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VERSO UN TEATRO “NUOVO”: i testi della maturità

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Academic year: 2021

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VERSO UN TEATRO “NUOVO”:

i testi della maturità

A voler seguire la tracce di questo “ autore in fuga” è necessario procedere con cautela, ipotizzando e mai avendo la certezza delle proprie illazioni. Della quotidianità del nostro autore abbiamo, invece, tracce precise ed inequivocabili grazie alle fitte pagine dell‟epistolario contenenti le minuziose e dettagliate lettere inviate da Svevo a sua moglie Livia durante i suoi soggiorni di lavoro all‟estero. Il carteggio ci restituisce un uomo insicuro, tormentato dalla gelosia, ma sempre intellettualmente stimolato, curioso frequentatore delle prime teatrali londinesi e marsigliesi, profondamente legato alla propria patria1. Questi anni per Svevo sono anni pieni di impegni lavorativi, di determinazione professionale e di forti ambizioni imprenditoriali, essendo impegnato, assieme al cognato Marco Bliznakoff, ad impiantare una nuova filiare della fabbrica Veneziani sul suolo inglese. Sono gli anni, questi, della passione per il violino; passione, come abbiamo visto, coltivata con costanza e determinazione, nonostante l‟onesto e consapevole riconoscimento della propria inabilità in campo musicale. Tuttavia, la vecchia, onnipresente e dura a morire passione per la scrittura ritorna nella vita di Svevo sotto nuove forme ed in altre vesti: nelle pause dal lavoro infatti il nostro autore si dedica alla stesura dei racconti Lo specifico del dottor Menghi, Marianno, Cimutti, In Serenella, termina la commedia Un marito e si cimenta nella stesura di un testo teatrale in dialetto triestino, Atto unico. Si dedica anche alla stesura delle favole e, dopo l‟incontro, decisivo e fondamentale con Joyce, indirizza il proprio interesse verso la scienza della psicanalisi, scoperta con quasi assoluta certezza nel 1911.

Corre infatti l‟anno 1911 quando il cognato di Italo Svevo, Bruno Veneziani, su consiglio dello psicanalista triestino Edoardo Weiss, si reca a Vienna per avere un parere psichiatrico da Edmund Freud, fondatore e promulgatore della moderna scienza della psicanalisi. La posizione di Svevo rispetto alla dottrina psicanalitica si intravede già nel commento dell‟esperienza del cognato presso il grande psicologo viennese, il quale congeda il signor

1 <<All‟arrivo sento con delizia l‟aria frizzante della libertà, della grande libertà; poi certe formule da cui non è

possibile levarsi in quel benedetto paese mi formano d‟intorno al capo una cappa di piombo che con mia grande delizia si s‟allevia quando tocco il sacro suolo latino>>. Epistolario, op. cit., p. 438. Lettera datata 6.4.1906.

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119 Veneziani << dopo anni di cure implicanti gravi spese […] dichiarandolo inguaribile>>2

. Dall‟esperienza del cognato Svevo ricava la <<convinzione che fosse pericoloso di spiegare ad un uomo com‟era fatto>>3

e, riflettendo sulla pregnanza della nuova scienza, giunge alla conclusione che <<come cura a me non importava. Io era sano o almeno amava tanto la mia malattia (se c‟è) da preservarmela con intero spirito di autodifesa […] Ma la psicanalisi non m‟abbandonò più >>4

. Lo stesso anno Svevo fa la conoscenza di uno dei più attivi ed entusiasti seguaci del dottor Freud, Wilhelm Stekel, autore, peraltro, di due volumi dei quali la critica5 ha riconosciuto una rilevante influenza nella Coscienza: Dichtung und Neurose nel 19096, e Die Sprache des Traumes7due anni più tardi.

Intanto, nel 1914 Ettore Schmitz viene inviato, in quanto dirigente della ditta Veneziani, fornitrice della Marina austriaca, in Germania. Il carteggio tra i coniugi Svevo aggiunge ora a sé un‟altra peculiarità: la scrittura in tedesco, a cui verosimilmente ricorrono per accelerare i controlli della censura tedesca. Lo Svevo che traspare da queste nuove lettere è un uomo fiducioso, pacato, profondamente ammirato dall‟ <<ordine>>, l‟<<entusiasmo>> e la <<calma>> dei tedeschi, tanto da giungere ad affermare: <<Kein Zweifel möglich! Der Sieg ist hier!>>8. Più tardi, nello stesso anno, la Prima Guerra raggiunge anche Trieste e Svevo, in quanto << soggetto austriaco>> riceve dal suocero (partito in quanto cittadino italiano in Inghilterra) la delega di custodire i propri beni e provvedere alla gestione della ditta Veneziani. Il nostro autore rimane dunque a Trieste con la moglie Livia nella grande villa di Servola; di questi anni, nei quali egli può, paradossalmente, godere di una relativa tranquillità, seppur <<interrotta dalle bombe che giornalmente piovevano sul distretto industriale di Trieste>>9, scriverà:

L‟industria era andata via e fra me e la letteratura non v‟era che l‟impedimento del violino coadiuvato però dalla grevezza e potenza del tempo.10

2 Epistolario, op. cit., p. 859. Lettera datata 27.12.1927. 3

Italo Svevo, Soggiorno Londinese, in Italo Svevo. Teatro e saggi, op. cit., pp. 897.

4

Ibidem.

5Cfr. E. Mahler-Scachter, Svevo, Trieste and the Vienna Circle: Zeno's Analyst Analysed, in European History

Quarterly Gennaio 1982, 12, pp. 45-66.

6

W. Stekel, Dichtung und Neurose. Bausteine für Psychologie des Künstlers und des Kunstwerkers [Poesia e nevrosi. Fondamenti per la psicologia dell‟artista e dell‟opera d‟arte], Bergmann , Wiesbaden , 1909.

7W. Stekel, Die Sprache des Traumes. Eine Darstellung del Symbolik und Deutung del Traumes in ihren

Beziehungen zur kranken und gesungen Seele [ La lingua dei sogni. Una presentazione della simbolica e della

poesia del sogno nei suoi rapporti con la salute e la malattia dell‟anima], Bergmann, Wiesbaden, 1911.

8 <<Non c‟è nessun dubbio! La vittoria è qui.>> Epistolario, op. cit. p. 711. Lettera datata 14.9.1914.

9 Profilo autobiografico di Italo Svevo, in Italo Svevo scrittore. Italo Svevo nella sua nobile vita, op. cit., p. 16. 10 Pagine di diario, in Svevo. Racconti e scritti autobiografici, a cura di M. Lavagetto, Mondadori, Milano, 2004,

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120 È in questi anni, dicevamo, che Svevo, riprende i contatti, sebbene mai li abbia recisi del tutto, con la letteratura. Probabilmente intorno al biennio 1916-17 riprende <<con fatica e piena antipatia>>11 alcuni scritti di Freud, il quale, nonostante il ricorso ad uno stile << un po‟ esitante, contorto, preciso con fatica>>12, continua a catalizzare su di sé l‟interesse dello scrittore triestino, che nel 1918, con la collaborazione del nipote Aurelio Finzi, si cimenterà addirittura nella traduzione della più famosa opera freudiana: Ȕber den Traum [Sul sogno]. Il 1919 è l‟anno del nuovo incontro con Joyce, rientrato a Trieste, dopo essersene allontanato 4 anni prima, con la speranza di riuscire a occupare la cattedra vacante di inglese all‟Istituto Rivoltella. Gravitiamo quindi negli anni della Coscienza di Zeno, del romanzo che contribuirà, grazie alla promozione da parte della critica (Montale sarà decisivo in questa prospettiva)13 a restituire soddisfazione ed appagamento all‟uomo che aveva dedicato tutta la vita, seppur dissimulatamente e talvolta quasi involontariamente, alla letteratura. Ma degli anni a seguire la pubblicazione della Coscienza torneremo ad occuparci nel prossimo capitolo.

<< La Verità vera >> di Silvio Arcetri

Dopo L’avventura di Maria ed Un marito, entrambe commedie in tre atti, Svevo ritorna all‟atto unico, con un testo che in realtà presenta una vicenda redazionale particolarmente intricata: La verità.

Il testo, come quasi la totalità dei pezzi teatrali che l‟hanno preceduto, resta inedito fino alla morte di Svevo, per essere poi pubblicato nel 1959 sulla rivista Maschere14. Le solite difficoltà di datazione si complicano qui per la presenza di forti analogie con un testo precedentemente redatto da Svevo e che riprende sommariamente la vicenda narrativa. Si tratta di La parola, la quale, nonostante alcune irrisolvibili riserve, sembra potersi assegnare al periodo della fantomatica astinenza dalla letteratura di Svevo. Sul periodo compositivo di questa prima stesura in realtà i pareri dei critici che se ne sono occupati, sono abbastanza distanti: Apollonio infatti ritiene che la data di composizione sia collocabile <<sul finire del

11 Italo Svevo, Soggiorno Londinese, in Italo Svevo. Teatro e saggi, op. cit., p 897. 12

Ibidem.

