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2. POLO DE MEDINA 2.1 CENNI BIOGRAFICO-LETTERARI

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2. POLO DE MEDINA

2.1 CENNI BIOGRAFICO-LETTERARI124

Non sono molte le notizie biografiche sull’autore, che si mostrò quasi esclusivamente attraverso le sue opere. Si conosce che Salvador Jacinto Polo de Medina nacque a Mursia, in quella casa vicino alla Cattedrale dove poi avrebbe trascorso l’ultima fase della sua vita, da Antonio Medina e Juliana Polo e venne battezzato il 15 Agosto 1603 (il cognome materno anteposto non era affatto raro al tempo e potrebbe derivare da una scelta personale125). La sua gioventù non fu prospera né agiata e dovette passarla sotto la protezione di alcune grandi famiglie di Mursia (Usodemar, Sandoval, Fajardo); i suoi studi furono ecclesiastici e probabilmente l’umanista mursiano Francisco Cascales lo istruì nell’arte della poesia. Dimostrò subito una rapida assimilazione della cultura e della letteratura, con un tono sempre giocoso e allegro: prova di ciò sono le sue Academias del Jardín, che riassumono le numerose riunioni letterarie che si organizzavano nella tenuta di Espinardo, nel palazzo degli omonimi marchesi. Dedicato a don Antonio Usodemar y Narváez, il libro venne terminato nel 1630, ma Polo lo aveva scritto negli anni precedenti, accumulando fatti e poesie delle varie accademie letterarie della Mursia seicentesca. Da quest’opera risultò una caratteristica peculiare dell’autore: la posizione di Polo rispetto alle lettere era allegra, divertente,

124 Per le fonti biografiche si rimanda a: COSSÍO, José María de (1939), Notas y Estudios de

Crítica Literaria. Siglo XVII. Espinosa, Góngora, Gracián, Calderón, Polo de Medina, Solís,

Espasa-Calpe, Madrid, pp. 115-134; POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto (1948), Obras

Completas de Salvador Jacinto Polo de Medina, VALBUENA PRAT Ángel (ed. de), Sucesores de

Nogués, Murcia, pp. V-XXXVI; POGGI, Giulia (1973), «Polo de Medina, Poeta Gongorino», in AA.VV., Venezia nella letteratura spagnola e altri studi barocchi, Liviana editrice, Padova, pp. 87-92; POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto (1987), Poesía ― Hospital de Incurables, DÍEZ DE REVENGA Francisco Javier (ed. de), Cátedra, Madrid, pp. 9-25; CANAVAGGIO, Jean (1995),

Historia de la literatura española, Ariel, Barcelona, pp. 162-169; PROFETI, Maria Grazia (1998), L’età d’oro della letteratura spagnola: il Seicento, La Nuova Italia, Firenze, pp. 408-409; DÍEZ

DE REVENGA, Francisco Javier (2000), Polo de Medina, poeta del barroco, Academia Alfonso X el Sabio, Murcia, pp. 37-61; MARÍN UREÑA, José Manuel (2001), Perfiles de un mundo. Polo

de Medina y su biografía literaria, in «Murgetana», n. 104, pp. 105-109; VICENTE GÓMEZ,

Francisco (2001), Vigencia de Polo de Medina, in «Monteagudo», n. 6, 3a época, pp. 113-116.

125 «El dar preferencia a este apellido se debe […] a un hipotético parentesco con la poderosa

familia Usodemar, ya que […] el fundador del apellido fue un tal Micer Polo Usodemar, o también, aunque menos probable, por gustarle a Jacinto las resonancias mitológicas del apellido Polo, nada extraño, sin embargo, en un joven como nuestro poeta amigo de fantasías y representaciones» (cfr. POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto 1987, op. cit., p. 14).

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52 spassionata e il giovane poeta era l’anima delle feste, l’organizzatore e persino l’animatore di incontri e riunioni, fino a svolgere il ruolo di protagonista principale dell’opera, ch’egli stesso allestì nelle Academias, No hay vida como la honra di Juan Pérez de Montalbán.

Nel 1630 viaggiò a Madrid, dove entrò nel circolo di Lope de Vega e strinse amicizia con Montalbán; qui vennero pubblicate le Academias del Jardín e El buen humor de las musas (entrambe supervisionate e approvate dallo stesso Lope e da José de Valdivielso), delle quali la seconda spicca soprattutto per gli argomenti e i toni quevediani, mai violenti però, dietro alle cui caricature risiede l’interesse per la società del suo tempo126

. I continui attacchi contro il culteranismo che appaiono nelle due opere, probabilmente derivati dall’istruzione di Cascales, caddero a pennello nel circolo di Lope e per questo Montalbán e Solís Ribadeneyra dedicarono a Polo componimenti laudatori che fanno da proemio alle Academias. Da alcune lettere sappiamo anche che la sua vita a Madrid non fu proprio piacevole, trascorsa a metà tra la fame e la vita cortigiana.

Tornò a Mursia nel 1631, poiché in quell’anno nella città si celebrò la beatificazione di San Juan de Dios e per l’occasione venne organizzata una festa e una gara poetica alla quale parteciparono molti poeti, tra i quali lo stesso Polo, di sicuro ormai diventato sacerdote. Nell’anno 1633 l’autore si dedicò con grande fervore alla letteratura e pubblicò a Mursia la sua opera migliore, Ocios de la soledad, considerata la più perfetta delle sue creazioni, la più completa e la più personale. Il componimento è interessante per comprendere sia il comportamento di Polo verso la nobiltà, che invita a godere della bellezza della campagna, sia il rapporto verso la stessa natura, che se nelle Academias faceva solo da sfondo, qui diventa motivo fondamentale e ritorna con toni più accesi e sentiti. L’opera si lega al classico topos oraziano del beatus ille, ma nell’evocazione campestre e ortofrutticola non appare alcuna lezione morale: Polo de Medina adotta una visione puramente contemplativa ed esaltatrice del paesaggio naturale,

126 Importante nell’opera è anche, per il tema da me trattato, il romance A una manzana que dió

una dama a un galán, dove si citano frutti e fiori e il romance giocoso A las flores, che riprende e

ridicolizza, nell’elencazione dei vari fiori personificati in ridicoli personaggi della corte, le due composizioni gongorine Del Palacio de la Primavera (1609) e Aprended, Flores, en mí (1621), che indicano la conoscenza da parte dell’autore delle composizioni che il cordovese aveva dedicato ai fiori.

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53 descrivendone minuziosamente le sue meraviglie e attuando una “poetizzazione botanica” dell’elemento vegetale127

. È l’opera di maggior impegno del poeta mursiano, nella quale l’invito alla vita ritirata nella campagna di Mursia venne narrata attraverso tratti formali marcatamente gongorini: fu perciò un prodotto squisitamente barocco per il gusto per gli effetti sensoriali e per il colore (come nei fiori che aprivano la Academia Primera), per la bimembrazione, per le metafore colorite sui fiori e sulla frutta, per la personificazione, per il prospettivismo del tema ser/parecer tipico dell’uomo barocco, per il passare del tempo, ecc. In Ocios de la soledad il sentimento della natura è davvero potente e vivo, soprattutto nella descrizione entusiasta dei fiori, degli alberi, dei frutti e degli animali, che costituiscono quadri indipendenti e rivelano il grande amore di Polo per l’ambiente naturale e per l’elogio della verità della natura rispetto al disprezzo per le lusinghe della città (il tutto accennato già nel suo primo scritto e ampliato qui fino all’estremo128

).

L’anno successivo pubblicò la Fábula burlesca de Apolo y Dafne, in cui offrì molti dati personali sulla sua vita, posizione e gioventù; in quel momento il poeta scriveva per il suo divertimento, elemento che indica una spiccata propensione alla burla, sempre e comunque senza cattive intenzioni, e temeva i maliziosi e i chiacchieroni che probabilmente lo attaccavano e gli rendevano l’esistenza sgradevole:

Porque no se enconassen mas vnas melancolias, que estos dias me lleuauan a maltraer, y me tenian enojado el gusto, quise diuertirme, escriuiendo de burlas [...] vnos destos pues, rebentando de graues, dixeron que no les estaua bien a mi authoridad el entregarme mucho a escritos tan poco serios [...] Mas yo les respondo, que como los versos son en mi diuiertimento y no caudal, escriuo lo que más me entretiene y lo que más tiene que ver con mis pocos años129.

127 Delle trenta strofe in cui Díez de Revenga divide il componimento, nove sono specificatamente

dedicate ora al giardino e alla sua cura, ora a varie specie di fiori, ora a particolari tipi di frutta (cfr. DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier 2000, op. cit., p. 123).

