buongiorno milano
Politecnico di MilanoTesi di Laurea Magistrale in Progettazione Architettonica
Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni (AUIC) A.A. 2015-2016
Laureandi Andrea Filippo Cremonesi, 835095
INDICE
0. Executive summary
1. Il fenomeno delle aree industriali dismesse e il loro recupero
1.1 Valenza urbana della dismissione industriale: impronta e testimonianza
1.2 Sviluppo della città tra dismissione e riconversione 1.3 Necessità di trovare il punto di forza della città 1.4 Casi studio di recupero di edifici industriali dismessi adibiti a spazi del lavoro
2. Il valore e l’efficienza della città 2.0 2.1 Città come motore dell’economia
2.2 Connettività sociale all’interno del sistema città 2.3 Accesso alle risorse economiche
2.4 Diversità urbana come fonte di creatività 2.5 Reti di città
2.6 Relazione tra forma urbana ed efficienza 2.7 Città e memoria
2.8 La città di Milano
3. Lavoro e società 2.0
3.1 Evoluzione dell’economia del lavoro 3.2 Cambiamento degli strumenti lavorativi
3.3 Commistione di generazioni diverse di lavoratori 3.4 Necessità di nuovi ambienti del lavoro
3.5 Casi studio di spazi lavorativi d’innovazione
p. 8
p. 82
4. Coworking: il futuro del lavoro in grado di cambiare la società
4.1 Nascita, evoluzione e diffusione del fenomeno 4.2 Capacità propulsiva di innovare l’abitare 4.3 Caratteristiche di uno spazio di coworking
4.4 Il fenomeno del coworking in Italia e i metodi di supporto 4.5 Modello orizzontale e modello verticale a confronto 4.5.1 Cowo, esempio di modello orizzontale
4.5.2 Talent Garden, esempio di modello verticale 4.6 Il fenomeno coworking in Europa
4.6.1 Berlino 4.6.2 Milano 4.6.3 Barcellona 4.6.4 Londra 4.6.5 Parigi 4.6.6 Amsterdam
4.7 Casi studio di spazi di coworking
5. La fabbrica Borletti
5.1 A Milano la prima fabbrica italiana di orologi 5.2 Influenza del design italiano
5.3 Strategia della comunicazione
6. Il progetto di recupero della fabbrica Borletti 6.1 Analisi del contesto e del tessuto urbano
p. 274
p. 420
6.5 Nuovi spazi del lavoro e dell’abitare 6.6 Relazione con il nuovo edificio
0. Executive Summary
La globalizzazione, la contingente crisi economica e le nuove tecnolo-gie hanno rivoluzionato l’intera totalità del globo negli ultimi dieci anni. Questo cambiamento ha avuto un effetto diretto sulla vita quotidiana di ognuno di noi e in particolar modo sul mondo del lavoro.
La velocità, caratteristica base della nostra epoca, ha imposto
il cambiamento radicale delle modalità lavorative, indipendentemente dal settore in questione.
Business che funzionavano anche solo due anni fa potrebbero essere
oggi obsoleti quanto i dinosauri. Per questo motivo ognuno di noi si dovrebbe fermare e riflettere circa i futuri scenari lavorativi possibili. Ecco, questa è stata la nostra base di partenza.
Per indagare il mondo del lavoro, in particolar modo in una Tesi di Laurea Magistrale in Architettura, è stato deciso di partire dal vuoto fisico che le aree produttive dismesse lasciano alle proprie “spalle”. Successivamente è stata analizzata la città contemporanea, all’inter-no della quale si trovaall’inter-no i vuoti urbani industriali ma anche, e soprat-tutto, le idee innovative e il network corretto per far decollare modelli di lavoro 2.0.
Per capire appieno la direzione che il lavoro prenderà nei prossimi anni sono stati analizzati i business model di società operanti in vari settori, in grado di avere un impatto globale, come Cisco, Google, Nike, Rolex, Virgin e tante altre. Effettivamente, dalle analisi condotte, è emerso che queste società hanno totalmente rinnovato il proprio modello di lavoro quando globalizzazione e tecnologia erano ancora appannaggio di pochi digital oriented, e quei “malcapitati” venivano persino sbeffeggiati nel momento in cui presentavano la propria visione ai media tradizionali.
Da qui il futuro del lavoro e dell’occupazione prende il nome di
cowor-king, vera e propria connessione fisica tra persone di talento,
indipen-dentemente da dove si trovino nel mondo.
Non è intenzione degli autori spoilerare oltre, motivo per cui Vi invitia-mo a leggere la Tesi per capire come un’ex area industriale, in questo caso ambasciatrice del Made in Italy nel Mondo per più di un secolo, possa tornare a nuova vita produttiva, ma non solo.
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<< Vi sono diverse ragioni, oggi, per studiare il fenomeno delle aree industriali dismesse. Esse rappresentano prima di tutto la memoria di attività che sono state il motore del progresso nel corso dell’ultimo secolo, sono inoltre le risultanti materiali di un lungo processo deci-sionale che ha strutturato la città e costituiscono infine nuove possibi-lità di intervento in parti della città già fortemente strutturate. >>
Michela Barosio, 2009 Quanto affermato dall’autrice de L’impronta Industriale fa immediata-mente capire quanto siano importanti per la città contemporanea le aree precedentemente occupate da fabbriche in disuso. Il fenomeno dello sprawl delle città, nel Mondo come in Italia, ha fatto sì che diversi luoghi della produzione, un tempo relegati in una zona periferica, si trovassero quasi in centro. Queste aree non rappresentano solo un vuoto all’interno del tessuto urbano, ma una vera e propria chance persa da parte di ogni giunta comunale non in grado di convertire gli spazi inutilizzati in luoghi di lavoro, innovazione e network.
Negli anni ’80 Bernardo Secchi ha affermato di dover inquadrare il caso delle aree industriali dismesse come vuoti urbani. Secondo l’architetto e urbanista era necessario capire quale fosse il loro
futu-flessibile” (Lynch, 1990).
Oggi la teoria dell’urbanista americano rispecchia molto un fenomeno quotidiano: società che chiudono, lasciando la zona “deserta”, spes-so a causa dell’arretratezza di un servizio che proprio fino a qualche anno prima aveva dato notevoli soddisfazioni. Il mondo è cambiato e non tutte le aziende sono state, sono e saranno in grado di fronteg-giare il cambiamento, oppure ancora: innumerevoli startups lanciano un business che ad un certo punto viene acquisito e delocalizzato, e di esempi come questi se ne potrebbero fare a decine e decine dal momento che ci troviamo nell’epoca in cui i cambiamenti sono all’or-dine del giorno. L’importante è che si trasmetta il core dell’argomento: le aree industriali dismesse saranno presenti ancora per innumerevoli anni nel contesto italiano, considerando solo quelle ferme dagli ultimi 10 anni, e ad esse se ne aggiungeranno altre, quindi questi spazi rap-presenteranno sempre una peculiarità del territorio italiano.
Queste aree rappresentano a tutti gli effetti il DNA del nostro Pae-se: stabilimenti industriali che vanno dalla piccola-media impresa alla multinazionale. Sono testimonianze del nostro stesso patrimonio, sto-rie di successo di aziende familiari nate dal sacrificio e dall’impegno di milioni di persone. Sono il manifesto del sogno italiano degli anni ’80 o, più semplicemente, l’impronta della creatività e del genio che ci contraddistingue da sempre nel mondo.
