DOTTRINA
CONvegNO su “L’evOLuZIONe DeLLA CONTABILITÀ PuBBLICA AL seRvIZIO DeLLA COLLeTTIvITÀ” (1)(*)
Giornata di studio in memoria di Salvatore Buscema (Roma, Corte dei conti, 10 marzo 2016)
LA RIFORMA DeLL’ARTICOLO 81 DeLLA COsTITuZIONe (2)(**)
di Massimo Luciani
Sono chiamato a parlare rapidamente della riforma dell’art. 81 della Costituzione. “Rapidamente”, preciso, perché questo – ovviamente – è un tema enorme, che richiederebbe un grande impegno, non condensabile in una breve relazione. Cercherò pertanto di andare all’osso, alla sostanza della vicenda della riforma, confidando che mi siano perdonate le inevitabili semplificazioni.
Constato anzitutto che, rispetto alla riforma, si sono contrapposte due opinioni, o per meglio dire due cor- renti o blocchi di opinioni. Per il primo blocco, la riforma avrebbe cambiato l’intero quadro costituzionale:
prima della riforma, è stato detto, avevamo di fronte un certo art. 81 Cost., con una sua logica, ma ora esso è stato completamente stravolto, sicché ci troveremmo in un universo concettuale e normativo totalmente oppo- sto. Il secondo blocco di opinioni va ovviamente in senso opposto: l’essenziale non è cambiato e la riforma è coerente con l’impianto iniziale della Costituzione, senza stravolgimenti dei principi fondamentali della Carta.
Queste due grandi correnti di opinione sono a loro volta divise al loro interno.
La prima corrente di opinione (quella, ripeto, di coloro che pensano sia cambiato praticamente tutto) si scinde in due indirizzi. Chiamerei il primo quello dei “catastrofisti” e l’altro quello degli “apologeti”, ovvero (se si preferisce usare la folgorante terminologia di Umberto Eco, che purtroppo da poco ci ha lasciati), ri- spettivamente, degli “apocalittici” e degli “integrati”. I catastrofisti-apocalittici pensano che l’art. 81 sia stato trasformato così in profondità che sarebbero stati travolti addirittura i princìpi fondamentali della Costituzione, colpiti al cuore dalla riforma. Secondo gli apologeti-integrati, invece, molto, moltissimo sarebbe stato cambia- to, ma – in realtà – la Costituzione non sarebbe stata violata e la radicale trasformazione intervenuta sarebbe da valutare del tutto positivamente: sarebbe, infatti, non solo realistica dal punto di vista dei condizionamenti di politica sovranazionale e internazionale, ma anche benefica, perché ci avrebbe fatto approdare al migliore dei mondi possibili.
Anche la seconda corrente di opinione (quella, ripeto, di chi ritiene che vi sia coerenza tra riforma e Costi- tuzione originaria), si suddivide in due. Direi che da una parte abbiamo gli “scettici” e dall’altra i “pontieri”. È scettico chi pensa che, in realtà, non sia cambiato niente e che quelle della riforma siano parole vuote di signi- ficato: si ripete, a ben vedere, l’atteggiamento di alcuni dei primi commentatori del testo della Costituzione del 1948, secondo i quali alcune formulazioni costituzionali erano prive di compiuto senso normativo e talmente vuote da essere sostanzialmente a-giuridiche. Il quadro normativo non sarebbe dunque cambiato e ci troverem- mo nelle medesime atmosfere disegnate dal vecchio art. 81 e dal vecchio impianto costituzionale. È pontiere chi pensa che – appunto – si debba gettare un ponte tra il nuovo art. 81 e il vecchio, o se si preferisce tra la l.
cost. n. 1/2012 e il corpo della Costituzione per come l’Assemblea costituente lo aveva costruito. Pontiere, in questo senso, sono anch’io.
(*) Si pubblicano, di seguito, le relazioni di Massimo Luciani, Vincenzo Caputi Jambrenghi, Alberto Azzena, Maurizio Graffeo, Aristide Police, Carlo Chiappinelli, Angelo Buscema. La relazione di Giovanna Colombini è stata pubblicata in questa Rivista, 2016, fasc. 1-2, 477.
