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3.1- I 3- I L L IBRO E LA S TORIA

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3- I L L IBRO E LA S TORIA

Questo capitolo prende in esame le caratteristiche del romanzo storico (il genere a cui appartiene The Emperor of Ice-Cream), usando come riferimento i libri Il Romanzo Storico di György Lukács, Il romanzo neostorico italiano: storia, memoria, narrazione di Giuliana Benvenuti e Il romanzo storico in Italia: il dibattito critico dalle origini al post-moderno di Margherita Ganeri. Successivamente analizza il contesto storico in cui si svolge il romanzo di Dan Gunn, utilizzando le informazioni fornite dai volumi dell’enciclopedia Storia Universale dei Popoli e delle Civiltà sulla seconda guerra mondiale e combinandole con le informazioni strettamente relative alla vita degli immigrati italiani in quel momento storico prese dal libro Divided Loyalties di Lucio Sponza.

3.1- I

LROMANZO STORICO

Il romanzo storico nasce in Europa al principio dell’Ottocento. È considerato un genere letterario “ibrido” in quanto è formato sia di una parte di invenzione che da una parte storica. Questo genere letterario si occupa di raccontare la vicenda dei personaggi principali (di solito inventati, mentre tra i personaggi secondari troviamo figure storiche realmente esistite, come Decio Anzani in The Emperor of Ice-Cream) all’interno di un particolare momento storico (che viene analizzato attentamente, poiché tra gli obiettivi del romanzo c’è anche quello di ritrarre accuratamente gli usi, i costumi, il linguaggio, la società e lo stile di vita tipici del periodo rappresentato). I personaggi inventati dall’autore devono dunque essere verosimili, riflettendo correnti di pensiero e comportamenti contemporanei al periodo storico descritto, in modo da mantenere l’accuratezza storica e da riuscire a comunicare al lettore quanto i grandi eventi storici possono influire sulla realtà della gente comune.

Ciò che conta nel romanzo storico non è dunque la narrazione degli avvenimenti, bensì la rievocazione poetica degli uomini che in questi avvenimenti hanno figurato. L’importante è far rivivere le ragioni sociali e umane per cui gli uomini hanno pensato, sentito e agito proprio come è avvenuto nella realtà storica (LUKÁCS 1965: 42)

In precedenza, l’elemento storico veniva usato per le ambientazioni della cornice delle opere, sia nel romanzo che nella drammaturgia; veniva inteso esclusivamente in senso

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statico, fungendo quindi da scenario di fondo su cui far muovere i personaggi. Come spiega György Lukács nella sua opera Il Romanzo Storico parlando dei precursori del genere del Seicento: “I cosiddetti romanzi storici del XVII […] sono storici solo per l’argomento puramente esteriore, solo per lo scenario. Non solo la psicologia dei personaggi, ma anche i costumi descritti appartengono completamente all’età dello scrittore” (LUKÁCS 1965: 9), e a proposito del Settecento aggiunge:

Neppure il grande romanzo realistico-sociale del secolo XVIII, che nella raffigurazione dei costumi e della psicologia della propria epoca ha aperto alla letteratura mondiale la strada verso la realtà, si pone il problema di determinare concretamente nel tempo i suoi personaggi. Il presente viene reso con straordinaria evidenza e vivezza, ma è accettato ingenuamente come una realtà immobile. (LUKÁCS 1965: 10)

Agli inizi dell’Ottocento, l’Europa si trova in un periodo di cambiamento molto importante:

la Rivoluzione francese, la creazione degli Stati nazionali, la rivoluzione industriale e il capitalismo generano, a loro volta, un cambiamento di pensiero, e “questo modificarsi dell’essere e della coscienza degli uomini nell’Europa intera formano la base ideologica ed economica per la nascita del romanzo storico di Walter Scott” (LUKÁCS 1965: 25). Walter Scott è il primo scrittore ad essere riconosciuto come autore di romanzi storici; il suo Waverley è il primo ad essere considerato tale ed è ambientato durante la seconda insurrezione giacobita (1745).

Walter Scott vive in un’Inghilterra che sta attraversando un periodo di evoluzione, condizionata dalla stabilizzazione della rivoluzione industriale e dal rapido sviluppo del capitalismo; non tratta mai l’argomento direttamente e nemmeno prende una posizione a favore o contro di essa come invece fanno molti dei suoi contemporanei: preferisce osservare il cambiamento che ne deriva. Questo suo atteggiamento si riflette anche nei suoi romanzi, incentrati sulle più importanti tappe della storia inglese: Scott cerca sempre di descrivere la “via intermedia” tre le forze estreme in gioco nelle grandi crisi della storia inglese, sforzandosi di descrivere la realtà storica di questa via. Infatti tutti i protagonisti di Scott sono figure umane che incarnano tipi storico-sociali: “Egli si sforza di rappresentare le lotte e i contrasti della storia in figure umane che nella loro psicologia e nel loro destino rimangono sempre l’espressione di correnti sociali e di forze storiche” (LUKÁCS 1965:

30). Il suo eroe tipo è sempre un medio gentleman inglese, corretto ma non eroico o eccezionale, distaccandosi quindi dall’anti-eroe romantico e allineandosi con il realismo

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illuministico. Il protagonista di Waverley rappresenta molto bene questa categoria:

Waverley è un gentiluomo di campagna inglese appartenente a una famiglia che parteggia per gli Stuart, senza però andare al di là di una tranquilla simpatia politicamente inattiva.

Essendosi recato in Scozia, in qualità di ufficiale inglese, Waverley in conseguenza di amicizie personali e di vicende amorose si viene a trovare nel campo dei ribelli partigiani degli Stuart. Per le sue antiche relazioni di famiglia, per la sua irresoluta partecipazione alla rivolta, bastevole per una bastevole coraggiosa azione militare ma non per un impegno fanatico, egli mantiene i rapporti col partito hannoverese. Il destino di Waverley è quindi molto adatto a fornire un racconto il cui svolgersi non solo offre un’esposizione prammatica della lotta dei due partiti, ma ci avvicina al punto di vista umano ai principali rappresentanti di essi. (LUKÁCS 1965: 34)

A questi protagonisti si affiancano i grandi personaggi realmente esistiti, che compaiono in tutta la loro importanza storica. Questi non vengono presentati in via di sviluppo bensì già

“grandi”, perché svolgono una funzione rappresentativa: poiché i loro interessi personali coincidono con quelli di una grande corrente storica, essi riassumono in sé gli aspetti positivi e negativi di tale corrente.

Il romanzo storico italiano per eccellenza è I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. La prima edizione viene pubblicata nel 1827, l’ultima nel 1840. In esso si possono ritrovare tutti gli elementi del romanzo storico classico definiti da Walter Scott, più altri che entreranno a fare parte del genere (ad esempio, l’uso della tecnica del manoscritto ritrovato per dare legittimità storica alla storia narrata sarà ripreso da molti altre opere, tra le quali si distingue Il Nome della Rosa di Umberto Eco).

La rivoluzione del proletariato del 1948 rappresenta una svolta storica che porta con sé molti cambiamenti, ideologici e sociali. La borghesia cessa di essere il punto di riferimento della società: se prima si guardava al progresso come a qualcosa da osteggiare, ora esso perde la connotazione negativa che lo caratterizzava e la storia comincia ad essere concepita come un processo di evoluzione uniforme e rettilineo, lineare. Questa nuova concezione porta ad una modernizzazione della storia: si pensa che la struttura economica ed ideologica del passato sia la stessa del presente. Questo “distacco storico del presente dalla storia fa poi sorgere un romanzo storico in cui il vuoto esotismo antiquario o avventuroso, avvincente o mitico di una tendenza presa a caso e priva di nessi si degrada a una semplice lettura di passatempo” (LUKÁCS 1965: 244).