13<<Questo scrittore per cui la capricciosa Nominanza non ha ancora, non che stancata, neppure imboccata la sua

bùccina, esiste davvero in carne ed ossa, ed è anzi una delle figure d‟artista più concrete e significative del nostro tempo>> E. Montale, Omaggio a Italo Svevo, in << L‟Esame>>, 6, novembre-dicembre, 1925, p. 18-19.

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121 1880>>15; il Rimini la colloca almeno nella seconda metà del decennio ‟9016; il Maier, invece, riformulandone completamente la datazione, apporta delle motivazioni molto più plausibili o comunque motivate:

poiché lo Svevo nelle lettere del 7, del 9, del 10 e de 17 giugno 190117 parla di una commedia allora composta durante un viaggio da Tolone a Marsiglia e l‟originale della

Parola è scritto in parte con la medesima matita copiativa e sulla medesima carta di

quelle lettere, la datazione è assolutamente sicura18.

Lavagetto sostanzialmente concorda con il Maier, seppure con qualche riserva esplicitata soprattutto ricorrendo allo scambio epistolare tra Svevo e la moglie. Lo studioso ritiene infatti che la carta e la matita utilizzate dall‟autore triestino non siano esattamente le stesse. Il blocco di cui verosimilmente Svevo si serve per procurarsi i fogli su cui scrivere alla moglie sarebbe utilizzato infatti probabilmente fino al 5 giugno, tant‟è che <<il 6 e il 7 giugno, da Tolone, scrive con inchiostro nero su carta intestata di un caffè, e ancora il 7 giugno in nero su foglio bianco; il 9, il 10 e l‟11 giugno scrive da Marsiglia, sempre con inchiostro nero su fogli bianchi.>>19. Del resto, fa notare lo studioso, la stessa Livia , in risposta alla lettera del 9 giugno, chiede al marito se ha già terminato il blocchetto copialettere, dopo aver constatato che la lettera del 9 era stata scritta su carta da lettere.

Nell‟epistolario diverse sono le attestazioni che dimostrano che Svevo in questo periodo si dedica alla redazione di una <<commediola>>. Scrive il 7 giugno da Tolone:

Non dirlo ai tuoi genitori, ma quando il mio viaggio non sarà complicato da bacini avrò qualche ora di tempo fra una visita e l‟altra e la dedicherò – anziché agitarmi e agitare la mia piccola moglie, della quale farei polpette se l‟avessi qui, con epistole infinite – a fare una commediola in un atto, solo uno, allegra, allegra. Se la terminassi prima di rimpatriare la manderei a Salsomaggiore .20

E ancora, da Marsiglia, il 9 ed il 10 giugno :

Sono le 7½ e vado a dare un‟occhiata a Marsiglia. Dopo – se non sarò troppo stanco – farò la prima scena.21

15 Italo Svevo. Commedie, a cura di U. Apollonio, Mondadori, Milano, 1960, pp. IX-XV. 16 Cfr. R Rimini, La morte nel salotto, op. cit., p. 72.

17

Cfr. Epistolario, op. cit., pp. 263, 267, 267-68, 282.

18 B. Maier, Italo Svevo, Mursia, Milano, 1968, p. 158. 19 Italo Svevo. Teatro e Saggi , op.cit., p. 1249. 20 Epistolario, op. cit., p. 263.

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122 Iersera feci la prima scena della commedia. Non raccontarlo a nessuno perché è cosa che farebbe ridere i topi: Trovarsi in una città straniera e fare commedie! Intanto così nell‟inerzia necessaria di un uomo solo e sposato che si trova in viaggio, trovo il completamento necessario per le mie serate22.

Nei giorni successivi Svevo si sposta in Inghilterra. Nelle lettere indirizzate alla moglie dalla nazione inglese, le uniche nelle quali sono rinvenibili riferimenti alla produzione drammaturgica sono quelle del 13 e del 17 giugno. Nella prima, Svevo comunica mestamente alla moglie di essere giunto ad un punto morto nella prosecuzione della commedia ( <<La comedia, purtroppo, s‟è fermata là, dacché ho abbandonato Tolone avrò scritto due linee […] Cosa farò io da domani a mezzodì fino a lunedì mattina? C‟è la comedia, ma non so andare avanti?>>23 ); salvo smentire tale annuncio pochi giorni più tardi:

La comedia è abbastanza avanzata. Adesso però non credo di poterla finire in viaggio. Scrivendola ridevo da solo come un pazzo.24

La stessa moglie Livia, nella Vita di mio marito, tenterà sulla base delle testimonianze epistolari, di risalire alla commedia che Svevo menziona nelle lettere sovracitate, ipotizzando che si possa trattare di Un marito,25 ipotesi peraltro non condivisibile dal momento che quest‟ultima si compone di tre atti e non soltanto di uno, come aveva ben specificato Svevo nella lettera del 7 giugno.

Il Lavagetto, sulla base di queste considerazioni, asserisce dunque che la commedia cui Svevo allude nelle lettere dalla Francia e dall‟Inghilterra, sia proprio La parola, come testimonierebbe non solo l‟aspetto formale del testo teatrale (si tratta infatti di un atto unico) ma anche l‟intonazione comica e grottesca che attraversa tutta la pièce.26

Tuttavia la questione della datazione si complica per la presenza di un elemento incongruo di natura topografica.

22 Ibidem. 23 Ivi, p. 272.

24

Ivi, p. 282.

25<<Già in una lettera da Tolone mi parlava della sua intenzione di scrivere una “commediola” in un atto nelle

ore libere dalle visite ai bacini di carenaggio e ai personaggi ufficiali della marine straniere. Forse era allora in gestazione la commedia “Un marito”, che dopo la parola “fine” porta la data “14 giugno 1903”. Però “Un marito” non è una commedia in un atto: è il suo più importante lavoro teatrale, un dramma in tre atti che ha in sé la materia complessa di un romanzo.>> Livia Veneziani, Vita di mio marito, op. cit., p. 67.

26A suffragare l‟opinione del critico, un‟altra considerazione di carattere biografico che consideriamo certo

innegabile ma forse un po‟ troppo congetturale, ovvero il fatto che il tema centrale della commedia sia l‟adulterio. Come sappiamo dall‟epistolario e dalla testimonianza della moglie Livia, la questione della fedeltà coniugale a quest‟altezza cronologica e considerata la lontananza da casa, è quasi un‟ossessione per il giovane imprenditore Svevo. A tale proposito cfr. le lettere del 7, 11, e 16 giugno ( Epistolario, op, cit., pp. 265, 269, 279), in cui Svevo si congeda dalla moglie sempre ricordandole la propria fedeltà o auspicando che anch‟essa tenga fede alle promesse coniugali.

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123 Nella commedia è menzionata via Corsi, una strada triestina in prossimità della stazione, che però nel 1901 era ancora denominata via del Ginnasio (la dedica al professore triestino Guido Corsi caduto in guerra nel 1917 risale infatti al 1921). Questo elemento ha indotto diversi critici a collocare la composizione de La verità dopo il 1921, di fatto spostando la collocazione cronologica anche de La parola. Naturalmente anche alla critica pare altamente improbabile che La parola sia stata redatta in un lasso di tempo così avanzato, considerata soprattutto l‟imperizia stilistica e tecnica rispetto agli altri testi composti negli anni Venti, e data la presenza di taluni arcaismi lessicali e sintattici che accomunano questo testo a quelli redatti nel primo decennio del Novecento. Ma allora come si risolve la questione della menzione di via Corsi in un testo ipoteticamente redatto agli inizi del secolo XX? Lavagetto fornisce due tipi di soluzione:

Di fronte a questa contraddizione, l‟unica soluzione porterebbe a supporre che Svevo abbia utilizzato un nome inventato , anche se il fatto che l‟altra strada triestina, via del Bosco, esistesse effettivamente in quegli anni, rende problematica anche questa congettura. In realtà, però, altri casi dimostrano come Svevo non esitasse a introdurre nei testi elementi incongrui, incoerenze referenziali, miscele di elementi reali e fittizi, quasi che, in una sorta di beffa postuma, avesse voluto confondere le idee ai futuri curatori dei suoi scritti. […] Siamo insomma di fronte, come in altri testi teatrali, all‟immagine di una simil-Trieste, dall‟identità geografica debole e spesso indeterminata, quando non completamente fittizia. Si pensi che più avanti, nella Verità, Svevo menzionerà uno <<Stabilimento dei Bagni>> ubicato in via Corsi, elemento che non ha alcun riscontro nell‟attuale via Guido Corsi. Nonostante tutto, insomma, e con le riserve del caso, l‟ipotesi più plausibile per collocare cronologicamente il testo rimane il giugno del 1901.27

