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CAPITOLO 6 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE DEL GHIACCIO. IL GHIACCIO ARTIFICIALE.

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CAPITOLO 6

LA PRODUZIONE

INDUSTRIALE DEL

GHIACCIO.

IL GHIACCIO ARTIFICIALE.

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Nei capitoli precedenti si è visto come il ghiaccio naturale in rapporto alle condizioni storiche è stato sfruttato per molti secoli per soddisfare ogni esigenza: alla fondamentale necessità di conservare cibi o, addirittura, a scopo terapeutico, all’ostentare la propria ricchezza. Anche il luogo dove veniva conservato aveva forme diverse: dall’anfratto roccioso naturale, alla semplice buca scavata nel terreno e poi coperta con frasche, fino alla ghiacciaia appositamente costruita a seconda dell’uso e della quantità di ghiaccio che doveva contenere, sempre nel rispetto di tutte le adeguate caratteristiche per preservare al meglio il prodotto.

Non possiamo indicare un inizio specifico delle tecniche di raccolta e stoccaggio per il ghiaccio naturale; possiamo invece collocare alla seconda metà del XIX secolo, almeno per quanto riguarda l’Europa, l’inevitabile fine di queste tecniche a causa della concorrenza dei metodi di produzione industriale del ghiaccio. Quest’ultimo inizia ad essere prodotto nelle “fabbriche del ghiaccio”, cioè meccanicamente e/o con mezzi chimici, poiché ci fu un continuo aumento di richiesta sia da parte di privati sia da enti pubblici (come ad esempio gli ospedali). Il ciclo di produzione artificiale segue dunque di pari passo lo sviluppo industriale dell’Occidente. Il progresso tecnologico, tuttavia, non coincise con l’immediato abbandono del ghiaccio naturale, che continuò ad essere prodotto e venduto fino ai primi anni del Novecento. Il definitivo abbandono verrà più tardi, nel primo dopoguerra, sostanzialmente per motivi economici (poiché il ghiaccio artificiale costava meno), per la diffusione dei primi apparecchi refrigeranti elettrici (più pratici) e concausalmente, per il crescente inquinamento delle acque e le temperature invernali meno rigide.

Negli Stati Uniti, la prima “macchina per il ghiaccio”

Negli Stati Uniti il ciclo produttivo del ghiaccio naturale (formato nei grandi laghi e nei fiumi) si presenta maggiormente meccanizzato ed in scala maggiore rispetto ai paesi europei, sebbene le fasi di sviluppo appaiano sostanzialmente uguali. Per migliorare il lavoro riducendo la fatica, viene introdotto nella seconda metà del XVIII secolo l’uso di macchine a vapore (che convertono l’energia termica del vapore in lavoro meccanico) nelle operazioni di raccolta del ghiaccio. Queste nuove macchine servivano in questo

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caso per mettere in funzione le seghe per il taglio del ghiaccio ed i nastri trasportatori, che portano i blocchi tagliati all’interno del magazzino di stoccaggio (Figg. 6.1 a-b).

La tipologia della ghiacciaia sotterranea non esisteva, giacché era il magazzino che fungeva da ghiacciaia: un edificio sopra-terra in legno a pianta rettangolare, solitamente dipinto di bianco per riflettere i raggi del sole durante l’estate, che presenta tutte le

Figura 6.1: a) esempio di magazzino americano, oggi dismesso. In primo piano il nastro tra-sportatore utilizzato per condurre i blocchi di ghiaccio all’interno del magazzino; b) interno di un magazzino, destinazione finale per lo stoccaggio dei blocchi di ghiaccio.

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Le famiglie più facoltose possedevano invece una propria ghiacciaia, detta “Ice House”, una sorta di casetta in legno a pianta quadrata senza finestre, con pavimento rialzato per lo scolo dell’acqua di scioglimento e copertura in segatura di legno.

A differenza del Vecchio Continente, negli Stati Uniti l’intera popolazione poteva fruire gratuitamente del ghiaccio naturale: erano infatti poche le restrizioni alla raccolta di esso, poiché considerato di poco valore. Con l'espansione del mercato, il valore economico del ghiaccio aumentò e per gestire tali operazioni furono emanate regole. Tuttavia se la meccanizzazione cominciò a dare un carattere più industriale alla raccolta, velocizzandola, riuscì altresì a mantenere contenuto il prezzo del prodotto.