Il romanzo storico che si sviluppa dal 1848 in poi è caratterizzato da una privatizzazione

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della storia, nel senso che gli eventi narrati non sono influenzati dagli eventi storici e non hanno nessun rilievo nella narrazione: “Solo esteriormente la vicenda privata è stata collocata in una determinata epoca. Il carattere puramente privato dell’azione ne ha completamente annullato la storicità” (LUKÁCS 1965: 268). Alcuni romanzi storici del periodo nuovo sono caratterizzati da un’arcaizzazione del linguaggio, dettata dall’ambizione all’autenticità naturalistica; altri autori invece preferiscono una modernizzazione del linguaggio. I grandi personaggi della storia vengono innalzati al mito perché le loro azioni vengono isolate dalle forze motrici che caratterizzano la loro epoca, e diventano perciò incomprensibili al punto da essere elevati ad una “magnificenza decorativa”. Se nel periodo classico del romanzo storico le atrocità vengono usate in qualità di espressioni di determinate forme della lotta di classe da cui scaturiscono i conflitti e le passioni umane, permettendo all’eroismo insito nelle persone di manifestarsi e quindi mitigando la crudeltà, dal 1848 in poi le atrocità occupano invece una posizione centrale e risultano fini a se stesse perché sono state sganciate dall’evoluzione sociale dell’uomo e dal contesto che le ha originate.

I conflitti narrati non sorgono dalle condizioni storiche reali dell’epoca descritta e della vita del popolo in questo periodo. Sono piuttosto i conflitti specificatamente moderni fra passione e coscienza dell’individuo artificiosamente isolato dalla vita capitalistica.

(LUKÁCS 1965: 305)

Durante periodo imperialistico la componente storica è rappresentata solamente come sequenze di “fatti isolati, avulsi dal loro contesto” (LUKÁCS 19965: 344). Il romanzo storico passa gradualmente in secondo piano: prima i cambiamenti subiti dal romanzo storico durante la seconda metà dell’Ottocento si radicano, dando vita alle correnti realiste, naturalistiche, decadentistiche, gotiche, orientaliste; poi l’inizio del Novecento marca la nascita della sperimentazione stilistica e creativa delle avanguardie storiche come il futurismo, e l’interesse dei narratori si sposta sempre di più sugli gli aspetti psicologici dei personaggi da essi creati. Tuttavia esso subisce comunque degli ulteriori cambiamenti, in due direzioni diverse. Da un lato la vittoria dei regimi totalitari in Europa approfittano della privatizzazione della storia ormai propria del genere per prendere i fatti storici isolati e reinterpretarli, anche a costo di distorcerli, per soddisfare i propri fini propagandistici.

Più importante però è la tendenza opposta, manifestata dall’umanesimo antifascista: si viene a creare una corrente che si dedica al romanzo storica e che continua a contrapporre

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passato e presente, ma lo fa a fini politico-sociali.

La conoscenza delle grandi lotte del passato, dei grandi precursori che combatterono per il progresso in tempi passati, indicandone la strada che il genere umano ha percorso e dovrà riprendere, deve dare agli uomini di oggi, in mezzo al terrorismo fascista, coraggio e consolazione nella lotta, e mostrare loro gli scopi e gli ideali di questa lotta. (LUKÁCS 1965: 374)

La letteratura storica di questa corrente si dedica a riscoprire le dittature del passato per metterle in relazione con il regime instaurato da Hitler; nel fare questo, il romanzo storico riesce a superare la condizione di estraneità che si era venuta a creare tra esso e la vita del presente, e anche la sua tendenza alla monumentalità riacquista significato, perdendo quel carattere decorativo che gli era appartenuto dal 1848.

Il genuino spirito storico della composizione si rivela proprio nel fatto che tali esperienze personali, senza perdere questo loro carattere, senza trascendere l’immediatezza di questa vita, toccano tutti i grandi problemi del tempo, sono ad essi organicamente legate, sorgono e si sviluppano necessariamente da essi. (LUKÁCS 1965: 395)

Comincia un periodo di transizione che si dirige verso un ritorno al romanzo storico classico, anche se rimane legato al più recente romanzo storico borghese: la storia è ancora considerata come un destino astratto che serve per spiegare i problemi del presente; rimane il misticismo insito nelle figure storiche; l’azione si svolge ancora nelle alte sfere della società.

Tra la fine del secolo e l’inizio degli anni Duemila il romanzo storico riacquista prestigio e popolarità, e continua ad essere un genere che riscuote un discreto successo anche a livello di vendite. Questa rinascita del genere è avviata dal libro Il Nome Della Rosa di Umberto Eco, pubblicato nel 1980. Questo libro viene considerato il punto d’inizio del postmodernismo ed è il primo romanzo ad essere definito “neostorico”.

Il ritrovato successo del romanzo storico negli ultimi anni è dovuto alla sfiducia nel presente e nel futuro che si è venuta a creare, e perciò si tende a rifugiarsi nel passato: “Il ricorso al grande modello del romanzo storico consente agli scrittori di mettere in scena il difficile rapporto, nella società contemporanea, tra presente, passato e futuro” (BENVENUTI 2012: 25). Il romanzo neostorico è caratterizzato dal paradosso di essere costituito da una cornice storica più o meno accurata mentre la società postmoderna sembra avere la tendenza a volersi separare dalla storia vera e propria, mettendo in scena la

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crisi della conoscenza storica.

Il problema non è più quello della intelligibilità o meno della storia, ma è quello della parzialità, della arbitrarietà e della intercambiabilità delle sue interpretazioni, viste sempre e comunque come versioni ideologiche incoscienti, connesse al potere economico-politico.

(GANERI 1999: 118)

Questa nuova concezione della storia, non più accettata come verità inconfutabile ma indagata dal punto di vista soggettivo dell’autore, lascia spazio alla congettura ed all’invenzione fantastica. Dal 1980 in poi questo genere è caratterizzato da libri che giocano sulla confusione tra i piani della realtà e della finzione:

Abbondano fact-fictions che mirano ad attribuire un senso, spesso consolatorio, alla “deriva del senso” nella postmodernità, attraverso una ricostruzione del passato che ne mostra il volto nascosto, il lato occulto, costruendo e svelando presunti complotti e i poteri occulti che li intessono. (BENVENUTI 2012: 19)

È molto difficile trovare tratti in comune romanzi che rientrano nel in questo genere, a parte l’ambientazione storica: ci sono sia libri che contano su una ricostruzione scrupolosa che libri più orientati a favore dell’invenzione narrativa, c’è una grande varietà di cornici storiche prese in considerazione (dall’Impero Romano alle Guerre Mondiali), libri ricchi di riferimenti letterari da decodificare e libri che mirano invece ad intrattenere il lettore improntati sulla “letteratura dell’inesperienza”.

I romanzi neostorici presentano infatti una caratteristica «plurigenicità», una commistione di più modelli letterari all’interno di un medesimo testo. Soprattutto quelli in cui è più alto il grado di consapevolezza culturale e letteraria, di solito non possono essere definiti solo e semplicemente storici. Le proposte più interessanti riguardano anzi le opere che rientrano in una pluralità di tipologie e che condensano connotazioni e caratteristiche di generi diversi.