E’ compito dell’amministrazione del luogo stanziare fondi e/o pro-grammi di recupero del manufatto architettonico caduto in disuso e onore, oltre che onere, dell’architetto avere la vision corretta.
1.2 Lo sviluppo della città tra dismissione e riconversione
<< Una delle caratterizzazioni più forti del territorio è costituita dalla presenza di grandi aree metropolitane. La teoria ci dice che, stori-camente, le grandi aree metropolitane sono sempre state le punte avanzate dei sistemi territoriali. Le teorie degli anni Sessanta erano estremamente esplicite in questo senso, anche quelle che sembrava-no sembrava-non avere una forte consembrava-notazione territoriale. >>
Roberto Camagni, 2004 La localizzazione è fondamentale per ogni imprenditore, in grado di garantire alla propria attività la possibilità di competere e innovare. Già nel 1958 Raymond Vernon aveva spiegato in un articolo il concet-to di urban life cycle del prodotconcet-to. Secondo l’economista americano le grandi aree metropolitane avrebbero rappresentato la scelta preferita da parte di ogni imprenditore in quanto in grado di garantirgli una mas-siccia e qualificata presenza di capitale umano, forti economie dette di agglomerazione oltre che una clientela esigente ma contraddistinta da un’alta Willingness To Pay. Il ciclo si conclude con la dismissione della zona produttiva iniziale a causa di una migrazione dell’azienda in un’area periferica e decentrata, in grado di garantire spazi maggiori a prezzi competitivi, oltre che un vantaggio di localizzazione per i tra-sporti di materiale ingombrante su gomma.
L’Italia, così come tutti i Paesi europei, nel ventennio 1960-1980, ha visto una forte presenza sul territorio del fenomeno di periferizzazione (Bottini, 2012).
tro nei confronti delle aree metropolitane. Questo fenomeno è stato accentuato dalla trasformazione delle aree metropolitane a industrie terziarie e dalla forte ascesa di attività come il marketing, la finanza e la tecnologia.
Come spiega Camagni lo sviluppo diametralmente opposto tra Nord e Sud Italia inizia a manifestarsi proprio in quegli anni, consacrando la Lombardia come la regione che è cresciuta, e continua a crescere, con i tassi maggiori. Lo stesso economista suggerisce di guardare i valori relativi alla rendita fondiaria, in particolare quelli circa la città maggiore e città minore, oltre che centro e periferia. Questi dati for-mano una forbice netta che mette in evidenza quanto siano lievitati i prezzi per una maggiore centralità dal 1985 al 1991, per seguire una flessione interrottasi nel 1995, anno in cui hanno poi ripreso gradual-mente ad aumentare.
<< Alla cultura dell’espansione urbana, strettamente connessa al mito dello sviluppo economico accelerato ed illimitato, si è contrapposto un ripensamento sull’ambiente già urbanizzato in cui la riqualifica-zione occupa un ruolo fondamentale, in termini di servizi urbani e di rinnovo delle tipologie edilizie, ma soprattutto di qualità urbana. >>
Paola Nicoletta Imbesi, 2012 Oggi la riqualificazione è la strada da perseguire, non solo per la pre-senza di innumerevoli manufatti architettonici dismessi in città, ma anche e soprattutto per il fatto che, nonostante si viva nell’era dei social network e del digitale, mai come ora è stato così importante posizionarsi in una zona metropolitana.
Attualmente queste zone rappresentano, in Italia come in Europa, il
fulcro dell’innovazione, i luoghi dove i fatti accadono per davvero, o meglio vengono realizzati, grazie all’interazione tra menti brillanti. Quanto sia obsoleta la figura dell’imprenditore che si allontana da tutti per dare vita alla propria idea è testimoniato anche dalle seguenti parole di Steve Jobs: << There’s a temptation in our networked age to think that ideas can be developed by email and Ichat. That’s Crazy. Creativity comes from spontaneous meetings, from random discus-sion. You run into someone, ask what they’re doing, you say “wow” and soon you’re cooking up all sort of ideas >> (Isaacson, 2011).
L’accesso alle risorse non è appannaggio di multinazionali ma alla portata di chiunque voglia intraprendere una carriera come
freelan-cer o startupper. È necessario sottolineare che, per quanto riguarda
l’accesso alle risorse economiche per avviare una startup, reperibili tramite piattaforme di crowdfunding online, esso avviene anche attra-verso incubatori d’impresa, angels investors e accelleratori, posizio-nati in quasi l’intera totalità dei casi in grandi aree metropolitane. Per quanto riguarda invece l’accesso al capitale umano da qualche anno a questa parte si stanno moltiplicando a ritmo incessante gli spazi di coworking sul territorio. Questo fenomeno non garantisce solo l’ab-battimento dei canonici costi di esercizio di qualunque professione, ma anche e soprattutto l’interazione con altre persone motivate da passioni simili, in modo da contaminarsi vicendevolmente per dare vita a progetti innovativi.
1.3 La necessità di trovare il punto di forza della città
<< La città che dispone della velocità dispone del successo. Ben pre-sto le automobili non potranno più circolare nel centro delle grandi città e quelle degli uomini d’affari non serviranno più, come accade a New York. >>
Le Corbusier, 1923 Forse può stupire quanto sia attuale la frase del maestro franco-sviz-zero ma bisogna tenere bene a mente il fatto che Le Corbusier abbia rappresentato il più grande innovatore non solo dell’architettura mo-derna ma anche del ragionamento strategico per il progetto.
Quando Le Corbusier stava progettando la famosa Petite maison a Ginevra per la madre aveva previsto che la città svizzera sarebbe di-ventata un vero e proprio hinge point su vasta scala.
Il concetto di Le Corbusier rappresenta una visione quanto mai attua-le: ogni città riveste un ruolo gerarchico in relazione ad altri agglome-rati urbani a seconda della localizzazione della stessa.
Oggigiorno sono presenti diversi metodi attraverso cui capire la forza di una città, i settori in cui sono necessari potenziamenti e quelli da “stressare”.
Per questo motivo, qui di seguito vengono analizzati dieci progetti di recupero di aree industriale della città cui è stata data una nuova vita produttiva, per poi affrontare, nel capitolo successivo, il valore e
l’ef-1.4 Esempi di recupero di edifici industriali dismessi adibiti a nuovi spazi del lavoro
Qui di seguito vengono analizzati dieci casi studio di spazi industriali dismessi, che per anni hanno rappresentato un vuoto urbano all’inter-no della città in questione.
Il recupero di questi spazi ha visto una vera e propria rigenerazione urbana e produttiva in grado di affidare agli edifici abbandonati una nuova vita, in grado di regalare ancora tante emozioni.
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Lo studio di progettazione è stato in grado di dare nuova vita ad un sito industriale particolarmente delicato, trasformandolo in un ufficio contemporaneo premiato da innumerevoli testate come tra i più belli della capitale inglese.
Il progetto ha previsto un’intera riorganizzazione degli spazi interni, che sono stati ampiamente svuotati per fare spazio a funzioni più fles-sibili e adattabili alle necessità di ogni giorno.
Essendo un laboratorio artistico in grado di attrarre appassionati at-torno alla figura di Anish Kapoor, ma anche uno spazio di esposizione, è stato necessario che anche quest’ultimo fosse organizzato in modo temporaneo e flessibile.