128

«La minuciosa y evocadora enumeración del ambiente que convida entre flores, arroyuelos, frutos..., llega a su máxima expresión barroca» (cfr. BARCELÓ JIMÉNEZ, Juan (1970), Estudio

sobre la lírica barroca en Murcia (1600-1650), in «Murgetana», n. 32, p. 78).

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54 Con tale opera si consacrò come maestro e coniatore indiscutibile del genere della fábula mitologico-burlesca130: la mitologia che aveva accompagnato le sue poesie precedenti diventò strumento di critica di topoi e temi letterari (primo fra tutti il culteranismo) e di ribassamento di auctoritas tradizionali, fino a ridurre i protagonisti all’ambiente quotidiano e alla mala vita.

Negli anni successivi le critiche dovettero intensificarsi poiché decise di pubblicare fuori Mursia, a Orihuela, il suo Hospital de incurables (1636), la sua opera più divertente: il poeta era deluso dai suoi compaesani e l’attacco alla società mursiana fu diretto (benché non si conosca il problema che per molti anni rese malinconico e amareggiato il poeta). Fu l’unica opera dell’autore di carattere narrativo, nella quale egli viaggia per questo mondo e per quello dell’aldilà facendo una critica acuta a vizi e tipi della società (e non a caso porta come sottotitolo Viaje de este mundo y el otro, che lo lega al Sueño del infierno di Quevedo, pubblicato in un secondo momento col titolo Las zahúrdas de Plutón). L’opera si basa sulla comune satira politico-sociale dei modi e delle abitudini dell’epoca, ma mai con toni violenti, bensì ricorrendo ad aneddoti divertenti: guidato all’inizio da un diavolo, passa in rassegna la sfilata di peccatori che gli si apre davanti e le città da cui essi provengono, tra le quali spicca Valencia, città dei fiori e della primavera, sbeffeggiata da Polo (proprio lui che era stato «el cantor gongorino de tantas y tan diversas flores […]»131

). Nel prologo al romanzo si trovano inoltre interessanti dati: l’autore riporta che la Fábula de Pan y Siringa, da lui stesso composta, era stata stampata senza il suo consenso (a Piedrabuena, nel 1636) e menziona pure altre due opere future che non ci sono mai pervenute (Descanso de las veras, opera in prosa, e Irene y Carlo, in verso132).

Nel 1637 uscì a Madrid una seconda edizione de El buen humor de las musas, che indica il successo dell’opera rispetto alle Academias e la consacrazione di Polo come autore festivo e burlesco. Nello stesso anno morì la madre del poeta, anche se Polo non tornò a Mursia, ma restò a Madrid, dove

130 «A Polo de Medina le corresponde el papel histórico de haber sido el acuñador de un producto

típico de la literatura barroca: la fábula mitológica-burlesca en la que una escuela, el culteranismo, creadora de las originales fábulas mitológicas ovidianas, se estaba burlando de sí misma» (cfr. DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier 2010, op. cit., p. 79).

131 DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier 2000, op. cit., p. 201.

132 L’autore, probabilmente, non arrivò a scriverle, a meno che la prima non avesse poi cambiato

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55 condivideva amicizie e componimenti con i poeti e letterati della corte, i quali continuavano a dedicargli elogi133.

Nel 1639 si sa che Polo era diventato segretario del vescovo di Lugo e che fino al 1640 non tornò a Mursia, data dalla quale scompaiono le notizie biografiche sull’autore: la sua residenza probabilmente venne fissata a Mursia dal 1645, dove l’anno seguente il vescovo di Lugo lo dovette nominare rettore del Seminario di San Fulgencio.

Nel 1657 apparì il Gobierno moral a Lelio a Mursia, dedicato a Don Alonso Sandoval Usodemar y Fajardo, nipote del dedicatario delle Academias, che con lo pseudonimo di Lelio è colui che Polo istruisce nel suo libro. I dodici trattati, intercalati da composizioni poetiche, oltre a confermarci il vincolo dell’autore con famiglie illustri, ci offre un’ulteriore facciata della personalità del poeta: quella del moralista, dell’uomo maturo che vede il mondo da un’altra prospettiva, anche se la sua fama è legata alla figura di poeta burlesco e comico. Non a caso scrive al lettore, attraverso una metafora vegetale:

Las acciones de la juventud siempre son más vistosas que sustanciales. El árbol en las flores estudia el fruto. Esto digo por mis primeros años que se divirtieron en scribir algunos donaires; decente empleo fueron de entonces, que tengo por especie de locura el demasiado seso en la mocedad. Tiene cada edad su genio134.

Nel trattato dottrinale traspare la sua preoccupazione per il mondo e per la vita, racchiusa in precetti, idee e norme di comportamento; tornano i temi cari al Seicento, ma il tono è più serio, severo e grave e se l’opera è per lo più in prosa, Polo non si è dimenticato del verso culterano esercitato in gioventù, con cui conclude ogni capitolo poetizzandone i temi trattati. Anche i fiori sono presenti, precisamente la rosa, nei sonetti che chiudono il VI e X capitolo: nel primo fa assumere al fiore valenze ascetiche e moraliste, quali il passare del tempo, l’avvicinarsi della morte, l’inevitabilità del fato, ecc., che inquadrano il fiore in un

133 In aggiunta, Polo dedicò una silva alla precoce morte del suo amico Juan Pérez de Montalbán

nel 1638.

134

DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier 2000, op. cit., p. 58. Tutte le opere di Polo sono anticipate da scuse, come se l’autore volesse legittimarne il carattere giovanile, persino nel

Gobierno moral a Lelio, che così tanto contrasta con le prime opere per il suo carattere maturo e

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56 dolente Collige, virgo, rosas e che così tanto lo allontanano dalla più amena composizione sulla rosa delle Academias; il secondo reitera il tema della morte caricandolo di accumulazioni barocche di sofferenze, dato che qui la rosa è attaccata da un verme. L’autore era diventato un didattico e severo scrittore, aveva rinunciato al mondo degli aneddoti e delle satire per penetrare nello stile sentenzioso e grave.

Nel 1664 scrisse un sonetto di circostanza e poi scomparve fino al 18 dicembre 1676, quando firmò il proprio testamento, in cui dichiarò erede dei propri beni il suo criado Ginés Medina e precisò che desiderava essere seppellito nella Chiesa di Santa Catalina, accanto al padre.

Polo de Medina è stato lasciato, per quasi due secoli dopo la sua morte, in un ingiusto stato di dimenticanza e oblio, non solo in quanto poeta minore, ma soprattutto perché oscurato dalla preponderante figura di Góngora135; legato esclusivamente alla sua opera festiva e alla sua facciata di scrittore giocoso e burlesco, sarà solo nel 1927, precisamente con l’opera Antología poética en honor de Góngora di Gerardo Diego, che l’autore mursiano sarà riabilitato e ne verrà riportata alla luce la sua anima culterana, la sua personalità di giovane poeta barocco e quella di maturo moralista disilluso.

Polo de Medina sarà così riscoperto come poeta dalla molteplice personalità, che riversò nella sua produzione letteraria, parlandoci attraverso di essa: i suoi primi libri descrivono una gioventù allegra e gioiosa, gli ultimi invece una maturità sagace e riflessiva. Compilatore di miscellanee accademiche, poeta di circostanza, autore satirico e festivo, maestro indiscusso del genere mitologico-burlesco, romanziere quevedesco e infine moralista disilluso, Polo de Medina fu, pertanto, un uomo le cui opere condensarono sinteticamente tutta la letteratura del suo secolo e il cui ritratto venne definito dalle sue stesse parole136.

135 Nessuno si dedicò al poeta fino al 1857, con l’opera Poetas líricos de los siglos XVI y XVII di

Adolfo de Castro, alla quale succedettero lo studio di Andrés Baquero (1878) e quello del parroco della Chiesa di Santa Catalina Antonio J. González (1895); quest’ultimo «[...]con su labor, dió a conocer prácticamente todo lo que hoy sabemos sobre la vida de Jacinto» (cfr. DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier (1974), Polo de Medina estudiado en Italia, in «Murgetana», n. 39, p. 76).

136

«Aquel clérigo flaco, no bajo ni alto, de cabeza chica, castaño el cabello, con entradas y copete, nariz afilada, barba y bigotes desvanecidos, como esparcidos por hisopo; alto y encorvado de cuerpo, de pies grandes, etc. etc., según él mismo se retrata en su Buen humor de las musas» (cfr. DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier 2000, op. cit., p. 61).

