il migrante viene scelto per le sue possibilità di offrire nell'immediato un aiuto alla nazione sul panorama produttivo, tralasciando il potenziale apporto strategico che possono offrire sul piano sociale, e ancor di più quello che possono fornire i discendenti di questi migranti.

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delle nazioni europee, e cioè quella di garantire la tutela della multiculturalità, senza mai cercare di capire a fondo le diverse culture, cioè senza mai porsi come obiettivo non tanto quello di tutelare le differenti culture piuttosto che ricercare una vera e propria interculturalità. Si pensi ad esempio a come l'europeo guarda al panorama dell'immigrazione musulmana come un fatto unitario invece che per quello che realmente è: un vasto mondo con enormi differenze culturali e anche religiose al proprio interno.

Questa paura dell'interculturalità la si può forse imputare alla paura che in qualche modo il migrante possa denaturare la cultura europea, quando invece molto spesso accade il contrario. Certo ciò risulta difficile da ottenere per gli immigrati di prima generazione, ancora strettamente legati alla terra d'origine, ma risulta invece molto più facile per quelli di seconda e terza

generazione, e di pari passo diventa problematico quando questo volontà del migrante di far parte della società che lo ha accolto o a accolto i suoi genitori viene ignorata.

Da questa premessa viene quindi spontaneo porsi la domanda su quale sia la strada migliore per realizzare l'interculturalità.

Sicuramente non esiste una ricetta miracolosa, e nemmeno esiste una sola ricetta.

Tra il panorama dei progetti intrapresi all'interno dell'ormai ex sistema SPRAR vi è un caso in particolare che può ritenersi interessante in questa sede di analisi.

Nel 2016 a Reggio Emilia viene avviato un progetto sotto il patrocinio di Italia Lavoro, che prevedeva un tirocinio di sei mesi all'interno del laboratorio “Tarsíe”, sempre a Reggio Emilia, sotto la guida del noto artista e scultore Giuliano Melioli.

A beneficiare di questa progetto fu Sadiq Alizada.

Sadiq è un giovane immigrato afghano. La sua storia è simile a quella di tanti migranti, ma il suo epilogo, se così lo si può chiamare, da un idea di quello che uno strumento forte come l'arte riuscire a fare a favore dell'integrazione.

A soli d17, facendo parte dell'etnia Hazara, da secoli perseguitata, Sadiq è costretto a fuggire dal suo paese, l'Afghanistan.

Si rifugia così in Iran, dove lavora nel campo delle sculture marmoree. Si tratta di un lavoro dal carattere industriale più che artistico, tuttavia questo gli permette di entrare nel mondo della scultura e capirne i suoi principi.

Dopo circa dodici anni di permanenza Sadiq si trova costretto a fuggire di nuovo. Giunge così nel 2014 in Italia, più precisamente prima nel CARA di Foggia e in seguito a Reggio Emilia. Il percorso di integrazione prevedeva l'apprendimento della lingua italiana, attività di volontariato e soprattutto la possibilità di lavorare all'interno di un laboratorio di arte. Se all'inizio questo poteva sembrare quasi una perdita di tempo, ci si metta nei panni di un

migrante che ha come primo obiettivo quello di trovare un vero lavoro, grazie anche alla guida di Melioli, Sadiq ha imparato a vedere nel suo percorso artistico qualcosa di più di un

passatempo, ma una vera e propria rinascita.

Il suo talento, la sua esperienza in Iran, la lungimiranza del progetto e le capacità di Melioli hanno così permesso a Sadiq di arrivare all'esposizione di una personale, “Città Mondo” tenutasi a Reggio Emilia dal 4 al 17 Gennaio 2017.

Le sue opere, piccole sculture in terracotta, parlavano per lo più del calvario del viaggio. In particolare, “Esodo”, racconta d in episodio vissuto da S. in prima persona durante la sua fuga dall'Afghanistan, dove una giovane donna stremata per il viaggio non poteva essere aiutata nel trasporto in quanto il marito non permetteva a nessuno, al di fuori di lui, di toccarla. Alcune delle opere di Alizada sono state donate alla comunità che lo ha accolto, e che ha reagito in modo molto positivo al suo processo di integrazione.4

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2.2.2_ COSE DICE L'UE AL RIGUARDO

Casi come quello appena descritto possono dare un esempio di come strumenti di integrazione non convenzionali possano migliorare il processo di interculturalità.