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Il rinnovo delle aree industriali di Poble Nou prevede la sua trasfor-mazione nel cosiddetto Distretto 22 @Barcelona, dedicato principal-mente alle industrie della nuova economia, caratterizzate da un uso sapiente della tecnologia a livello di informazione e comunicazione. L’edificio, inizialmente sede di un’industria dello zucchero, oggi pro-pone al pubblico degli spazi avveniristici e singolari. Basti pensare che il passo delle capriate dei soppalchi è stato tagliato in modo da ottenere spazi a doppia o addirittura a tripla altezza.
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La rinascita degli storici spazi dell’ex-Ansaldo è riuscita grazie al sup-porto del Comune di Milano con Arci Milano, Avanzi, Esterni, h + e MakeACube, dove tutte le entità coinvolte hanno sostenuto il piano di trasformazione in un punto di riferimento per le industrie creative, giovani talenti e startup innovative.
All’interno dei 6.000 metri quadrati, aperti tutto l’anno, BASE Milano ospita spazi di coworking, laboratori, un nuovo hotel-residence, una caffetteria, un salone e un programma pieno di iniziative ed eventi. Tra i primi eventi già in programma: Visual Making, XXI Triennale, Libro Orgoglio, 10 anni di Le Dictateur con Maurizio Cattelan, Design Week, Art Lab 16, Design 1o1, Green City, Piano City Milano, ecc.
BASE Milano è un esperimento di innovazione culturale. La contami-nazione tra arte, creatività, imprenditorialità, benessere e tecnologia, contribuisce certamente a rendere il quartiere di Tortona una delle zone più vivaci e dinamiche della città.
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La Fondazione Botin è nata a Madrid, scegliendo come propria sede un edificio industriale del 1920, ubicato in una posizione unica con l’intenzione di farlo diventare un solo un centro di supporto al lavoro ma anche e soprattutto un hub di riferimento culturale.
Per riuscire ad ottenere questo risultato è stato mantenuto intatto il carattere industriale delle origini, in piena linea con l’etica che con-traddistingue la Fondazione, vero e proprio catalizzatore di giovani creativi.
L’intera totalità dell’edificio si basa su un concetto molto importante: l’uso di aperture in modo tale da garantire sempre, e in qualunque spazio, la presenza di luce naturale.
L’interno della struttura è stato totalmente ripensato, anche a livello strutturale, in modo tale da consentire la realizzazione di un grande spazio che si apre sulla lobby principale, dove luce e vegetazioni di vario tipo giocano il ruolo di protagonisti.
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La struttura centrale del complesso Fabra & Coats è un edificio di quattro piani che si compone di tre corpi. Il primo grande edificio è ad Ovest e due più piccoli sono orientati a Est e Nord.
L’edificio, costruito nel 1910, ha una superficie totale di 14.000 metri quadrati. L’intervento è stato fin dall’inizio estremamente rispettoso nei confronti dell’edificio originario.
Il programma funzionale è estremamente complesso: un hub per la creazione in materie artistiche, una scuola di arti, un laboratorio per le arti e un Museo del Lavoro.
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Per quindici anni lo studio di architettura olandese Cepezed ha avuto sede in un edificio progettato dagli stessi titolari dello studio, ai mar-gini occidentali del centro storico di Delft.
Nel 2014 è stato completato il progetto del Creative Cluster, motivo per cui la loro sede è diventata ora questo edificio di circa un secolo nel cuore della città, iscritto al patrimonio culturale come edificio di interesse storico del periodo neo-rinascimentale olandese.
Questo spazio era prima riservato ai migliori studenti del Dipartimento di Meccanica e Ingegneria Navale del College of Technology. Proprio in queste sale sono stati effettuati test su motori, turbine e nuovi com-ponenti ingegneristici.
L’ingente spazio a disposizione ha permesso a Cepezed di utilizzare le metrature a proprio piacimento: per questo motivo è stato mante-nuto inalterato il Museo della Tecnologia ed è stato avviato il progetto di affittare diverse sale ad aziende all’interno del settore creativo, una sorta di coworking.
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L’ex granaio, con la sua estensione rivestita in bronzo, è stato proget-tato come sede per lo sviluppatore Rooff. L’edificio originario era in stato di abbandono da circa 40 anni, motivo per cui risultava piuttosto urgente un recupero totale della struttura.
Il granaio è tornato quindi in vita grazie ad un intervento che ha ri-spettato interamente l’edificio esistente. In particolar modo è stata studiata la storia dell’edificio affinchè fossero eliminate tutte le porzio-ni aggiunte nel corso degli anporzio-ni al manufatto architettoporzio-nico originale. La nuova estensione nasce come riproduzione della forma della co-struzione iniziale, con cui si confronta senza mai prevalere, altro pa-radigma dell’ottimale progetto di recupero svolto. I due edifici sono collegati tra loro attraverso una passerella.
Questo progetto ha rappresentato l’input per la zona di rigenerarsi come quartiere per le industrie creative.
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Il progetto architettonico è il risultato di quella che è stata una for-te espansione di Octapharma, con la conseguenfor-te necessità di una maggiore capacità, inclusi gli spazi per uffici, laboratori scientifici così come fabbrica e spazi produttivi.
L’ex fabbrica di birra, insieme alle strutture circostanti, è stata ac-quistata nel 2009 da Index Estate di Octapharma, con l’obiettivo di iniziare a migliorare la logistica in loco.
La fabbrica di birra, costruita attorno al 1890, ha avuto innumerevo-li successi, ma nell’ultimo ventennio ha affrontato difficoltà a innumerevo-livello economico, tali da portarla al fallimento. L’edificio è stato poi utiliz-zato in vari modi, sempre temporanei, cadendo lentamente in rovina. Grazie all’importanza storica e culturale riconosciutagli dallo Stato e dai lavori svolti da Index Estate l’edificio è oggi simbolo di una proget-tazione moderna in pieno rispetto con l’importanza della storia.
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Situato a Est di Teheran, è un edificio polifunzionale costruito attraver-so moduli di acciaio realizzati in prefabbricazione evoluta, che attraver- soddi-sfa diverse funzioni come terziario, residenziale ed espositivo.
La forma predominante all’interno degli uffici è certamente quella del cubo, dettata essenzialmente da un’iniziale richiesta da parte della committenza di mantenere un prezzo sostenibile.
Le dimensioni delle aperture posizionate dagli architetti cambiano a seconda della quantità di luce naturale presente e dalle esigenze fun-zionali personali.
Certamente l’utilizzo del mattone come finitura aggiunge un po’ di “calore”, in netto contrasto con la “fredda” atmosfera industriale. È in casi come questo, dove l’architettura è in grado di mettere in risalto le migliori peculiarità di quanto viene progettato che, di conseguenza, questa disciplina diventa paradigma.
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Dopo il 1996, dalla dismissione della zona industriale di queste zone, sono stati abbandonati circa 198 edifici.
Situato alla confluenza dei fiumi Delaware e Schuylkill, il Navy Yard ha svolto la funzione di edificio navale e di riparazione di impianti, dal 1868 al 1996.
Urban Outfitters, marchio di abbigliamento e accessori, è stata la pri-ma importante a intravedere le potenzialità di questi edifici e decidere di trasferire qui il proprio campus, per il quale sono stati investiti oltre 100 milioni di Dollari.