(**) Il testo costituisce la trascrizione corretta dell’intervento orale. È stato volutamente mantenuto il tono colloquiale dell’e- sposizione.
parte IV
Al contrario di quanto ritengono gli scettici, la riforma ha cambiato molte cose. In particolare, ha introdotto dei vincoli giuridici laddove prima vi erano solo limiti sostanzialmente politici, determinati soprattutto dalle obbligazioni contratte dal nostro paese in sede sovranazionale. Questi limiti politici sono stati trasformati in vincoli giuridici per la semplice ragione che ora stanno nella Costituzione. Certo, quei limiti li avevamo – e ancora li abbiamo – nei trattati (intendo nel Tue, nel Tfue, ma soprattutto in quei trattati ancillari che hanno completato il quadro delle obbligazioni economico-finanziarie degli Stati membri dell’Unione europea), ma l’obbligazione di rispettarli è sanzionabile con un tale tasso di discrezionalità politica che può ben dubitarsi della sua vincolante giuridicità (o, per lo meno, della giuridicità del procedimento sanzionatorio). Il cambia- mento è dunque significativo, ma, sempre secondo i pontieri, non ha inciso nei principi fondamentali della Costituzione, per una ragione essenziale che è bene chiarire.
Al contrario di quanto è stato fatto in altre esperienze costituzionali, nella Costituzione italiana non è stata incorporata alcuna dottrina economica. I costituenti non l’hanno voluto, e in questo campo vale la massima flessibilità. A mio avviso, anzi, proprio questo, in materia, è il vero principio fondamentale della Costituzione.
Se è così, la l. cost. n. 1/2012 questo principio non l’ha cambiato, perché non ha formalizzato e men che meno incorporato in Costituzione una qualche dottrina economica. Lo si è fatto altrove, ma non si doveva farlo.
Secondo la mia modesta opinione, è compito del diritto far comprendere proprio la relatività delle dottrine economiche (parlo di “dottrine” non casualmente, perché non si tratta di vere “teorie”, ma di impianti concet- tuali che hanno un chiaro intento prescrittivo, movendosi entro un universo assiologico della cui oggettività è lecito dubitare). È compito del diritto, insisto, perché proprio il diritto può mostrare la connessione di tali dottrine con concreti assetti di potere e con non meno concrete strutture ordinamentali serventi. È per questo che l’irrigidimento, la positivizzazione di dottrine economiche nei testi costituzionali lascia molto perplessi.
Faccio gli esempi, a mio avviso illuminanti, dell’esperienza tedesca e di quella spagnola. La prima ruota attorno all’art. 135, par. 3, del Grundgesetz, che doppia, peraltro, l’art. 109. Quella spagnola, a seguito della crisi, prevede addirittura che “el pago de la deuda publica gozará de prioridad absoluta”. Personalmente, che il pagamento dei ratei di debito pubblico abbia precedenza assoluta su tutto mi fa alquanto rabbrividire, ma penso che il caso tedesco sia ancora più emblematico. Che cosa è accaduto lì? È accaduto che, nel 1969, nell’art. 135 del Grundgesetz viene inserita la c.d. “clausola d’oro”, che si sostanzia nel principio di neutralizzazione delle spese di investimento ai fini del computo del debito. E cosa succede dopo? Succede che per quarant’anni le cose rimangono così, e che dunque nel Grundgesetz giace, per tutto questo tempo, un principio di irrigidimento del bilancio solo relativo, grazie alla flessibilizzazione dovuta alla clausola d’oro. Nel 2009, però, si abroga l’ultimo periodo dell’art. 135, par. 3, finendo per computare nel debito anche le spese di investimento. A fare questa operazione, che poi pretenderà di estendere a tutta l’Europa, è un paese che aveva vissuto la riunificazio- ne, che si era pesantemente infrastrutturato, che aveva recuperato il ritardo dei Länder dell’Est. A me sembra evidente che trasferire oggi questo regime a paesi che di infrastrutturazione hanno ancora bisogno (faccio un nome a caso: all’Italia) determini conseguenze molto gravi e cagioni anche evidenti svantaggi competitivi.
