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Capitolo III

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Capitolo III

La disciplina giuridica del canone Rai per il servizio radiotelevisivo

1. La disciplina del canone di abbonamento

La legittimità dell’imposizione del canone Rai è un vero e proprio cruccio della storia tributaria italiana, che conserva la sua attualità, evidentemente, per l’inadeguatezza delle risposte date al problema dalla giurisprudenza che se n’è occupata, tra le molte e appassionate critiche della dottrina1.

L’art. 27 Regio Decreto 10 luglio 1924 n. 1226 prevedeva la licenza di abbonamento per la ricezione delle trasmissioni radiofoniche soggetta a una tassa fissa di concessione governativa a favore dello Stato e a un diritto di lire cinquanta a favore del concessionario.

Il Regio decreto legge 23 ottobre 1925 n. 1917 stabiliva che spettasse agli uffici postali il rilascio della licenza-abbonamento e

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64 che per essa dovesse essere corrisposta una somma di tre lire annue oltre a otto lire mensili per l’abbonamento.

Il Regio decreto legge n. 2207 del 1927, invece, affidava la prima concessione in esclusiva del servizio all’Eiar2 per una durata venticinquennale e unificava il canone fissandolo in ventisette lire annuali; il Regio decreto legge 20 luglio 1934 n.1203 conferiva al canone di abbonamento il cosiddetto privilegio fiscale.

Assume primaria rilevanza il Regio decreto legge 21 febbraio 1938 n. 246 che contiene la disciplina, tuttora in vigore, del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione. Tre disposizioni della legge approvate in tale data sono tuttora in vigore e non hanno subito alcuna modificazione o integrazione3: in particolare l’art. 1, primo comma, del decreto detta la norma fondamentale in materia, secondo cui è obbligato al pagamento del canone di abbonamento chi detiene uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni.

L’art. 10 detta le condizioni e le procedure attraverso le quali chi non intenda o non possa più usufruire delle radioaudizioni circolari, può ottenere di essere dispensato dal pagamento del

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Ente italiano audizioni radiofoniche.

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65 canone. L’art. 25, infine, disciplina la riscossione del versamento dei canoni e delle relative sopratasse e pene pecuniarie.

Di notevole rilevanza è la Legge n. 103 del 1975 che evidenzia un collegamento fondamentale tra il canone televisivo e il buon funzionamento del servizio pubblico radiotelevisivo. L’art. 15 della suindicata legge stabilisce, fra l’altro, che il fabbisogno finanziario per un’efficiente ed economica gestione dei servizi di cui all’articolo 1;4 è coperto con i canoni di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e con i proventi della pubblicità e con altre entrate.

Il canone di abbonamento è stato analizzato in più di un’occasione poiché spesso sono state avanzate, in tempi diversi, ipotesi d’illegittimità costituzionale. Il problema s’inizia a porre dagli anni ’70 con la fine del monopolio radiotelevisivo, dove non si è più costretti ad ascoltare la radio o la tv da un solo gestore.

Il dubbio d’incostituzionalità sulla legge del 1938 si riferisce al fatto che s’imponeva il pagamento di un abbonamento in favore della sola Rai, per la mera detenzione di un apparecchio, anche quando non era possibile ricevere i programmi della concessionaria

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Vale a dire il servizio pubblico di diffusione circolare di programmi radiofonici via etere, via filo, via cavo o con qualsiasi altro mezzo.

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66 del servizio pubblico; è stato inoltre contestato che non fosse graduato in base alle fasce di reddito.

Si parla allora di prestazione imposta data l’essenzialità del servizio pubblico di diffusione circolare di programmi radiofonici e televisivi, assegnando a tale servizio la finalità di ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione5. La RAI giustifica il pagamento del canone con il fatto che è l’unica concessionaria del pubblico servizio deputata a organizzare e a svolgere il servizio pubblico, data la sua natura di società per azioni a totale partecipazione statale, in modo da garantire la più ampia rappresentanza delle istanze politiche, sociali e culturali presenti a livello nazionale e locale nel Paese.