L'arte, in particolare, può essere vista come uno degli strumenti più potenti in questo senso. Si pensi a come le opere degli artisti comunichino tanto dell'artista; ma non solo: nelle opere risiede un'istantanea della società in cui l'artista vive in quel momento, del modo in cui la percepisce e in cui esso viene percepito. Si possono percepire quali siano le problematiche, gli aspetti positivi, ciò a cui si aspira e ciò di cui si cerca di liberarsi.

L'artista può attraverso l'opera farsi capire, e far capire la sua cultura. Allo stesso tempo il fruitore dell'opera d'arte può scoprire aspetti di una cultura che prima non conosceva, comprenderli ed accettarli.

Il caso appena citato non è l'unico a fornire una testimonianza di come l'arte possa essere utilizzata come strumento di integrazione.

Il rapporto dell'Agenda Europea per la Cultura intitolato “How culture and the arts can promote intercultural dialogue in the context of migratory and refugee crisis”, di aprile 2018, si pone sulla stessa linea.

Partendo dal mandato degli stati membri (escluse Gran Bretagna e Polonia) più Norvegia e Islanda, il comitato di esperti selezionato per l'indagine aveva ail mandato di esplorare, nel contesto della crisi migratoria, i modi in cui le arti possono contribuire nell'unire degli individui e le culture, aumentando così la partecipazione sociale e promuovendo il dialogo interculturale. Per raggiungere questo obiettivo sono stati presi in esame più di duecento casi studio in cui per l'appunto arte e cultura venivano utilizzate nel processo di integrazione.

Sono stati identificati due requisiti chiave per il dialogo, e cioè la propensione verso l'integrazione si da parte dei migranti che da parte delle comunità di accoglienza e l'accettazione sempre da parte di entrambi gli attori dello stato di diritto.

Sono stati poi individuati tre temi chiave indispensabili per il raggiungimento dell'obiettivo: il Rafforzamento delle capacità personali, in quanto troppo spesso si considerano i migranti e i rifugiati come comunità invece che come singole voci al quale prestare ascolto, i Rapporti intersettoriali (trasversali) considerando quindi l'arte e la cultura non come strumenti isolati ma inserendoli in un circuito con occupazione, istruzione, ecc. ed infine la valutazione,

indispensabile per capire se l'obiettivo sia stato o meno raggiunto.

Dall'analisi dei casi studio si è giunti quindi ad alcune conclusioni generali: nell'approccio all'immigrazione viene troppo spesso trascurato il rafforzamento delle capacità personali e viene quindi evidenziato come la partecipazione ad attività artistiche si muove invece in questo senso offrendo opportunità uniche per l'integrazione.

Vengono poi elencate alcune linee guida, che verranno riportate di seguito come scritte nella sintesi del rapporto:

| Raccomandazioni per i responsabili politici (al livello UE, nazionale e locale): Rafforzamento delle capacità personali

- Supportare e finanziare il networking, l’auto-organizzazione e la partecipazione attiva dei rifugiati e dei migranti nelle arti e nella cultura.

- Essere sensibili ai diversi bisogni, interessi e abilità di individui e gruppi, includendo coloro che subiscono molteplici forme di svantaggio e/o discriminazione.

- Fornire spazi e opportunità per rifugiati e migranti per gestire e partecipare a iniziative

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linea con una recente raccomandazione congiunta dell’UNESCO e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

Intersettoriale (trasversale).

- Avere un approccio proattivo nel collegarsi e condividere informazioni con i decisori politici in altre aree di intervento (inclusi coloro che sono responsabili per l’immigrazione, l’educazione, il lavoro/impiego, la sanità e le questioni sociali).

- Supportare e finanziare reti (formali e informali) tra organizzazioni culturali sostenute con fondi pubblici, la società civile e altri stakeholders, per contribuire alla formazione di politiche

adeguate.

- Considerare la cooperazione intersettoriale (per esempio, con organizzazioni operanti in ambito educativo/sociale/lavorativo) tra i criteri preferibili per finanziare progetti culturali finalizzati all’integrazione dei rifugiati.