Se riteniamo dunque altamente probabile che La parola sia stata redatta nei primi anni del Novecento, durante i viaggi per lavoro di Svevo, assumiamo anche la consapevolezza che questa precede le due commedie che il drammaturgo redige nel periodo del presunto abbandono della letteratura, vale a dire L’avventura di Maria ed Un marito. Questa constatazione si riveste di un‟importanza particolare nel momento in cui ci si rende conto che quindi La parola sarebbe, secondo la nostra ricostruzione cronologica, la prima commedia di Svevo marito, imprenditore e padre di famiglia, ormai (apparentemente) lontano dallo Svevo letterato degli ultimi anni dell‟Ottocento. In effetti tutta la ritrosia professata all‟inizio del suo proposito di abbandono della letteratura emerge nell‟epistolario che testimonia come la stesura della commedia sia eseguita nei ritagli di tempo, con fretta, <<nelle ore libere>>, con

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124 particolare tensione e talmente timoroso del giudizio altrui da pregare la moglie di <<non far parola con nessuno>> della commedia che si accinge a scrivere.28

Abbiamo ritenuto opportuno chiarire la vicenda redazionale de La Parola perché questo testo, con tutta probabilità, costituisce il substrato sul quale Svevo ritorna, avanti negli anni, redigendo il testo che andrà poi sotto il nome de La Verità. Il nesso tematico che lega le due commedie non è solo rilevante dal punto di vista interpretativo del testo (il motivo centrale dell‟adulterio è ripreso e problematizzato in maniera diversa, e senza dubbio più matura nella commedia più recente), ma anche, e soprattutto, da un punto di vista critico. Alla luce del risultato raggiunto con La Verità, non si può non intravedere infatti nelle strutture formali e tecniche della prima commedia una certa immaturità stilistica, la quale, come le altre commedie che abbiamo definito del “ primo periodo”, predilige l‟aspetto dialogato e parlato del testo, a scapito dell‟azione scenica, rallentando i ritmi e la scansione della rappresentazione. Del resto la Verità mostra una tale maturità stilistica rapportata a La parola, da non lasciar dubbi sul fatto che Svevo si sia servito di quest‟ultima diversi anni più tardi come base per la stesura della seconda commedia, raggiungendo esiti sostanzialmente più innovativi che conservativi. Per questo motivo, e per la menzione di via Corsi di cui abbiamo parlato poc‟anzi, il Maier ritiene che la redazione de La Verità debba collocarsi <<negli anni 1921-25 ( o 1926)>>29. Ennesimo, ed ultimo, elemento rilevante per la datazione della commedia è stato messo in luce dal Maier e da Gabrio Rustia, autore di una tesi di laurea sul teatro sveviano30: il dattiloscritto de La Verità presenta le stesse caratteristiche materiali e tipografiche di quello di Inferiorità, la commedia sveviana redatta certamente dopo l‟agosto del 1921. Tirando le somme, infine, giungiamo alla conclusione che il testo de La Verità è frutto di un processo redazionale che, seppur a intervalli irregolari, abbraccia un arco cronologico quasi ventennale; il substrato sul quale la commedia più recente si innesta è quasi certamente La parola, un testo redatto intorno ai primi del Novecento, nel periodo in cui

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<<L‟uomo d‟affari triestino Ettore Schmitz relega nell‟ombra Italo Svevo che continua la propria esistenza in modo clandestino, “al di qua della letteratura”, con diari, lettere, racconti, commedie nati nel suo “cortile” e destinati alla sua “camera”; scritti ogni volta con la commuovente malafede di chi cede a un vizio proibito e ha la coscienza esplicita di violare un contratto>>. M. Lavagetto, L’impiegato Schmitz e altri saggi su Svevo, Einaudi, Torino, 1986, p.18.

29Come abbiamo già avuto modo di dimostrare, a questo punto ci si trova di fronte ad una duplice soluzione. O si

accetta la datazione del Maier il quale, sulla base della considerazione che via Corsi non era esistente prima del 1921 a Trieste, indica il termine post quem della Verità al 1921 ( postdatando anche La parola, visto che la stessa via compare anche nella prima commedia); oppure si assume come certo che via Corsi sia semplicemente un‟indicazione topografica frutto dell‟invenzione dell‟autore, secondo la consuetudine sveviana di farcire i propri testi con particolari indiziali spesso i contraddizione tra di loro.

30G. Rustia, Il teatro di Italo Svevo. Proposta per cronologia ed edizione critica, Tesi di Laurea, Università degli

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125 Svevo, impegnato nella promozione della ditta Veneziani all‟estero, è perennemente in viaggio tra Inghilterra e Francia.

Considerando quindi La parola come l‟avantesto (non solo tematico, ma anche “genetico”) de La Verità, è possibile ricostruire le tappe della maturazione stilistica e tecnica del nostro autore, apprezzarne il raffinamento della tecnica drammaturgica: l‟andamento eccessivamente verboso e dialogato della prima lascia spazio a soluzioni molti più fluenti e dinamiche nella seconda; l‟impianto drammaturgico doppio e parallelo de La parola si risolve ne La Verità

con la soppressione della vicenda di Emilia, sorella del protagonista; il motivo del denaro ( fondamentale e paradigmatico nelle prime commedie) tende a ridimensionarsi; la questione

dell‟infedeltà coniugale, onnipresente nelle prime commedie ( si pensi ad Una commedia inedita o a Il ladro in casa) si alleggerisce incorporando le tematiche dell‟occultamento della verità e della bugia spudorata; tematiche che, vedremo, catalizzano l‟interesse di Svevo proprio in questa fase della ricerca drammaturgica e che ritroveremo nella narrativa con la Coscienza.

La verità è la storia di un paradosso verbale. Il Rimini, con cognizione di causa, ha visto nella scelta del cambiamento del titolo, assieme ad alcuni tratti caratteriali dei personaggi che ora andremo ad indagare, un chiaro avvertimento della differente modalità con cui l‟autore, a distanza di anni, approccia il testo:

La Parola lega ancora gli interessi di Svevo alla potenza del facile ragionamento della

farsa ed è relativo, come titolo, un po‟ a tutta la vicenda; su La Verità invece sono passati nuovi intendimenti, bisogna saper dimostrare con i fatti e la abilità intellettuale, non più con i ragionamenti, che tutto può essere vero31.

La trama è abbastanza banale: il protagonista è un ordinario marito borghese, fedifrago ed inappagato, Silvio Arcetri, il quale è stato sorpreso dalla propria moglie Fanny a letto con la sua sarta, in casa di quest‟ultima. Offesa ed indignata, Fanny pretende una piena confessione da parte del marito, mentre cerca rifugio in casa del fratello Alfonso pretendendo che Silvio confessi il proprio tradimento. Sorprende la richiesta di confessione che Fanny pretende dal marito, se non altro per il fatto che questa sembra quanto meno inutile considerata l‟evidenza del fatto, avendo colto lei stessa il marito in flagrante. Ed invece proprio sull‟ingenua incredulità ed incertezza della moglie (che in quest‟aspetto riporta alla mente la Carla de Il ladro in casa), Silvio gioca la sua carta vincente. Il resto sarà decretato dall‟abilità verbale e

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126 dall‟astuzia dell‟infedele signor Arcetri. Siamo qui ben distanti dall‟atmosfera cupa che aleggiava tra le righe di Un marito. La situazione di fondo è abbastanza naturalistica: borghese la famiglia protagonista della pièce; naturalista, anche se come al solito abbastanza minimale, la descrizione degli ambienti, la menzione delle strade cittadine, la presenza della sarta... quasi come se Svevo intendesse procedere ad una sorta di identificazione tra il pubblico e la famiglia oggetto della rappresentazione teatrale. Nonostante il consueto sfondo di matrice naturalista, le soluzioni che permetteranno a Silvio di emanciparsi dall‟accusa di tradimento rivelano invece tutta la portata innovativa della commedia, costutuendone, a nostro parere, il vero tratto distintivo. Cercheremo, nella nostra analisi, di mettere in luce come, date delle premesse fondamentalmente naturalistiche, Svevo riesca in effetti a portare la questione del tradimento su un altra dimensione, ben più profonda ed inesplorata; quella della individualità, della parzialità della realtà, della coscienza umana e del rapporto di questa con la realtà fattuale.