Quando si incorporano specifiche dottrine economiche nelle Costituzioni, dunque, bisogna essere consapevoli di dove si va a parare e bisogna identificare bene l’interesse che si ha a farlo: non è certo un caso che in Germa- nia lo si sia fatto quando ormai l’interesse di quel paese era chiaro. Comunque, anche in ipotesi del genere la cautela s’impone, quando si considera l’opportunità di positivizzare dottrine economiche: vuoi perché queste dottrine hanno un’acclarata volatilità, vuoi perché proprio nel campo del governo dell’economia le esigenze cambiano continuamente, sicché diventa molto difficile soddisfare esigenze mutevoli se il quadro normativo è eccessivamente rigido.
A me sembra, in definitiva, che il nuovo art. 81 (mi limito a indicare questo per semplicità, sebbene la l.
cost. n. 1/2012 abbia cambiato diverse previsioni costituzionali) sia coerente con questa idea di flessibilità e di elasticità che la Costituzione repubblicana ha fatto propria. Conseguentemente, non ha di fatto inciso nei prin- cipi fondamentali. E non l’ha fatto per le ragioni che ho cercato di esporre quando ebbi l’onore, già nel 2012, di partecipare al vostro convegno di Varenna. Ancora oggi, infatti, penso sia molto significativo che il riferimento al “pareggio” di bilancio si trovi solo nel titulum legis e non – invece – nel corpo vivo della legge. Sappiamo tutti cosa pensa la giurisprudenza (specie della Corte di cassazione) sul valore dei titula legis nell’interpreta- zione delle fonti, sicché non possiamo dubitare che quando v’è distonia fra titulum e testo è, senza ombra di dubbio, il testo a prevalere. Ebbene: nel testo non si parla di “pareggio”, bensì di “equilibrio”, e l’equilibrio è cosa diversa dal pareggio, non foss’altro perché deve esser assicurato tenendo conto delle fasi avverse o
favorevoli del ciclo economico. Ne consegue sia che le esigenze di equilibrio di bilancio sono evidentemente diverse in recessione e in espansione, sia che è consentito il reperimento sul mercato finanziario delle risorse eventualmente necessarie per operare politiche anticicliche e per sostenere la domanda effettiva (e quindi è possibile l’indebitamento).
Questo è un punto cruciale, perché – se è consentito a un giurista prendere posizione su una delicata questione economica – il vero problema appare oggi proprio quello del sostegno della domanda effettiva. Non si tratta, qui, di contrapporre Keynes agli economisti classici (sebbene, francamente, alcune argomentazioni del primo mi paia- no difficilmente contestabili), né di accettare tutti i corollari della critica keynesiana al mito del risparmio (si sarà notato che con essi non è coerente l’enfasi – posta in precedenza – sulla differenza tra spese di investimento e spe- se correnti), ma semplicemente di tener conto della realtà e dell’insegnamento della storia degli ultimi vent’anni.
In parole povere: abbiamo di fronte un quadro che chiamerei di rigore flessibile. Non è un ossimoro: oc- corre rispettare delle regole, certo, ma il rispetto delle regole è funzionale al raggiungimento di un obiettivo, e questo obiettivo non è il cieco rispetto del pareggio, bensì l’adattamento del bilancio alle esigenze del ciclo. Il problema, semmai, è che una maggiore rigidità la incontriamo nella l. n. 243/2012, ma non è compito mio par- larne in questa sede e, comunque, il problema si risolve o con l’interpretazione conforme alla Costituzione di quella che è pur sempre una legge ordinaria, o con l’attivazione di un sindacato di costituzionalità, ove questa operazione interpretativa non riuscisse.