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57 2.2 ACADEMIAS DEL JARDÍN

2.2.1 L’OPERA COME SPECCHIO DI UN POETA

Nel 1630, all’età di ventisette anni, Polo de Medina pubblicò la sua prima opera, Academias del jardín, che ricevette approvazioni ed encomi dai più famosi poeti dell’ambiente di Madrid (come Lope de Vega, Montalbán e Solís Ribadeneyra). L’opera, che si inserisce nel gruppo delle miscellanee137, ci offre straordinari versi e discorsi su vari temi, ruotando su quelle preoccupazioni politiche, letterarie e sociali del tempo che allarmavano artisticamente e spiritualmente Polo e indicandoci dettagli rivelatori sul carattere e sulla personalità dell’autore (come prova dell’intenso valore autobiografico delle sue parole).

È stata definita «una antología poética de amigos»138 e una «novela académica»139, generi che così tanto proliferarono negli anni trenta del secolo in tutta la Spagna e che ebbero come nucleo centrale una festa, una riunione letteraria che si dilungava per vari giorni, durante i quali i partecipanti cantavano, ballavano, recitavano versi e rappresentavano opere teatrali140. In particolare, quella di Polo de Medina rappresenta il riassunto delle riunioni letterarie che si celebrarono nel vicino paese di Espinardo, nel giardino del palazzo degli omonimi marchesi141, probabilmente tra il 1625 e il 1630. Cornice dell’opera è, quindi, la celebrazione di incontri poetici realmente vissuti dal poeta, durante i quali si parla, si discorre, si improvvisano versi e si aguzza l’ingegno per distrarre la pena amorosa di un giovane: Anfriso, innamorato non corrisposto da Filis, per

137 Come Los cigarrales de Toledo di Tirso de Molina (1621) o le Academias morales de las

Musas di Antonio Enríquez Gómez (raccolte nel 1642), che testimoniano la moda, corrente al

tempo, di assemblare generi e frammenti letterari sconnessi, inclusi romanzi e commedie, in una sola opera.

138 COSSÍO, José María de 1939, op. cit., p. 128. 139

RODRÍGUEZ CÁCERES, Milagros (2013), Las academias como fiesta social del Barroco: su

reflejo en Antonio Enríquez Gómez, in «Hipogrifo», 1.1, p. 108.

140 Il giardino e la festa furono due elementi molto uniti nel barocco (cfr. GÓMEZ LÓPEZ,

Consuelo (1999), El gran teatro de la corte: naturaleza y artificio en las fiestas de los siglos XVI y

XVII, in «Espacio, Tiempo y Forma», serie VII, Historia del Arte, Tomo 12, pp. 199-220).

141

«Hoy se conserva la casa, con todo el sabor de la época, a la entrada de Espinardo; noble edificio con frontones grecorromanos y torreón elegante. En la parte contigua de huerta se cultivaba entonces un primoroso jardín, a cuyas flores diversas compusiera el autor sus versos más finos» (cfr. POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto 1948, op. cit., p. VII).

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58 distogliersi dalle angosce d’amore riunisce un gruppo di amici mursiani, con i quali celebrare il riposo e l’ozio attraverso una grande quantità di attività, soprattutto poetiche.

Lo scenario è quello del locus amoenus, così celebre nella lirica142, poetizzato dallo stesso Polo in una prosa e in un verso in cui si uniscono artisticamente l’aspetto fantastico, quello preziosista tipico del barocco, quello ameno, quello ozioso e quello esotico: «Bello jardín escrupolosamente descrito con toda suerte de precisiones topológicas, en textos tan recargados […]»143

. Il testo è tipicamente cultista, stile preponderante in Polo soprattutto nel suo periodo giovanile, e lo sguardo è quello sorpreso e ammirato di fronte alla bellezza di un giardino seicentesco; per questo il poeta usa una fervida immaginazione per suggerirci, con metafore plastiche e colorate, l’ambiente ideale in cui si celebrano tali Accademie letterarie. La maggior parte degli eventi, benché si descriva anche l’interno del palazzo e la sua galleria di quadri mitologici, si svolgono, difatti, nel giardino, dove i nove invitati144 affrontano gradevoli dibattiti e si sfidano con composizioni poetiche da leggere in pubblico e basate su specifici argomenti che distribuisce Anfriso, che variano da quelli più ameni e divertenti a quelli morali e sociali. La trama amorosa del triste Anfriso presenta un finale felice: nell’ultima Accademia il nostro poeta diventa pseudo-romanziere e mette fine ai dolori del giovane innamorato attraverso un messaggero che, in una tempesta narrata con prezioso accento barocco, giunge presso la tenuta e annuncia la morte dell’uomo a cui era stata promessa Filis; rinasce quindi la speranza in Anfriso e tutto va a suo favore, finendo con lo sposalizio dei due innamorati cantato da Jacinto in un glorioso e culterano epitalamio.

Tutti i componimenti delle Academias non sono però scritti dalla stessa mano che ha composto l’opera: vari sonetti, madrigali, silvas e redondillas che

142 Per maggiori dettagli sull’origine e sulla diffusione del topos del locus amoenus in poesia si

rimanda a CURTIUS, Ernst Robert (1992), Letteratura europea e Medio Evo latino, ANTONELLI Roberto (a cura di), La Nuova Italia, Firenze, pp. 207-226.

143

DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier 2000, op. cit., p. 67.

144 Si chiamano Lauro, don Pedro, Silvio, don Juan, don Luis, don Antonio, Jacinto, don Álvaro e,

naturalmente, Anfriso. L’identificazione di essi si basa solo su congetture e probabilmente furono i giovani amici che l’autore conobbe e che parteciparono alle numerose Academias poetiche del periodo, dove si soleva usare pseudonimi. Tuttavia, un dato sicuro è la presenza dello stesso poeta fra gli invitati, con il proprio nome, aspetto che rivela il carattere giocoso, il desiderio di organizzare, la conoscenza della letteratura e la superiorità allegra e festiva del poeta rispetto agli altri.

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59 Polo cita assieme ai rispettivi personaggi che li cantano appartengono ad autori sconosciuti o dei quali si conosce molto poco145. Diciannove componimenti possono essere considerati come attribuibili senza dubbio a Polo de Medina nelle Academias e, di questi, dieci sono dedicati alla descrizione di elementi vegetali del giardino di Espinardo, corrispondenti a iscrizioni esistenti sotto ogni albero o fiore cantato, nelle quali si espongono poeticamente le eccellenze estetiche di tali stupendi quadri naturali: troviamo il pioppo (sonetto), l’arancio e il garofano (romances), il mirto, il giglio bianco, la rosa, la Bella di notte, i garofani d’India, il narciso e il girasole (tutte silvas146). Altri quattro si riferiscono, poi, ai quadri mitologici dell’interno del palazzo (che inscenano il mito d’Icaro, di Venere e Adone, della Nascita di Venere e dell’Aurora), mentre il resto si trova sparso nell’opera (tre poesie giocose, un romance sulle feste celebrate a Mursia e l’epitalamio alle nozze di Anfriso e Filis).

Tutti i componimenti citati rappresentano il massimo esempio di stile culterano e gongorino, sia nella sintassi (bimembrazioni, enjambement, arcaismi, iperbole, ecc.) sia nei temi (la mitologia entra a far parte, prima, come allusione isolata e, poi, come centro della composizione, le metafore plastiche e coloristiche si legano a forti effetti sensoriali, l’ambientazione idillica e amena riprende quella delle Soledades, ecc.).

Polo scrisse le Academias del jardín in piena gioventù, come egli stesso ci dice, ma già a 26 o 27 anni la sua prodigiosa piuma era ampiamente lodata e riconosciuta e l’autore dispiegava il suo genio davanti a quei contertulianos che non dubitavano nel considerarlo il migliore: a tutti piacque la sua poesia e tutti ne videro la floridezza di uno spirito aperto e pieno di humor. Le sue poesie sono ben in armonia con l’affermazione di Cascales, nella lettera al lettore che precede le Academias, in cui asserisce che la giovane età di Polo «peina canas de sesenta»147, sulla stessa linea di quella che lo stesso Polo propone nel testo: «las canas son flores del seso»148. Si può quindi affermare che Polo de Medina, benché ancora giovane, non fu affatto un genio puerile e scontato, anzi, seppe rendere proprio e

145 Comunque sia, a distinguersi tra di essi sarà, nell’opera, lo stesso Jacinto, alter ego dell’autore,

al quale tutti rivolgono elogi per l’ingegno e la vena giocosa.

146 Benché il poeta definisca quello al garofano d’India e quello al narciso come madrigali. 147 POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto 1948, op. cit., p. 9.

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60 personale quel gongorismo e culteranismo che respirava nell’ambiente artistico in cui visse e che non dubitò mai nel condannare negli eccessi.