Della prima redazione La verità conserva inalterato l‟aspetto formale: otto scene ciascuna commedia. Si tratta però di una sintonia puramente strutturale; per quello che riguarda l‟organizzazione della materia narrativa, infatti, siamo di fronte a ben altre soluzioni. Ne La Parola i personaggi risultano ancora dotati tutti di una certa autonomia che esercita una forza centrifuga sul perno narrativo della vicenda, vale a dire Silvio ed il tradimento di cui si è macchiato; il testo de La Verità invece, testimonia una decisa messa a fuoco del protagonista della commedia, in funzione del quale si muovono tutti gli altri personaggi, strumentalizzati scenicamente per mettere in risalto particolari tratti caratteriali di Silvio. In questa prospettiva si colloca l‟eliminazione nel testo più recente della storia d‟amore adulterino (anche se a quanto pare non consumato) tra Emilia, sorella di Silvio e Marco Setti.

Nella seconda stesura è Silvio, ozioso letterato, a possedere la <<verità pratica della vita>>, vale a dire la capacità di rielaborare le situazioni in modo da fornire un equilibrio, apparente ed illusorio, ma che in un certo senso crei un‟illusione di stabilità nella vita reale. Il fatto che ormai Svevo viaggi su un binario parallelo rispetto al teatro naturalistico da cui, pur distanziandosene, aveva preso le mosse nei primi pezzi teatrali, è ormai ben assodato. Quello che si esige da Silvio è che la verità sia pronunciata, o meglio, che sia pronunciata la parola in grado di rimettere a posto il sistema preordinato delle cose, scomposto dalla scoperta del tradimento da parte di Fanny; Silvio è l‟unico, con il suo << senso pratico>> a poter ovviare alle esigenze tutte borghesi di buona facciata: così il marito infedele risponde alle aspettative che si nutrono nei suoi confronti elaborando proprio quel tipo di verità parziale ed falsa, quasi

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127 “palliativa” oseremmo dire. In realtà la “verità” di Silvio è la sua insoddisfazione, l‟inettitudine, la frustrazione: lo sforzo di potersi redimere e rientrare in quel sistema preordinato e statico è proprio dettato dal terrore di perdere il proprio ruolo, che, seppure vuoto ed inconsistente, ha almeno il merito di allontanare la convivenza con la propria “malattia”. Già l‟Alberto dell‟ Avventura aveva in certo senso aperto la strada a questo processo di teatralizzazione della malattia, intesa come perenne inquietudine e sotterraneo agitarsi di tensioni emotive conflittuali che sfoceranno nella problematica e poliedrica figura di Giovanni Chierici. In quest‟ottica riteniamo vada interpretata la battuta pronunciata proprio da Silvio allorquando, terrorizzato dalla prospettiva di perdita del suo ruolo ed allarmato dall‟eventualità di non riuscire ad ottenere il perdono dalla moglie, si chiede << a che titolo dovrei rimanere in questa casa?>>. Silvio è un personaggio banale e scontato all‟inizio della commedia; quello che lo eleva al rango di “personaggio sveviano” è, invece, l‟originalissima intuizione che la realtà non è quello che è. La realtà è quello che si dice che sia realtà. Con questa consapevolezza, è facile allora per lui rendersi conto che la sua parola è la sua verità. Il personaggio di Emilia è indubbiamente quello sul quale si palesa il raffinamento della tecnica drammaturgica sveviana: sorella di Silvio e quasi figura-specchio di Fanny (anche quest‟ultima, fuggita dal marito a causa di una storia d‟amore potenziale ma non consumata, con Marco, trova rifugio a casa del fratello Silvio) ne La Parola, diventa cognata e complice omertosa del tradimento di Silvio ne la Verità. Nella prima versione della commedia Emilia è la generosa ed amorevole “infermiera” di Marco, amico del marito, gravemente ammalato ed accolto in casa propria con non solo il consenso ma addirittura la sollecitazione del marito. Tra i due si instaura un forte legame, al punto tale che Marco si innamora di Emilia e prima di morire vivono insieme un momento di profonda intimità, confessato, per la buonafede che la caratterizza, da Emilia stessa al marito, il quale, dopo una prima reazione pacata ed

improntata al perdono, non riesce a portare avanti l‟unione coniugale. La vicenda di Emilia (che, ricordiamo, viene completamente soppressa ne La Verità) si veste qui di una funzione

prettamente strumentale; quasi come se preconizzasse allo sviluppo successivo dell‟altra vicenda portata avanti parallelamente. E così, alla sorella che gli chiede un consiglio circa il comportamento da assumere con il marito, Silvio emblematicamente risponde:

SILVIO – (subito spazientito) Ma senti anima cara! La tua confessione l‟hai fatta! Non l‟hanno voluta! E tu ritirala!

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128 L‟esposizione della vicenda della sorella diventa insomma occasione per palesare l‟amore ancora tutto farsesco di Svevo per i giri di parole e la comicità che da questi deriva. Non la sostanza delle cose importa allo scaltro Silvio bensì l‟apparenza, e l‟apparenza è relativa a come la si riesce a plasmare:

SILVIO – […] Senti! Vuoi un mio consiglio? In tutto il fatto tuo a mio parere non ci sono che delle parole! Brutte parole, ne convengo, ma sole parole! Magari altri casi che conosco io somigliassero a questo! Guarda per nascondere un fatto cosa ci vuole! ( prende dal tavolo un pezzo di carta) Documenti! Documenti firmati! Ma per fare che una parola detta non sia detta? Altre parole! Ammettiamo molte! Ma parole!

EMILIA – Non capisco!

SILVIO – Scusa! Tu hai detto a tuo marito che hai fatto questo e questo con Marco! Ora devi dire che quello che hai detto era una finzione, era una commedia. Volevi semplicemente provare che muso ci avrebbe fatto tuo marito.

Non contento dei consigli elargiti sin‟ ora, Silvio si spinge fino alla dimostrazione pratica, in chiusura della sesta scena:

SILVIO – […]Resta qui all‟uscio e ascolta. Ti dò una lezione che ti potrà servire. Te ne prego, ascolta.

La seconda stesura, eliminando completamente questo inserto, capovolge la situazione, restituendoci un‟Emilia non più sorella scrupolosa ed timorosa, bensì cognata, spalla e complice di Silvio e con un allusivo passato di intimità con lui. Privata di ogni caratterizzazione personale, Emilia è certamente un personaggio meno vivo di quanto lo fosse ne La Parola, laddove il tormento per il presunto tradimento e la ricerca disperata di un consiglio da parte del fratello avevano se non altro il merito di restituire umanità alla sua figura. Funzionalmente al processo di focalizzazione nella seconda stesura del protagonista Silvio, in relazione al quale gli altri personaggi paiono semplici strumentalizzazioni, Emilia è l‟ omertosa complice di Silvio; essa, pur a conoscenza del tradimento di quest‟ultimo, è vincolata al segreto dalle minacce (nemmeno tanto velate) del cognato:

SILVIO – È un fatto che tuo marito non seppe ch‟io ti abbia fatta la corte. Eppure a me pare che sarebbe stato tuo dovere di dirglielo.

E ancora:

SILVIO – Fanny sarà meravigliata che tu non mi facesti allontanare da casa tua ma io le spiegherò che tu avevi la certezza di non correre alcun pericolo.

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129 Fanny, da canto suo, non subisce sostanziali mutamenti nella ristesura della commedia: capricciosa ed indefinita com‟era ne La parola la ritroviamo ne La Verità, con la sua ostinata voglia di credere all‟innocenza del marito nonostante l‟evidenza dei fatti che ci ricorda la Carla de Il ladro in casa e la Giulia del primo atto dell‟Avventura. Una leggera sfumatura di carattere, tuttavia, ci sembra ravvisabile nella penultima battuta proferita dalla moglie tradita (<<[…] Vado a riprendere il mio posto in questa casa>>), la quale, più che alla sincerità del marito, sembra prestare più attenzione al borghesissimo concetto del “salvare l‟onore”, mettendo in salvo le apparenze e badando ben poco alla veridicità o meno della parola del marito. Solamente se Silvio sarà in grado di fornire una giustificazione plausibile al suo trovarsi nel letto della sarta (giustificazioni piuttosto inutile, evidentemente) essa sarà in grado di credere alla versione del marito (o fingere di crederci), ma salvaguardando, comunque (ed è la cosa che sembra premere più di tutto a Fanny) la buona reputazione della famiglia. La sua figura, ad ogni modo, non da né toglie nulla all‟intreccio narrativo primario.