Gli Stati Uniti erano all’avanguardia anche nell’esportazione di questo prodotto e il commercio di ghiaccio naturale rappresentava una voce estremamente importante nell’economia del Paese. Nel XIX secolo lo sviluppo di navi a vapore permise il trasporto ed il commercio sino in Europa e India. La crescente richiesta di questo prodotto in molteplici settori portò gli imprenditori statunitensi a pensare alla possibilità di produrre in maniera del tutto artificiale il ghiaccio.

Possiamo attribuire convenzionalmente la paternità della tecnologia per la produzione del ghiaccio artificiale al medico statunitense John Gorrie (1803-†1855). Nel 1851 ideò la “ice-making machine” (Fig. 6.2), un'unità di refrigerazione meccanica pensata per consentire la cura dei pazienti affetti di febbre gialla.

Questa macchina si basava sulla dinamica tra gas freon e serpentina di raffreddamento, permettendo una diffusione di aria compressa. Il ghiaccio, così formato dalla sottrazione di calore dovuta alla rapida espansione dei gas, veniva impiegato per indurre l’abbassamento della temperatura corporea di chi contraeva la malattia. Il principio è quello tuttora usato all’interno dei moderni frigoriferi: possiamo quindi definire Gorrie un

Figura 6.2. Modello della “ice-making machine” di John Gorrie, conservata nel Gorrie Museum State Park ad Apalachicola, Florida.

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pioniere dell’invenzione di produzione di ghiaccio artificiale, che pose le basi per la refrigerazione e l’aria condizionata moderna.

Furono invece molti coloro che successivamente si dedicarono al perfezionamento di questa macchina, stimolati dalla rivoluzione industriale e dall’intensificazione degli scambi commerciali tra i continenti e dei consumi privati.

Nel 1860 molte famiglie americane possedevano in casa un armadio per il ghiaccio, antesignano del frigorifero che sfruttava la capacità di refrigerazione realizzata mediante blocchi di ghiaccio acquistati presso i magazzini.

Il primo apparecchio del freddo elettrico per uso domestico fu il modello “Domelre” (domestic electric refrigerator), fabbricato per la prima volta a Chicago nel 1913: era composto da un modulo del freddo sormontato da un contenitore del ghiaccio. A causa del suo costo elevato, e data la mancanza di elettricità soprattutto in campagna, non ebbe molto successo. L’anno seguente, la ditta Kelvinator a Detroit, nel Michigan, mise in produzione il “Frigidaire”, il primo vero antenato dei moderni frigoriferi elettrici: costituito da una scocca isolata termicamente con due vani interni, uno dei quali ospitava il motore e l'altro destinato alla conservazione dei cibi. Una produzione a carattere seriale partirà dagli anni Trenta sia negli Stati Uniti sia in Europa.

Nel primo dopoguerra quindi, contestualmente alla diffusione dei primi frigoriferi domestici, le fabbriche per produrre ghiaccio artificiale presero il posto di quella che fu la “grande industria” della raccolta di ghiaccio naturale, causando il suo definitivo tramonto.

L’Italia in un’ Europa moderna

Già all’inizio del Settecento in diverse aree europee (soprattutto in Inghilterra e Germania) si erano sviluppate concentrazioni di industria rurale (o proto-industria). All’interno di questi “distretti” venivano prodotti principalmente filati e tessuti destinati al mercato estero. La manodopera era a basso costo e flessibile, poiché impegnata in tale attività nei tempi morti dell’agricoltura. Inizia anche ad emergere la figura del mercante-imprenditore urbano che fornisce il necessario (materia prima e macchinari) per la trasformazione del prodotto alle famiglie contadine, che lavoravano a domicilio. L’espansione del lavoro a domicilio nelle campagne di una regione creava però delle

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difficoltà nella gestione e nel controllo della qualità, e ciò condurrà i mercanti-imprenditori, nel corso dell’Ottocento, a provvedere a concentrare nelle città una parte della manodopera in opifici. Il capitale necessario per l’impianto dei primi opifici era stato accumulato localmente dagli stessi mercanti-imprenditori.

L’Italia presentava strutture economiche e sociali fortemente arretrate rispetto ai più progrediti Paesi dell’Europa occidentale, un divario destinato a rimanere per tutto l’Ottocento, particolarmente sensibile soprattutto rispetto all’Inghilterra.