L’autore conservò della scuola del cordovese molti tratti: l’invito ad abbandonare il mondo e ritirarsi negli idillici giardini primaverili, le descrizioni della natura piene di metafore brillanti e artificiose, il repertorio mitologico frequentissimo sia come allusione sparsa che come tema centrale di intere poesie, la bimembrazione, l’iperbole, l’espressione culterana, il gusto per gli effetti di luce e colore, e poco più. Tuttavia, non dobbiamo lasciarci accecare dal gongorismo di Polo e non apprezzare in esso aspetti personali, come l’atmosfera allegra che presiede la festa o la presenza della propria realtà mursiana con il suo paesaggio, ma anche la forte componete sensoriale (specialmente cromatico-visiva) o la varietà di immagini ardite e di metafore pittoriche: le sue non sono opere di mero imitatore, ma di uno scrittore e poeta a sé, conscio delle caratteristiche di uno stile che era moda al tempo.

Di conseguenza, Polo scinde la sua personalità culterana giovanile in due poli, allo stesso tempo contrapposti e paradossalmente fusi: nonostante appaia come discepolo di Góngora e lo dimostri nell’espressione, è contemporaneamente un anticulterano fedele al maestro Cascales, che attacca l’oscurità formale e preferisce, invece, una poesia metaforicamente carica e concettualmente artificiosa149.

Comunque sia, nelle Academias soprattutto, Polo contraddice nella pratica le sue affermazioni teoriche di censura stilistica del cultismo, poiché se da un lato lo ridicolizza, dall’altro mostra un indiscusso influsso di Góngora; egli si fa beffe della lingua e della setta cultista, ma la sua critica intende il culteranismo come un

149 Come ci mostra fin da subito in una delle otto cédulas della prima Accademia: «Cierto poeta

que se ha convertido a su Dios, y dejado la mala secta culta en que vivía, pide por esta cédula que rueguen a Dios por él, porque le conserve en su claridad, a Vs. ms. No les deje caer en la tentación»; (cfr. Ibidem, p. 30). Díez de Revenga fa notare, inoltre, quanto Polo cerchi di apparire addirittura più concettista che culterano quando, nell’ultima parte delle Academias, risponde alle accuse di poeta cultista con queste parole: «No me infaméis con tan odioso nombre […] que no lo merecen mis versos, que si hacen alguna resistencia al entendimiento nace de lo misterioso y retirado del concepto, no de lo forastero de las voces y marañada colocación de los términos; y cuando no nace de esto la oscuridad no culpéis al poeta de oscuro, pues él no tiene más obligación que decir su concepto en palabras que ni por humildes las desprecien, ni por desviadas las extrañen» (cfr. DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier (1976), Polo de Medina entre Góngora y Quevedo», in AA.VV., Polo de Medina. Tercer Centenario, Academia Alfonso X el Sabio, Murcia, p. 74).

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61 fenomeno puramente linguistico, la cui oscurità è di provenienza verbale: conservare la chiarezza è per l’autore l’opposto dello stile ricercato che tanto attacca e la claridad verbale è l’aspetto decisivo nella sua teoria e pratica poetiche.

Polo attacca l’esagerazione, l’“ultraculteranismo” potremmo dire, piuttosto che lo stile metaforico del maestro cordovese, poiché egli è a tutti gli effetti un poeta tipicamente culterano, nel quale alle critiche succedono le riprese e in cui il ricordo di Góngora e dei suoi ornatos grammaticali e retorici è costante. Con ciò egli vuole indirettamente censurare e criticare anche quegli imitatori che, incapaci di creare un loro mondo poetico, si accontentano di mischiare versi di varia origine e di renderli eccessivamente oscuri solo per seguire la moda più in voga del momento: rivendica, insomma, i propri diritti di poeta, di un poeta che, pur essendo fedelmente gongorino, non è un mero imitatore, un dilettante facilone e non sfrutta in maniera indiscriminata i moduli e la materia che gli si offrono, ma li personalizza, li riordina, li ricrea e li compone con l’ingegno.

L’autore, inoltre, doveva fare i conti con l’ambiente letterario che lo circondava, la cui influenza si nota sia nei versi cultisti che nelle sue critiche: doveva infatti attenersi sia ai modelli di poesia colta, come estremo sviluppo di quella poesia italianizzante rinascimentale, sia ai topici di critica letteraria, impossibili da rifiutare per chiunque vivesse nel clima artistico-letterario dell’epoca e, a maggior ragione per chi, come Polo de Medina, doveva forse compiacere, essendovi legato, gli amici madrileni (Lope primo fra tutti), i suoi modelli letterari (Quevedo) o, ancora, il suo insegnante mursiano Cascales150.

Polo mantiene quindi la «letterarietà, ricercatezza, aristocrazia della cultura gongorina»151 e fa delle sua Academias del jardín una sintesi di forme cortigiane, un insieme di giochi concettuali, chistes letterari e persino versi puri e

150 Su questo punto Giulia Poggi descrive perfettamente Polo nel definirlo «il tipico poeta

seicentesco la cui fama, nata sullo sfondo di accademie e certami letterari, si consolida in relazione ad amicizie influenti e sotto la protezione di qualche potente. In lui troviamo l’eco di tutte le contese che travagliano il complesso panorama culturale del secolo d’oro spagnolo e l’impronta dei protagonisti che quel secolo hanno caratterizzato» (cfr. POGGI, Giulia 1973, op. cit., p. 91). È per questo motivo che « […] los versos de Polo de Medina correspondían a una sensibilidad del momento, y esto explica fundamentalmente el matiz culterano de su poesía, por otra parte, no resistió a seguir la corriente de oposición al culteranismo, por ser también moda predominante» (cfr. BARCELÓ JIMÉNEZ, Juan 1970, op. cit., pp. 54).

(12)

62 puliti, ma sempre cultisti, malgrado aborrisse tale aggettivo. Questa è la linea dell’autore nelle Academias e da qui la critica e il rifiuto dei principi che tendono all’oscurità, benché quelli dell’aristocrazia formale e della difficoltà concettuale li abbia ben presenti: le sue espressioni sono spesso a metà tra concetto e metafora, tra gioco verbale e immagine peregrina, mostrando quanto l’autore fosse aperto e recettivo a tutti gli stimoli del suo tempo152.

2.2.2 L’OPERA COME RIFLESSO DI UNA SCUOLA

Durante il Seicento si sviluppano, intorno a Góngora e Lope, scuole di seguaci o di detrattori che costellano il panorama nazionale di mode e tendenze letterarie. Insieme agli epigoni più vicini a Góngora (Villamediana, Soto de Rojas, Bocángel, Trillo e Figueroa, ecc.), spicca la scuola di Mursia che, ruotando proprio intorno a Polo de Medina, annovera numerosi personaggi famosi con tratti comuni e stili coerenti con l’atmosfera poetica del periodo: a guidarli è il gongorismo e il culteranismo. Fra i molti, degni di menzione sono il Licenciado Francisco Cascales, autore delle Tablas poéticas e delle Cartas Filológicas (che esercitarono un grande influsso e istruirono allo sdegno degli eccessi del culteranismo e dell’oscurità poetica153) e tre ulteriori poeti, essenziali per introdurre Polo de Medina e la sua prima opera: Pedro Castro y Anaya (che scrisse le Auroras de Diana, 1632), Alonso Cano y Urreta (autore dei Días del jardín, 1619) e Diego Beltrán Hidalgo (autore dei Discursos a las fiestas reales de Murcia, 1628). Essi e le rispettive opere sono rappresentanti delle caratteristiche comuni al gruppo mursiano, oltre al gongorismo, le quali ritroviamo contenute anche nella prima opera di Polo: l’alternanza di prosa e verso154

, la miscellanea

152 In realtà questo atteggiamento è tipico di tutti gli autori del Barocco che, malgrado li si voglia

categorizzare sotto etichette o scuole poetiche, mostrano di avere, invece, tratti comuni a più tendenze artistiche, spesso apparentemente antitetiche fra di loro.

153

«La influencia de Cascales es evidente en Polo de Medina a lo largo de toda su obra y sobre todo por su posición ante el culteranismo. Cascales premió la fidelidad de su discípulo, escribiendo la presentación-prólogo de su primera obra, una elogiosísima carta «Al Lector», que figura al frente de las Academias del jardín» (cfr. POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto 1987, op. cit., p. 14, nota 11).

154 Le Auroras de Diana hanno anche altri aspetti in comune con le Academias, come la partizione

interna, un marcato stile barocco e il trattamento di vari topoi comuni, come quello dei fiori, quello della caducità dei beni terreni, quello mitologico, ecc.

(13)

63 tematica (agricola, storica, politica, mitica, architettonica, ecc.) e la passione e la collaborazione in certámenes poetici e gare letterarie155.