(GANERI 1999: 122-123)

Ad avere particolare successo sono quei romanzi che vogliono rimettere in discussione la Storia fornendo al lettore un nuovo punto di vista ed un’interpretazione alternativa degli eventi narrati – ad esempio giocando sulle teorie del complotto (presente già ne Il Nome della Rosa di Umberto Eco attraverso l’elemento del manoscritto come nei romanzi più recenti e conosciuti, come quelli di Dan Brown) oppure indagando il passato mettendo in luce elementi che rischiano di essere dimenticati come fa il “racconto della testimonianza” (in cui rientra letteratura postcoloniale, che indaga anche il tema della migrazione).

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Il romanzo in generale deve anche fare i conti con i cambiamenti tecnologici avvenuti negli ultimi anni, che condizionano la sua diffusione, e che secondo Antonio Scurati possono causare una frattura tra la collettività degli individui e la letteratura, rompendo il rapporto tra letteratura ed esperienza. A cercare di riparare a questa frattura c’è l’azione di gruppi come il collettivo di scrittori chiamato Wu Ming. Questo collettivo in particolare si dedica alla scrittura di romanzi collettivi (molti dei quali sono romanzi storici, come Q e 54) ed è molto impegnato ad elaborare strategie per riportare la letteratura nell’attualità, poiché “per loro la letteratura deve proporsi in quanto mito, racconto capace di dare vita a una collettività rifondando, attraverso le pratiche della narrazione, un discorso comune di appartenenza culturale, civile e politica” (BENVENUTI 2012: 71). Hanno già messo in atto alcune iniziative, tutte incentrate su internet. Del loro primo romanzo, intitolato Q e pubblicato dal membro del collettivo Luther Blisset, si può dire che: “non possiede una dimensione politica intrinseca, emerge esclusivamente dai discorsi che precedono e accompagnano la sua pubblicazione, una sorta di paratesto diffuso in rete che fornisce la chiave di lettura rivoluzionaria a chi segua Luther Blissett” (BENVENUTI 2012: 74). Il loro romanzo collettivo 54 è stato oggetto di una lettura tramite “live tweeting”: come riporta Luca Pisapia con un articolo su Il Fatto Quotidiano pubblicato l’11 gennaio del 2014, “Sul social network sono postati dagli autori e dai lettori delle brevi frasi di 140 caratteri estrapolate in ordine cronologico dal romanzo in questione”. L’utilizzo della piattaforma di Twitter per riscoprire i classici della letteratura non è un’esclusiva dei Wu Ming: nello stesso articolo, Luca Pisapia scrive ancora che: “Il gruppo Twitteratura da tempo cerca di promuovere sullo stesso social “Un nuovo modo di riscrivere, e quindi rileggere riappropriandosene, grandi opere della letteratura”, da Pavese a Queneau, da Pasolini a Calvino”.

3.2- L

A GUERRA E IL FASCISMO DAL PUNTO DI VISTA DEGLI

IMMIGRATI ITALIANI NEL

R

EGNO

U

NITO

3.2.1- La situazione degli immigrati nel primo dopoguerra

Durante gli anni del primo dopoguerra si possono distinguere due macro-categorie di immigrati italiani: quelli che avevano risposto alla chiamata del governo italiano ed erano entrati nell’esercito durante la prima guerra mondiale, e quelli che invece avevano deciso di

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ignorarla. Infatti il patriottismo di molti degli italiani trasferitisi nel Regno Unito era più il risultato di un attaccamento emotivo che patriottismo vero e proprio, tanto che molti degli immigrati hanno preferito non registrare i figli presso il consolato italiano per evitare futuri richiami alle armi (è questo il caso preso in considerazione nel libro di Dan Gunn: Dario, nato in Italia, è l’unico dei ragazzi Pezzini ad avere i documenti italiani, anche se il motivo per cui i genitori decidono di lasciare che gli altri abbiano la cittadinanza britannica non viene spiegato nella narrazione). Infatti Lucio Sponza sottolinea:

[…] any patriotic fervour of the immigrant, especially if shown by the common waiter and the ice-cream street vendor, rather than by an authoritative member of the colony (such as Arturo Serena), had more to do with an emotional, often imitative reaction on the spur of the moment […], rather than by a deep-rooted identity with Italy and its claim to accomplish the Risorgimento by liberating the ‘irredentist’ lands still ‘occupied’ by the Austrians – namely

‘Trento and Trieste’. (SPONZA 2000: 22-23)

Al termine della guerra, tra gli italiani che si sono rifiutati di unirsi all’esercito della madrepatria e i quelli che invece hanno risposto alla chiamata finisce per crearsi del risentimento, che i veterani di ritorno dalla guerra non mancano di sottolineare in alcuni giornali italiani pubblicati nel Regno Unito (ad esempio La Cronaca). Questa ostilità si affievolisce nel giro di pochi anni per essere sostituita da una sorta di antimilitarismo (come dimostrato, nel libro di Dan Gunn, dal personaggio di Carlo Balestracci), derivata anche da un certo imbarazzo per via della crisi che l’Italia attraversa nel primo dopoguerra. Questo risentimento però torna evidente dopo l’ascesa del fascismo.

Gli anni del primo dopoguerra sono anche gli anni in cui gli italiani cominciano veramente a mettere radici nel Regno Unito: questo è dovuto ad un irrigidimento delle politiche per l’immigrazione e l’emigrazione messe in atto prima dal governo britannico (per limitare l’entrata di persone) e poi da quello italiano (per impedire di lasciare il Paese), che riescono a congelare buona parte del movimento tra i due Paesi. Questo irrigidimento delle politiche causa anche una riduzione nel numero degli immigrati: se il censimento del 1921 ne contava 24.242, dieci anni dopo il numero si è ridotto a 21.719, e scende a 18.000 prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Si può infatti individuare una certa diffidenza nei confronti degli immigrati da parte del Regno Unito, resa evidente già dal 1905 con dell’entrata in vigore dell’Aliens Act (la risposta del Parlamento all’ondata di immigrazione di ebrei in fuga dalle persecuzioni religiose che subivano in Russia, visto che il Paese è la

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meta di molti immigrati già all’inizio del diciannovesimo secolo).

Gli immigrati italiani nel Regno Unito non fanno certo parte della classe sociale benestante e svolgono lavori umili: nel campo della musica (musicisti di strada), dell’artigianato (strumenti di precisione, statuette di gesso) e, soprattutto, nella ristorazione (ci sono molti locali e negozi di alimentari gestiti da italiani che assumono italiani, e il gelato in particolare sta avendo molto successo e rappresenta un’industria in espansione).

3.2.2- Il successo del fascismo

Il fascismo è uno dei primi regimi totalitari che si sviluppano in Europa durante la crisi del primo dopoguerra, ed è una delle cause scatenanti della seconda guerra mondiale; esso nasce “dal disordine politico, dalla crisi economica, dall’esaltazione del nazionalismo e dalla volontà di un uomo” (DUROSELLE 1971: 234): Benito Mussolini.

Nato in Romagna il 29 luglio 1883, all’inizio del ‘900 Mussolini è un giornalista che fatica ad affermarsi, dato che i giornali non sono sempre entusiasti del modo in cui i suoi articoli si accaniscono contro la democrazia, il parlamentarismo e la Chiesa Cattolica.

Originariamente socialista e neutralista nel 1914, le sue vedute politiche cambiano improvvisamente quando si pronuncia a favore dell’entrata in guerra in un articolo che gli costa l’espulsione dall’Avanti!; tuttavia il suo nuovo approccio gli fa guadagnare il sostegno degli interventisti. Alla fine della guerra, oltraggiato per le scarsissime ricompense ottenute dall’Italia con il trattato di Versailles, fonda a Milano il primo “Fascio di combattimento”

nel marzo del 1919.