Il design sviluppato dallo studio di progettazione è incentrato sul riu-tilizzo delle caratteristiche della fabbrica navale originaria, nonostante distante concettualmente dall’attuale produzione tessile. Questo ha dato come output progettuale la contaminazione di arte, cultura, eco-nomia e ambiente in spazi a pianta libera, estremamente flessibili ed efficaci.
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2.1 Città come motore dell’economia
<< Guardare avanti - a tutti i livelli - e sviluppare idee sulle città del
futuro diventa sempre più importante. Sarà infatti lo sviluppo delle nostre città a determinare il futuro dell’Europa. >>
Johannes Hahn, Membro della Commissione Europea in un intervento del 31 marzo 2011 Più dei due terzi della popolazione vive in un contesto urbano, l’intera Europa ha cambiato totalmente la propria agglomerazione nell’ultimo secolo, passando da un paesaggio rurale ad un vero e proprio conti-nente urbano. L’Europa è inoltre caratterizzato da una struttura urba-na meno densa e concentrata rispetto a contesti americani o cinesi.
Nell’UE sono presenti 23 città con oltre 1 milione di abitanti e 345 città con più di 100000 abitanti, che contano in totale 143 milioni di persone. Solo il 7% dell’intera popolazione europea vive in città con oltre 5 milioni di abitanti, percentuale molto bassa se confrontata con lo stesso dato americano che rileva il 25%.
Il 56% della popolazione urbana in Europa, che rappresenta il 38% dell’intera totalità della popolazione nella zona UE, vive nelle piccole e medie città comprese tra 5000 e 100000 abitanti (dati OCSE al 2016).
Un raffronto a livello di prestazioni economiche stilato dalla Commis-sione Europea nel 2011 indica che << le grandi città stanno facendo
meglio rispetto a quelle più piccole >>.
E’ inoltre presente una netta differenza di prestazioni tra le città che rappresentano il ruolo di capitale dello stesso paese e quelle che non lo sono.
Risulta però difficile comprendere gli effetti di agglomerazione solo in rapporto all’esternalità positiva di essere capitale e quindi centro di amministrazioni pubbliche e private.
Esiste anche una ancor più netta differenza tra le città non capitali oc-cidentali e quelle orientali, che non può essere spiegata solo in base alle dimensioni, ma prende forma grazie al network di città circostanti e a come queste si interlacciano tra di loro.
Secondo l’OCSE il rapporto tra reddito e popolazione è negativo per una cifra stimata attorno ai 7 milioni di euro, asserendo quindi a
conomie di agglomerazione a causa di congestione e altri costi cor-relati.
Gli effetti dell’agglomerazione hanno infatti limiti e producono ester-nalità negative che possono superare i benefici, come la congestione del traffico, l’aumento dei prezzi e la diminuzione di appartamenti a prezzi accessibili, l’inquinamento, l’espansione urbana, l’aumento dei costi delle infrastrutture urbane, oltre che tensioni sociali che posso-no sfociare in criminalità. Ai costi ecoposso-nomici diretti di una diminuzione dell’efficienza economica occorre sommare anche il costo aggiuntivo di un ambiente degradato, problemi sanitari e una scarsa qualità della vita.
Le città appaiono dunque come luoghi di grande concentrazione di problemi. Nonostante le città siano generatrici di crescita economica i tassi più alti di disoccupazione si trovano nell’area urbana. La globa-lizzazione ha portato ad una perdita di determinati posti di lavoro, ora non più necessari sia in termini quantitativi che a livello di localizza-zione, in particolare modo nel settore manifatturiero, e tutto questo è stato amplificato dalla crisi economica del 2008.
Molte città vedono dunque una significativa perdita di coesione so-ciale e un aumento di esclusione, segregazione e polarizzazione. L’immigrazione crescente, combinata con la suddetta perdita e dimi-nuzione di molti posti di lavoro ha portato a problemi di integrazione, aumentando il razzismo e i vari atteggiamenti xenofobi, che non fanno che aumentare le esternalità negative legate all’area urbana.
degli alloggi e dei trasporti, è responsabile di una quota significativa delle emissioni di CO2. Secondo le stime di tutto il mondo, circa due terzi della domanda finale di energia è legata ai consumi urbani e fino al 70% delle emissioni di CO2 vengono generate in città. Lo stile di vita urbano dunque è sia parte del problema che della soluzione. Nel panorama europeo, le emissioni di CO2 a persona sono di molto inferiori nelle aree urbane rispetto alle aree non urbane. La densità delle aree urbane permette forme più alte di efficienza energetica di abitazioni, del sistema di trasporto e di fornitura di servizi. Di conse-guenza, le misure per affrontare il cambiamento climatico possono essere più efficienti in termini di costi ed efficaci negli agglomerati urbani grandi e compatti che nelle aree meno densamente edificate.
E’ quindi chiaro quanto le città meritino particolare interesse, in quan-to la crescita della concentrazione di consumaquan-tori, lavoraquan-tori e impre-se nella medesima area rendono l’agglomerato urbano coeso e forte, offrendo loro il potenziale per produrre esternalità positive e rendi-menti di scala crescenti.
Una concentrazione di attività non è però condizione né necessaria né sufficiente per una crescita elevata dell’area urbana, come spiega Saskia Sassen in The Global City e Cities in a World Economy; facendo emergere quello che può apparire come un paradosso tra localismo e globalizzazione.
2.2 Connettività sociale all’interno del sistema città
Viviamo nell’era della digitalizzazione informatica, dove le tecnologie rendono le informazioni accessibili a tutti e senza distinzione alcu-na di collocazione geografica, di conseguenza le attività economiche potrebbero disporsi in ogni dove senza la possibile perdita di integra-zione con l’intero sistema. Questo ha però prodotto un necessario e importante rafforzamento del sistema centrale, a livello di coordina-mento e funzioni di controllo per le attività economiche, ma anche e soprattutto per i mercati.
Non bisogna infatti dimenticare che diversi mercati finanziari hanno
proprietari, quindi aziende, e richiedono dunque funzioni
amministra-tive centrali (Sassen, 2000).
Gestire una rete di filiali ha fatto sì che le operazioni centrali diven-tassero sempre più complesse e l’accesso a tali lavori deve essere in grado di attrarre le persone più qualificate, in grado di creare un network lavorativo che parte dalla città in questione e si estende a livello globale.Un fattore divenuto sempre più lampante e determinan-te è che, per massimizzare i profitti delle imprese non bastano solo le infrastrutture, informatiche e non, ma un insieme di esternalità da intendersi come risorse umane.
<< Un fatto che emerge con maggiore chiarezza riguarda il
significa-to di informazione. Esissignifica-tono, si potrebbe dire, due tipi di informazio-ni. Uno è il dato: a che livello ha chiuso Wall Street? L’Argentina ha completato la concessione del tal servizio pubblico? Il Giappone ha
Se il dato è, come detto in precedenza, accessibile a tutti in modo immediato e in qualunque luogo, il secondo tipo di informazione ri-chiede invece un team di esperti che lavorino sul filo logico di inter-pretazione, valutazione e giudizio per produrre analisi più complesse. E’ chiaro quindi che oggigiorno la connettività tecnica può essere la stessa in qualunque posto del globo, ma la connettività sociale cam-bia radicalmente da città a città, in favore, ovviamente, di quelle che hanno al loro interno, e attorno a sé, un network di funzioni tali da attrarre persone qualificate. I servizi offerti dai centri finanziari, radicati in città scelte ad hoc, permettono quindi di massimizzare la connetti-vità sociale in funzione delle atticonnetti-vità d’impresa.