Moltissime furono, su quest’ultimo punto, le gare letterarie che si celebrarono a Mursia e ne sono un esempio l’ambiente e l’entusiasmo che offrivano le riunioni di Espinardo, nella cui casa si trascorrevano le più delicate e proficue ore di ozio, non a caso «dedicadas a literario divertimento de “academias”, “días” y “auroras”, que después dejaron plasmadas en recuerdos antológicos los mejores y más maduros versos de los ingenios murcianos»156. Inoltre, grazie alle numerose gare e sfide poetiche celebrate nella città nel 1600157, dove si sfidano i geni mursiani sotto la protezione disinteressata delle illustri famiglie dei Fajardo, dei Sandoval, degli Usodemar, dei Puxmarín, ecc., veniamo a conoscere non solo più di cento poeti locali, ma anche interessanti aspetti socio-culturali dell’epoca. Per questo, nella Mursia dove si incontravano poeti e letterati convertendo la città in uno dei fulcri dell’attività poetica seicentesca, esisteva una scuola vera a propria158, i cui poeti ebbero tratti, topici e temi comuni e condivisi.

Fra i vari delle Academias, che si ricollegano sia ai leitmotiv della scuola mursiana, sia a scelte proprie della personalità dell’autore, troviamo:

-un affetto filiale verso il suo paese, la nobile e leale città di Mursia, racchiuso nella laus urbis natalis, reiterata più volte nell’opera; il “mursianismo” dello stile

155 Nella Academia primera spicca, difatti, la partecipazione personale di Polo de Medina come

maggior ingegno e anima della festa e si organizza anche una rappresentazione della commedia di Montalbán No hay vida como la honra, nella quale Jacinto ha il ruolo di galán principal, che testimonia quanto «ligado estrechamente a la literatura, el jardín español de este siglo fue el ámbito real y concreto en el que se representaron importantes obras teatrales» (cfr. NIETO CALDEIRO, Sonsoles (2001), «El jardín barroco español y su expansión a Nueva España», in AA.VV., Actas del III Congreso Internacional del Barroco americano: Territorio, Arte, Espacio y

Sociedad, Universidad de Pablo de Olavide, Sevilla, p. 1298).

156 BARCELÓ JIMÉNEZ, Juan 1970, op. cit., p. 43. 157

Tra di esse le Reales exequias a la muerte de Felipe II (1600), le Reales exequias a la muerte

de Margarita de Austria (1612), le Honras y obsequias a Felipe II (1622),la Justa de San Juan de Dios (1632)e la Justa de Santa Lucía (1635). Polo partecipò solo a quella di San Juan de Dios, con

un componimento in ottave e un romance giocoso, dato che indica il suo scarso interesse per questo tipo di certámenes (nonostante le sue Academias del jardín si ispirino, a tutti gli effetti, a delle gare poetiche).

158 «[…] es coincidente con los primeros años del siglo XVII, el desarrollo en Murcia de un grupo

de escritores que justifican la existencia de una escuela poética [...]» (cfr. BARCELÓ JIMÉNEZ, Juan 1970, op. cit., p. 38).

(14)

64 di Polo si esprime nelle metaforiche descrizioni legate alla natura e al paesaggio e nei giochi di parole e concetti su motivi topografici e spaziali concreti159;

-la varietà metrica dei componimenti: madrigali, silvas, sonetti, redondillas, ma anche pastorali, componimenti encomiastici, villancicos, epitaffi, epitalami, ecc. -la vena burlesca e giocosa di Polo, che si ribella contro molti luoghi comuni che popolano la letteratura del suo tempo, primo fra tutti l’attacco continuo contro ogni uso e abuso dello stile colto e dell’oscurità formale.

-la reiterazione di temi comuni e classici, qualcuno di interesse generale e teorico, altri di carattere pratico, rivelando posture personali dell’autore nei confronti degli argomenti e degli autori che cita: come la nostalgia del tempo passato, l’amore per la poesia, il mecenatismo, l’oblio, la mancanza di modestia, la riconoscenza, il riconoscimento dei propri errori, la carità, l’umiltà, il disinganno, l’ignoranza, il destino, il libero arbitrio, la malizia, il buon gusto, ecc.160

Tutti i precedenti aspetti riflettono la limpidezza e il realismo del nostro poeta nel focalizzare la situazione letteraria del suo tempo attraverso il suo potente genio poetico, brillantemente applaudito da tutti, dentro e fuori dalle sue opere.

Da non dimenticare è anche che l’autore dedica una parte importante della sua prima opera al tema del giardino e dei suoi componenti e ciò non fu un puro caso, bensì corrispondeva a una moda peculiare sia della stessa scuola mursiana che dell’intero periodo barocco.

Il topos del giardino è, infatti, implicito o esplicito in ogni produzione letteraria, da quella più remota a quella più moderna e, benché non sia affatto esclusivo di essa, fa senz’altro parte della coscienza culturale e dell’idiosincrasia del poeta barocco-mursiano, che lo reitera e lo sceglie spesso come luogo prediletto e come scenario dell’azione161. Non a caso, tra il 1619 e il 1633 vennero

159 Come il raccontare le feste reali celebrate a Mursia nel 1628 e il narrare le onoranze funebri in

memoria dei Fajardo.

160

O ancora, benché non sia tema del mio studio, la poca fiducia del proprio poeta verso gli scrittori minori e plagiari, come il quevedesco licendiado Pues sea, che non solo mostra la voglia di fare un tipo di poesia sociale che emendi vizi e peccati, ma anche la finalità sarcastica e satirica che così tanto caratterizzò la figura dell’autore (nell’opera ci sono, infatti, riferimenti satirici ai calvi, a coloro che hanno i capelli rossi, ai canuti, alla fame che soffrono i poeti, ai medici, ai nobili, ecc.).

161 «El tema del jardín además de su rica simbología religiosa, no tuvo más remedio que

deslumbrar a los hombres del XVII con su luz, la jugosidad de sus aromas, sus calles limpias y ordenadas, su belleza y con su ambiente de optimismo y de felicidad; unos componentes vitales

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65 scritti e pubblicati a Mursia ben quattro libri sul giardino162, ma già nel 1613, come primo esempio di poeta mursiano che nel Seicento usa il giardino come simbolo, Ambrosio de Salazar pubblica Vergel del alma y Manual espiritual, che si ricollega al Jardín de humanas y divinas flores di un certo Diego Ramírez Pagán, poeta rinascimentale mursiano citato da Polo163.

David López García164 riscontra, a tal proposito, sette giardini in sei principali opere mursiane:

-Francisco Cascales situa le sue Tablas poéticas in un giardino, presentato come un luogo ameno costeggiato da aranci e spesso frequentato da dame e innamorati; -Polo de Medina descrive quello dei Fajardo, nella prima parte delle sue Academis de jardín, che aveva già fatto da base a quello dei Días del jardín di Cano Urreta ed era già stato celebrato da Cascales in una delle sue Cartas filológicas; il giardino, le cui strade corrispondono alla struttura propria del giardino barocco, appare qui la dimora quasi esclusiva dei fiori, protagonisti del luogo;

-sempre Polo descrive una estesa proprietà nella campagna di Mursia dove ambienta i suoi Ocios de la soledad, una scorsa precisa, sobria, idealizzata e appassionante della huerta mursiana; qui, in realtà, si uniscono giardino e orto, nell’enumerazione tanto di specie floreali che fruttali, ma mantiene una netta divisione rispetto a quello delle Academias, sempre sulla linea della differenza tra campo e ciudad;

-Campillo de Bayle descrive i due giardini del monastero di San Ginés de la Jara in Gustos y Disgustos del Lentiscar de Cartagena del 1599, i quali però, già descritti da Cascales nel Discurso de la Ciudad de Cartagena del 1598, non hanno una funzione strutturale all’interno del libro, ma li descrive minuziosamente solo come un elemento in più da aggiungere al testo; il primo dei due è un giardino islamico, quadrato e popolato da aranceti, il secondo è, in realtà, un

que el mundo real, tan distinto, no podía brindarle» (cfr. LÓPEZ GARCÍA, David (1994),

Jardines literarios del siglo XVII en Murcia, in «Murgetana», n. 88, p. 54).

162 I Días del Jardín di Cano Urreta (1619), le Academias del Jardín (1630), le Auroras de Diana

di Pedro de Castro y Anaya (1632) e gli Ocios de la soledad (1633).

163

Entrambi costituiscono, però, un esempio del trattamento del giardino come metafora ascetico-spirituale, i cui “fiori” sono opere didattiche o consigli morali veicolati con lo specifico fine di istruire e arricchire l’anima.

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66 frutteto, sempre d’influenza islamica, punteggiato da una straordinaria quantità di alberi165;

-il seguente giardino è quello delle Auroras de Diana di Pedro de Castro y Anaya, anche se non lo si descrive in modo particolareggiato e ne emerge solo un’idea sommaria della struttura; l’autore lo pone in un isola del fiume Po, ma il giardino appare inventato e ricostruito solo attraverso una summa di luoghi comuni dell’arte del giardino barocco e mursiano, pur avendo delle somiglianze con quello di Espinardo e di Aranjuez (che l’autore potette sicuramente visitare) nell’uso di aiuole, potature ornamentali, divisione in quadrati, pergole, padiglioni, ecc.; i rapporti di questo giardino con quello di Polo si stringono anche per la tematica floreale, così costante in tutta l’opera, nella quale spicca l’elemento della rosa.