Il numero dei Fasci comincia subito a salire con l’incoraggiamento delle violenze provocate dalla situazione di crisi in cui si trova l’Italia e che i governi socialisti non riescono in alcun modo a rimediare. Le organizzazioni di sinistra cominciano ad essere oggetto di “spedizioni punitive” che attraggono sempre più giovani e nazionalisti. Questa crescita permette a Mussolini di fondare il vero e proprio Partito Nazionale Fascista nel novembre del 1921, e il movimento comincia ad avere tanto successo che attira anche le simpatie degli ufficiali dell’esercito e comincia a fare notizia all’estero (nel 1921 infatti apre anche il Fascio di Londra, fondato da Antonio Cippico e Camillo Pellizzi). Nello stesso anno, Mussolini viene eletto deputato e i Fasci organizzano adunate nelle città per attrarre sempre più persone.

Mussolini comincia a mirare ad ottenere il potere attraverso l’intimidazione e orchestra la

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marcia su Roma: “nell’estate del 1922 il « Consiglio nazionale fascista » reclama lo scioglimento della Camera: in caso contrario, minaccia l’insurrezione, alla quale le

« milizie » del partito in camicia nera si stanno preparando attivamente” (DUROSELLE 1971: 237). La presa di potere avviene ad ottobre e viene assecondata dal re Vittorio Emanuele III, “sia per le pressioni di numerosi membri della sua famiglia, sia perché preoccupato soprattutto di evitare spargimenti di sangue” (DUROSELLE 1972: 238). Il fascismo riceve molto supporto dalle fasce povere della popolazione italiana (contadini e operai) che vedono il potenziale cambiamento predicato dal fascismo come un rimedio alla loro miseria, ma le informazioni che ottengono sono incomplete (ad esempio non si sa niente degli aiuti finanziari al partito provenienti dagli ambienti ricchi).

È grazie a queste prime vittorie che il Duce comincia a riscuotere un certo successo tra gli emigrati italiani, anche perché le informazioni che arrivano all’estero sono ancora più incomplete di quelle in possesso degli italiani stessi: arrivano a malapena le notizie del passaggio verso la dittatura, della crisi Matteotti, dell’opposizione di don Luigi Sturzo e delle denunce di Gaetano Salvemini, soprattutto perché tutto quello che viene divulgato all’estero è filtrato e rielaborato dagli organi fascisti agli ordini del Duce: “When Mussolini became prime minister at the end of October 1922, he kept personal control over the ministries of the interior and of foreign affairs.” (SPONZA 2000: 32). Soprattutto, il fascismo è particolarmente popolare all’estero perché diventa un collante per le comunità italiane (divise persino le une dalle altre per appartenenza alla regione d’origine). Questo suo ruolo in particolare è favorito dalle iniziative messe in atto dalle varie succursali del Fascio che vengono inaugurate nel Regno Unito – quello di Londra nel 1921 è il primo, seguono poi le sedi di Manchester, Liverpool, Glasgow ed Edimburgo aperte tra il 1923 e il 1924 (e in The Emperor of Ice-Cream sono proprio Dario e Giulio Pezzini ad aprire la sede di Edimburgo). L’appoggio del governo britannico e dell’opinione pubblica inglese è un altro punto a favore del fascismo e contribuisce a creare un’immagine positiva di Mussolini: viene visto come un leader carismatico ed è idolatrato come il Duce, l’eroico salvatore della madrepatria (in The Emperor of Ice-Cream, il personaggio di Dario è la personificazione di questo punto di vista). Un altro dei fattori che mettono il fascismo in buona luce è costituito dal fatto che, con Mussolini al potere, le ambasciate italiane cominciano finalmente ad occuparsi veramente degli immigrati italiani; Sponza scrive che

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“as far as foreign policies were concerned, the programme indicated that Italians abroad where to be protected and entitled to political representation” (SPONZA 2000: 32), e nel romanzo è Giulio a dichiarare che “‘Now and for the first time,’ he summed up, ‘there’s a meaning to being an Italian abroad. At last we have someone who recognizes our existence.’” (GUNN 2014: 41). Il fatto che anche la Chiesa dichiari il proprio appoggio al fascismo attraverso la ratifica dei Patti Lateranensi nel 1929 è un altro elemento a favore:

permette un’ulteriore occasione di incontro tra le varie comunità italiane all’estero, una cosa molto apprezzata anche dalla Chiesa stessa visto che le permette di riconnettersi con gli emigrati:

To the extent that Italian emigrants were integrated in the host societies, they were in danger of loosening the bonds with their Roman Catholic upbringing, while weakening their national identity. This was particularly the case in countries such as Britain, in which secularism was much advanced and the dominant religious creed was of the (Christian) Protestant variety. (SPONZA 2000: 44)

I Fasci sono cruciali per il successo del fascismo all’estero: oltre a sponsorizzare attività culturali e sociali e sportive organizzano campi estivi per i ragazzi, e arrivano persino ad organizzare viaggi per portarli in Italia. Tutte le iniziative sono molto apprezzate dagli emigrati. Due di questi viaggi sono presenti anche in The Emperor of Ice-Cream: uno nell’estate del 1926 per Dario e Giulio e uno nell’estate del 1927, che è l’occasione di Lucia per vedere l’Italia per la prima volta.

Quando il Duce organizza la campagna militare in Etiopia, il successo del fascismo all’estero è abbastanza forte da spingere gli emigrati a rispondere alla chiamata alle armi per unirsi all’esercito italiano, riuscendo ad ottenere anche la reazione di coloro che avevano invece ignorato l’appello durante la prima guerra mondiale (Dario Pezzini è uno degli italiani all’estero che risponde alla chiamata, solo per fare ritorno sfigurato dal gas e disgustato dall’indisciplina dell’esercito italiano, ma ancora fedele alla figura del Duce).

3.2.3- Il totalitarismo e l’avvicinamento a Hitler

Il regime mussoliniano diventa ufficialmente un regime totalitario nel 1925, con l’emanazione di una serie di leggi che mirano a impedire le critiche e che mettono il Duce al di sopra di tutti, responsabile solamente davanti al Re. Da quel momento in poi il suo controllo su tutti gli organi amministrativi si fa più severo e comincia la soppressione di

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tutti i partiti antifascisti (questo succede anche all’estero: solo la LIDU sembra riuscire a resistere).

Sono altri due i regimi totalitari che nascono in Europa seguendo l’esempio di Mussolini: il nazismo, con la presa di potere di Adolf Hitler dopo la crisi del ’29, e la dittatura di Francisco Franco, instaurata dopo la guerra civile che imperversa in Spagna dal 1936 al 1939. Il fascismo intreccia diversi rapporti con questi due regimi totalitari. Il rapporto con la dittatura di Franco è di supporto ma distaccato: Mussolini manda le truppe italiane in aiuto dei franchisti durante la guerra civile, ma non instaura nessun altro tipo di rapporto con il regime (infatti ritira le truppe dopo l’Accordo tra Gentiluomini stretto con il Regno Unito e la Spagna non partecipa al Patto d’Acciaio tra Italia e Germania). Il rapporto tra Mussolini e Hitler invece si sviluppa in più fasi.