Al contrario, particolarmente interessante ai fini della nostra analisi è la figura di Alfonso Bertet, il cognato di Silvio. Alfonso non subisce molte modificazioni nel passaggio da una stesura all‟altra, eppure il suo ruolo è abbastanza rilevante: nella folta “classe dei cognati” che affolla i testi sveviani, senza dubbio Alfonso è quello che maggiormente risponde alle istanze sarcastiche di cui si nutre il teatro di Svevo. Quello che lo caratterizza è senza alcun dubbio il rapporto con il denaro. Le motivazioni economiche che spingono Alfonso dallo scongiurare la separazione tra Silvio e la moglie32 occupano maggior posto ne La Parola rispetto a La Verità. Egli infatti, pregando il cognato di confessare in modo da convincere Fanny a rientrare a casa, apporterà le seguenti motivazioni:

ALFONSO – [...] Fammi il piacere di riprendertela al più presto. Anche il suo denaro m‟è d‟impiccio. Essa dice che in caso di vostra separazione io dovrei assumerne l‟amministrazione. Ora non è mica facile cosa di amministrare una simile sostanza, amministrare dico e non sperperare. Le belle terre che tu volesti vendere non si possono riavere eppoi il denaro è tutto impiegato in miniere ed altri valori letterarii di

32Durante il colloquio tra Silvio ed Alfonso, quest‟ultimo, nel tentativo di convincere Silvio a confessare per

risolvere la situazione, dice : ALFONSO << […] Ora non è mica compito facile amministrare una simile sostanza, amministrare dico, non sperperare. Le belle terre che tu volesti vendere (con emozione) non si possono ricomperare. Eppoi il denaro è tutto impiegato in miniere ed altri valori letterarii di cui non mi intendo. Per tutte queste ragioni, fammi il piacere, riprenditi tua moglie.>>. In realtà la battuta effettiva, poi cassata sulla bella copia finale risulta ancora più incisiva in questa prospettiva : ALFONSO << Fammi il piacere di riprendertela al più presto. Anche il suo denaro m‟è d‟impiccio. Essa dice che in caso di vostra separazione io dovrei assumerne l‟amministrazione. Ora non è mica facile cosa di amministrare una simile sostanza, amministrare dico e non sperperare. Le belle terre che tu volesti vendere non si possono riavere eppoi il denaro è tutto impiegato in miniere ed altri valori letterarii di cui non mi intendo. Per tutte queste ragioni, fammi il piacere, riprenditi tua moglie >>.

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130 cui io non m‟intendo. Per tutte queste ragioni fammi il piacere di riprendere tua moglie al più presto.

Si tratta tuttavia di una presenza rilevante, perché sintomatica della quasi impossibilità di Svevo di rinunciare ad infarcire lee proprie commedie con inserti di natura grottesca o sarcastica, ma comunque di sfondo rispetto al reale protagonista della vicenda, Silvio, ed il suo rapporto con la verità. Il titolo della commedia, di sapore pirandelliano, ha portato nella tradizione critica a facili accostamenti tra i due autori teatrali. Su questo punto le interpretazioni critiche differiscono notevolmente; Lavagetto, dal suo canto, può affermare che :

se pressoché nulli, a parte il titolo, appaiono i punti di contatto tra la commedia sveviana e un‟omonima novella pirandelliana, La Verità, apparsa sul <<Corriere della Sera>> il 23 giugno 1912, non c‟è dubbio che il gioco pericoloso intrapreso da Silvio sul crinale tra vero e falso, tra confessione e menzogna, tra identità e maschera, richiami analoghe linee di ricerca sviluppate da Pirandello sul doppio versante della narrativa e del teatro.33

Ancora una volta raccomandiamo prudenza in quest‟operazione di accostamento: siamo qui, a nostro parere, ben lontani dalle “ maschere” pirandelliane. Laddove Pirandello affronta infatti la questione tra apparire ed essere, lo fa in prospettiva dell‟apparire agli altri, in un concetto tutto proiettato verso l‟esterno. Quella che Svevo porta avanti, invece è una sottile indagine psicologica, nella coscienza e nell‟intimità dei suoi personaggi, per coglierne i difetti, le sfumature, interpretarne le mancanze e calcare su questi tratti. E così Silvio non sarà l‟abile e scaltro marito fedifrago così assiduo frequentatore del salotto borghese, bensì un uomo, fedifrago ma capace di cogliere nella debolezza di Fanny la possibilità di sfruttare al massimo le proprie abilità, ricorrendo ad un abile gioco di persuasione talmente sottile da risultare assolutamente impercettibile. Certo Svevo, ancora una volta, dimostra una grande sensibilità verso un certo tipo di teatro europeo che proprio agli inizi del Novecento andava interrogandosi su cosa fosse la Realtà, se fosse l‟uomo a crearla tale, se la Verità fosse un assunto assoluto o se anche questa fosse soggetta alla relatività del reale. Acquisite la premesse culturali con la prontezza e la curiosità che caratterizzano la sua posizione di letterato, Svevo le traduce, come di consueto, in chiave ironica: ecco che dal semplice e puro pezzo farsesco e puramente edonistico de La Parola, approdiamo al ben più introspettivo e problematico La Verità. Ecco che l‟incontro, ottenuto grazie alla mediazione di Emilia ed

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131 Alfonso, di Silvio e Fanny diventa l‟occasione per sondare il nuovo terreno su cui si innesta la commedia sveviana. Silvio, avendo la moglie posto come unica clausola per il suo ritorno a casa la confessione da parte del marito adultero, si trova di fronte alla necessità di raccontare “la verità”. Ma quale verità sceglie di raccontare? Quella effettiva, concreta, fattuale del tradimento, o la propria versione, strumentalizzata, relativizzata e piegata alle proprie esigenze? Naturalmente Silvio opterà per la seconda. L‟aspetto interessante è che entrambe le possibili “verità” godono di una dignità ed una considerazione identiche. La verità di Silvio non è mortificata, né schiacciata dal peso della verità fattuale, effettiva. In questo ci sembra risieda il grande merito della commedia. In questo, ci sembra, è palese la sempre maggiore padronanza delle tecniche drammaturgiche da parte del nostro autore.

Le istanze naturalistiche iniziali sembrano essersi tramutate nella geniale intuizione della necessità di esplorare nuove soluzione drammaturgiche. È come se Svevo, sempre desideroso di un riscontro positivo dal pubblico o dalla critica, si ripromettesse ogni qualvolta si accingesse a scrivere un testo teatrale, di rimanere fedele a certi moduli espressivi ben collaudati ed in grado di riscuotere consensi, salvo poi, nel corso dell‟opera, lasciarsi incuriosire ed affascinare da altre, di certo più azzardate, soluzioni drammaturgiche, dando vita a sviluppi espressivi completamente alieni dai presupposti naturalisti iniziali.

Non si tratta comunque di uno degli episodi migliori della produzione drammaturgica sveviana: del resto anche la critica l‟ha considerata una prova rilevante e di spessore, anche se incapace di lasciare tracce evidenti della storia del teatro. Uno su tutti, il giudizio del Rimini:

è certo più di un‟esercitazione, ma non ha quella forza, quella vita che rende “ Teatro” un dialogo ben scritto. La verità vorrebbe ferire e non ferisce, ed è insomma molto più importante come dato per la storia del teatro di Svevo che come vivo prodotto per il palcoscenico.34

Lo sperimentalismo linguistico: Atto unico

Atto unico è il testo nel quale Svevo affronta a chiare lettere la questione linguistica. Si tratta di una commedia redatta, come è possibile evincere da alcuni indizi interni presenti tra le righe della commedia stessa, in un intervallo di tempo che coinvolge il biennio 1913-14.35

34 R. Rimini, La morte nel salotto, op. cit., p. 73.

35 In effetti è presente nel testo uno scambio di battute tra Amalia, la protagonista dell‟atto unico e Giuseppe:

AMALIA : << […] Da quatro ani noli era più in servizio.>> / GIUSEPPE : << La guardi meio! No pol esser! ( guarda anche lui il libretto) Quatro ani! Eh! Sì! 1909! Quatro ani, quasi zinque anzi>>

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132 Come in altri casi, su questo punto si registra la discordanza di Apollonio, il quale, senza fornire spiegazioni, assegna la commedia con relativa certezza al 1890.36 La posizione del primo curatore delle commedie sveviane appare ancora meno condivisibile se sfogliando le pagine dell‟Epistolario relative al periodo in questione, troviamo un accenno ad una commedia che Svevo sarebbe in procinto di scrivere proprio nell‟autunno del 1913. La lettera, indirizzata alla moglie Livia è datata 8 ottobre 1913:

Non dirlo a nessuno ma sarei felice di non andare a Londra. Naturalmente, se occorre, non mi farei pregare, ma starei più volentieri a Trieste tanto più che ho da fare la mia commedia37.

Integrando questa informazione al riferimento testuale presente tra le righe della commedia, la questione della collocazione cronologica sembra risolta quasi con certezza.