Poco dopo la metà del Settecento infatti, in Inghilterra aveva preso avvio il fenomeno della Rivoluzione industriale, ossia quel passaggio irreversibile e radicale da un’economia agricolo-artigianale ad un’economia industriale fondata sulla fabbrica mediante l’uso generalizzato di strumenti meccanici e di nuove fonti energetiche. L’evento portò ad una visione capitalista dell’economia: il prodotto non è più finalizzato ad un autoconsumo, ma a conseguire un aumento del profitto dalla propria attività.

Solo dopo il 1830 questo nuovo sistema produttivo si estese dall’Inghilterra all’Europa continentale, secondo modalità differenti in relazione al contesto economico interno del Paese in cui si verifica.

L’economia italiana era caratterizzata nel XIX secolo da una netta prevalenza dell’agricoltura e a lungo il sistema agricolo rimarrà alla base della vita sociale.

Nel quadro di questa economia ancora largamente pre-capitalista, l’attività produttiva era rivolta essenzialmente al diretto soddisfacimento dei bisogni dei produttori e dei loro nuclei familiari; solo una minima parte era destinata al mercato. Le famiglie contadine o artigiane, infatti, erano unità produttive quasi autosufficienti, ed il ricorso al mercato per l’acquisto di beni era piuttosto scarso. In sostanza, l’industria domestica ed il piccolo artigiano di paese soddisfacevano la maggior parte dei consumi della gente. Nel corso dell’Ottocento, anche in Italia, seppure circoscritto territorialmente alle regioni settentrionali, ebbe lentamente inizio il processo di formazione dell’industria moderna: incisivi mutamenti investirono il tessuto economico e sociale, rompendo il tradizionale equilibrio dell’economia contadina e artigianale. Le condizioni di vita nei centri industriali erano spesso avvilenti, ma quel che un operaio guadagnava in fabbrica era almeno il doppio di quanto poteva portare a casa un bracciante nelle campagne. A lungo, però, l’avanzata del capitalismo industriale fu condizionata negativamente e rallentata da tendenze conservatrici fortemente radicate nella società italiana, oltre che

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da oggettive condizioni di svantaggio come la scarsità di materie prime, l’insufficienza di capitali da investire e la scarsa fiducia nell’impiego dei nuovi macchinari.

L’industrializzazione, assai lenta nella prima metà del XIX secolo, accelerò dopo l’Unità d’Italia con la formazione del mercato nazionale e ancor più a cavallo tra Ottocento e Novecento quando, con lo sviluppo dell’industria pesante, avvenne il vero e proprio decollo industriale del Paese. Insieme alla schiera di imprenditori si andava ad affermare una nuova generazione operaia, più istruita, qualificata ed organizzata in varie strutture sindacali, fortemente politicizzata. Anche per quanto riguarda l’aspetto legato alle infrastrutture, ancora una volta l’Italia si presentava carente: la rete viaria stradale non assicurava un adeguato collegamento tra le zone del vasto territorio, e la rete ferroviaria contava di strade ferrate dislocate soprattutto nelle regioni settentrionali del paese.

L’Industria del ghiaccio artificiale

Il progresso tecnologico porta la produzione del ghiaccio ad essere parte integrante della Rivoluzione industriale del XIX secolo, avviando la nascita dei primi stabilimenti industriali per produrre ghiaccio. Non dovendo quindi più dipendere dalla natura, l’attività economica secolare della raccolta e vendita di neve e/o ghiaccio naturale praticata nei mesi invernali in tutta la penisola, segnata da grandi fatiche e da piccoli privilegi, entra in difficoltà.

Ad accentuare la crisi, si verifica un aumento della temperatura media della Terra avvenuta alla metà del XIX secolo, che portava termine quella che i climatologi chiamano Piccola Era Glaciale (PEG). Il fattore termico risulta di grande importanza per la fine della produzione naturale del ghiaccio in quanto, benché l’aumento medio della temperatura fosse relativamente ridotto, in Europa non vi erano più inverni tanto freddi da permettere la formazione di ghiaccio. Dunque, sul piano economico, il punto centrale che caratterizza la tecnologia nel produrre ghiaccio artificiale non è tanto di quanto aumenti la temperatura, ma se questa influenzi la soglia di rendimento di questa tecnologia. Più calda diventa la Terra, più energia è necessaria per creare e conservare artificialmente il ghiaccio e maggiore attenzione si dovrà porre nel gestire questa preziosa risorsa.