2.3 Accesso alle risorse economiche
<< Gli attori globali nel settore finanziario hanno necessità
di disporre di enormi risorse, una tendenza che sta portando a fusioni e acquisizioni di società e ad alleanze strategiche tra mercati in paesi diversi. >>
Saskia Sassen, 2000 Quanto affermato dall’economista Saskia Sassen è quanto mai at-tuale ed è possibile estendere il concetto a qualunque tipo di attività presente sul territorio italiano.
Inoltre lo scenario si sta avverando anche per aziende di piccole o medie dimensioni: studi di qualsivoglia attività professionale, società contabili e broker di assicurazioni sono solo alcuni degli esempi di aziende che decidono di fondersi tra loro per crearne una di dimen-sioni maggiori. Questo è dato sia dal fatto che la contingente crisi economica ha ridotto certamente il lavoro per tutti, ma anche e so-prattutto dal fatto che per raggiungere mercati più ampi, e spesso lontani, servono ingenti risorse economiche da investire.
In particolare modo ne necessita il settore finanziario, dove non sono più formulate solo ed esclusivamente proposte di investimento mobili ma anche immobili, basti pensare ai fondi di investimento immobilia-re.
<< Molti analisti ritengono oggi che le società di dimensioni medie
sta si avvera: oggigiorno è difficile per le aziende di dimensioni medie, spesso delocalizzate, pensare di sopravvivere in un mercato ormai globale, dove le società finanziare e le multinazionali continueranno a puntare su mercati nuovi, innalzando sempre di più la competitività e rendendo difficile l’accesso ad altre.
La necessità di enormi risorse spinge dunque all’accorpamento per la competitività sul mercato globale e, parallelamente, induce a dare una sempre più maggiore importanza a città prima più marginali, a seconda delle sedi con cui queste fusioni avvengono.
Il necessario bisogno di gestire operazioni sempre più globali produce quindi forti tendenze a favore della concentrazione in città per esten-dere maggiormente la rete di influenza.
In riferimento alle capitali finanziarie mondiali o, come definite da Sas-sen Città Globali, si assisterà ad un rafforzamento e implementazione della gerarchia, che porterà alla creazione di altre in un rapporto di cooperazione, concorrenza e divisione del lavoro.
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㈀⸀ 922.4 Diversità urbana come fonte di creatività
Nel 1961 l’economista urbano americano Benjamin Chinitz ha con-frontato due città diametralmente opposte: New York e Pittsburgh. La prima caratterizzata da una realtà urbana di grandi dimensioni e altamente diversificata al suo interno, mentre la seconda vede una struttura di più esigue dimensioni e fortemente specializzata. Da tale analisi empirica Chinitz è arrivato ad affermare che la dimensione fi-sica della città sia di poco rilevante all’interno di un’ottica produttiva ma essa dipenda sostanzialmente dalla diversità del sistema urbano in quanto fonte di efficienza e di crescita. Un sistema strutturato in questo modo sarebbe infatti in grado di fornire alle piccole imprese un range di esternalità positive molto più ampio e variegato, rispetto ad una forma urbana oligopolistica e altamente specializzata (Chinitz, 1961).
Jane Jacobs evidenzia inoltre che le città sono i luoghi dove avvie-ne la vigorosa aggiunta di nuovi lavori (Jacobs, 1969), che vanno a sostituirne degli altri, e che quindi, parallelamente, ogni luogo dove questo fenomeno appaia significa che si è di fronte al costituirsi di una realtà urbana. La studiosa sottolinea quindi il fatto che non è solo la prossimità in termini fisici a generare economie di scala, ma anche e soprattutto la forte diversità delle attività che si trovano in città, in quanto generatrice di una maggiore creatività per le persone che in quella data città vivono o lavorano.
Di conseguenza si è sviluppato, in parallelo, un ampio dibattito circa la specializzazione o la diversificazione industriale all’interno delle
cit-produttività. In particolare Shefer, nel 1973, partendo da una funzione
di produzione CES (nota 1), verifica l’esistenza di economie di scala
di grandi dimensioni situate all’interno di 10 settori produttivi in realtà urbane americane (Shefer, 1973). Sempre della stessa idea fu Carlino, il quale ha criticato l’analisi di Chinitz, sopra spiegata, attraverso l’ar-ticolo Contrast in agglomeration: New York and Pittsburgh reconsidered del 1980, confrontando un campione di 65 realtà urbane statunitensi e andando ad evidenziare che le economie di scala hanno una fun-zione predominante all’interno della determinafun-zione della produttività urbana. In particolare la ricerca effettuata da Carlino si può ritenere maggiormente precisa rispetto a quella di Shefer in quanto scorpora in tre parti l’indice utilizzato da quest’ultimo suddividendolo in eco-nomie di scala, ecoeco-nomie di localizzazione ed ecoeco-nomie di urbaniz-zazione per 19 settori produttivi, ottenendo un riscontro del 65% sui casi analizzati (Carlino, 1980).
Sveikauskas elabora un’indagine molto simile, analizzando la produt-tività del lavoro industriale in 14 settori, trovando un amento della pro-duttività pari al 6,4% in funzione di ogni raddoppio delle dimensioni urbane prese in considerazione (Sveikauskas, 1975).
2.5 Reti di città
Il comportamento a rete è nato nel campo dell’economia industriale, coniato da Chesnais nel 1988, il quale ha sottolineato che tale com-portamento sia nettamente più efficiente del singolo mercato, all’in-terno del quale la fiducia è minima e le informazioni chiave restano ri-servate, o di una gerarchia, dove la conoscenza rappresenta il potere e quindi non viene trasmessa. La rete permetterebbe invece di creare e diffondere la conoscenza a livello competitivo (Sassen, 1991). La forma a rete si basa quindi sul flusso piuttosto che sulle competen-ze specifiche alla base di istituzioni amministrative, va oltre la fornitu-ra statica di servizi alle imprese e necessita di un ambiente collettivo di direzione. Per inserirsi in una rete di imprese occorre dunque una predisposizione iniziale allo scambio di informazioni, la piena fiducia nei confronti degli altri partecipanti, la presa di coscienza che le abilità sono trasferibili tramite la conoscenza e l’apprendimento e, infine, la volontà di mantenere reciproci rapporti preferenziali.
Questa definizione è stata trasferita al concetto di città attorno alla fine degli anni ‘90 da parte di numerosi economisti urbani come Sas-sen, Camagni, Cooke, Batten o ancora da filosofi come Putnam. Nella fase di globalizzazione si è assistito, infatti, ad una classe innovativa di configurazioni urbane policentriche, dette appunto città a rete. Si definisce comportamento a rete quando due o più città potenzial-mente complementari a livello di funzioni decidono di collaborare per ottenere significativi scopi economici, aiutate da corridoi veloci ed affidabili che permettano sia flussi fisici, è il caso delle infrastrutture,
ragioni essenziali per cui i nuovi e sempre maggiori rapporti tra centri urbani seguano una logica a rete.