- Dare priorità ai finanziamenti per progetti culturali e artistici finalizzati all’integrazione dei rifugiati e dei migranti attraverso programmi nazionali ed Europei, includendo quelli estranei all’ambito strettamente culturale (per esempio, al livello Europeo, attraverso il programma Europa per i Cittadini, il Fondo per l’Asilo e la Migrazione e il programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza così come Europa Creativa).

Valutazione.

- Ampliare e approfondire la valutazione di progetti culturali finanziati con risorse pubbliche, andando oltre gli aspetti finanziari e quantitativi, per valutare il loro impatto sociale e la loro efficacia nel promuovere il dialogo interculturale.

- Promuovere un approccio flessibile e realistico alla valutazione, sia quantitativa sia qualitativa, che non sia scoraggiante per i responsabili di progetto.

- Stabilire una definizione “operativa” di dialogo interculturale, per aiutare gli estensori dei progetti nel formulare i loro obbiettivi e nel facilitare la valutazione dei risultati. Essere orientati alla valutazione di impatto: specificare gli obiettivi/risultati da raggiungere, mantenendo una certa flessibilità sulle modalità di svolgimento delle attività.

- Supportare e finanziare lo sviluppo di strumenti di valutazione, per il costante monitoraggio e per la valutazione finale del progetto, includendo indicatori relativi al dialogo interculturale e alle arti dello spettacolo.

| Raccomandazione per gli stakeholders/ istituzioni culturali Rafforzamento delle capacità personali

- Valutare e migliorare il reclutamento nelle organizzazioni culturali, promuovendo ampiamente l’opportunità di essere aperti a persone con diverse esperienze e competenze, inclusi rifugiati e migranti.

- Identificare soci di progetto adatti a garantire il contatto necessario con le comunità di rifugiati.

- Porre particolare attenzione a questioni relative a elementi sensibili delle comunità dei rifugiati, come protezione dei dati, sicurezza e questioni di genere.

- Sviluppare maggiormente attività con le comunità ospitanti, comprese le attività che li mettono in contatto con i migranti e rifugiati.

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Intersettoriale (trasversale)

- Essere “interculturalmente” consapevoli nella sensibilizzazione della comunità e disporre di dati sulla qualità del pubblico di riferimento (i migranti) e sui loro bisogni specifici/interessi (in ogni fase del processo di integrazione).

- Adottare un atteggiamento di apprendimento e un corrispondente approccio critico per perfezionare la messa in opera dei progetti e per porre attenzione a una più ampia gamma di risultati.

- Partecipare a reti (formali e informali) tra organizzazioni culturali finanziate con risorse pubbliche, la società civile e altri stakeholders, per comprendere meglio tutti gli aspetti del processo di integrazione.

- Considerare la cooperazione intersettoriale (per esempio attraverso attori operanti nel campo dell’educazione/del sociale/dell’occupazione, ecc.) come uno strumento efficace per

l’integrazione di rifugiati e migranti. Valutazione

- Prendere attivamente parte nel processo valutativo ed essere consapevoli dei metodi appropriati e dei mezzi adatti per la valutazione (nel breve e nel lungo termine).

- Adottare un approccio flessibile e realistico alla valutazione sia quantitativa che qualitativa, al fine di giustificare gli investimenti dei donatori/finanziatori e illustrare gli obiettivi raggiunti dal progetto/dall’iniziativa.

- Coinvolgere rifugiati/migranti nella progettazione e nelle attività di valutazione.

- Partecipare attivamente ad attività per lo sviluppo di strumenti valutativi, per il costante monitoraggio e per la valutazione finale dei progetti.

Da queste linee guida appare chiamo come gli stessi Stati membri dell'UE condividano ed incentivino l'uso delle discipline artistiche come strategia nella strada dell'integrazione. Nel panorama dell'architettura e della progettazione questa rappresenta una sfida da saper cogliere ma ancor di più da saper sfruttare come rilancio per la disciplina.

Come raccomanda l'Unione Europea infatti è necessario “ Fornire spazi e opportunità per rifugiati e migranti per gestire e partecipare a iniziative artistiche e culturali, includendo anche nuovi musei e nuove mostre dedicate alla migrazione. Questo punto è estremamente

importante. La progettazione di nuovi musei dedicati alle mostre sulle migrazioni, e ancor di più sulle mostre dedicate alle opere di arti visive che i migranti potranno e sapranno realizzare può rappresentare una grande opportunità nel campo della progettazione architettonica.