Certo, la l. cost. n. 1/2012 ha però determinato anche uno spostamento culturale, anche una modificazione delle categorie giuridiche. Vedo un segno tangibile di questo spostamento in una bella sentenza della Corte costituzionale redatta da Aldo Carosi (la cui presenza qui non deve indurre a sospettarmi di piaggeria, visto che in non poche occasioni mi è capitato di criticare sentenze costituzionali in presenza dei loro redattori). Mi riferisco alla sent. n. 10/2016. Si tratta di una pronuncia notissima, e quindi mi limito a dare indicazioni molto sintetiche sul caso allora scrutinato. La Corte era stata adita in via incidentale dal Tar Piemonte, che aveva sollevato una questione di costituzionalità relativa alla legge finanziaria piemontese per il 2014. Ad avviso del Tar, i trasferimenti previsti per le province erano insufficienti a garantire lo svolgimento delle loro funzioni isti- tuzionali e, addirittura, a coprire gli oneri per le retribuzioni del personale, con violazione di plurimi parametri costituzionali. Confesso (a mio disonore!) di non aver letto l’ordinanza di rimessione, ma dalla ricostruzione che ne fa la sentenza si capisce bene che la Corte ha anche – come dire – “valorizzato” alcuni profili che nell’or- dinanza di rimessione erano forse rimasti un po’ in ombra. I parametri invocati dal giudice remittente, come accennavo, erano molti, ma a quelli più prevedibili in materia finanziaria (artt. 117, 118 e 119 Cost.) questi aggiungeva l’art. 3. E proprio qui la sentenza della Corte si segnala per le novità più significative.
Prima di vederle, però, è necessario segnalare un profilo decisivo in punto di dogmatica giuridica, e cioè il rovesciamento della dottrina tradizionale della natura solo formale della legge di bilancio. La sentenza in commento, per la verità, afferma che quella dottrina sarebbe stata superata già con la sent. n. 260/1990, ma questo – mi si permetterà di dirlo – è da imputare al vezzo della Corte costituzionale di trovare sempre un aggancio alla sua pregressa giurisprudenza anche quando c’è un salto. E qui, a me sembra, il salto c’è. È ben noto che la tesi della natura meramente formale della legge di bilancio risale alle teorizzazioni della dottrina tedesca dell’Ottocento e che essa venne discussa nel grande dibattito che vide protagonisti giganti come La- band, Jellinek, Zorn, ecc. Quel dibattito è intellegibile solo risalendo alle ragioni storiche delle varie tesi che vi si sostennero: esse interpretavano, da prospettive diverse, un feroce scontro tra governo e Parlamento, il cui esito avrebbe potuto essere il rafforzamento della monarchia, la sua evoluzione in senso costituzionale, o addirittura il suo superamento nella direzione di un primo parlamentarismo. La tesi della natura meramente for- male della legge di bilancio era funzionale al mantenimento delle prerogative della decisione di bilancio nelle mani del governo, che era il governo del Re. La Corte, oggi, finalmente l’abbandona e lo fa con una pronuncia fortemente progressiva. Fortemente progressiva, insisto, perché la Corte non si limita a constatare (come aveva fatto il remittente) la violazione dell’art. 3 Cost. pel profilo dell’irragionevolezza della normativa censurata, ma ravvisa anche una “inaudita” violazione dell’art. 3 Cost. pel profilo dell’eguaglianza sostanziale, garantita dal suo secondo comma. “L’art. 3 Cost. è stato ulteriormente violato sotto il principio dell’eguaglianza sostanziale a causa dell’evidente pregiudizio al godimento dei diritti conseguente al mancato finanziamento dei relativi servizi”, si legge al par. 63 della sentenza, e queste sono parole pienamente condivisibili.
Qui, finalmente, si chiarisce un punto essenziale: che v’è uno stretto collegamento tra decisione di bilan- cio (e cioè allocazione delle risorse) e diritti. Un punto, mi duole dirlo, che sovente gli stessi costituzionalisti
trascurano, dimenticando che tra diritti e risorse non si può operare alcuna cesura. Ora, la Corte costituzionale invita a ricucire il nesso fra gli uni e le altre, chiarendo che non è possibile separare la politica dei diritti dalla politica economico-finanziaria. E questo non vale soltanto per i diritti sociali, bensì per tutti i diritti. La dottrina italiana, ben prima del noto libro di Sunstein e Holmes, aveva colto l’evidenza del fatto che tutti i diritti costa- no, ma è opportuno che la Corte torni ora sulla questione, invitandoci a guardare le cose con sano realismo e a cogliere la trama di potere che sempre s’intreccia con l’ordito dei diritti.