L‟elemento caratterizzante del testo è il ricorso al dialetto triestino. Si tratta di un unicum nella drammaturgia sveviana, sebbene dalle testimonianze della moglie e del critico Benco, frequentato durante la collaborazione a L’Indipendente, siamo a conoscenza del grande ricorso che Svevo faceva nella vita pratica quotidiana al triestino parlato e scritto. Non è del resto la prima volta che Svevo si confronta con la questione linguistica. Proprio ai tempi della collaborazione al quotidiano triestino, il giovane Svevo aveva recensito un testo del toscano Policarpo Petrocchi38 il quale si era cimentato nella redazione di un testo teatrale in vernacolo toscano. Dell‟esperimento del toscano Svevo aveva apprezzato la plasticità della lingua e la particolare disposizione di essa a prestarsi ad un registro anche basso senza suonare mai volgare. Certo il toscano, con la sua insigne tradizione linguistica doveva suonare ben diversamente da quello che Svevo nella Coscienza definirà il <<nostro dialettaccio>>; eppure egli stesso confesserà che probabilmente le accuse rivoltegli circa un uso <<fortuito ed avventizio>>39 della lingua italiana potrebbero essere parzialmente giustificate dal fatto di essere cresciuto in una città nella quale <<il nostro dialetto era la nostra vera lingua>>40. Ma, al di là delle testimonianze della moglie Livia e dei più stretti collaboratori, è lo stesso Svevo che, nel Profilo autobiografico, ci fornisce importanti informazioni in tal senso:

Egli ben sapeva che la sua lingua non poteva adornarsi di parole ch‟egli non sentiva. Non si può raccontare efficacemente che in una lingua viva e la sua lingua viva non poteva

36 Italo Svevo. Commedie, a cura di U. Apollonio, Mondadori, Milano, 1960, pp. IX-XV. 37

Epistolario, op. cit., p. 677. Lettera datata 8.10.1913.

38 Cfr. capitolo 1 pp. 53-54.

39G. Debenedetti, Lettura di Svevo-1929, in La critica letteraria di Giacomo Benedetti, a cura di Francesco

Mattesini, Editrice Vita e Pensieri, Milano, 1969, p.101.

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133 essere altra che la loquela triestina, la quale non ebbe bisogno di attendere il 1918 per essere sentita italiana. Il suo sentimento trovava conforto in espressioni simili che gli pervenivano dal altre province. Ricordava con venerazione e gratitudine un Faldella (senatore del Regno) che scriveva un italiano nel quale egli intendeva di mettere tanta parte del dialetto piemontese quanta ce ne poteva capire.41

Seppur ascrivibile al genere dello “scherzo”, data la forte componente umoristica che pregna il testo, Atto unico gode comunque di una forte dimensione teatrale. Il repertorio da cui attinge Svevo questa volta non è quello del teatro da salotto di fine Ottocento, bensì quello della Commedia dell‟arte (ravvisabile nei frequenti colpi di scena, il ricorso a travestimenti, bastonature, schermagli tra servi e padroni, inseguimenti sulla scena dei vari personaggi, concitazione sul palco ecc.). Il teatro tardo ottocentesco tuttavia si affaccia sulla pièce tramite i personaggi convenzionalmente borghesi: il padrone di casa succube della moglie dispotica, una marea di servi furbi ed avidi, una padrona di casa indaffarata a cercare degli inservienti per la propria dimora...

Amelia, la padrona di casa, è la vera protagonista dell‟intreccio: credendo di fare un affare, assume al proprio servizio in casa una squadra di servi a ben poco prezzo, salvo poi accorgersi che la ragione dell‟esiguità della paga risiede nel fatto che in realtà si tratta di ladri. Scoperta la cosa, invece di cacciare i malviventi, decide di continuare a tenerli presso di sé, sottoponendoli ad ogni sorta di castighi ed angherie, grazie anche alla collaborazione del suo aiutante, perennemente ubriaco. Frustati e sfiniti dalla situazione, alla fine, i ladri, pur di non continuare a subire la tirannia della padrona di casa, decidono di autodenunciarsi e finire in prigione.

A rendere ancora più grottesco il tutto, l‟apparato scenografico che ci si ritrova di fronte: tavola apparecchiata, appartamento modesto, arredamento discreto... Angela Guidotti a tale proposito ha sottolineato qui la tendenza sveviana a ricreare una sorta di <<teatro personale dell‟assurdo>>:

[…] non parrebbe inopportuno in questo caso un accostamento con un certo teatro futurista, specie nel modo di concepire <<marionettisticamente>> i personaggi, quasi a sperimentare un modo personale di <<teatro dell‟assurdo>> , evitando peraltro una drastica rottura coi meccanismi tradizionali che muovono personaggi e intreccio in un testo drammatico42.

41 Profilo autobiografico di Italo Svevo, in Italo Svevo scrittore. Italo Svevo nella sua nobile vita, op. cit., p. 12. 42

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134 Si farebbe comunque torto al testo considerandolo semplicemente alla stregua di un accomodamento sveviano ai gusti ed alle mode del tempo, nella speranza di ottenere un maggiore successo di pubblico. La commedia ci pare infatti ben strutturata e dotata di quel dinamismo (forse memore della lezione goldoniana) di cui tante volte era stata rimproverata l‟assenza nei testi teatrali sveviani. Riteniamo che, accostandosi ad un testo come questo, sia necessario svincolarlo da qualsiasi aspettativa e confronto dalle altri grandi opere teatrali sveviane, limitandosi a considerarlo semplicemente per quello che è: uno scherzo drammatico scritto da un letterato “impegnato” per puro divertimento.

In questa prospettiva si potranno apprezzare con maggiore gusto le schermaglie tra i mascalzoni e la signora Amelia, i litigi tra gli stessi ladri che, peraltro, portano all‟autosmascheramento, gli espedienti teatrali che, lungi all‟essere di eccessivamente facile effetto, sono sempre in grado di suscitare quel leggero riso umoristico che costituisce un po‟ la cifra del teatro di Svevo. L‟intuizione (e qui ci sembra stia la grande novità della pièce, che ricordiamo essere l‟unico pazzo dialettale nel teatro sveviano), è che la comicità di una situazione tipicamente borghese (quale è la ricerca di inservienti per la manutenzione della casa) ed il relativo risvolto comico della vicenda, potevano essere resi realisticamente solamente ricorrendo ad una lingua che rispecchiasse in tutto e per tutto quell‟ambiente triestino cui si alludeva esplicitamente. Riteniamo opportuno sottolineare questo aspetto innovativo della commedia non tanto per non misconoscere il valore della commedia stessa, quanto, soprattutto, per porre l‟accento, ancora una volta, sul carattere sperimentale dei pezzi dell‟autore triestino. Si tratta, nella nostra prospettiva di indagine, della commedia forse più naturalistica di questa seconda fase della produzione sveviana, completamente priva com‟è di elementi ed istanze di carattere intimista, psicologico, o anche semplicemente analitico. Ad ogni modo, la commedia, per il suo carattere dichiaratamente “minore” non ha goduto di grande considerazione da parte della critica; al di là di un allestimento televisivo nel 1965 con regia di Carlo Lodovici, ed una rappresentazione ai primordi degli anni Ottanta (1982) presso l‟Auditorium di Trieste con il titolo Conzai per le feste, non è stata riproposta al pubblico.

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Verso la Coscienza: Terzetto spezzato ed Inferiorità

Terzetto spezzato è l‟unica, tra le commedie sveviane, per la quale è stato previsto un allestimento scenico vivente Svevo. Pare che in realtà sia stato un caso fortuito a portare in scena questo testo teatrale. È il 26 marzo del 1927 quando Svevo, ormai consolidata la sua fama di eccellente narratore, riceve una lettera da Nino Meloni, attore e regista debuttante nel 1923 al Teatro degli Indipendenti di Roma, dove già da qualche anno Anton Giulio Bragaglia sta portando avanti un‟esperienza registica d‟avanguardia43. Meloni riferisce a Svevo l‟esito del suo colloquio con Bragaglia:

ho parlato a Bragaglia del suo Terzetto spezzato. Egli è disposto a rappresentarlo e,credo, presto. La prego perciò di volermi mandare con sollecitudine il copione, perché egli ne prenda visione. Io credo che non sia male affrettarsi perché col caldo incipiente diminuisce l‟interesse delle rappresentazioni44

.

Purtroppo però, la rappresentazione non fu un successo, come peraltro testimonia la lettera che lo stesso Meloni, all‟indomani della prima rappresentazione scenica della commedia (1 aprile del 1923) scrive al narratore triestino:

Bragaglia ha voluto fidarsi di noi attori; e noi abbiamo fatto del nostro meglio; ma tuttavia non abbastanza bene; e solo (purtroppo) ad un difetto di interpretazione si deve se il lavoro non ha avuto repliche successive. Non è vero poi, come hanno affermato alcuni giornali, che l‟atto si sia chiuso nell‟assoluta indifferenza degli spettatori: gli applausi non sono stati entusiastici, ecco tutto.

[ Bragaglia] non La conosceva che di nome; letto il copione , ne è rimasto ammiratissimo, e, benché egli non sia troppo tenero col teatro psicologico e di poesia , ha pure guardato il Terzetto con maggior simpatia di quanto non dimostri per molti lavori del repertorio modernissimo da lui preferito.45.