Adolf Hitler si definisce fin da subito un ammiratore del Duce, affermando (come riporta anche Dario in The Emperor of Ice-Cream) di voler “esportare” l’esempio del fascismo in Germania. Mussolini però non si dimostra particolarmente entusiasta di questa ammirazione ed è critico nei confronti della politica espansionista di Hitler in Europa. Il rapporto tra i due dittatori comincia a cambiare dopo la campagna militare italiana in Etiopia: mentre la Società delle Nazioni osteggia e sanziona l’iniziativa italiana, che Mussolini giustifica con il patriottismo e che descrive come una retribuzione per le ingiustizie perpetrate dal trattato di Versailles, Hitler la supporta. L’allineamento di fascismo e nazismo viene formalizzato con l’apertura dell’Asse Roma-Berlino nel 1936, e rafforzato dall’abbandono dell’Italia della Società delle Nazioni. Questo clima nervoso, caratterizzato dalle tensioni internazionali, viene descritto da Lucia, nel romanzo. Alle preoccupazioni di Lucia risponde il fratello Dario: le sue parole sembrano essere profetiche quando poco tempo dopo, volendo scongiurare un possibile focolaio di ostilità, il Regno Unito e l’Italia firmano un Accordo tra Gentiluomini (1937): le colonie italiane in Etiopia vengono riconosciute mentre Mussolini ritira gli aiuti alla Spagna e promette di non avere ulteriori mire espansionistiche. Nonostante questa apertura di credito delle diplomazie internazionali, l’avvicinamento di Hitler e Mussolini è ormai un dato di fatto politico, e le pressioni dell’alleato nazista spingono il Duce a sottoscrivere le leggi razziali. Il rapporto tra l’Italia fascista e la Germania nazista diventa ancora più stretto con il Patto d’Acciaio del 1939 (dopo la conquista italiana dell’Albania), “una vera e propria alleanza offensiva e

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difensiva” (DUROSELLE 1971: 369). Tuttavia, quando Hitler invade la Polonia ed entra in guerra, Mussolini dichiara la neutralità.

In The Emperor of Ice-Cream Lucia parla molto poco direttamente di questi eventi, ma le informazioni che riguardano la politica e la guerra arrivano al lettore attraverso i discorsi di Dario, le minacce di Ewan e nei paragrafi sommari all’inizio di alcuni capitoli che servono anche a dare le coordinate temporali – come all’inizio del capitolo 31:

Two months later, he seemed about to be proved right, in the signing of a pact between the two countries––my two countries. Decio Anzani might write to Giulio from London to say that this so-called Gentlemen’s Agreement could not last, but it was enough to make me wonder if one day I might feel whole again. (GUNN 2014: 166)

3.2.4- La neutralità italiana

Contrariamente a quanto detto per gli eventi politici che precedono lo scoppio della seconda guerra mondiale, Lucia presta invece più attenzione al susseguirsi di battaglie ed accordi che avviene durante gli anni del 1939 e del 1940. Li descrive sempre attraverso dei paragrafi sommari ad inizio capitolo (salvo una volta, in cui li descrive nel mezzo del capitolo 37), che sono spesso integrati da interventi di Ewan o dai discorsi di Dario. I capitoli in cui Lucia si dedica a descrivere il contesto storico, concentrandosi soprattutto sugli eventi che riguardano l’Italia e il Regno Unito, sono i capitoli 37, 39, 40 e 42.

Quando Hitler sferra l’attacco alla Polonia, Mussolini non riceve nessun preavviso e, sapendo bene che l’Italia non è pronta per sostenere lo sforzo di guerra, dichiara la “non belligeranza”. Nonostante questa decisione non sia esattamente coerente con gli ideali predicati dal fascismo, gli italiani sembrano piuttosto sollevati. Questo vale anche per gli italiani all’estero: “Italians in Britain were obviously no less comforted to know that their country was to remain neutral and were particularly hopeful that Mussolini would find a solution to the European crisis” (SPONZA 2000: 55).

Il Regno Unito e la Francia invece tengono fede alla loro alleanza con la Polonia e dichiarano guerra alla Germania, mettendo in atto strategie di guerra che includono anche il razionamento del cibo a livello interno al Paese e l’imposizione dei black out per prevenire la minaccia dei raid aerei. Il morale del Regno Unito viene profondamente scosso dall’affondamento della corazzata Royal Oak da parte di un sottomarino tedesco, che era riuscito ad introdursi nella base navale britannica di Scapa Flow in Scozia, che era

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considerata sicura. Nonostante questo colpo inferto dai nemici in territorio scozzese, il War Office dichiara che non ci sarà nessun internamento di massa come quelli messi in atto durante la prima guerra mondiale. Le vittorie a Narvik, in Norvegia, nell’aprile del 1940 riescono a rinfrancare gli animi, ma il sollievo è breve: nel maggio e nel giugno dello stesso anno, le armate britanniche si trovano a dover mettere in atto una ritirata strategica a Dunkerque.

Nel frattempo le relazioni diplomatiche con l’Italia vanno deteriorandosi, tra la sfiducia del Regno Unito e le pressioni naziste che vogliono l’entrata in guerra dell’Italia. Sentendo la tensione, gli immigrati italiani nel Regno Unito cominciano a smettere di rinnovare le tessere del Fascio e a scrivere ai giornali inglesi per ribadire che la loro lealtà va al governo britannico, riponendo la loro fiducia in quei politici che avevano dimostrato di simpatizzare con gli italiani. Il morale e la tensione degli immigrati che stanno a guardare con preoccupazione le schiaccianti vittorie tedesche è ben descritto da Lucia all’inizio del capitolo 42:

War could not, simply could not, go so badly so fast. Despite his bold pronouncements, power slipped from Mr Chamberlain’s hands. I tried to draw some comfort from the fact that the new Prime Minister had until so recently been Mussolini’s admirer; and a little more from the local lad, Sir John, who was at his side. Harry’s hopes for the Maginot Line evaporated in days, not months, as the German tanks drove through the Ardennes, and the Low Countries dell. But as the French government withdrew from Paris and the Expeditionary Force was cornered, cut off, forced to retreat to the coast, all I could do was scrutinize Giulio’s face for signs of reassurance, as he attempted to sustain a smile for customers. For as long as the Duce had not pronounced, we’d be waiting. It was like watching a storm break over Fife, when the south wind reminded us that our own rain would have a different source…

Until the waiting––our waiting––was over.

(GUNN 2014: 230)

3.2.5- Enemy aliens

Nessuno dei tentativi fatti dagli immigrati italiani per rassicurare il governo britannico sulla loro posizione riesce ad evitare il disastro: “Italians in Britain became ‘enemy aliens’ and a swift reaction by sections of the public and – more important – by the authorities took place” (SPONZA 2000: 72).

La reazione immediata degli immigrati alla dichiarazione di guerra del Duce è quella di

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rimuovere ogni insegna che possa ricordare le origini italiane dei proprietari e, per quelli che hanno effettivamente i documenti britannici, di affermare il loro status di cittadini del Regno Unito. Questo però non impedisce alla popolazione locale di sfogare il sentimento anti-italiano maturato durante i mesi della neutralità attraverso manifestazioni di ostilità e violenza più o meno gravi. A Londra ci sono disordini, ma nessun ferito grave se non a causa di incidenti; a Newport, Cardiff e Swansea la polizia deve intervenire per impedire i danni più gravi; Glasgow, Clydebank e Edimburgo sono i punti che registrano gli attacchi più devastanti e violenti, e riportano persino delle vittime. Tuttavia ci sono diversi casi in cui gli abitanti delle città mostrano invece affetto per gli italiani ormai integrati nella loro comunità (come a Birmingham e a Manchester, dove ci sono importanti comunità di italiani) e altri in cui le folle sono composte più da curiosi che da arrabbiati (come nel sud del Galles). Gli attacchi contro gli italiani cominciano subito, a una manciata di ore dall’annuncio di Mussolini, sia da individui singoli che da gruppi di essi. Gli assalti sono concentrati in particolare sui negozi, mentre le case (a meno che non fossero nelle immediate vicinanze), le ambasciate e persino le sedi del Fascio vengono tralasciate.