* * *
IL NuOvO sIsTeMA DeI CONTROLLI DeLLA CORTe DeI CONTI suI BILANCI DeLLe AuTONOMIe TeRRITORIALI
di Vincenzo Caputi Jambrenghi
Sommario: 1. Premessa. – 2. Controllo sulla gestione e Costituzione. – 3. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e l’incremento delle norme sulle limitazioni di spesa e sul controllo delle autonomie territoriali. – 4. Controllo della Corte dei conti sul merito delle scelte di gestione. – 5. Le manifestazioni del nuovo corso dei controlli sulla gestione delle autonomie territoriali. – 6. Dal controllo collaborativo ai controlli prescrittivi e sanzionatori sui bilanci. – 7. Cenni in materia di metodo del controllo sulla gestio- ne e normazione finanziaria della Ue. – 8. Nuova deontologia per i pubblici uffici e nuovi controlli. – 9.
L’equilibrio del bilancio e il controllo europeo. – 10. Il bilancio delle autonomie territoriali nella legge di stabilità 2016. – 11. Il monitoraggio della Ragioneria generale. – 12. Le sanzioni per difetti formali e vizi sostanziali. – 13. Segue. La disciplina dei controlli sullo sforamento di bilancio. – 14. Controllo sulla gestione finanziaria e finanza delle autonomie territoriali.
1. Premessa
È noto che le Grandi camere, le Corti dei conti e gli altri organismi pubblici istituiti, come per imitazione, nei vari Stati europei e transoceanici a partire dal basso Medioevo (la Repubblica di Venezia, il Regno di Sar- degna, il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, il Regno delle due Sicilie) e fino all’era della formazione degli Stati che coincide con il secolo XVIII, quello dell’indipendenza dalla Gran Bretagna degli Stati dell’America del Nord, hanno svolto compiti di controllo sull’andamento dei conti pubblici.
E poiché, nei principati e nelle monarchie dell’epoca, publicum, quando ormai più non coincideva con sacrum, era anzitutto il fisco, concernente diritti del Principe, la circolazione del denaro pubblico e la sua pro- ficuità, come l’utilizzazione delle cose pubbliche oggetto di controllo, non potevano riguardare che l’interesse del sovrano.
Al momento del riconoscimento della sovranità dei popoli organizzati a Stato, quello stesso controllo (ef- ficiente quanto mai secoli prima, perché il sovrano, dinanzi all’inefficienza del controllore, non lo licenziava ma lo condannava con rito assai sommario) è stato svolto in favore del popolo sovrano, il cui contributo fiscale alla gestione pubblica doveva risolversi in una fonte di crescente benessere generale, non di spreco: né gestione improduttiva, né passiva, né peculato, malversazione, corruzione, ecc.
Questa è, in breve, la collocazione attuale del controllo esercitato dalla Corte dei conti sulla gestione finan- ziaria e su quella patrimoniale degli enti territoriali nell’ordinamento giuridico generale.
Vanno prese in considerazione le norme di legge che, sulla spinta delle direttive europee, hanno specificato e portato a compimento la scelta di fondo contenuta nella l. 14 gennaio 1994, n. 20, in materia di giurisdizione e di controllo della Corte dei conti (1)(1).
(1) Modificata dal d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni dalla l. 20 dicembre 1996, n. 639; dal d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. c), n. 1, d.l. 3 agosto 2009, n. 103, convertito con modificazioni dalla l. 3 ottobre 2009, n. 141; dal d.l. 3 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122; e dalla l. 16 novembre 2012, n. 190.
Com’è noto, si tratta della sostituzione del controllo della legittimità dei “decreti reali, qualunque sia il mi- nistero da cui emanano e qualunque ne sia l’oggetto”, come si leggeva nell’art. 17 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, t.u. delle leggi sulla Corte dei conti, e si legge tuttora nell’art. 100, c. 2, Cost.: “La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo” e quello “successivo sulla gestione del bilancio dello Stato” (1)(2).
2. Controllo sulla gestione e Costituzione
Il controllo sulla gestione, in particolare se riferito all’elemento costitutivo centrale di essa, cioè al bilan- cio, è in sé “successivo” rispetto agli effetti che l’atto consegue; variazioni normative consentono, in sede di consulenza, un collegamento preventivo tra le autonomie territoriali e le sezioni regionali di controllo, ma il momento del controllo sulla gestione resta pacificamente successivo.