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Complice inoltre l’accentuarsi dell’inquinamento delle acque, verso gli anni Venti del XX secolo le nuove tecnologie cominciarono ad utilizzare le acque dei fiumi non più come liquido da congelare, ma come forza motrice. L’energia prodotta serviva per far congelare artificialmente l’acqua dolce di acquedotto adoperata nelle fabbriche del ghiaccio, da cui uscivano poi i blocchi. Risultò ben presto evidente che il ghiaccio artificiale poteva essere “fabbricato” anche in città, sia in estate sia in inverno, con problemi di trasporto enormemente ridotti.

Fabbricare del buon ghiaccio non era semplice e, nonostante l’aiuto di macchinari, coinvolgeva un impegno costante di manodopera. I macchinari erano azionati da un motore a gassògeno1 ma producevano forti vibrazioni anche agli edifici, un inconveniente attenuato quando i motori dell’impianto vennero alimentati da energia elettrica.

L’ottima riuscita era stimata sulla base di due fattori: i) il ghiaccio prodotto doveva apparire compatto e poco fragile, poiché sulla base della qualità variava il prezzo e quindi il guadagno del produttore; ii) la qualità delle acque utilizzate doveva essere ineccepibile. Queste ultime potevano infatti contenere sostanze che potevano causare al ghiaccio un rallentamento del congelamento (sali di sodio e di potassio), un aumento di fragilità (bicarbonato di sodio) e opacità (solfato di sodio), un aspetto viscoso (ossidi di silicio ed alluminio), una colorazione rosa (ossidi di ferro) o giallo fangoso (sostanze organiche).

Il processo effettuato all’interno delle Fabbriche del Ghiaccio è generalmente quello «per allagamento» (Schema 6.1). Consisteva nell’immergere batterie di stampi metallici rettangolari, riempiti con acqua proveniente dall’acquedotto, in una vasca di soluzione salina refrigerata tramite serpentine di rame al cui interno circolava Ammoniaca in forma gassosa, emessa tramite un compressore. Le serpentine, messe a contatto con l’acqua che circonda gli stampi, fanno scendere gradualmente la temperatura sino a – 10 ℃ permettendo in 18-20 ore la formazione di ghiaccio in blocchi dal peso di

1 Il funzionamento di un motore a gassògeno si basa sul principio di trasformare della biomassa umida in

una miscela di gas infiammabili e vapore acqueo, per essere utilizzata come combustibile in un motore. La biomassa surriscaldata genera il combustibile, una miscela chiamata singas, che viene poi raffreddata, filtrata e immessa nel collettore di aspirazione del motore. Tramite una valvola, si regola poi la quantità di aria (comburente) che va aspirata per avere la giusta stechiometria al fine dell’avvio del motore. Purtroppo però il gas prodotto per combustione delle lignite o altri vegetali era povero di calorie e le prestazioni dei macchinari risultavano fortemente penalizzate.

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venticinque chili ciascuno. Si doveva far attenzione che l’acqua negli stampi iniziasse a congelare in maniera uniforme, dalla parte esterna a quella interna. Una diversa temperatura nei singoli strati avrebbe provocato dilatazioni, tensioni e talvolta fenditure nel blocco, così come una mancata agitazione degli stampi per eliminare l'aria all’interno dell’acqua, sarebbe stata la principale responsabile dell’opacità del blocco. I parallelepipedi di ghiaccio così ottenuti, lunghi un metro per venticinque centimetri di spessore, prima di essere ribaltati, vengono estratti dal bagno con l’aiuto di una gru e immersi in una vasca d’acqua a temperatura ambiente: è questo passaggio che provoca il distacco dei blocchi dalle pareti degli stampi (Figg. 6.3 a-e). Vengono poi fatti scivolare in una pedana lignea inclinata dove operai li recuperano, e da qui stoccati in cella frigorifera, pronti alla vendita. La fase di estrazione del blocco dallo stampo era molto delicata, in quanto il passaggio repentino ad una temperatura più alta poteva provocare rotture tra strati.

Schema 6.1. Sezione di un impianto di produzione di ghiaccio artificiale. 1) vasca di congelamento contenente soluzione salina fredda, resa opportunamente alcalina per evitare corrosioni; 2) serpentine; 3) stampi in batteria; 5) gru; 6 e7) macchina dell’evaporatore e compressore; 10) tavolo di uscita.

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Figura 6.3b. Batteria di stampi immersa nella grande vasca di congelamento. Figura 6.3a. Batteria di stampi pronta ad essere immersa nella va-sca di congela-mento.

Figura 6.3c.