Questo perché sono stati per lo più i lavoratori a guidare gli assalti, che nella maggior parte dei casi sono più una scusa per “svuotare legalmente” i negozi che per fare del male; infatti gli attacchi più violenti si sono concentrati in Scozia, uno dei posti che hanno sofferto di più a causa della depressione economica. Un’altra delle cause di queste manifestazioni violente è la xenofobia, ma questa non è limitata alla comunità italiana: ci sono attacchi anche contro i tedeschi e gli austriaci. Non bisogna mancare di notare che tra gli assalitori ci sono anche ragazzi di circa vent’anni.

Le insurrezioni più violente si verificano proprio in Scozia; The Emperor of Ice-Cream ci mostra come sia la famiglia Pezzini a farne le spese: l’Ice Palace viene completamente distrutto anche per l’intervento di Ewan, e la Paola’s Neapolitan Fry riesce a salvarsi solo perché Paola stessa si mette in prima linea, sottolineando brutalmente e ad alta voce come i clienti che fino al giorno prima erano lì a godersi il suo pesce fritto e patatine adesso vogliano farle a pezzi il locale.

In alcune zone, i disordini si ripetono anche la notte dopo, ma non oltre: la presenza della polizia scoraggia le “teste calde”, e la maggior parte degli italiani a questo punto è già stata presa in custodia per l’internamento in apposite strutture assieme ad altri stranieri. In The

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Emperor of Ice-Cream, Giulio ed Emilio sono tra gli italiani che vengono internati mentre Dario riesce a nascondersi con l’aiuto di un amico del corpo di polizia.

Le autorità britanniche procedono alla presa in custodia e all’internamento degli italiani in modo efficiente e veloce: il governo sospettava di tempo che prima o poi Mussolini sarebbe entrato in guerra a fianco della Germania.

Towards the end of April the Aliens Department of the Home Office sent instructions to all police stations to get ready to arrest on short notice all Italian males aged between 16 ad 70.

who had been resident in Britain for less than 20 years, in addition to some 1,500 members of the Fascist Party. (SPONZA 2000: 95)

Questi ordini vengono eseguiti alla lettera all’ordine di Winston Churchill: “Collar the lot!”. Tuttavia, alcuni rappresentanti del governo britannico si dimostrano contrari all’internamento indiscriminato: Sir John Anderson (Segretario di Stato) sottolinea il rischio di creare antipatie e risentimento nei confronti il Regno Unito in italiani che invece non avrebbero ragione di provarne, rischiando quindi di alienarli persino dal Paese che per loro è più “casa” dell’Italia stessa; William Gillies (Segretario del dipartimento internazionale del Labour Party), in collaborazione con Decio Anzani (capo della LIDU, e un personaggio che viene menzionato spesso in The Emperor of Ice-Cream) scrive continuamente liste con i nomi dei rifugiati politici e degli anti-fascisti che devono essere subito rilasciati; altri oppositori di queste misure estreme sono Lord Halifax (Segretario di Stato per gli affari esteri) e Lord Lytton (a capo dell’Advisory Council of Aliens per il Foreign Office), che premono per rimpatriare gli italiani anziché deportarli o internarli.

Dopo il disastro dell’Arandora Star (che ha causato la morte anche di molti anti-fascisti, nonché di Decio Anzani stesso), Sir John Anderson toglie la responsabilità degli internamenti al War Office (che aveva “made a mess of the deportation policy” [SPONZA 2000: 112]) per passarla all’Home Office, creando al tempo stesso un Advisory Committee presieduto da Sir Percy Loraine per riesaminare caso per caso la situazione di ogni italiano internato, e decide che da quel momento in poi non ci sarebbero state altre deportazioni, nonostante l’opposizione dell’MI5. Nonostante l’impegno, il lavoro di Loraine procede a rilento e non riesce a salvare o a dare giustizia a molti che l’avrebbero meritato.

Le prime strutture provvisorie in cui vengono trattenuti gli individui da internare non sono sempre in buono stato. In The Emperor of Ice-Cream, all’inizio del capitolo 47, Giulio usa la parola “squalid” per descrivere Wharfe Mills e scrive anche che probabilmente verranno

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spostati presto: “[…] yet they can’t keep us fenced here for ever, with no beds or blankets or sanitation, no heating, food that’s barely edible (except by the rats, which are everywhere)” (GUNN 2014: 254). Dalle lettere di Emilio sembra che invece la situazione nei campi di internamento sia assai migliore, visto che scrive di essere visitato regolarmente da un dottore. Questa informazione è compatibile con le dettagliate informazioni fornite da Lucio Sponza nel libro Divided Loyalties, in cui l’autore descrive con grande precisione le caratteristiche dei campi di internamento. Quasi tutti gli internati sono confinati in diversi campi sull’Isola di Man, che avevano ricoperto lo stesso ruolo durante la prima guerra mondiale per trattenere gli individui provenienti dai Paesi schierati contro il Regno Unito:

essendo essa un’isola riesce infatti a fornire la sicurezza dell’isolamento, e visto che si tratta di una località turistica può mettere a disposizione anche hotel e strutture analoghe nel caso non ci sia abbastanza spazio nei campi di internamento veri e propri. I campi vengono messi sotto la supervisione del Capitano W.A.C. Myers, che li organizza in unità di 30

“case” ciascuna (ogni unità di case risponde al “camp leader”, ogni casa risponde all’“house leader”). In totale i campi di internamento sono undici, con gli italiani concentrati nel Palace Camp, nel Metropole Camp e nel Granville Camp (anche se ci sono delle fluttuazioni man mano che alcuni vengono rilasciati). La Croce Rossa Internazionale fa spesso delle visite di controllo per assicurarsi che non ci siano maltrattamenti degli internati e per ascoltare eventuali reclami dei “camp leaders”. Si organizzano attività educative, musicali e sportive per tenere impegnati gli internati, e a queste si aggiunge anche la possibilità di fare richiesta per farsi assegnare dei turni di lavoro dopo l’agosto del 1940. Nei campi viene autorizzata la circolazione di giornali e vengono installate delle radio: permettere agli internati di tenersi aggiornati sull’andamento della guerra serve a scoraggiare eventuali pettegolezzi e false voci che potrebbero portare a disordini, e anche per monitorare le loro reazioni (ad esempio, si nota che alla caduta del fascismo nel 1943 molti decidono di abbandonare il partito e sono solo i giovani, che del fascismo hanno visto solo la gloria, a rimanere a pregare per la fuga del Duce). Gli internati possono sia ricevere lettere dai familiari e che mandarne (anche se non più di due volte alla settimana) e possono ricevere visite, posto che i visitatori siano in grado di affrontare le procedure burocratiche e di sostenere le spese di viaggio e permanenza all’Isola di Man. Ci sono severi limiti riguardo a cosa si può portare nel campo e cosa no, e ogni irregolarità viene punite con

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delle sanzioni commisurate alla gravità dell’infrazione. Ci sono pochissimi casi di fuga, tutti puniti con delle penalità.