-infine, lo stesso giardino della proprietà del Lentiscar, sempre dell’opera di Campillo de Bayle, viene presentato nei suoi particolari e con un gusto piuttosto realistico: abbonda in vegetazione, in fonti e in motivi mitologici, venendosi a instaurare in quella tradizione del giardino islamico con influenze italiane (come l’arte topiaria e le fonti e sculture simboliche).

Questa profusione di opere mursiane che hanno come tema il giardino, nello stesso titolo o nelle loro pagine, risponde ad alcuni principali motivi che s’intersecano fra di loro sia nella mente dei poeti mursiani, sia in generale in ogni genio poetico-botanico del periodo:

-il desiderio inconscio di raggiungimento della felicità e della perfezione attraverso la restaurazione dei vincoli perduti tra la natura e l’uomo; ridonare alla natura il suo primitivo stato di perfezione, come evidente nostalgia che l’uomo prova nell’essere stato privato anzitempo della gioia e pienezza eterne del Paradiso divino;

-quello di emulare l’opera del Creatore, sottomettendo il paesaggio all’artificio retorico-poetico, così come il giardiniere fa dal punto di vista architettonico, strutturale ed estetico;

165 Quest’ultimo era già stato descritto da Fray Melchor de Huélano in Libro primero de la vida y

milagros del glorioso Confessor Sant Gines de la Xara (1607), dove aggiunge un curioso dato al

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67 -quello, tipico dell’uomo barocco, di posare lo sguardo sul dettaglio, sul particolare, sui piccoli oggetti preziosi, che la natura può offrire in grande quantità;

Tuttavia le descrizioni dei giardini mursiani da parte dei poeti citati è sempre parziale, non ci permette di farci una completa idea della loro struttura intera: quello di Espinardo trattato da Polo, difatti, benché si completi sempre di più via via che si procede con l’itinerario attraverso di esso, si concentra fondamentalmente sulle aiuole che lo compongono166, sulle piante che ricoprono le pergole167, sugli alberi che affiancano le strade168, sulle sculture e sui motivi ornamentali su cui l’autore legge le poesie169, sull’arte topiario della potatura ornamentale, ma nessuno sguardo d’insieme ci viene offerto, solo singoli dettagli. In ultima istanza, ciò che si apprezza e si evince dall’opera sono anche le discussioni e le Accademie come riflesso della società mursiana: la gioventù del poeta dovette trascorrere in un mondo letterario di mutua ammirazione fra coloro che lo frequentavano, poiché ogni personaggio dell’opera alterna la lode alla modestia (benché la palma d’oro la vinca lo stesso Jacinto, che così tanto spicca nel gruppo tra elogi e complimenti170).

In conclusione, Polo de Medina, da «buen jardinero y florista consumado»171, è comunque la prova di quanto il tema del giardino sia comune al tempo, di quanto sia diventato a Mursia un mito, di quanto la sua huerta venga fissata letterariamente in opere dal gusto regionalista e costumbrista e di quanto i fiori, splendidi portabandiera di forme e immagini cultiste, rappresentino gli echi di un’anima poetica sensibile e affezionata al topico naturale e alla descrizione, per lo più realista, ma artificiosa, di paesaggi ed elementi del giardino172.

166 Di gigli bianchi, di garofani, di garofani d’India, di narcisi e di girasoli. 167 Il mirto, la rosa e la Belle di notte.

168

Gli aranci e i pioppi.

169 Una ninfa di alabastro, un giovane in alabastro intento a scrivere, una colonna di diaspro bianco

e una piramide dello stesso materiale.

170

Già nel paratesto dell’opera, attraverso numerose composizioni, molti poeti non solo gli dedicano encomi e opere laudatorie, ma sottolineano indirettamente anche il legame di Polo con il tema floreale: Montalbán definisce le parole dell’autore «del ocio verdores», Ribadeneyra gli si rivolge con «Déjame que hurte algunas flores» e, infine, Cascales, nella lettera al lettore, anticipa che nell’opera «[…] hallarás galas, elegancia, y flores de curiosa, y no afectada elocuencia[…]» (cfr. POLO DE MEDINA, Salvador Jacinto 1948, op. cit., pp. 7-9).

171 LÓPEZ GARCÍA, David 1994, op. cit., p. 55.

172 «Se trata pues de un típico jardín levantino, penetrado de huerta, en el que la flor alterna junto

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68 2.3 IL PERCORSO POETICO-FLOREALE DELLA ACADEMIA PRIMERA

La Academia Primera dedica le pagine iniziali alla descrizione e all’elogio dello splendido giardino dei marchesi di Espinardo, tra la cui vegetazione si muove il nostro poeta leggendo le epigrafi e le iscrizioni poste in prossimità dei fiori o degli alberi che incontra. Assieme all’analisi delle poesie floreali e arboree dell’autore, è opportuno quindi segnalare, nell’analisi seguente, anche la prosa che anticipa e presenta l’iter poetico per il giardino di Espinardo, dato che essa condivide con il verso la ricercatezza formale e le metafore barocche173.

Dopo aver introdotto l’occasione della riunione poetica (i dolori del giovane Anfriso per Filis) e aver enumerato i partecipanti, Polo de Medina ci descrive il setting: «[…] eligieron por asiento el jardín de Espinardo, digno sustituto de Helicona, florido cuidado de los abriles, sufrido menosprecio de los jardines Hibleos […]» (p. 16). Pertanto, già dalla parte in prosa l’autore usa quella profusione di metafore tipiche dello stile barocco che si ritroveranno nei suoi componimenti successivi, così come accompagna le sue immagini con riferimenti mitici174, con riferimenti climatico-stagionali (Aprile, la stagione dei fiori per eccellenza) e topografici175. Segue a ciò la reiterazione del tema arboreo-floreale nell’elogio seguente alla «[…] dueña de la selva, bellísima huerta de la ínclita Murcia, hermosa población de cortesanos árboles, [...]» (p. 16), e in quello alla stessa città di Mursia, che oltre alla seta è nota per «[…] ya con el hermoso jazmín que, calzando tafiletes de rubí, corre en la posta del viento su fragancia, ya en la

predieciochesco, rococó, el de «la puntual medida de la tijera», el del recorte geométrico de la despeinada vegetación, reducida aquí a «afeitados naranjos».» (cfr. BAQUERO GOYANES, Mariano (1953), Salvador Jacinto Polo de Medina. Los naranjos, in «Monteagudo», n. 4, p. 31).

173 Mi limiterò esclusivamente all’analisi della prosa e poesia inserita in POLO DE MEDINA,

Salvador Jacinto 1948, op. cit., pp. 16-25. Da ora in avanti le citazioni delle pagine delle parti in prosa e dei versi si intendono tratti dalla presente edizione e saranno indicati tra parentesi tonde nel corpo del testo, dopo la citazione stessa. Ho personalmente aggiunto la divisione in versi a ogni componimento per facilitarne l’individuazione.

174 Il monte Elicona è la sede delle Muse e il simbolo dell’ispirazione poetica, perfetto per la

circostanza delle Academias.

175 Ibla era un’antica città della Sicilia, famosa per i suoi fiori e il suo miele, diventata così famosa

da essere un topos letterario; inoltre la dea Iblea era una divinità sicula, legata alla fertilità, ai campi e ai cereali, simile alla dea Flora romana.

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69 mosqueta y rosa y la demás Babilonia de flores»176 (p. 17), concludendo con la consacrazione della città come «hermosísima ciudad de las Auroras cuyas calles son jardines» (p. 17).

La natura, e precisamente quella mursiana, fa quindi da «pórtico inicial sobre el que va a proyectar la acción bastante compleja y varia del resto de las Academias»177 e, di conseguenza, già prima di addentrarsi nel giardino di Espinardo, il poeta lo introduce attraverso quegli aspetti stilistico-tematici che caratterizzeranno i suoi componimenti: il tema naturale, i riferimenti alla mitologia, ma anche la ricercatezza formale, l’accumulazione metaforica, la plasticità e il colorismo delle immagini, ecc.

Il poeta entra perciò nel giardino della villa mursiana fermandosi a leggere, di volta in volta, i componimenti che pendono dai rami o che celebrano le aiuole in cui sono iscritti.