In quest’ottica si giustifica la previsione di una fonte certa di finanziamento, basata sul prelievo di tipo tributario, che, a fronte dell’indefettibilità dei fini sopra individuati, assicura la stabilità del loro perseguimento, affrancando, almeno parzialmente, la concessionaria del servizio pubblico dalla realtà del mercato radiotelevisivo, condizionata dalla quantità degli ascolti, evitando

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G. La Sala, Le prestazioni imposte nell’ordinamento tributario e parafiscale, Milano, Giuffré, 2006, p. 75-76.

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67 quindi che la programmazione sia piegata alle sole esigenze quantitative dell'ascolto e della raccolta pubblicitaria e non si omologhi alle scelte proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto mercato radiotelevisivo.

2. Configurazione del canone come tassa

La natura giuridica del canone ha formato oggetto di dibattito sin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento giuridico: le opinioni furono per decenni divise tra chi lo riteneva il corrispettivo di una prestazione fornita da un’impresa pubblica e chi lo qualificava come una tassa. Le prime critiche giunsero all’indomani della sentenza della Corte costituzionale6, che sostenne come il canone costituiva non una tassa ma il corrispettivo di una prestazione fornita da un’impresa pubblica7.

Tale tesi era sicuramente la minoritaria perché la maggioranza della dottrina e la totalitaria giurisprudenza qualificavano il canone come tassa per diverse ragioni. Si sosteneva che, essendo il servizio di radiodiffusione circolare di preminente interesse generale e

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C. Cost., 20 maggio 1963, n. 81, in Giur. cost., 1963.

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68 diretto al perseguimento di fini di utilità generale, fosse riservato allo Stato e da questo affidato in concessione alla RAI; in conseguenza di quanto detto il rapporto che s’instaurava con l’utente avrebbe avuto natura pubblicistica e non contrattuale privatistica.

L’obbligo di pagamento del canone sorgeva non in virtù di una manifestazione negoziale specificamente diretta a ottenere la prestazione ma per la semplice possibilità di usufruire del servizio pubblico e indipendentemente dal suo effettivo godimento. A sostegno di quanto in precedenza detto vi era infine il disposto dell’art. 7 della convenzione con la Rai8 che espressamente qualificava il canone come tassa.

Gli studiosi erano fermi nell’escludere ogni possibilità di configurare il canone Rai come imposta giacché si negava che la detenzione dell’apparecchio idoneo alla ricezione potesse configurarsi quale manifestazione di capacità contributiva del soggetto9.

Le conseguenze dell’affermata natura di tassa erano allora tanto naturali quanto eque. La Corte di Cassazione non ebbe

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Approvata col D. P. R. 26 gennaio 1952, n. 180.

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69 esitazioni nel qualificare il canone così come affermato dalla Corte costituzionale e anzi precisò che la ragione del canone di abbonamento RAI era la stessa del tributo comunale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani10. Per questo, nel caso di mancato raggiungimento in talune zone di un Comune, del servizio di raccolta e di trasporto dei rifiuti solidi urbani, la giurisprudenza tributaria era ed è sempre stata concorde nel ritenere non dovuta la tassa a carico dei cittadini non serviti in quanto, pur vigendo la presunzione assoluta di godimento del servizio, tale presunzione non poteva certo valere nell’ipotesi di accertata non estensione dello stesso alla zona di ubicazione del locale oggetto della tassazione11.

La giurisprudenza, muovendo dalla premessa che l’obbligo di corresponsione del canone radiotelevisivo dipendeva dall’effettiva erogazione e godimento del servizio, terminava che non erano tenuti al pagamento i cittadini che, pur detenendo un apparecchio radiotelevisivo, fossero impossibilitati a ricevere i programmi della concessionaria pubblica12.

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C. Cass., 15 dicembre 1970, n. 864, in Giur. it., 1970.

11

Comm. Trib., 15 febbraio 1966, n. 81500, in Boll. Trib., 1966.