43La sperimentazione teatrale portata avanti nel Teatro degli Indipendenti, già nel dicembre 1921, era stata

annunciata da un manifesto, in cui, respinte <<tutte le leggi, gli obblighi, le concezioni che fanno del vecchio mondo teatrale italiano un organo che non funziona>>, si proclamava: <<Il teatro sperimentale sarà più rivoluzionario del famoso Vieux Colombier parigino: specie per gli spettacoli d'eccezione ove si vedranno adattate alla scena le opere più originali del teatro orientale, dal russo al giapponese. E come nei Tazieli persiani, tutte le arti, la mimica, la lirica, la comica, saranno originalmente confuse in una stessa opera>>. L'inaugurazione ebbe luogo il 18 gennaio 1923. Molti gli autori che collaborarono con il regista Bragaglia o dei quali egli curò le rappresentazione. Per citarne solamente uno, Pirandello scrisse per lo Sperimentale

L'uomo dal fiore in bocca, andato in scena il 25 febbraio, dopo che ne ebbe diretto le prove. Al 1 aprile tocca la

rappresentazione di Terzetto spezzato di Italo Svevo, con un esito non entusiasmante che le permette di rimanere in programmazione una sola settimana, prima di essere sostituita da Un vigliacco di Vergani.

44Lettere a Svevo, a cura di Bruno Maier, dell‟Oglio, Milano, 1973, p. 131-132. Lettera datata 26.3.1927. 45Ivi, pp. 132-33. Lettera datata 6.4.1927. Del resto Meloni lamenta nel testo della lettera l‟assenza alla prima dei

maggiori critici teatrali del momento. Ragion per la quale i giudizi critici della rappresentazione sarebbero stati formulati da << vice- ragazzetti di primo pelo incapaci e presuntuosi>>.

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136 Al di là del successo teatrale su cui torneremo in seguito, ancora una volta non possediamo dati inequivocabili che ci permettano di conoscere con precisione la vicenda compositiva del testo. Su questo testo più che su altri, anzi, la critica che se ne è occupata, ha formulato ipotesi di datazione diversissime e distanti tra di loro. Apollonio colloca infatti la commedia al settimo posto, ritenendola scritta durante l‟ultimo decennio dell‟Ottocento46

; Spagnoletti sostiene invece una decisa retrodatazione << in quella primavera sveviana che porta il nome di E. Samigli, certo anteriore a Una vita, e cioè tra l‟89 e il „93>>47; il Rimini d‟altro canto, ritenendo che Terzetto spezzato sia la commedia cui Svevo allude nelle lettere indirizzate a Livia da Tolone e da Marsiglia (commedia che noi abbiamo supposto essere invece La parola), teorizza una datazione riconducibile al 1901. Bruno Maier, esperto conoscitore dell‟autore triestino, in due interventi a distanza di pochi anni, suggerisce due diverse proposte di datazione per il Terzetto. Nel primo studio a metà degli anni Settanta48 il critico colloca la redazione della commedia in un arco di tempo che va dal 1919 al 1927, sulla base di considerazioni di carattere materiale (uso di una macchina da scrivere che Svevo adopera a partire dal 1918 in poi) e tematico (argomenti quali il fumo, le speculazioni commerciali, la seduta spiritica ricorrono anche nelle pagine della Coscienza). Dieci anni più tardi Maier ritorna sulla questione49 sostenendo che invece la commedia vada collocata <<intorno al 1912>>, secondo un suggerimento fornito <<dal medesimo Svevo>> in una lettera indirizzata a Montale del 12 aprile 1927. Riportiamo il passo epistolare in questione per meglio comprendere le ragioni del Maier:

Ha visto che hanno dato per 7 sere agl‟“Indipendenti” di Roma un mio scherzo drammatico? […] Peccato che ho poca voglia di viaggiare a che Roma è tanto lontana. Davvero che mi sarebbe piaciuto di sentirmi riprodotto. Quella roba io la feci una quindicina d‟anni fa, e un mio amico me la portò via. Davvero che mi verrebbe voglia di chiudere la mia vita tanto variopinta con una commedia50.

Il Lavagetto, da suo canto, predica una maggiore prudenza nel considerare con precisione algebrica l‟arco di tempo di quindici anni che intercorre tra le stesura della lettera e la redazione della commedia, tanto più che lo stesso autore parla più genericamente di una <<quindicina di anni>>. Pertanto, sulla base di constatazioni fondate sull‟analisi materiale e

46Italo Svevo. Commedie, a cura di U. Apollonio, op.cit., pp. IX-XV.

47G. Spagnoletti, Terzetto spezzato. Inedito di Italo Svevo, in <<Giovedì>> 22 ottobre 1953. 48

B. Maier, Proposta cronologica per <<Terzetto spezzato>> di Italo Svevo, in Studi in memoria di Luigi

Russo, Pisa, Nistri-Lischi, 1974, pp. 319 -327.

49B. Maier, Note sul teatro di Italo Svevo e sulla sua cronologia, in <<Ariel>> I, 2, maggio-agosto 1986.

50Montale e Svevo, Carteggio sugli scritti di Montale su Svevo, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1976,

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tipografica dei dattiloscritti, sul ruolo centrale giocato dall‟occultismo nella commedia (scienza che, come vedremo, gode di una notevole diffusione nel secondo decennio del

Novecento), e, ultimo ma non meno rilevante, sulla presenza di alcuni tratti germinali ed imprecisi della Coscienza nel testo (quali ad esempio una strumentalizzazione in senso ironico della psicanalisi, l‟ossessione del vizio del fumo, le speculazioni commerciali, o, ancora, la presenza delle seduta spiritica), Lavagetto ritiene più convincente collocare la redazione della commedia negli anni che vanno dal 1912 al 1919, anno in cui Svevo si cimenterà nella scrittura dell‟opera che gli varrà la fama di grande narratore: la Coscienza di Zeno.

Nei ricordi della moglie Livia Terzetto spezzato fu non solo occasione della riscoperta dell‟inalienabile passione per il teatro per Svevo, ma anche fonte di parziale delusione, viste le critiche che una consistente parte dei recensori mosse alla rappresentazione del Bragaglia a Roma. Scrive la signora Svevo:

nell‟aprile 1927 [Svevo] ebbe la gioia di saper rappresentato a Roma da Bragaglia un suo

breve lavoro drammatico intitolato Terzetto spezzato. La critica dichiarò il breve atto „curioso, originale, interessante‟, ma esso non fu molto sentito dal pubblico. Il teatro, che

fu il suo amore segreto, non gli diede mai le soddisfazioni sperate. Era stato il primo dei suoi sogni artistici e rimase un suo sospiro. L‟aveva sempre attratto con passione. Per tutta la vita era stato uno dei più assidui frequentatori della stagione di Prosa del Teatro Verdi e nei nostri viaggi all‟estero non aveva mai trascurato di assistere alle più significative rappresentazioni nei teatri di prosa di Londra e Parigi. << La forma delle forma, il teatro, la sola dove la vita possa trasmettersi per vie dirette e precise>> diceva.51

Le critiche rivolte alla rappresentazione, ingigantite dalla stampa secondo l‟opinione di Meloni, sono in realtà le uniche testimonianze del rapporto tra il pubblico e lo scrittore; per questo motivo sarà interessante scandagliarle nei dettagli. Orientativamente una decina di quotidiani si occuparono della prima teatrale al Teatro degli Indipendenti e, seppur nessuno di questi abbia espresso un giudizio fondamentalmente negativo, le reazioni alla rappresentazioni non si distinsero certamente per l‟entusiasmo dei recensori. Uno di essi, Enrico Rocca, su Il lavoro d’Italia, pur premettendo che <<Italo Svevo non è un uomo, ma un caso>> e giudicando il pezzo <<gustoso per certe verità rivelate implicitamente>>, non manca di sottolineare che pareva privo tuttavia di <<una vera e propria fusione tra l‟ironia e la drammaticità>>52. Più drastico e severo l‟anonimo giudizio critico comparso su La Tribuna:

Tutto un mondo cosciente e subcosciente – lo Svevo, si sa, appartiene alla letteratura psicoanalitica – confessabile ed inconfessabile viene a galla… Breve atto impostato su

51 L. Veneziani, Vita di mio marito, op. cit., p. 151. 52

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138 un artificio tecnico assai ingenuo non privo di osservazioni acute e variamente intense, che, nella preoccupazione di verismo analitico, accostato su un medesimo piano dialogico che annulla ogni sfumatura d‟intensità, hanno tutt‟altro che efficacia drammatica… Il lavoro non piacque53.