Ecco perché è importante cominciare a immaginare questi spazi, capire come essi debbano articolarsi e relazionarsi con il contesto. Saper fornire quindi alla sfida dell'integrazione gli strumenti architettonici adatti alla vittoria di questa sfida.

Da dove partire?

2.2.3_ “AFRICAN METROPOLIS. UNA CITTÀ IMMAGINARIA”

Dal 22 giugno al 4 novembre del 2018, il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo a Roma, ha ospitato un'interessante mostra dal titolo “African Metropolis. Una città immaginaria”. La mostra aveva come scopo quella di infondere nel fruitore una “riflessione sulla scena

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continua mutazione”5

Il percorso di visita era progettato in modo tale da dare al visitatore, attraverso il susseguirsi di diversi materiali, immagini, ma anche l'uso di suoni, la percezione della città come di un organismo vivente che segue il principio geologico della stratificazione.

In generale quindi la mostra si presentava come una complessa struttura dove i rapporti tra i vari paesi dell'Africa venivano a galla, con tutte le complesse strutture relazionali tra le varie comunità.

Ogni opera rappresentava un mondo a se, quasi un quartiere, ma un mondo che non è indipendente da ciò che lo circonda, e questo rapporto con il contesto lo si poteva percepire solo dopo essersi “perduti” nell'opera.

Quello che restava al visitatore era la percezione di uno scenario africano estremamente frammentato, ma con una forte volontà di coesione e soprattutto di rivalsa verso un mondo, quello occidentale, che da sempre lo considera come incapace a raggiungere questa coesione, e che ancora peggio ha sfruttato quest'incapacità per i propri interessi economici.

Contemporaneamente a questa vi era un'altra mostra in esposizione, sempre incentrata sul mondo Africano, dal titolo “Road to justice”. Tema di questa mostra era il racconto dei travagliati viaggi che più di una volta alcune comunità, o addirittura intere etnie, sono state costrette a compiere per sfuggire alle varie persecuzioni che il continente africano ha visto dall'inizio del colonialismo europeo in avanti.

Molto spesso gli artisti sono i primi testimoni di questi avvenimenti, e la memoria viene quindi utilizzata come strumento di consapevolezza nel tentativo di indirizzare il futuro in un contesto interculturale attraverso l'uso e la comprensione del passato.

La mostra, per lo più composta da opere fotografiche e audiovisive, pure non seguendo una logica temporale, portava il visitatore in un viaggio dalla precisa sequenza cronologica: partendo dalle prime rappresentazioni dell'Africa ad opera dell'arte occidentale si passava poi ad un racconto del colonialismo, toccando temi come la schiavitù, per proseguire con le rivolte e i movimenti di liberazione giungendo in fine al tema della migrazione.

Di certo lo scopo non era quello di raccontare in modo esaustivo tutte le complesse tematiche che riguardano il continente Africano, ma piuttosto quello di aprire alla riflessione sulla

relazione tra i vari temi, persone ed eventi, proponendo quindi una lettura incentrata sul dialogo e sulla relazione tra diverse prospettive.

Personalmente ho ritenuto gli ambienti del MAXXI molto adatti ad accogliere una mostra di questo tipo. Gli spazi così concepiti, come lunghi corridoi su diversi livelli, sono adatti a mio avviso a presentare temi come quello del viaggio o come quello della successione cronologica di determinati avvenimenti.

L'uso della luce, sia naturale (quasi sempre proveniente da vetrate a soffitto) che artificiale, ma ancor di più dei materiali quali per esempio il cemento a vista, hanno contribuito a dare al visitatore la percezione di trovarsi all'interno di un mondo quasi isolato, una città, per l'appunto, che non appartiene quasi a nessuno, una “xenopòlis” in cui l'abitante, o in questo caso il visitatore, quasi modifica e al tempo stesso viene modificato dall'ambiente che lo circonda. Un'altra possibilità molto interessante che offriva la mostra, era quella di poter parlare con alcuni mediatori culturali presenti nel museo, selezionati apposta per raccontare al visitatore una determinata opera, la storia dell'artista che l'aveva realizzata ed il messaggio che tale opera

5 Opuscolo della mostra “African Metropolis”.CTA6: Sala esposizioni temporanee Portata max: 20000

m³/h Portata di servizio: 17496 m³/h Dimensioni: 2.5x2.5x2 m Volume servito: 16200 m³

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voleva trasmettere.