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70 L’intero ragionamento pro tassa era sostenuto dal fatto che il canone RAI era stato istituito quando l’azienda pubblica era monopolista e pertanto valeva la presunzione che chi possedeva un apparecchio radio-tv lo usasse per vedere e ascoltare esclusivamente i programmi RAI tv. Lo scenario mutò poiché la tecnologia rese possibile anche l’utilizzazione dell’apparecchio per la ricezione di trasmissioni private o estere.

Il legislatore, allora, per salvare il canone, stabilì che l’obbligo di pagamento del canone e della tassa di concessione governativa incombeva anche ai possessori di apparecchi idonei alla ricezione di trasmissioni sonore o televisive via cavo o estere13. Così facendo era ancora possibile ragionare in termini di tassa perché, come puntualmente osservato, la disposizione non specificava in alcun modo che questa dovesse essere corrisposta da chi possedeva apparecchi atti o adattabili soltanto alla ricezione di trasmissioni private via cavo o estere, ma si limitava semplicemente ad affermare che l’obbligo di pagamento non potesse essere escluso

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71 per il solo fatto che l’apparecchio fosse in grado di ricevere anche tali trasmissioni14.

Si cercò in definitiva di salvare l’intera posizione assunta dalla Corte costituzionale da circa un ventennio.

3. Il revirement della Corte costituzionale e la configurazione del canone come imposta

Una svolta epocale si ebbe nel 1988 quando la stessa Corte costituzionale, traendo spunto dalla norma dettata nel 1975, mutò radicalmente opinione riguardo alla natura del canone-tassa. La Corte in realtà impiegò più di cinque anni nel cambiare opinione giacché tutto partì dal Tribunale di Torino15 che sollevò una questione di legittimità costituzionale dopo che gli abitanti di Marcheno in Val Trompia avevano radicato una lite che aveva per oggetto il loro rifiuto di pagare all’U.r.a.r16 il canone di abbonamento radiotelevisivo perché materialmente impossibilitati a ricevere i programmi irradiati dalle diverse reti della RAI.

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A. Franco, Natura e profili costituzionali del canone di abbonamento nel quadro del

rapporto d’utenza radiotelevisiva, in Giur. Cost., I, 1983, p. 1629-1630.

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Ordinanza del 14 maggio 1982.

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72 La Corte, non senza imbarazzo, condusse la qualificazione giuridica del canone radiotelevisivo nel vasto campo dei tributi-imposte sganciando la causa giustificatrice della particolare prestazione dalla fruibilità dello specifico servizio pubblico. Ciò che si oppose all’accoglimento dei cittadini di Marcheno non furono le norme impugnate bensì il secondo comma dell’art. 15 della Legge 14 aprile 1975 n. 103 per il quale, non si trattava più di mera possibilità di uso del servizio fornito dallo Stato italiano ma anche alla possibilità di fruire dei servizi forniti da Stati esteri e dalle emittenti private. Per giustificare pertanto la persistenza del tributo, pur quando non era fornito dallo Stato alcun servizio, si fece da altri riferimento alla polizia e all’amministrazione dell’etere su cui lo Stato è sovrano trasferendo così il discorso nel vasto campo dei tributi-imposte17.

Avendo la Corte costituzionale ricondotto il canone radiotelevisivo alla nozione di tributo, questo si fonda sul presupposto della sua riconducibilità a una manifestazione, ragionevolmente individuata, di capacità contributiva; in questo caso consisterebbe nella mera detenzione di un apparecchio

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73 radiotelevisivo. Dal presupposto non si può prescindere perché deve ancorare il prelievo a un fatto che sia indice di capacità contributiva: lo impone l’art. 53 della Costituzione. È, quindi, evidente che non è sufficiente qualificare un’entrata di diritto pubblico come un’imposta perché occorre chiedersi anche di quale imposta si tratta. Purtroppo la giurisprudenza ha trascurato e trascura questa problematica non essendo per nulla facile definirla: non può essere un’imposta sui redditi, non può esserla sul patrimonio né sul consumo.