Vediamo quindi, ad esempio, le parole che introducono il sonetto sul pioppo:

En cuadro se dilata su bien nunca ponderado pensil, gallarda juventud de la primavera, sirviendo en la puerta de esta casa tan real de Flora de gigantes de esmeralda, dos álamos, tan libres que, saliendo de la jurisdicción de la vista, sólo se sabe su origen ; pero nos desengaña de su altivez una cartela de mármol que, pendiente de un tronco, ocupaba este soneto: (p. 17).

Già dalle parole introduttive, i pioppi sono dei «gigantes de esmeralda» (p. 17), metafora che condensa il loro colore e la loro altezza, quest’ultima reiterata nelle frasi successive; tuttavia, essa si rivela essere un aspetto negativo: è altezzosità e ce lo conferma l’autore mettendo in rilievo l’iscrizione in marmo appesa al tronco, la quale chiarisce a ammonisce al contempo con queste parole:

176 Babilonia viene considerata la megalopoli dell’antichità, per la sua densità di popolazione e per

la sua estensione; qui è usata come metafora dell’enorme quantità di specie floreali riscontrabili a Mursia.

177 BARCELÓ JIMÉNEZ, Juan (1976), «Murcia y su huerta en la obra de Polo de Medina», in

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70 EL ÁLAMO

Aquesta ya de Alcides osadía, que profana del sol sagrado asiento, contra sus rayos verde atrevimiento, pasando a descortés su demasía.

Esta, que no al Olimpo desafía, 5 pues besa de su alteza el fundamento,

vanidad de esmeralda, que en el viento bate tornasolada argentería.

Esta del prado Babilonia hojosa,

terrero do festejan las estrellas 10 en confusión armónica las aves,

cadáver estará su pompa hermosa, y amarillas leerán sus hojas bellas

muda lición, a nuestras vidas graves. (pp. 17-18)

La prima quartina lega l’albero direttamente al mito di Eracle178 e indirettamente a quello di Fetonte e di Icaro179: il pioppo è quindi un audace sfrontato che sfida il cielo come «verde atrevimiento» (v. 3). La seconda quartina precisa che, nonostante l’altezza, il pioppo resta una creatura terrena, riesce solo a baciare le fondamenta dell’Olimpo e, inoltre, la sua audacia viene già definita «vanidad de esmeralda» (v. 7), le cui foglie argentee si agitano nel vento. La prima terzina, che come le quartine inizia con un’anafora (creando così un filo conduttore strutturale), continua a descrivere l’albero, mettendo in parallelo le stelle e gli uccelli che gli volteggiano intorno, rispettivamente di notte e di giorno, quasi come corone della sua chioma. Stavolta il pioppo è metaforizzato come «Babilonia hojosa» (v. 9), in relazione sia alla gran confusione e quantità di foglie, sia all’altezza della torre che, secondo il mito, venne costruita per sfidare il

178

Chiamato con il patronimico poetico di Alcide, dato che il nonno paterno era Alceo. Il legame tra l’eroe e l’albero lo si deve al completamento della dodicesima fatica (la cattura di Cerbero): quando Eracle uscì dal Monte Tartaro si cinse la fronte con una corona di fronde di pioppo, le cui foglie esterne, per il fumo degli Inferi, si tinsero di scuro, mentre quelle più interne, a contatto con la fronte dell’eroe, divennero di un bianco argenteo, simbolo della vita che aveva trionfato sulla morte; pertanto, la leggenda spiegherebbe la nascita dell’albero del pioppo bianco, le cui foglie hanno la pagina superiore verde scuro e quella inferiore verde chiaro, quasi bianco (cfr. COVARRUBIAS HOROZCO, Sebastián de 2006, op. cit., s.v.: «álamo»).

179

L’allusione si percepisce attraverso le parole «osadía» (v. 1), «atrevimiento» (v. 3), «demasía» (v. 4), ma soprattutto attraverso il secondo e il terzo verso; da non dimenticare, inoltre, che le sorelle di Fetonte, le Eliadi, vennero trasformate in pioppi bianchi in seguito alla morte del fratello. I riferimenti a Fetonte sono riportati anche in Ibidem, s.v.: «álamo».

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71 cielo, e sia e soprattutto come anticipazione del destino tragico che ne caratterizzò la costruzione e che colpirà il pioppo. Infine, i versi che chiudono il sonetto inglobano tutti i vari riferimenti tragici sparsi precedentemente, veicolando una lezione morale: l’altezzosa sfacciataggine del pioppo sarà «cadáver» (v. 12) e le sue foglie gialle saranno esempio del passare del tempo e della morte che incombe sulla difficile vita umana.

Il sonetto sul pioppo, oltre a essere l’unico esempio di tale genere metrico, è anche un’eccezione per il tema trattato, trascendendo il piano meramente descrittivo e diversificandosi dalle altre composizioni che seguiranno. Se gli altri preferiranno più l’aspetto plastico e pittorico, questo incarna alla perfezione il topos barocco del desengaño; tuttavia anche qui il colore non manca, poiché non solo le metafore cultiste illustrano i vari colori dell’albero, ma anche il passare del tempo è espresso come cambio cromatico (dal verde al giallo). Se le quartine e la prima terzina descrivono il pioppo, mettendolo ora in relazione con i miti antichi ora con la fatalità del destino, sarà l’ultima terzina a racchiudere la «lición» (v. 14), mettendo così in parallelo l’elemento arboreo con l’essere umano.

A conferma dell’eccezionalità del sonetto sta la costatazione che esso si lega a quello che chiude il discorso III del Gobierno moral a Lelio, dove però a fare da exemplum è il cipresso, simbolo anche qui di presunzione e superbia e bruciato dal fulmine del destino per questo. Il cipresso del Gobierno moral è probabilmente emulo di quel pioppo del giardino di Espinardo che Polo aveva introdotto da giovane nelle sue Academias, quando la sua vena poetica era ancora legata a una personalità festiva e giocosa, e che nella sua ultima opera, quando ormai ha lo spirito e la maturità per affrontare gravi e seri problemi, lo riprende e lo consolida.

Interessante è pertanto, in conclusione, come questo sia non solo l’unico sonetto, ma anche l’unico componimento a trattare un tema propriamente morale e serio (forse come preludio di quel carattere maturo che creerà il Gobierno moral a Lelio, in cui predomineranno i sonetti, e che già qui metteva le sue radici); ciò indica un quasi totale disinteresse per la componente moralistico-didascalica nelle prime opere di Polo de Medina, nelle quali il poeta concepì la poesia come pura rappresentazione e immagine e in cui la vegetazione del giardino di Espinardo è

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72 parte di un locus amoenus di provincia pieno di belle rappresentazioni poetiche, esenti da ogni intenzione grave e dottrinale.

Passa adesso l’autore a introdurre il giglio bianco:

Para dar después la bienvenida a los huéspedes se ofrece luego una populosa acequia que, desangrándose por dar vida a los árboles y plantas, se va, por entre los pies de unas verdes mesas de murta, dividiéndose en arroyuelos (rizos de cristal) que, marañándose por el jardín, dan con sus lisonjas desvanecimientos a las flores y, murmurador el más cándido, retrata la menor acción de las que en su margen por hermosas las notan los ojos de todos, sirviendo (a sus briosas corrientes apacibles travesuras y cristalinas pendencias) de prisión las dos márgenes nevadas de azucenas (mas ¿a quién no prenderá su hermosura?) ; y ellos, mostrándose enamorados, hallan ocasión en la más ligera piedrecilla para tropezar y detenerse al galanteo de la casta hermosura de las azucenas ; pero por dar lugar al demás cristal, que con toda prisa viene avisado de la fama de su olor que por todo el jardín se divulga, pasa forzado adelante a servir de virilla de plata en los chapines de una ninfa de alabastro, que en el blanco papel de un mármol que tiene en sus manos hablan escritos en él con las azucenas estas versos: (p. 18).

L’autore ci presenta il secondo elemento floreale attraverso il riferimento a una fonte del giardino che, divisa in due piccoli ruscelli metaforicamente definiti «rizos de cristal» (p. 18), sparge le sue acque incorniciando i vari fiori che incontra sul suo percorso. Già qui si intuisce lo stile metaforico, che verte sulla personificazione dei ruscelletti in amanti e corteggiatori dei fiori: sono infatti innamorati dei due margini innevati di gigli bianchi e sembrano voler fare di tutto pur di indugiare nel corteggiamento della loro casta bellezza e nell’estremo profumo che infondono a tutto il giardino180. Ecco che attraverso questa presentazione, senz’altro cultista, il poeta arriva a presentarci l’iscrizione in marmo che una ninfa di alabastro regge tra le mani, i cui versi recitano così:

LA AZUCENA

Honesta Venus, azucena hermosa, vergüenza de la rosa

(pues por ti se le atreve,

180 «Es el açucena símbolo de la castitad por su blancura, y de la buena fama por su olor» (cfr.