Ora, si deve all’intervento di Luigi Einaudi, in qualità di costituente, se il c. 2 dell’art. 100 contiene una formula normativa espressa “in modo da non impedire l’uso dei diversi sistemi di controllo, a seconda delle esigenze particolari delle varie amministrazioni dello Stato”.
Infatti, il controllo sulla gestione – in disparte quella “degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”, almeno fino alla legge di riforma del 1994 – ha avuto ad oggetto unicamente gli aspetti contabilistici della gestione statale, manifestandosi in vista del giudizio di parificazione del bilancio dello Stato, che ha come destinatario finale il Parlamento.
In proposito, non può trascurarsi che, secondo la norma di cui all’art. 41 t.u. n. 1214/1934, nella relazione di accompagnamento del rendiconto generale dello Stato la Corte dei conti può indicare le “variazioni” o le
“riforme” che crede opportune “per il perfezionamento delle leggi e dei regolamenti sull’amministrazione e sui conti del pubblico denaro”; mentre, mediante la relazione sul rendiconto generale dello Stato, la Corte può incidere sull’amministrazione quanto ai relativi conti degli uffici competenti (le ragionerie centrali) dei vari ministeri, con censure e sollecitazioni nei confronti delle amministrazioni autrici di gestione economica e fi- nanziaria meritevole di censure.
In realtà può dirsi che tutti gli ordinamenti giuridici si muniscono di istanze di controllo, sia nell’interesse, per così dire, strumentale dell’ente pubblico visto come amministrazione, sia in quello finale e definitivo della comunità intera, all’evidente scopo di conseguire risultati sempre migliori di benessere mediante buon anda- mento degli uffici pubblici, tuttavia nel costante rispetto della legittimità.
Il buon andamento impone siffatto miglioramento continuo e progressivo, non essendo ipotizzabile che l’attività amministrativa si svolga perfettamente sin dalla prima esperienza.
Ecco la funzione del controllore: il ruolo svolto interamente dall’amministrazione attiva, il procedimento concluso, l’atto perfetto in ogni sua parte, l’attività amministrativa, espressione della gestione della finanza pubblica così come organizzata e raffigurata nel bilancio preventivo di competenza e di cassa, una volta conclu- so l’esercizio finanziario sono fatti oggetto, tanto l’atto quanto il bilancio consuntivo e prima ancora l’attività finanziaria espletata nel corso dell’esercizio annuale, di un controllo, diverso in un caso e nell’altro, ma sempre di un vero e proprio controllo.
Il controllore, infatti, per esercitare la sua funzione esegue un contre rôle, cioè prende le mosse dal risultato finale cui è pervenuta l’amministrazione, ne pondera il contenuto di interesse pubblico e poi intraprende il per- corso inverso rispetto a quello seguito dall’organo amministrativo, pervenendo alla fonte del potere esercitato e prima ancora all’analisi delle singole scelte discrezionali da esso espresse.
Sembra preferibile l’opinione che tutto il controllo sulla gestione del denaro pubblico – esercitata dallo Sta- to come da qualsiasi altro ente territoriale (regione, provincia, comune e città metropolitana), cioè dai soggetti
(2) Si osservi di passaggio che, nonostante l’autoreferenzialità diffusa di un governo ormai privo di Parlamento in una monarchia costituzionale, con il r.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273, convertito con modificazioni dalla l. 2 giugno 1939, n. 730, venne offerta una garanzia fondamentale per migliorare l’indipendenza dei magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti: le norme di legge che prevedano provvedimenti di conferimento di nuove o diverse funzioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, ovvero che ne dispongano la soppressione, “o che comunque riguardino l’ordinamento e le funzioni dei predetti consessi in sede consultiva o di controllo, ovvero giurisdizionale, sono adottati previo parere, rispettivamente, del Consiglio di Stato in adunanza generale o della Corte dei conti a sezioni riunite”. Il parere, se pur non vincolante ma obbligatorio, richiedeva e richiede una motivazione ampia e convincente nel caso che fosse stato disatteso dal governo. Sembra che nell’attuale esperienza la costituzione materiale dimostri disattenzione degli organi legislativi verso questa norma garantista.