Il canone, in definitiva, è un’imposta senza oggetto proprio perché non si riesce a individuare quale sia il suo presupposto e quale sia la capacità contributiva colpita. Un’imposta così, però, viola la Costituzione giacché, per il rispetto dell’art. 23, la prestazione deve essere sufficientemente determinata e cioè devono essere indicati gli elementi idonei a identificarne l’imposizione, la fattispecie imponibile e il soggetto obbligato ad adempiere.

Il dato sottaciuto dell’intero imbarazzante comportamento della Corte fu l’evidente volontà politica di mantenere la fonte di finanziamento pubblico del servizio; si passò dalla giustificazione

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74 del paghi perché guardavi la RAI a quella del paghi perché hai il televisore18.

Il Legislatore, in tutto questo, si dimostrò inerte di fronte alla concreta situazione dei cittadini di Marcheno e, in generale, ai progressi della tecnologia; si scrisse addirittura che il canone era divenuto un’imposta sul soprammobile. Si palesò un’ostinata chiusura della Corte a ogni legittima reazione contro l’evidente ingiustizia del privilegio concesso alla RAI.

Anche la Corte di Strasburgo fu chiamata a pronunciarsi sulla natura e sui limiti del canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo. Per la suindicata Corte fu palese come il canone di abbonamento fosse un effettivo aiuto di Stato e come tale incompatibile con i principi europeisti; nonostante questo continuò però a trovare applicazione in ragione del fatto che era già applicato in precedenza e fu modificato solo per venire incontro all’evoluzione della tecnica, e per adeguare l’importo al costo della vita e alla dinamica dei prezzi, lasciando, in ogni caso, impregiudicata la sua struttura e la sua natura tributaria. Si trattò

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75 dunque di aiuto preesistente e come tale tollerato dal diritto comunitario.

4. Ambito di applicazione e casi di esclusione o esonero

L’ambito di applicazione del canone, almeno fino al 2010, era facilmente individuabile data la ristretta cerchia di apparecchi abilitati. Con l’innovazione tecnologica, invece, diventa terribilmente complicato individuarli. Applicare la tassa sulla base dell’elemento oggettivo imporrebbe che fosse estesa ai possessori di qualunque apparecchio omologato per la ricezione di radioaudizioni; individuare chi debba pagare rappresenta una problematica non meno importante.

La concessionaria del servizio pubblico esercita la sua azione esattoriale nei confronti di tutti i cittadini e tutto ciò si risolve con la soluzione più cara e cioè l’evasione dal pagamento dovuto. Dai dati resi pubblici19 emerge che la maggioranza delle famiglie non paga il canone perché costretta ad assistere alla pubblicità sulla Tv pubblica oppure perché in caso di evasione siamo in presenza di

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76 una non efficace sanzione punitiva. I più giustizialisti, invece, motivano il rifiuto di pagamento adducendo l’assenza di ragione giuridica sottesa all’obbligo imposto dal legislatore; è innegabile che sia errato imporre la sottoscrizione di un abbonamento per legge20.

Si sottoscrive un abbonamento quando si ha intenzione di usufruire del medesimo. L’abbonamento RAI è legato, invece, alla semplice detenzione di un apparecchio atto alla ricezione delle radioaudizioni a prescindere dal fatto che gli abbonati guardino i programmi RAI oppure siano utenti della pay-tv.

Con la Finanziaria 2008, al fine di tutelare i soggetti più anziani che si trovano in una situazione di particolare disagio socio-economico, si è prevista l’abolizione del pagamento del canone RAI esclusivamente per l’apparecchio televisivo ubicato presso il luogo di residenza dei contribuenti aventi i requisiti per accedere a tale agevolazione. La normativa prevede, infatti, non soltanto che i soggetti che possono usufruire del beneficio fiscale debbano avere un’età superiore a settantacinque anni, ma che versino anche in particolari situazioni economiche. Il limite di reddito annuo, infatti,

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A. Giordano, Canone Rai: riflessioni su una delle tasse a più elevato indice di intolleranza, in Fisco, 2011, 6-parte 1, 861.