Questa poteva essere un'occasione non solo per poter capire più nel profondo le opere esposte, ma anche per poter capire cosa queste persone pensassero degli spazi che il museo offriva, di come essi fossero o meno adatti ad accogliere mostre di quel tipo, e di come,

secondo loro, dovrebbero essere progettati quegli spazi, e ancor di più in generale quei musei, il quale scopo sarebbe quello di accogliere opere d'arte sulla migrazione realizzate dagli stessi migranti.

A tale scopo è stata condotta un'intervista a tre di questi mediatori culturali. Modalità dell'intervista:

L'intervista è stata svolta come un normale dialogo. Non sono state utilizzate domande preparate ma si è cercato invece di stabilire un confronto sui vari temi quali:

– il paesi di provenienza

– il tempo di permanenza in Italia – le opinioni su mostre di quel tipo

– le opinioni su come un museo come il MAXXI sia adatto o meno ad ospitarle – le opinioni su eventuali mostre sulla migrazione e realizzate da migranti

– le opinioni su come un museo come il MAXXI sia adatto o meno ad ospitare mostre sulla migrazione

– eventuali pareri sulle caratteristiche che dovrebbe avere un museo per l'arte migratoria Nonostante tutti i temi elencati fossero importanti, per la maggior parte del tempo l'indagine si è concentrata sullo scoprire come i mediatori immaginassero uno spazio di esposizione dedicato all'arte migratoria.

La forma del dialogo piuttosto che dell'intervista chiusa è stata reputata migliore in quanto permetteva al mediatore di mettersi più a suo agio, nonché dava la possibilità a temi differenti di emergere dalla discussione, che altrimenti sarebbe stata troppo chiusa attorno a quelli prestabiliti.

Intervistati:

Alexandra Gomes Morais, Jean Hilaire Juru, Fatou Sokna.

Alexandra è una ragazza nata in Italia da genitori originari di Capo Verde.

Juru è invece nato in Ruanda per poi trasferirsi in Italia con i genitori quando aveva 4 anni e attualmente studia scienze politiche, mentre Fatou è una ragazza nata in Italia ma con genitori di originari del Senegal.

Temi emersi:

Durante la discussione con i tre ragazzi sono emersi temi comune, a mio avviso molto sentiti dai tre. Primo fra tutti il risentimento nei confronti del colonialismo. La ferita lasciata dall'Europa, soprattutto nei confronti dell'Africa, è ancora aperta, e questo emerge chiaramente dalla discussione ma non solo, anche dalle opere esposte nella mostra.

Altro argomento centrale è la volontà, in questo caso dell'Africa, di far sentire la propria voce. Per questo, secondo tutti e tre i mediatori, la costruzione di un museo esclusivamente dedicato all'arte migratoria sarebbe più che auspicabile, anzi, utilizzando le loro parole: “quello di cui gli artisti africani hanno bisogno”.

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Per quanto riguarda invece il tema principale cardine dell'intervista, e cioè sul come si immaginassero uno spazio dedicato all'esposizione dell'arte migratoria, i tre ragazzi erano d'accordo sul fatto che uno spazio come quello del MAXXI fosse più che adatto, allo scopo. Come accennato sopra, i suoi ampli spazi, l'organizzazione delle sale e dei percorsi, l'uso della luce e dei materiali, vengono ritenuti perfetti per l'esposizione dell'arte migratoria, così varia per mezzi espressivi, dimensioni delle opere, materiali ecc.

Tuttavia, pur essendo tutti e tre d'accordo su quella che è la forma dello spazio adatta allo scopo, secondo Juru il carattere del museo, la sua ubicazione, la sua organizzazione rendono vano l'intento delle sue forme. Juru ha definito infatti il carattere del museo come “elitario”, che guarda ad un pubblico troppo ristretto, di pochi “appassionati dell'arte contemporanea” più interessati alla novità della mostra piuttosto che ai contenuti che vuole trasmettere.