Esisterebbero dunque due differenti tipologie di reti urbane (Camagni, 1993):
-reti di complementarietà: avvengono tra realtà urbane caratterizzate da una dimensione simile ma da funzioni differenti con il fine di realiz-zare economie di integrazione verticale (nota 2);
-reti sinergiche: avvengono tra realtà urbane che svolgono funzioni analoghe con il fine di realizzare economie di integrazione orizzontale (nota 3).
Le città possono quindi, indipendentemente dalla tipologia di rete, accedere a funzioni elevate senza la necessità di crescere a livello dimensionale, ma attraverso l’integrazione con altre realtà urbane, a livello economico, organizzativo e logistico.
Il modello e la questione delle città a rete hanno delle implicazioni cir-ca la crescita e l’efficienza della città in quanto sottolineano entrambi quanto la dimensione fisica della realtà urbana non sia l’unico fattore che determini la produttività e la nascita di economie di agglomera-zione. Quindi la presenza all’interno della città di funzioni urbane su-periori e la partecipazione della stessa a modelli a rete permettono un notevole incremento di produttività in presenza di limitate dimensioni dello spazio urbano.
2.6 Relazione tra forma urbana ed efficienza
La forma urbana incide notevolmente sulla sua efficienza, si rivela mi-gliore quando consente alla città di crescere dimensionalmente con benefici di carattere sociale ed economico e scarsi costi sociali e am-bientali.
La dispersione urbana, conosciuta con il termine di sprawl, appare come un fenomeno di suburbanizzazione in quanto rappresenta un’e-spansione fisica di realtà urbane al di fuori dei propri limiti, quindi senza regole precise (Duany, Plater-Zyberk, 2000).
Negli ultimi vent’anni circa il 90% dello sviluppo delle città in America, Inghilterra, Giappone, Canada e Australia è dato dalla crescita delle periferie urbane. Inoltre, nello stesso periodo, le periferie nei maggio-ri centmaggio-ri urbani europei sono cresciute mediamente del 115%, con conseguente perdita della popolazione del centro città. In particolare la città di Milano ha visto una diminuzione di popolazione all’interno del centro urbano pari al 21,6% ma una forte una crescita delle aree periferiche della città e dell’area metropolitana, rispettivamente del 36,6% e del 123,8% (fonte demographia.com al 2016).
La forma urbana dispersa, nata negli anni ’30 in America, si sta dif-fondendo rapidamente come modello per paesi avanzati e in via di sviluppo (Breheny, 1992).
Istituzioni internazionali quali la Commissione Europea, l’OCSE e l’A-genzia Europea dell’Ambiente hanno sottolineato nell’ultimo decennio che le realtà urbane caratterizzate da questo sviluppo sono contras-segnate da costi economici e sociali molto elevati (Camagni, Capello, Caragliu, 2012).
Infatti lo sprawl non solo incide negativamente sui costi ambientali causati da una maggiore, e necessaria, mobilità privata ma produce segregazione sociale, limitando le relazioni inter-personali.
Uno studio del 2002, che vede l’analisi circa la mobilità urbana all’in-terno di 184 comuni milanesi, qui riassunto dalla tabella valutativa sottostante (tabella 1) sottolinea che (Camagni, Gibelli, Rigamonti, 2002):
trasporto per mezzi pubblici
- diminuisce del 20%, quindi di circa dieci minuti, dai comuni di dimensioni minori a quelli di dimensioni maggiori;
- diminuisce con l’aumentare della densità netta (stimato in 4.4 s per 100 ab/kmq);
- aumenta con la distanza dalla città di Milano.
trasporto per mezzi privati
- indifferenza circa la dimensione demografica e la densità abi tativa;
- relazione negativa con l’età dello stock edilizio; - rapporto positivo con la crescita demografica.
Questi risultati appaiono molto importanti in quanto il trasporto pub-blico sarebbe fortemente influenzato, a livello di efficienza e di
com-spersa. Per quanto riguarda il trasporto con i mezzi privati risulta che questo non sarebbe influenzato positivamente dalla densità, in quan-to i trasporti per distanze brevi sono controbilanciati da una maggiore congestione del traffico.
Appare quindi evidente che la forma urbana vada ad influire, insieme alla sua dimensione, circa l’efficienza e la performance della città.
Variabili indipendenti:
costante 40.328
T-Stat T-Stat
distanza da Milano età stock edilizio
tasso di crescita dei residenti densità netta emp. n. di casi analizzati R2 0.363 0.136 1.461 -7.3 E - 04 -9.8 E -05 184 0.52 26.394 - 0.127 - 0.081 1.391 -4.74 E -05 34.789 - 4.538 - 3.115 5.452 -1.919 184 0.47 19.021 5.538 2.319 2.541 - 3.288 - 1.707
Variabili dipendenti: tempo pubblico: tempo privato:
Efficienza del trasporto pubblico e privato (stimati in tempo medio di percorrenza)
2.7 Città e memoria
<< L’introduzione di soluzioni tecniche innovative che forniscono mi-gliori e più rassicuranti prestazioni del bene culturale chiama in causa il problema di un possibile conflitto con la conservazione integrale. Gli assetti tipo-morfologici e costruttivi consolidati possono infatti es-sere in parte modificati a seconda del grado di incidenza di soluzioni di riqualificazione. Nella dicotomia fra mantenere intatto l’assetto del bene e garantirne la durata e l’efficienza prestazionale, è necessario acquisire un’attenta consapevolezza sugli effetti indotti dalle scelte progettuali, considerando quale debba essere la soglia accettabile di innovazione tecnologica da introdurre per la durabilità e l’affidabilità di un manufatto, esposto ormai a rischi, prestazioni e durate non pre-vedibili in passato. La tecnologia va utilizzata con discrezione e non va ostentata. >>
Renzo Piano, 2000 Quanto enunciato da Renzo Piano sottolinea la tipologia di intervento da adottare in caso ci si trovi di fronte ad un manufatto architettonico di rilievo storico.
Spesso, in presenza di un contesto storico, sono stati realizzati degli interventi di vero e proprio smontaggio della relazione che legava l’ar-chitettura in questione, in questo modo si è professata, forse inconsa-pevolmente, quella che Ralph Dahrendorf definisce una vera e propria
rinuncia alla storia (Losasso, 2017). Negare la storicità ovviamente è
In Italia non è certo possibile progettare come fossimo in Cina, dove il tempio più antico ha circa 20 anni e sarà demolito a breve per costru-irne un altro (Settis, 2014).
Il nostro Paese rappresenta sicuramente il luogo più difficile dove pro-gettare, se correlato alla storia italiana; infatti molte leggi e decreti impongono un ferreo rispetto di fronte a manufatti considerati storici. Dovrebbe però essere insita nell’architetto la capacità di riconoscere il valore della storia, indipendentemente dal fatto che l’architettura su cui dovrà lavorare sia considerata o meno storica e/o di rilievo.
Che l’Italia possieda un patrimonio storico e culturale senza eguali è appurato da chiunque. La classifica del 2016 redatta dalla americana US News ci vede al primo posto nel settore Heritage, appunto per quanto riguarda il patrimonio di ogni nazione. Siamo invece ampia-mente fuori dal podio nella sezione Cultural Influencer, che cataloga i paesi a seconda della posizione di leader e trendsetter in cultura, moda e tendenza. Al primo posto di questa classifica si è posizionata la Francia.