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77 non deve essere superiore complessivamente a 516,46 € per tredici mensilità e infine non sono ammessi all’agevolazione i contribuenti che convivano con altri soggetti titolari di reddito proprio. Soltanto al verificarsi di tutti i presupposti è possibile avvalersi di tale agevolazione.

L’Agenzia delle Entrate21 ha precisato che i contribuenti esonerati dal pagamento dell’abbonamento devono compilare un apposito modello contenente la dichiarazione che attesti il possesso dei suddetti requisiti. Per quanto attiene all’aspetto sanzionatorio, preme evidenziare che, in caso di abuso della disposizione, oltre al pagamento del canone evaso e agli interessi maturati, è prevista una sanzione amministrativa per ogni annualità per cui non è stato eseguito il versamento.

Un cenno particolare lo merita il canone speciale RAI. Questo è obbligatorio per i soggetti che detengono apparecchi atti alla ricezione delle trasmissioni radio-televisive fuori dall’ambito familiare. La tematica è rimasta sostanzialmente nell’ombra sino al 2011, momento dal quale, complice anche l’evoluzione tecnologica, è stato introdotto l’obbligo, per le imprese, di indicare il canone

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78 nella dichiarazione dei redditi22. Ciò che rileva è la semplice detenzione dell’apparecchio e non l’effettivo utilizzo o il lucro ed è riferito a tutti quelli che detengano l’apparecchio fuori dall’ambito familiare.

Gli approfondimenti giurisprudenziali hanno sancito la legittimità di tale forma impositiva essendo stata ritenuta condivisibile la scelta del Legislatore di legare l’obbligo del pagamento del canone al mero possesso del mezzo tecnico atto o adattabile a ricevere il segnale Tv in tutte le forme tecnicamente possibili. In seguito, al fine di delimitare tecnicamente l’ambito di applicazione, sono state ritenute assoggettabili a canone tutte le apparecchiature munite di sintonizzatore per la ricezione del segnale di radiodiffusione dell’antenna radiotelevisiva23.

Il canone speciale ha validità limitata all’indirizzo per cui è stipulato pertanto, chi detenga più apparecchi in sedi diverse, dovrà stipulare un canone per ciascuna di esse oltre al fatto che in caso di mancato utilizzo è necessario inviare specifica disdetta alla RAI specificando la destinazione dello strumento. I titolari di canone speciale non in regola con i pagamenti sono tenuti a pagare il

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Art. 17 del D. L. n. 201 del 6 dicembre 2011.

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Nota del 22 febbraio 2012 del Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per le Comunicazioni.

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79 dovuto maggiorato degli interessi al tasso legale e delle spese della riscossione coattiva eventualmente promossa dall’Amministrazione finanziaria; il mancato pagamento può essere accertato, oltre che dai dipendenti preposti al controllo, anche dalla Guardia di Finanza, che comminerà una sanzione amministrativa.

Come previsto per il canone ordinario, anche per il canone speciale sono esonerati alcuni soggetti come le scuole materne, elementari, medie, superiori e le Università. Tali, possono ottenere una licenza gratuita alle radiodiffusioni per la detenzione di apparecchi radiotelevisivi a uso esclusivamente didattico, mediante presentazione di corretta richiesta alla RAI.

5. Qualificazione del canone e missione di servizio pubblico

Allo stato attuale il servizio pubblico radiotelevisivo si regge, com’è noto, su un corpus legislativo che ha due punti essenziali di riferimento. Da un lato, quanto rimane dell’importante riforma di metà degli anni ’7024 ormai del tutto superata ove si escluda la parte che concerne l’istituzione, la composizione e le funzioni della Commissione parlamentare d’indirizzo e vigilanza. Dall’altro, e

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80 soprattutto, gli articoli 45-49 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (ora TUSMAR), a sua volta trasposizione degli articoli 16-20 della legge n. 112/200425. La domanda che, nel nuovo contesto tecnologico e di mercato che scaturisce dalla rivoluzione digitale dell’ultimo decennio, si rende necessaria è quella se ha senso un servizio pubblico radiotelevisivo come lo abbiamo inteso e disciplinato fino a oggi.