Conclusioni:

In conclusione, ciò che si è potuto estrapolare dalle interviste è il fatto che lo spazio per il museo dell'arte migratoria dovrebbe essere quanto più simile a quello del MAXXI, con sale ampie e lunghe in modo a accogliere più opere in successione in un unico spazio, e con la possibilità di farlo attraverso supporti, all'occasione, differenti.

Il cemento a vista è ritenuto un ottimo materiale insieme all'uso di pareti bianche, in quanto donano un certo anonimato alla sala mettendo in risalto le opere.

In definitiva quello che viene ritenuto più auspicabile è la realizzazione di spazi atti a dare non solo voce agli artisti africani, ma a dare anche la possibilità a tutti i tipi di pubblico di ascoltare questa voce e poter entrare nel profondo di quello che l'artista ci vuole dire.

Il museo, come edificio in se, dovrebbe avere un forte carattere attrattivo dal punto di vista della sua percezione dall'esterno, ed essere quindi capace di attirare tutti i tipi di visitatori e non solo quelli in cerca della novità artistica del momento.

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3_RELAZIONE TECNICA DEL PROGETTO 3.1_ PREMESSA

L’oggetto della presente relazione consiste nella descrizione di un progetto che prevede la realizzazione di un Centro per la produzione e l'esposizione dell'arte migratoria, composto da laboratori per la didattica e la produzione delle opere, un museo per la loro esposizione e un piccolo “Art shop” dove poter acquistare alcuni degli oggetti realizzati nei laboratori. L'intero complesso è da collocarsi nell’area attualmente occupata dall'ex Scalo ferroviario di Porta Romana a Milano, proprio di fronte alla nuova sede di Fondazione Prada aperta nel 2015, e attualmente in quasi totale stato di dismissione e già individuato dal Comune come nuova Area di Trasformazione Urbana. La nuova progettazione, come già accennato prevederebbe la costruzione ex novo di edifici adibiti alle attività di laboratorio d'arte, di una Torre Museo per ospitare le opere prodotte nei laboratori, d'un padiglione, facente parte del complesso museale, per le mostre temporanee, ed un edificio adibito alla vendita delle opere non esposte. Inoltre è prevista una totale riqualificazione dell'area dello Scalo, da destinare a parco urbano, con una zona, adiacente alla fermata della metropolitana di Lodi Tibb. (lato incrocio tra Viale Isonzo e Corso Lodi) da destinare ad attività sportive di pubblico accesso: skatepark, pallavolo, basket, calciotto. Aspetto peculiare della progettazione del parco sarà quello di mantenere la linea del Passante ferroviario che oggi attraversa ancora l'area longitudinalmente.

Tale intervento vuole offrirsi alla comunità residente come luogo di cultura, di svago e di tempo libero, e alla comunità dei migranti come occasione per trovare sia un'occupazione sia uno strumento di integrazione.

3.2_INSERIMENTO URBANO

Come già detto il contesto urbano è quello dell'ex Scalo di Porta Romana, compreso tra Corso Lodi ad est e via G.Ripamonti ad ovest, e tra Viale Isonzo a nord e le vie Brembo e G.Lorenzini a sud.

La Torre museo è collocata nel punto dove, al tempo in cui lo scalo era attivo, si incontravano il viale d'ingresso da Viale Isonzo e le banchine principali per il carico e lo scarico merci. Il Padiglione delle mostre temporanee invece si trova accanto alla torre, ed attraversa l'area da nord a sud perpendicolarmente alla linea della ferrovia.

Longitudinalmente all'area, e parallelamente all'andamento della ferrovia si trova uno dei volumi contenenti i laboratori. L'altro, identico al primo, è collocato perpendicolarmente alla linea della ferrovia.

L'intera area è attraversata da est a ovest da una strada rialzata, collocata sopra la linea ferroviaria attiva, che collega i cavalcaferrovia di Corso Lodi e via G. Ripamonti, sul quale è collocato una sorta di parco lineare.

Di particolare rilievo è la necessità di permettere l'attraversamento del parco anche lungo la direttrice nord sud, ecco perché è stato altresì necessario un lavoro di progettazione a tale scopo, che trova compimento in un sistema di terrapieni e rampe di risalita poggianti su di essi, che permettono di raggiungere la quota del parco rialzato, da entrambi i versanti dell'area.

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