Sulla stessa lunghezza d‟onda della lettera “giustificatoria” che Meloni invia allo Svevo all‟indomani della rappresentazione, la recensione critica anonima su Il corriere d’Italia, che addossa agli attori la responsabilità di cattiva interpretazione del testo, additando nella tecnica recitativa eccessivamente realistica la causa dell‟insuccesso della prima teatrale54.

Tra tutti gli articoli critici, comunque, il più pertinente nell‟ambito dell‟indagine delle reazioni del pubblico in sala, è senza ombra di dubbio quello contenuto ne Il Messagero, tra le righe del quale si legge:

In gran parte la serata di ieri agli Indipendenti va all‟attivo della fortunata stagione bragagliana… Il folto ed elegante pubblico che gremiva letteralmente la minuscola e caratteristica saletta – un pubblico veramente d‟eccezione – si è divertito moltissimo e non è stato avaro di applausi… La prima novità Terzetto spezzato dello scrittore triestino Italo Svevo (ieri sera il romantico e millenario trio del marito, moglie e amante ha dominato ancora una volta e per di più in un ambiente antitradizionalista) non c‟è apparso troppo felice, difetto forse dell‟interpretazione. Il lavoro ad ogni modo ha delle battute indovinatissime e di una satira pungente che raggiunge il grottesco… [...]

[ I personaggi ] in due scene autenticamente <<spassose>> ( per dirla alla napoletana) rivelano quello che è il lato più egoistico e più basso del loro carattere… L‟atto è stato fiaccamente applaudito, ma, ripetiamo, recitato con più disinvoltura, incontrerà nelle repliche maggior favore55.

Paradossalmente il più lusinghiero giudizio critico sulla commedia, proviene da un anonimo critico francese, che, nell‟edizione del 5 aprile de Il Messaggero, afferma: <<il me semblait qu‟elle meritait une meiulleur reception>>56

. Il passare del tempo ha tuttavia reso giustizia alla pièce, la quale, già a partire dagli anni ‟60 annovera tra le recensioni fondamentalmente positive a suo carico, i giudizi di critici del calibro del Mazzotta57, De Castris58, e dello Jonard59.

La commedia presenta sulla scena un tradizionalissimo triangolo marito-moglie-amante. Si tratta di un triangolo che dalla vicenda, però, esce frantumato, smontato e fissato in un nuovo

53 Due novità agli Indipendenti, in <<La Tribuna>> Roma, 3 aprile 1927. 54 Svevo e Massa due novità, in <<Il corriere d‟Italia>> Roma, 3 aprile 1927. 55 Due novità agli Indipendenti, ne <<Il Messaggero>> Roma, aprile 1927.

56“Mi pareva che [ la commedia] meritasse una ricezione migliore (trad. mia)”, <<Idem Idem>> chez Bragaglia,

in <<Italia>>, Roma, 5 aprile 1927.

57 M. Mazzotta, Il teatro di italo Svevo, in <<La Zagaglia>>, Lecce, dicembre 1962. 58 A. L. De Castris, Italo Svevo, op. cit., p. 50.

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139 precario equilibrio, come al solito nelle pièces teatrali sveviane. La moglie, o, per meglio dire, il fantasma della moglie Clelia, appare infatti al marito ed al migliore amico di quest‟ultimo, nonché amante di Clelia, i quali, tutti presi nella richiesta di premonitorie rivelazioni, l‟uno sull‟andamento in borsa del caffè, l‟altro sulle modalità di proseguire il romanzo in cui si è cimentato, palesano tutto l‟opportunismo del sentimento che li legava alla defunta. La comparsa in veste di fantasma di Clelia è in realtà una grande trovata scenica, perché permette all‟autore di palesare in maniera evidente i falsi moralismi ed i perbenismi nel quale permangono i due viventi, espressione encomiabile della borghesia triestina, tanto caro bersaglio del teatro sveviano: è proprio infatti in quanto morta che Clelia appare scevra di qualsiasi doppio fine ed interesse borghese. La sua morte fisica corrisponde alla morte della sua condizione sociale di borghese, ragion per la quale, in fin dei conti, paradossalmente, risulta essere proprio lei, il fantasma, il più „umano‟ dei tre personaggi in scena. Gli altri due infatti si palesano quali sono: fredde e ciniche marionette del gioco borghese, il cui affetto verso la defunta è mosso solo dall‟utile che essi traggono dalla relazione con lei, e proporzionale ovviamente a quest‟ultimo. E così, a Clelia, offesa dalla domanda circa l‟andamento del caffè rivoltagli dal marito, quest‟ultimo ribatte :

IL MARITO – Ma sei testarda! Cerca d‟intendermi. Hai conservato quel caratteraccio che finché fosti viva formò la mia infelicità. […]

Clelia, rifiutatasi di rispondere anche alla richiesta di ispirazione per finire il romanzo intrapreso dall‟amante, scompare quindi <<ridendo clamorosamente>> mentre <<il suo riso echeggia lungamente in lontananza>>. I due uomini, avvedutisi del fatto che Clelia era apparsa loro con la sola richiesta ch‟essi andassero d‟accordo, al fine di riportarla da loro e fare in modo che essa risponda alle richieste di ciascuno, non trovano di meglio da fare che picchiarsi:

IL MARITO – […] Io sospetto sia accorsa solo per metter pace fra di noi. Pare non si perdoni a chi ha provocati litigi. Pigliamola per quella parte. Facciamola soffrire. Dovrà pur finire col venire e fare il nostro volere.

Il breve atto si conclude con i due uomini intenti ad azzuffarsi nella speranza della comparsa di Clelia in veste di pacificatrice: sullo sfondo, inquietante ed enigmatica, la risata della donna dall‟oltretomba accompagna questo rituale di „disumanizzazione‟ dei due pretendenti. Enigmatica la scelta di un finale così palesemente sentenzioso: Svevo scandisce a chiare lettere il giudizio amaro ed impietoso su quegli uomini “senza qualità”, protagonisti della

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140 vicenda. Anche qui il nostro autore, avvalendosi del ricorso all‟espediente della risata fuori campo ed in absentia, ricorre ad una serie di valenze simboliche che, condannando inesorabilmente i due uomini, di fatto esulano dai mezzi espressivi del teatro naturalista. A ciò, poi, si aggiunge la decisione sveviana di procedere all‟abolizione dei nomi propri: sulla scena troviamo “il marito”, “l‟amante” e “Clelia”, l‟unico personaggio cui Svevo decide di affidare un nome ed una certa autonomia caratteriale. In questo triangolo, sconvolto dalla morte della defunta, “marito” ed “amante” si riscoprono nella improvvisa inconsistenza della loro assenza di ruolo; per questo motivo essi tentano di rievocare la donna: solamente la ricomparsa fisica di Clelia sarà in grado di riportare ordine nel triangolo smontato del quale si parlava prima. Contrariamente all‟affaccendamento di Silvio ne La verità, il quale cerca faticosamente di rientrare nel suo ruolo precostituito di marito, i due protagonisti del Terzetto rimangono invece invischiati nel ruolo che la tipizzazione scenica impone loro. Così il marito sarà vincolato indissolubilmente al mondo degli affari e del commercio, ed il suo amore per la moglie sarà il consueto e tutto sveviano amore per una moglie che si configura <<quasi come una sorella>>; l‟amante scisso tra l‟ossessione per il fumo e le proprie ambizioni letterarie, non saprà far di meglio che addossare all‟assenza di Clelia, fonte d‟ispirazione per lui, la causa del suo “blocco” scrittorio. Il primo, tutto teso verso un accorato interessamento alla propria attività professionale (esattamente all‟opposto dei personaggi precedenti, i quali, quasi „subivano‟ il proprio lavoro, intendendo esso come <<tedio>> ed <<uggia>>, eccezion fatta la funzione “anestetizzante” del lavoro su Federico Arcetri )60; il secondo, invece, ipocritamente interessato a scaricare verso l‟esterno la propria incapacità di proseguire con la scrittura del romanzo che dovrebbe restituirgli rinomanza letteraria.

Clelia, invece, sembra fondere in sé con estrema abilità i due ruoli di moglie ed amante; operazione che le è certo facilitata dal suo statuto di “fantasma”. Paradossalmente la più “umana” tra i tre personaggi, come si accennava poc‟anzi, è proprio lei, Clelia, la quale riesce ad agire da specchio-riflesso più attendibile della situazione, catalizzando su di sé quasi la funzione di coscienza del marito e dell‟amante, potendosi permettere, in questa veste, lo sfogo:

CLELIA- […] Ma siete fatti tutti così voialtri uomini. Il mio paradiso l‟hai fatto tu, l‟ha fatto lui. E lui non sa che il mio paradiso caldo, comodo, sarebbe stato sufficiente a farmi morire di noia se non ci fossi stato tu. E tu non ricordi ch‟eri fatto in modo che mi ricevevi come una dea e mi congedavi come un‟ancella.

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