La perdurante situazione di concentrazione di audience e risorse economiche nell’informazione televisiva nel nostro Paese - pur in un contesto in rapido mutamento, in cui crescono esponenzialmente l’offerta di contenuti e le opportunità d’informazione - unita al ruolo declinante dei giornali e delle tradizionali imprese d’informazione a stampa, continua a giustificare, persino al di là della cornice di principi e regole stabilite in ambito comunitario, la presenza di canali pubblici d’informazione gestiti sulla base di un mandato legislativo chiaro e trasparente in funzione di tutela del pluralismo informativo e di valorizzazione della funzione pubblica dell’informazione.

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81 Da qualche tempo, ormai, la RAI corre un duplice rischio: quello della perdurante e permanente paralisi decisionale frutto di una governance obsoleta e inadeguata, e quello dello smarrimento della funzione e della vocazione di servizio pubblico per effetto degli stravolgimenti indotti dal nuovo scenario tecnologico26.

Nonostante il calo derivante dalla crisi dell’ultimo quinquennio, la pubblicità continua ad avere un peso, in Italia, relativamente maggiore che altrove, superiore a 1/3 dei ricavi complessivi. Alla luce di queste considerazioni, ci si dovrebbe preoccupare se un pezzo del sistema prende il netto sopravvento, emarginando gli altri. Si fa l’esempio del mezzo e della risorsa più dinamica: se la Tv commerciale e l’annessa risorsa pubblicità tendono ad avere il netto predominio, si rischia il mancato decollo della Tv a pagamento e, nel frattempo, la possibilità che il servizio pubblico sia emarginato, per scarsità delle risorse, in altre parole si omologhi alla stessa Tv commerciale poiché tenderebbe sempre più ad attingere, per reggere la concorrenza, risorse dalla stessa

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F. Bruno, Il servizio pubblico radiotelevisivo nell’ordinamento comunitario e nazionale. Idee

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82 pubblicità. In questo modo il sistema perderebbe il principale fattore di ricchezza, cioè la pluralità effettiva dei mezzi televisivi27.

E’ accaduto che al servizio pubblico radiotelevisivo in Italia siano state affidate contemporaneamente due missioni di pari peso e in sostanziale conflitto tra loro: il perseguimento della qualità e del valore pubblico del prodotto e il compito di competere con le televisioni private sul fronte della raccolta pubblicitaria. Ridurre questa dipendenza significa ripensare il canone, valorizzarne il ruolo, differenziarne l’entità in ragione della capacità del contribuente; soprattutto assicurarne, attraverso le opportune soluzioni tecnico-giuridiche, l’effettiva riscossione, invertendo in tal modo la storica situazione di evasione ed elusione, e garantendo all’azienda un cespite certo in un intervallo pluriennale. La scelta del canone, al fine di finanziare il servizio pubblico radiotelevisivo, appare la più idonea a garantire l’indipendenza dell'emittente dalla politica, purché la fissazione del suo ammontare sia fatta per periodi coincidenti con la durata del contratto di servizio, così da consentire

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F. De Vescovi, Tv: omologazione o diversificazione? Pubblico, commerciale, a pagamento:

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83 all’emittente una più agevole programmazione dei propri compiti di servizio pubblico28.

Volgendo lo sguardo al panorama europeo sul finanziamento per l’erogazione del servizio pubblico, lo scenario è piuttosto variegato: c’è chi ha preferito l’adozione di un canone motivandolo con l’esigenza di garantire l’indipendenza del servizio pubblico29 e chi, all’opposto, ha scelto di sostenere la vocazione pubblicistica dell’emittenza senza gravare sugli utenti, utilizzando gli introiti pubblicitari30. Si fa sempre più strada la consapevolezza che l’uso dei mass media deve sostenere uno spazio audiovisivo che debba garantire il pluralismo delle idee e un sereno confronto democratico.

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F. Bassanini, Riforma del servizio pubblico radiotelevisivo e della governance della RAI, in

Astrid-online.it, 28.11.2014, p. 22.

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Francia, Gran Bretagna e Germania.

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