Poco tempo dopo aver dato l’ordine di internamento, Winston Churchill decide di dare agli enemy aliens la possibilità di prendere le armi contro la Germania (avrebbero aiutato a rafforzare i ranghi dell’esercito inglese, potevano essere controllati meglio e sarebbero stati in grado di guadagnarsi la stima del governo britannico). Alcuni italiani si propongono volontariamente ed entrano nei Pioneer Corps (squadre che si occupano della manutenzione e che non richiedono giuramento di fedeltà né implicano la proprietà di armi, a cui vengono affidati compiti più in linea con le capacità degli italiani, che sono più commessi e camerieri che soldati); altri partecipano alla creazione di programmi radio che mirano a portare altri di loro dalla parte delle potenze Alleate (anche se questi programmi non hanno molto successo a causa di problemi di gestione). A volte nei Pioneer Corps entrano anche quei prigionieri di guerra che si dimostrano abbastanza cooperativi e degni di fiducia, mentre gli altri sono stanziati in fattorie messe in sicurezza in modo da poter contribuire a sostenere lo sforzo di guerra ed essere quindi considerati una risorsa per il Regno Unito senza però prendere attivamente le armi contro il loro Paese d’origine (come stabilito dalla Convenzione di Ginevra). Tuttavia ci sono anche alcuni italiani che, pur non dimostrando nessuna forma di rancore o di ostilità nei confronti del Regno Unito, rifiutano la proposta di unirsi ai corpi militari:

There are in these camps a large number of men who are grateful to our country for giving them work, home and friendship and who are bound to it my many ties. They would feel it false and dishonourable to do anything to injure their ‘foster country’, […] But they have also an unwillingness to pledge themselves to ‘assist the war effort’ against their native land. They are not fascist but still Italian to this extent. (SPONZA 2000: 142)

Questo conflitto interiore, definito da Lucio Sponza “divided loyalties” (un problema da imputarsi al fatto che la lealtà degli italiani va “alla casa e al lavoro”, un sistema di valori messo in crisi perché il fascismo rende l’Italia la loro casa utopica mentre il lavoro si trova nel Regno Unito), viene trattato anche in The Emperor of Ice-Cream in una delle lettere di Emilio, sollevando anche il problema di come l’esperienza di internamento abbia avuto alcune conseguenze sui sentimenti degli italiani: “Spitfires flew overhead, which the men would watch silently, uncertain when to cheer: their loyalty to the British airmen seemed an insult to family and friends who had drowned” (GUNN 2014: 267).

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I rapporti degli ufficiali incaricati di sovrintendere tanto i campi di internamento quanto le strutture in cui vengono trattenuti i prigionieri di guerra mettono in evidenza il buon comportamento della maggior parte degli italiani, che si dimostrano quasi sempre collaborativi. Le trascrizioni dei colloqui organizzati da Sir Percy Loraine per capire quali italiani vanno rilasciati immediatamente mostrano che molti internati sono dalla parte dell’Italia ma contro il fascismo: c’è chi si è sentito in dovere di iscriversi al Fascio per una questione di origine o per pressione di amici e compatrioti e c’è chi si è iscritto per patriottismo ma che ha preso le distanze dopo l’avvicinamento tra Mussolini ed Hitler.

Questi colloqui supportano le primissime affermazioni di Sir John Anderson, che sostiene da sempre che l’appartenenza al Fascio non può essere considerato un elemento discriminatorio per decidere chi internare e chi no. A ulteriore conferma della sua tesi ci sono altri rapporti degli ufficiali che documentano anche alcuni casi di ritorsioni contro quegli internati esplicitamente anti-fascisti da parte di quelli che invece rimangono attivi sostenitori di Mussolini.

I rapporti tra gli internati italiani e i soldati britannici incaricati della loro custodia tendono ad essere buoni anche perché molti degli internati erano ben integrati nelle loro città, una cosa che Giulio, in The Emperor of Ice-Cream, mette in evidenza in una delle sue ultime lettere alla sorella Lucia: “What strikes me every day is the look of panic in the eyes of so many of these young guards: they wish to believe they are doing right, but for that they need us to be enemies of the realm, when we are former neighbours and drinking partners” (GUNN 2014: 255).

Non sono solo gli italiani internati e deportati a riportare le conseguenze dirette del “collar the lot” ordinato da Winston Churchill: ne soffrono anche le famiglie di coloro che sono stati arrestati. Questo vale soprattutto per le donne, che sono costrette a doversi prendere cura di affari e famiglia (un’impresa particolarmente difficile per quelle famiglie con bambini piccoli) senza poter contare sui mariti e ritrovandosi spesso senza un’entrata; a dispetto delle difficoltà sia materiali che personali (“Material hardship was combined with emotional distress” [SPONZA 2000: 154]), molte di loro riescono a mantenere tanto l’attività lavorativa quanto la famiglia, ma non tutte: “The worst cases were obviously those of the families who lost their loved ones with the sinking of the Arandora Star” (SPONZA 2000: 154).

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È solo grazie al libro The Internment of Enemy Aliens di François Lafitte, pubblicato nel settembre del 1940, che il governo britannico, dopo aver letto e subito le critiche in esso contenute, decide di ammorbidire le proprie politiche di internamento. Nonostante ciò, nessuna scusa formale viene offerta né agli internati, né alle loro famiglie.

3.2.5.1- L’Arandora Star

L’Arandora Star è una delle prime navi a salpare, carica di internati e prigionieri di guerra, dopo che Winston Churchill dà l’ordine di deportare gli immigrati italiani. La Duchess of York è la prima a partire il 21 di giugno da Liverpool, seguita dall’Arandora Star e dalla Ettrick l’1 e il 3 luglio, sempre da Liverpool, a loro volta seguite dalla Sobieski il 4 luglio da Glasgow. La notizia dell’affondamento dell’Arandora Star arriva solo poche ore prima della partenza della Sobieski.

Peter e Leni Gillman hanno condotto un’approfondita ricerca sul naufragio, riportata nel libro Divided Loyalties di Lucio Sponza. L’Arandora Star nasce come nave da crociera per la Blue Star Line: “Prima della seconda guerra mondiale, l’Arandora Star era stata una nave da crociera di lusso, trasportando 354 passeggeri di prima classe per il Mediterraneo, e da Venezia ai fiordi norvegesi” (Paolini in GIUDICE 2010). Allo scoppio della seconda guerra mondiale viene scelta per trasportare in Canada alcuni dei molti immigrati e prigionieri di guerra italiani, tedeschi e austriaci che sono stati condannati all’espatrio: un piccolo cannone viene montato per motivi di protezione e viene dipinta di grigio come una qualsiasi nave trasporto truppe; non vengono aggiunti simboli per segnalare la presenza di prigionieri civili a bordo (come il simbolo della croce rossa), né le viene assegnata una scorta; i ponti vengono contornati di filo spinato, separandoli da molte delle scialuppe di salvataggio. Verso le 6.30 della mattina del 2 luglio viene colpita da un siluro dell’U-boat U-47 tedesco al largo della costa irlandese e affonda nel giro di 20-40 minuti, provocando la morte di 841 persone (446 italiani, 243 tra tedeschi e austriaci, 42 membri dell’equipaggio, 97 guardie militari, 12 ufficiali e il capitano Edgar Wallace Moulton stesso). Ecco come viene descritto (piuttosto accuratamente, visto il confronto con gli articoli di cronaca) il naufragio in The Emperor of Ice-Cream:

In June 1940 Kapitänleutenant Günther Prien was already one of the most famous of U-boat captains, having sunk the aircraft carrier Royal Oak in Scapa Flow the year before. He was returning home, with one torpedo left on board U-47. Hence the temptation at 6.29 a.m.

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when he spotted the liner on the radar and surfaced to inspect: two guns fore and aft, no markings to suggest a hospital ship or anything other than an Allied supply vessel; her zigzag course a sure indication that she was a legitimate target and expecting trouble. The chance of hitting her at three hundred yards no more than fifty per cent––but what was there to lose? […]

When she was hit by the torpedo, the Arandora Star was transporting more than twelve hundred enemy aliens to Canada, one of the few countries that had expressed a willingness to receive them and set them to work. Mayday came through in Morse from Captain’s Moulton’s bridge: Torpedoed 175 miles off Bloody Foreland. Engines wrecked. Many persons dead. Ship sinking.