Batteria di stampi immersa in avan-zato stato di con-gelamento.

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Il layout produttivo presentava criteri funzionali e distributivi moderni: dalle prime fabbriche a conduzione familiare, cominciano a prender forma dei veri e propri stabilimenti moderni dotati di celle frigorifere, sorti in aree di interscambio raccordati alla rete ferroviaria. Il ghiaccio serviva soprattutto nell’import ed export di alimenti, un commercio che avveniva su rotaia o su camion, dove i blocchi di ghiaccio venivano sistemati in colonne attorno alle derrate permettendo la loro conservazione durante il trasporto. In città invece, queste fabbriche rifornivano i mercati generali di frutta e verdura, i macelli comunali, gli ospedali pubblici, oltre alle piccole botteghe alimentari. Per attrarre la clientela ed incentivare il consumo, i produttori facevano riferimento alla

Figura 6.3d.

Ribaltamento dell’intera batteria di stampi.

Figura 6.3e.

Distacco dei bloc-chi dallo stampo e scivolamento degli stessi nella pedana lignea inclinata.

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ghiacciata. I molteplici esempi di manifesti e cartoline conservati e custoditi negli archivi pubblici e privati d’Italia, dove un tempo vi era questa fiorente produzione, sono testimonianza di questa propaganda pubblicitaria (Figg. 6.4a-c).

Figura 6.4b. Sulla riviera adriatica vi erano numerose fabbriche per il ghiaccio. Un esempio lo fornisce que-sta pagina pubblicitaria della fabbrica del ghiaccio di Fano (PU) nelle Mar-che (da Il Gazzettino n° 23 del 9 lu-glio 1899).

Figura 6.4a. Cartolina pubblicitaria della fabbrica di ghiaccio costruita in località Setteponti, poco lontano del centro abitato di Pracchia (PT), nell’Alta Valle del fiume Reno (foto - Archivio di

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Figura. 6.4c. In tutta Italia, da Nord a Sud, erano molte le fabbriche di ghiaccio artificiale. Questa cartolina pubblicitaria del 1899 lancia la prima fabbrica di ghiaccio nata in Puglia, presso Lecce, dotata dei più moderni macchinari dell’epoca. Vanta l’utilizzo di acqua pura e uno stabilimento fri-gorifero per la conservazione dei prodotti alimentari (foto- Archivio A. Imbriani).

Figura 6.5. Due giassé, alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, a Milano. Esempio dell’antico mestiere del

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Eppure anche il ghiaccio industriale presentava dei difetti: alla vista era opaco e lasciava un residuo bianco sulle superfici con cui veniva a contatto. Seppur considerato quindi meno adatto ad un consumo alimentare a differenza di quello naturale, in apparenza limpido e pulito, l'opinione pubblica lo preferì per ragioni sanitarie. Oltre alla vendita all’ingrosso, questi opifici vendevano il ghiaccio al dettaglio in piccole stecche (ricavate tagliando un blocco più grande) o già triturato, a seconda della richiesta e dell’uso a cui era destinato. Solitamente i privati si recavano ad acquistarlo direttamente in fabbrica, ma era possibile avere un servizio estivo di consegna a domicilio con un aumento del prezzo al chilo, quest’ultimo giustificato dai maggiori costi di trasporto e dal calo ponderale del prodotto per il caldo (Fig. 6.5).

Il ghiaccio acquistato veniva avvolto in canovacci di puro lino o cotone e poi conservato nelle piccole ghiacciaie casalinghe chiamate «scatole per il ghiaccio», utilizzate fino alla metà del XX secolo. Si trattava di un armadietto in legno con l’interno bipartito e foderato di stagno, sughero o zinco, che permetteva di conservare separatamente il cibo dal ghiaccio acquistato quotidianamente, in blocco o frantumato. L’acqua che il ghiaccio produceva sciogliendosi era raccolta in un apposito cassetto inferiore, estraibile (Fig. 6.6). Ma anche quello dei frigoriferi a ghiaccio fu un fenomeno a breve vita.

Figura 6.6. Esempio di ghiacciaia casalinga. Mo-dello in legno della marca REX, anni 1920-30. La struttura: sopra una piccola parte a freezer e sotto la parte a frigo divisa in due o tre ripiani. L’interno della parte superiore (A) si divide in piccola cella freezer a sinistra, ed in uno spazio per i blocchi di ghiaccio - a destra. Sono inoltre ben visibili i due fori di scolo per l’acqua di scio-glimento. In realtà l’uso a freezer era inefficiente e spesso si riempiva di ghiaccio anche la cella, ga-rantendo una miglior conservazione del cibo.