Effettivamente da quest’ultimo paese dovremmo imparare molto per la riconoscenza del “tesoro” italiano e per l’abilità di tramutare il pro-prio patrimonio in fonti di reddito. A tal proposito basti leggere il rap-porto L’economie de l’immatériel firmato da Maurice Lévi e Jean-Pierre Jouyet. Questo documento, commissionato dal ministero dell’Econo-mia francese inizia in questo modo:
<< C’è una ricchezza inesauribile, fonte di sviluppo e di prosperità: il talento e la passione delle donne e degli uomini. Il nostro popolo nasconde un enorme potenziale di crescita, che può stimolare l’eco-nomia della Francia generando centinaia di migliaia di posti di lavoro,
e conservarne altrettanti che sarebbero altrimenti in pericolo. >> Questo ci fa capire quanto siano evoluti rispetto a noi in ambito eco-nomico. Ogni edificio compone un quartiere, di conseguenza una città, che a sua volta fa parte della società, che è proprio quello che troppo spesso nel nostro Paese non viene considerato: la collettività. In Italia la memoria collettiva passa attraverso edifici e monumenti storici, ed è di proprietà di chiunque viva quel determinato luogo, che sia per un’ora, un giorno o per l’intera esistenza. Rappresentano so-stanzialmente il “baluardo” della nostra stessa democrazia.
Per la professione di architetto è fondamentale costituire un legame con le persone che rappresentano gli stakeholders del progetto, solo in questo modo sarà possibile capire che cosa è realmente necessa-rio fare a livello progettuale.
affermato da Salvatore Settis nell’opera Se Venezia muore:
<< In età romana si conservava gelosamente ad Atene la nave di Te-seo, quella con cui l’eroe del mito era tornato da Creta dopo aver sconfitto il Minotauro: ma via via che il legno antichissimo si deteriora-va, nuove tavole venivano inserite al posto delle vecchie. Perciò, dice Plutarco nella Vita di Teseo, i filosofi usavano la nave di Teseo “come
esempio di indeterminatezza nel discorso della crescita: alcuni dicono che è sempre la stessa nave, altri sostengono che non lo è”. La nave
visibile e tangibile cambia, via via che le tavole vengono sostituite; e però resta la stessa, se ogni tavola è identica a quella che sostituisce, e se non muta l’intangibile forma d’insieme. È il paradosso della con-servazione secondo il modello orientale, esemplificato al meglio dal tempio dinastico di Ise in Giappone, che almeno dal VII secolo viene ritualmente distrutto e riedificato tal quale ogni vent’anni, ogni volta salvaguardando una sola colonna (sempre diversa) della costruzione precedente. >>
2.8 La città di Milano
<< A Milano i singoli elementi del successo per gli anni futuri già esi-stono. La città agisce però in modo troppo frammentato: i singoli
as-set non interagiscono, non riescono a dare quei frutti che solo
dall’in-terconnessione fra i diversi elementi possono scaturire. >>
Roberto Camagni, 2004 Secondo quanto affermato dall’economista milanese durante un suo intervento alla Commissione Europea, e da altri suoi saggi, la città di Milano avrebbe avuto e avrebbe tuttora un ottimo potenziale ine-spresso per competere su scala mondiale.
Secondo indagini, che vengono condotte da venticinque anni, il Ca-poluogo lombardo ha sempre visto incrementare il proprio livello di benessere economico annualmente, grazie a stime eseguite dall’as-sociazione Megliomilano su 174 indicatori di qualità.
Negli ultimi otto anni, inoltre, i dati sono stati piuttosto alti, a causa di innumerevoli startups di successo.
È necessario che il capitale umano, di cui la città vanta una vasta offerta, venga valorizzato attraverso un richiamo internazionale come molte assemblee europee. Milano inoltre oggi si trova a partecipare ad una sfida molto ardua: diventare il nuovo punto di riferimento per la finanza in Europa, dopo la Brexit, superando la favorita Francia. Questo rappresenterebbe un enorme successo italiano: da diversi anni infatti la nostra Borsa è sempre stata messa in secondo piano in
Un altro settore in grado di trainare l’intera economia milanese è rap-presentato dalla moda, anche se il mercato odierno, contraddistinto da innumerevoli novità e incertezze circa le prossime tecnologie ap-plicabili agli accessori di tutti i giorni, rende difficile pensare a delle prospettive attendibili.
Inoltre Camagni sottolinea che il settore universitario sia da sempre stato poco considerato e analizzato: a Milano sono attualmente pre-senti 180.000 studenti, di cui 30.000 residenti. I restanti sono pen-dolari, il che significa dover riflettere sulle varie esternalità di questa situazione come il limite all’apprendimento dovuto dai trasferimenti molto stancanti, la non piena partecipazione ad un network locale ben consolidato, oppure altri trovano scarse condizioni di alloggio, oltre che costose (Camagni, 2012).
La città di Milano sta migliorando però sotto il profilo di accesso alle
borse di studio, al numero di incubatori di startup e spazi di cowor-king, oltre che alla presenza di angels investors. Nel periodo storico in cui ci troviamo, la definizione di Eric Ries circa una startup è sicura-mente la più calzante: << una startup è un’istituzione umana studiata per creare un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incer-tezza >> (Ries, 2012).
Dal momento che l’Italia è ambasciatrice nel mondo di prodotti di estrema qualità e Milano rappresenta meglio un brand che una città, la scommessa sulle capacità delle nuove generazione sembra po-ter dare enormi soddisfazioni. D’altronde solo in questo modo sarà possibile vagliare quali saranno i lavori nel futuro scenario, in modo pragmatico e in diretta risposta con il mercato.
NOTE
1. Sono una classe di funzioni produttive caratterizzate da elasticità di sosti-tuzione costante e unitaria tra due suoi argomenti. In uno studio empirico del 1960 Kenneth Arrow, Robert Solow, Hollis Chenery e Bagicha Singh Minhas osservarono diverse elasticità di sostituzione di produzione, in modo che la sostituzione non fosse solo ed esclusivamente unitaria, evolvendo dunque le funzioni di produzione à la Cobb-Douglas e dando vita alle funzioni di produ-zione CES (Constant Elasticity of Substitution).
2. Nel linguaggio dell’economia industriale si usa definire integrazione vertica-le quando un’azienda si estende ad operare in settori contigui e strettamente connessi alla sua produzione in ottica di una migliore efficienza. Per integra-zione orizzontale si intende un ampliamento aziendale nello stesso ambito in
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Se inizialmente internet era nato con l’idea che la pubblicazione di contenuti dovesse essere riservata a pochi, oggi deve confrontarsi con l’epoca dell’open source e dei social network, attraverso cui è possibile per tutti condividere idee e progetti. Questo ha portato ad una forte crisi dei media tradizionali che si sono trovati a dover fron-teggiare il cambiamento sviluppandosi anche sul fronte digital e, lad-dove ciò non è avvenuto, si è vista l’inedita chiusura di quotidiani storici (Owyang, 2013).