(GUNN 2014: 270-271)

Al momento del naufragio, l’Arandora Star trasporta in totale 1.564 persone, nonostante la sua capacità si fermasse a 1.000. Solo 10 delle 14 scialuppe (molte separate dal ponte tramite il filo spinato) di cui è fornita la nave vengono abbassate con successo: una viene distrutta dall’impatto del siluro, problemi tecnici impediscono di calarne un’altra e due vengono distrutte durante l’ammaraggio (forse danneggiate anche per via del fatto che non erano state illustrate le misure di sicurezza da adottare in caso di emergenza); alcune delle scialuppe trasportano un numero di passeggeri inferiore alla loro capienza. Tra i morti ci sono moltissimi italiani, sia perché erano in maggioranza tra i prigionieri e perché molti di loro erano stati stanziati nei ponti inferiori della nave (cosa che ne ha complicato l’evacuazione). Dei personaggi de libro, tra le vittime dell’Arandora Star ci sono Giulio e Fausto, oltre a Decio Anzani (personaggio realmente esistito e realmente morto nel naufragio della nave). Non tutti i sopravvissuti italiani condividono lo stesso destino: circa 250 vengono salvati dalla nave canadese St. Laurent e portati a Greenrock, in Scozia; circa 50, gravemente feriti, vengono portati in ospedale e, una volta rimessi, trasferiti ai campi di internamento sull’Isola di Man (come succede al personaggio di Emilio in The Emperor of Ice-Cream); circa 200 ritenuti in grado di viaggiare vengono imbarcati 8 giorni dopo sulla S.S. Dunera alla volta dell’Australia e subiscono anche dei maltrattamenti da parte degli ufficiali (come succede al personaggio di Carlo Balestracci in The Emperor of Ice-Cream).

Quando si viene a sapere che diversi anti-fascisti erano imbarcati come enemy aliens ed erano morti nel naufragio, Lord Snell conduce un’inchiesta e scopre che c’erano stati diversi errori nella compilazione delle liste in possesso delle autorità (ad ulteriore supporto dell’opinione di Sir John Anderson):

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Apparently the view was taken that those who had been only nominal members of the Fascist Party and those who were ardently fascist were equally dangerous. The result was that among those deported were a number of men whose sympathies were totally with this country. (Summary of the Arandora Star Inquiry in SPONZA 2000: 111)

Quasi tutti gli italiani rimasti vittima del naufragio provengono dal nord Italia, moltissimi dall’Emilia Romagna. Recentemente, grazie all’azione di enti locali e associazioni culturali, hanno avuto luogo diverse iniziative commemorative: nel 2008 viene scoperta una lapide commemorativa che viene portata al porto di Liverpool con una cerimonia a cui partecipano delegazioni di italiani per le regioni Emilia Romagna, Toscana e Lazio e per le città di Parma, Lucca e Piacenza; nel 2010 l’Istituto Storico della Resistenza Apuana e l'Amministrazione Comunale di Pontremoli commissionano una lapide commemorativa mentre l’Associazione Amici Val Ceno Galles, in collaborazione con le autorità gallesi e italiane, organizza una manifestazione commemorativa a Cardiff; nel 2011 a Glasgow si inaugura l’Italian Cloister Garden, un monumento commemorativo per le vittime dell’Arandora Star, alla cui inaugurazione partecipa anche uno degli ultimi sopravvissuti al naufragio ancora in vita.

3.2.6- La sconfitta dell’Italia e la fine della guerra

L’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco del Regno Unito nel dicembre del 1941, dopo l’attacco a Pearl Harbor da parte dell’impero giapponese, è ciò che imprime il cambio di direzione alla guerra, ma nel 1942 l’Europa è ancora quasi tutta in mano ad Hitler: le uniche eccezioni sono costituite dalla Svizzera e dalla Svezia, che sono riuscite a salvare la loro neutralità ma che si trovano a dover fare pesanti concessioni al Führer per riuscire a mantenerla. L’estremismo delle politiche del Regno Unito può anche imputarsi al fatto che il governo britannico fosse completamente da solo, prima dell’intervento degli Stati Uniti, e si sentisse “con le spalle al muro”.

Stati Uniti e Regno Unito si adoperano da subito per ottenere il dominio dei cieli sull’Europa Occidentale per poi cominciare con gli sbarchi delle armate, che lentamente riescono a invertire l’andamento della guerra: lo sbarco in Africa nel novembre del 1942 costringe le milizie dell’Asse a recedere e lo sbarco in Sicilia nel luglio del 1943, in pochi mesi, riesce a completare la liberazione di quasi tutta la penisola italiana che le truppe fasciste non riescono a impedire, sia per l’azione interna dei partigiani che a causa della

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crisi di produzione del sistema nazionale, conseguenza della crisi economica causata dalla guerra; tuttavia i tedeschi riescono a fermare l’avanzata delle truppe alla linea gotica nell’agosto del 1944 e Mussolini, sfuggito di prigione, istituisce la Repubblica di Salò sotto le pressioni e sotto il controllo assoluto di Hitler, ma la sua capacità di influenzare l’andamento della guerra è annullata. La sconfitta decisiva delle truppe tedesche nella Battaglia di Stalingrado iniziata nell’estate del 1942 e finita nell’inverno del 1943 e successivamente lo sbarco in Normandia (“Operazione Overlord”) il 6 giugno del 1944 segnano l’inizio del declino della Germania. Hitler scampa ad un attentato ordito dai suoi stessi ufficiali il 20 luglio del 1944, ma la doppia pressione esercitata a occidente dagli anglo-americani e a oriente dai russi lo porterà a commettere il suicidio il 30 aprile del 1945, decretando così anche il crollo definitivo della Germania, che firma la resa senza condizioni a Berlino il maggio del 1945.

Nel 1943, quando il governo britannico comincia a capire che la resa dell’Italia è imminente, nascono discussioni riguardo a come comportarsi con i prigionieri di guerra (visto che di fatto non sarebbero più stati tali). Il Regno Unito si trova ad affrontare due problemi: non è in condizioni di poter liberare così tanti italiani (più di 155.000) sul territorio britannico perché non dispone delle navi per rimpatriarli e, inoltre, ha bisogno della forza lavoro che questi sono in grado di fornire. Si decide quindi di togliere loro l’etichetta di prigionieri di guerra, di eliminare le sentinelle nei campi in cui sono stati raggruppati gli italiani disposti a cooperare e di concedergli maggiori libertà. Una volta terminata la guerra, ci vogliono diversi mesi, se non anni, per completare le operazioni di rimpatrio, nonostante il Foreign Office prema insistentemente per procedere col rimpatrio in modo da evitare incidenti politici e diplomatici. Il morale degli italiani si abbassa notevolmente di fronte al prolungamento immotivato del trattenimento, soprattutto a causa della frustrazione per il silenzio mantenuto dalle autorità sull’argomento. L’ordine di rimpatrio viene dato ufficialmente il 28 settembre del 1945 e le operazioni per procedere cominciano nel dicembre dello stesso anno. I primi a essere imbarcati sulle navi selezionate sono coloro che hanno cooperato. Una volta cominciato, il movimento dal Regno Unito verso l’Italia è lento ma stabile. Tuttavia c’è un buon numero di italiani che desidera restare, e una successiva apertura nella burocrazia permetterà loro di trasferirsi di nuovo nel Regno Unito alcuni anni dopo.


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