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Il periodo tra le due guerre ha visto il completo collasso del commercio di ghiaccio naturale. L'industria si è completamente rivolta a sistemi di raffreddamento meccanico, permettendo l'adozione in massa dei frigoriferi nelle case, in America già a partire dagli anni 1930 e in Europa dagli anni 1950. Questi nuovi apparecchi hanno forma di parallelepipedo, vengono realizzati in lamierino metallico o in materia plastica e presentano una doppia parete con una intercapedine contenente l’isolante termico non infiammabile. Gli elementi fondamentali sono il compressore, il condensatore (costituito da una serpentina verticale situata dietro la parete posteriore dello stesso), la valvola di espansione (generalmente costituita da un tubo capillare) e l’evaporatore che si trova nella parte superiore del mobile (Schema 6.2). Con la massiccia diffusione dei frigoriferi a corrente elettrica, nei quali una serpentina refrigerante sostituisce il blocco di ghiaccio, la fortuna di un tempo delle fabbriche del ghiaccio artificiale pian piano svanì, fino a far cessare del tutto l’attività. Alla metà del Novecento, infatti, alcune grandi aziende metalmeccaniche come la GENERAL MOTORS (USA), la BOSCH (GER) iniziarono a produrre i primi moderni e costosi apparecchi frigoriferi ad uso familiare.

Grazie al boom economico del dopoguerra, anche le industrie italiane iniziarono ad immettere nel mercato le prime «scatole del freddo», con distretti produttivi di elettrodomestici concentrati essenzialmente al centro-nord. Oltre alla FIAT, che produceva su licenza Westinghouse Electric Corporation i famosi frigoriferi bombati della serie 9000, molte altre aziende artigianali, impegnate dapprima nella costruzione di fornelli, cucine a gas e stufe economiche (come la IGNIS della famiglia Borghi, o la famiglia Zanussi con il marchio REX), si lanciarono nella produzione di frigoriferi elettrici.

Nei primi impianti, i fluidi utilizzati come refrigeranti erano l’Anidride Solforosa (SO2)

Schema 6.2. Schema di un moderno frigori-fero: a) compressore; b) condensatore; c) valvola di espansione; d) evaporatore.

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spinse a proporre sul mercato refrigeranti sintetici più sicuri: i Clorofluorocarburi (CFC), stabili chimicamente e con buone proprietà termodinamiche.

Nel 1974 due scienziati americani, S. Rowland e M. Molina, illustrano la loro teoria secondo la quale il cloro contenuto nei CFC agisce da elemento distruttore dello strato di ozono atmosferico, provocando una maggiore incidenza dei raggi ultravioletti del sole sulla Terra, cioè un aumento dell’effetto serra. L’industria del freddo si è trovata fortemente coinvolta di fronte a queste problematiche, visto che per quarant’anni proprio il Cloro costituiva il punto di forza per ottenere determinati requisiti dei fluidi, che scorrono nelle serpentine refrigeranti dei frigoriferi. Al loro posto si introdussero gli Idroclorofluorocarburi (HCFC) a minore impatto ambientale. Tuttavia nel 1994 alla Conferenza mondiale di Londra si decise di sospendere dal tutto la produzione dei CFC e degli HCFC a favore di nuovi gas, sostituendo la parte di cloro presente con parti di idrogeno. Ciò comporta, però, il dover affrontare un nuovo problema: se la quantità di idrogeno è rilevante, il fluido diventa infiammabile, quindi pericoloso, perciò alla Conferenza mondiale di Kyoto nel 1998, venne deciso di includere anche i refrigeranti HFC (Idrofluorocarburi) tra le sostanze responsabili dell’effetto serra. Negli impianti contemporanei si tende a tornare all’uso di fluidi naturali come acqua, Ammoniaca, Anidride Solforosa o Anidride Carbonica per la loro proprietà di espandersi e liquefarsi con il variare della temperatura o della pressione.

Oggi il frigorifero è un elettrodomestico a portata di tutti, almeno in Paesi con economia avanzata, ma in aree remote la raccolta ed il commercio del ghiaccio naturale continua su piccola scala. Gli opifici per il ghiaccio artificiale sviluppatisi a partire dal XIX secolo vennero invece progressivamente demoliti o convertiti ad altri usi.

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