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73 a avergonzar la púrpura, la nieve)

con los riesgos de linda 5 junto al peligro de una fuente naces.

Aurora de los prados floreciente, bellísima fragancia de la fuente, abejuela de plata en su ribera,

bebes sus linfas, sus alientos paces. 10 Estrella de cristal en verde esfera

aroma les influyes a las flores, y al dejarse escuchar en resplandores (en ecos de la Aurora), la mañana,

nieve del mayo, madrugaste cana, 15 con alma de oro castidad vestida,

sin que tache una espina tu pureza, rondada del arroyo tu belleza,

y tu alma del hombre pretendida. (pp. 18-19)

La silva inizia con l’identificazione della azucena con la dea Venere, senz’altro per le sue connotazioni di purezza, pulizia e bellezza, delle quali il giglio bianco ne è simbolo. Ubicandola al lato di una fonte, continua poi a elogiare il bianco fiore affermando che il colore dei suoi petali («nieve», v. 4) fa vergognare la rosa, fiore-regina di ogni giardino. Seguono a ciò una serie di metafore argute relazionate con il bel fiore del giglio bianco:

-è l’Aurora fiorita dei prati (sia perché si apre all’alba, sia per il colore bianco che ricorda la luce del giorno);

-è la bellissima fragranza della fonte, presso cui è sbocciato;

-è un’apetta d’argento, che si nutre della stessa fonte presso cui nasce; -è una stella di cristallo che sparge il suo profumo agli altri fiori181.

Le precedenti metafore cultiste alludono sì alla bellezza e al profumo del fiore, ma soprattutto al luogo nel quale il poeta l’ha incontrata nel giardino di Espinardo, presso una fonte.

I versi successivi collocano il giglio bianco nella luce mattutina, negli echi dell’Aurora, appunto, quand’essa sboccia «con alma de oro castidad vestida»182

181 La comparazione metaforica tra i fiori e le stelle è un topos barocco di largo utilizzo fra i poeti;

in aggiunta, è importante segnalare che il giglio bianco è collegato all’origine mitica della via lattea (cfr. Ibidem, s.v.: «azucena»).

182 Probabilmente il poeta allude qui al colore giallo dell’interno del fiore, dato che la azucena è

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74 (v. 16); dopo aver rimarcato la sua perfezione rispetto alla rosa («sin que tache una espina tu pureza», v. 17), alla quale è stato precedentemente comparato, l’autore ricolloca il giglio bianco nel locus amoenus che ci ha descritto nella prosa anticipatoria e nei versi precedenti, concludendo con i simboli peculiari del bianco fiore: la purezza e la bellezza.

Il componimento si divide, perciò, in due sezioni: da una parte, quella meramente descrittiva in cui svariate metafore supportano il motivo principale (vv. 1-10), dall’altra, la simbologia, il senso trascendente e significativo del giglio bianco come emblema di purezza e castità, doti e virtù desiderate e bramate dall’impuro essere umano (vv. 11-19).

Il culteranismo formale è avvertibile in ogni evocazione floreale o arborea: dall’endecasillabo bimembre (v. 1), a quello con anadiplosi e chiasmo («bebe sus linfas, sus alientos paces», v. 10), alle brillanti metafore coloristiche gongoriste.

Per la azucena inoltre, Polo moltiplica i giochi cultisti sul colore bianco e su quello rosso della rosa183, che vitalizzano le allusioni mitologiche, inserite nell’ipotetico scontro rosa/giglio (o «púrpura» e «nieve», v. 4) ed evocate nelle figure di Venere e Aurora, che servono a esaltare la purezza e la castità del fiore celebrato.

L’itinerario per il giardino della villa mursiana prosegue con queste parole:

A divertido paseo convidan luego de las cuatro calles del jardín las tres primeras que, pretendiendo el mayor adorno cada una, pararon en una misma compostura por conseguir la postrera victoria de la gala, enluciendo sus paredes de afeitados naranjos, acreditando a la puntual medida de la tijera lo encuadernado de sus hojas. Las paredes fronteras obraron también robustos naranjos, y el más gallardo de todos guarda fiel estos versos que, en un mármol impresos, fiaron a una rama de su tronco: (p. 19).

Tre delle quattro strade del giardino sono costeggiate da «afeitados naranjos, acreditando a la puntual medida de la tijera lo encuadernado de sus hojas» (p. 19): tale descrizione ci indica l’uso dell’arte topiaria (ovvero l’influenza dell’estetica italiana) nel giardino di Polo, dove gli alberi di arancio sono scolpiti

unas hebras blancas, y encima de ellas unos como martillicos, ò clavos dorados. Es mui fragrante» (cfr. Diccionario de Autoridades 2013, s.v.: «azucena»).

183 Ricordiamo che fu Venere a ferirsi con le spine di un cespuglio di rose bianche che, attraverso

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75 dalla forbice precisa del giardiniere. Il romance seguente pende dal ramo del più bello tra quegli alberi da frutto:

LOS NARANJOS

Pomos de olor son al prado en el brasero del sol

estos naranjos hermosos que ámbar exhala su flor.

Perpetua esmeralda bella 5 donde, en numerosa voz,

mil parlerías nos cuenta el bachiller ruiseñor; entre cuyas tiernas hojas

las flores que abril formó 10 de estrellas breves de nieve

racimos fragantes son. Metamorfóseos del tiempo que, en dulce transformación,

hará topacios mañana 15 los que son diamantes hoy;

a cuyas libreas verdes dan vistosa guarnición ramilletes de cristal,

fragantísimo candor. 20 Rico mineral del valle,

adonde, franco nos dió, oro, el enero encogido;

plata, el mayo ostentador. (pp. 19-20)

I frutti sono definiti «pomos de olor» (v. 1), sinestesia che si lega ai riferimenti coloristici al giallo e all’arancione che caratterizzano i primi quattro versi; i seguenti uniscono la caratteristica di sempreverde della pianta («perpetua esmeralda», v. 5) con l’armonioso cinguettio dell’usignolo che canta sui suoi rami, qui definito con l’epiteto «bachiller» (v. 8), a causa del suo continuo e ininterrotto cinguettare. Dopo averci introdotto il frutto e l’albero, tocca al fiore: nato dalla rugiada d’aprile, adesso si è moltiplicato in profumati grappoli. I versi successivi giocano sul cambio delle stagioni e sulla trasformazione dei fiori in frutti: quest’ultimi sono «Metamorfóseos del tiempo» (v. 13), ovvero il risultato

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76 della conversione dei bianchi fiori primaverili in arancioni frutti invernali. I versi seguenti trasformano in livree le foglie e in mazzolini di cristallo i fiori, mentre quelli finali optano per una metafora minerale combinata con il cambiamento stagionale: l’arancio è una ricca miniera che produce, in inverno, frutti dorati e, in primavera, fiori argentati.

Los naranjos è chiaramente un romance barocco, arricchito da forti effetti sensoriali di colore, odore, suono, sapore e tatto, che si ritrovano sparsi nei vari punti del componimento:

-tatto: «el brasero del sol» (v. 2), «enero encogido» (v. 23), come riferimenti alla temperatura;

-olfatto: «Pomos de olor»184 (v. 1), «racimos fragantes» (v. 12), «fragantísimo candor» (v. 20);

-vista: «perpetua esmeralda bella» (v. 5), come esempio dei vari giochi di luce e colore e di forme barocche;

-gusto: «dulce transformación» (v. 14);

-udito: «mil parlerías nos cuenta / el bachiller ruiseñor» (vv. 7-8).

Quindi Polo insiste pesantemente sull’aspetto cromatico (il verde brillante delle foglie, l’oro del frutto, il bianco cristallino dei fiori), che scivola poi verso l’esaltazione dell’odore, della fragranza che esala l’albero e infine verso gli altri tre sensi. La proliferazione di elementi sensoriali si unisce a un linguaggio pieno di tratti culterani, come la successione di metafore, i riferimenti a minerali e pietre preziose, la comparazione stelle/fiori, i cultismi (come la ripetizione della parola «transformación», v. 14, nella sua versione greca di «Metamorfóseos», al v. 13) e la stessa aggettivazione sensoriale che si combina persino in favolose sinestesie: «Pomos de olor» (v. 1), «que ámbar exhala su flor» (v. 4), «racimos fragantes» (v. 12), «dulce transformación» (v. 14), «fragantísimo candor» (v. 20).

Mediante un vocabolario ricercato, un’espressione cultista e degli effetti coloristici, Polo allude anche al passare del tempo, personificandolo attraverso i mesi dell’anno quali attori della trasformazione fiore-frutto. Il tempo, leimotiv barocco per eccellenza, trascorre qui tra le foglie, il fiore e il frutto dell’arancio,

184 Inoltre pomo, come mursianismo, indica il mazzolino di fiori (cfr. Diccionario de la Lengua

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