Ci si trova di fronte a quella che è stata definita come la terza era di
internet (Owyang, 2013), in cui non avviene solo la condivisione di
contenuti ma anche e soprattutto quella di prodotti. In questo modo, come evidenziato in figura, si è passati dall’internet era alla social
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All’interno della contingente terza era di internet ciascuno di noi è in grado di acquistare prodotti e servizi online, comparando i costi per lo stesso bene nell’ottica di scegliere il più vantaggioso, ponendo in se-condo piano l’azienda produttrice. Queste si troveranno sempre più di fronte alla necessità di entrare nella cosidetta collaborative economy, la quale impone un vero e proprio nuovo modello economico in cui la condivisione e la cultura dell’open source giocano il ruolo predomi-nante tra le persone e le imprese.
Le motivazioni che hanno portato a questo nuovo modello economi-co sono imputabili a più fattori, in settori spesso diametralmente op-posti come la società e la tecnologia, sempre legati all’uso di internet e alla sua diffusione capillare. Oggi, secondo recenti indagini OCSE, sono presenti 92 cellulari ogni 100 persone, e quindi tutti possono accedere a servizi online in qualunque luogo essi si trovino (indagine OCSE 2016). Considerando inoltre che è insita nell’essere umano la voglia di condividere idee, internet e la tecnologia hanno esteso tale capacità su scala mondiale, minimizzando il tempo e aumentandone la viralità. Questo ha cambiato la canonica relazione circa la proprietà, con l’apice raggiunto attraverso programmi open source. Oggigiorno i giovani preferiscono il permesso di accedere ad una data risorsa piuttosto che la sua proprietà, che comporta l’acquisto diretto. Inoltre la conoscenza che le risorse sulla terra sono finite, ormai assodata da parte di quasi l’intera totalità della popolazione mondiale, spinge ad un rialzo dei prezzi a causa di una maggior richiesta, in vista del sem-pre crescente numero di popolazione su scala mondiale, e parallela-mente ad una tendenza al riuso. Basti pensare che a causa della crisi economica il baratto è tornato ad essere una spinta economica per la Grecia, in particolar modo nelle zone più interne dove ha sostituito l’Euro (Smith, 2013).
Di conseguenza le aziende devono gestire il nuovo mercato regolato dallo scambio, proprietà in comune e vendita di articoli usati. Quest’e-conomia viene sfruttata in particolare da startups il cui core business è rappresentato dalla messa a disposizione di un nuovo servizio in rete. La loro crescita sempre più spropositata è garantita dal fatto di necessitare di un sito web e un’idea da commercializzare, ma non più di uffici stabili.
Le compagnie automobilistiche, dopo aver subito un inedito crollo di vendite a causa della crisi economica, si sono aperte anche verso questo nuovo mercato, proponendo i propri prodotti in una forma di-versa. Esempi lampanti sono BMW e Toyota, gruppi automobilistici che per primi hanno offerto il noleggio diretto delle loro vetture, quin-di senza intermequin-diari, ponendosi come fornitori quin-di servizi anziché quin-di prodotti (Owyang, 2013). In praticamente tutti i settori si è visto un cambiamento in questa direzione, basti pensare alle compagnie tele-foniche che forniscono veri e propri leasing abbinando i propri servizi ad un terminale, oppure all’ormai celebre startup Dollar Shave Club diventata famosa in quanto, anziché limitarsi a vendere rasoi, ha de-ciso di offrire i propri prodotti come servizi, inviando ogni mese lame da barba agli iscritti.
Sarà dunque sempre maggiore l’interazione tra le aziende produttri-ci e l’utenza finale che, grazie al web, supporta l’effiproduttri-cienza delle pri-me non solo attraverso feedback istantanei ma attraverso un vero e proprio processo di cooperazione grazie al co-sviluppo, co-design, co-produzione, co-consegna, ecc. Le aziende in grado di capire che il processo produttivo sarà sempre più condiviso e in grado di gestire
sonalizzazione delle proprie sneakers direttamente con l’azienda pro-duttrice; la piattaforma Quirky che offre l’acquisto di oggetti di design creati da privati; il portale Deliv, che sta instaurando un network di corrieri privati su breve e media tratta, fino ad arrivare al portale Kick-starter, dove è possibile, grazie ad un video di presentazione, ricevere finanziamenti da donazioni private, estromettendo del tutto le banche da questo processo.
E’ necessario quindi comprendere che l’e-commerce non solo per-mette di raggiungere, attraverso un ottimo prodotto o servizio, un’u-tenza praticamente mondiale ma mette in pratica la suddetta rivolu-zione dei canonici rapporti tra le aziende e l’utenza finale. L’esempio del successo di AirBnb, portale che ha messo in crisi il fatturato di compagnie alberghiere trasformando gli immobili di privati in alberghi, ne è la prova. Infatti, se compagnie alberghiere medio-piccole si sono semplicemente mosse in contrasto con il fondatore del portale tra-mite azioni legali parallelamente, si è anche visto un cambio di asset da parte delle catene più grandi e riconosciute. Marriott, ad esempio, ha creato un certificato di qualità per gli appartamenti online su AirB-nb, in modo da garantire al privato una fidelizzazione della clientela, attraverso lustro e affidabilità, e guadagnare una percentuale su ogni transazione. Questo esempio rappresenta il vero e proprio cardine dell’economia collaborativa attraverso uno scambio reciproco.
E’ proprio la fiducia il fondamento su cui si regge la nuova economia collaborativa, la cossidetta sharing economy (Cahn, 2011).
Dunque molti scambi avverranno con il baratto (Alexander, 2004) at-traverso comunità formate da gruppi di conoscenti, vero e proprio esempio di cooperazione tra persone che formano catene umane di reciproca fiducia.
Dunque gli scambi si baseranno sempre più su una forma di base risalente alla prima epoca del baratto (Alexander, 2004) attraverso co-munità formati da gruppi di conoscenti, cooperazione tra persone che formano catene umane di reciproca fiducia. Questo modello di fiducia si è evoluto con l’età di internet, dove ognuno può entrare a far parte di quel dato network, non è più necessario avere inviti da parte di membri interni alla comunità, essendo un sistema aperto, l’importante è che si contribuisca a migliorarlo e si ottenga fiducia attraverso fee-dbacks online. Tali feefee-dbacks gestiscono la fiducia dell’utente proprio come sulla piattaforma Ebay, dove venditore e acquirente giudicano la qualità reciproca (Alexander, 2004). Ovviamente i giudizi espressi sono pubblici e di conseguenza orientano anche le successive scelte da parte dell’una o dell’altra parte, creando una sorta di autorego-lazione e aggiornamento del meccanismo, in quanto è il gruppo di persone a esprimere giudizi e influenzare il mercato. Ogni sito web costruisce una vera e propria comunità, dove la fiducia viene data o tolta reciprocamente dagli appartenenti.
In questa nuova economia della fiducia si è visto l’entrata in gioco di nuove valute spendibili in date comunità online. Se la banconota è in grado di mediare lo scambio fra persone non dotate di reciproca fidu-cia, oggi il web ha messo a disposizione l’interazione atta a garantire tale sentimento e quindi sono nati nuovi sistemi di pagamento, come il cosiddetto Time Bank (Silverio, 2013). All’interno di questo mercato di tipo locale, ma che opera su scala mondiale grazie al web, è possi-bile proporre un servizio, e quindi tempo, in cambio del servizio-tem-po di un altro associato. Ad esempio un imbianchino offre un’ora di pittura ad uno studente e, in questo modo, potrà scegliere tra tutte