che, nella loro autonomia, ne costituiscono l’impalcatura portante, essendo previsti nella Carta costituzionale e ricevendo dallo Stato-comunità misurati e comunque limitati poteri di finanza locale per riscuotere tributi locali dai cittadini, e dallo Stato-amministrazione le risorse finanziarie per il funzionamento di struttura e l’e- sercizio di servizi essenziali che devono basarsi (si è deciso) solo sull’erario pubblico, non potendo essi essere privatizzati per scelta politica (ad esempio, l’assistenza sanitaria, il servizio di polizia di sicurezza, di guardia forestale, di difesa, di tutela dei beni culturali, ecc.) – derivi la sua legittimazione dalla norma costituzionale di cui all’art. 100, c. 2, previsione strutturata con formula di ampia portata, che è agevole interpretare quale base abilitativa per l’istituzione Corte dei conti all’esercizio del controllo del percorso del denaro pubblico, nel segno dell’economicità, dell’efficacia e della proficuità della sua gestione, in ogni momento, sotto ogni aspetto e soprattutto dovunque esso si trovi.
Le ricerche da ultimo impostate dalla dottrina (1)(3), nel ricostruire norma per norma le estensioni legislati- ve dei compiti di controllo attribuiti alla Corte, confermano il carattere, via via più marcato, della generalità dell’investitura della Corte sul percorso del denaro pubblico: la “stretta” che si deve al legislatore negli anni 2011-2016 dipende certamente dalla necessità di dare riscontro alle sollecitazioni imperative provenienti dalle disposizioni dell’Unione europea, spesso critica nei confronti della nostra gestione generale, fondata sull’incremento costante del debito pubblico e del deficit di bilancio; tuttavia, va osservato che l’esigenza di rendere più effettivi i controlli sulla gestione delle pubbliche amministrazioni trova una Corte dei conti in condizione di rispondere a tale esigenza “sopravvenuta” senza troppo dover innovare nella sua organiz- zazione territoriale.
3. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e l’incremento delle norme sulle limitazioni di spesa e sul controllo delle autonomie territoriali
L’impetuosa attività legislativa di ampliamento dei poteri delle sezioni regionali di controllo sui bilanci e la contabilità delle regioni – con particolare e nuova attenzione, ad esempio, a quelli interni dei gruppi politici di ogni consiglio regionale – e degli enti locali, con la previsione del raccordo stretto tra gli organismi di controllo interno e le sezioni regionali della Corte, fino alla disciplina dell’obbligatorietà dell’investitura dell’ufficio di procura presso la sezione giurisdizionale territorialmente competente nel caso di riscontrata assenza o di sostanziale esautoramento degli organismi di controllo previsti dalla legge all’interno della struttura degli enti locali, certamente attua un disegno costituzionale specifico, che si rintraccia nei riferimenti all’obbligo, per lo Stato, di raggiungere “l’equilibrio dei bilanci” e la “sostenibilità del debito pubblico” in coerenza con l’ordina- mento dell’Ue, introdotto al c. 1 dell’art. 97 Cost. dal governo Monti, così come “l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” mediante “norme fondamentali e criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni” (art. 81, c. 1 e ultimo, Cost.), l’“armonizzazione dei bilanci pubblici e perequazione delle risorse finanziarie” (art. 117, lett.
e, Cost.), il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” come materia di “legislazione con- corrente” con quella regionale, che si deve svolgere “salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato” (art. 117, c. 3, Cost., norma modificata con l’art. 3 l. cost. 20 aprile 2012, n. 1): nella riforma costituzionale in preparazione siffatta forma di legislazione concorrente risulta abrogata, concentrandosi il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in capo allo Stato.
Si considerino anche i sopravvenuti limiti all’autonomia finanziaria di entrata e spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni (art. 119, c. 1, Cost.) consistenti nella finalizzazione del loro “indebitamento solo per finanziare spese d’investimento, con la contestuale definizione dei piani di ammortamento ed a condizio- ne che per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio” (art. 4 l. cost. n.
1/2012, n. 1).
A proposito dei limiti all’autonomia finanziaria regionale va, tuttavia, avvertito che la presenza di una pote- stà legislativa concorrente prevista in favore della regione dall’art. 117, c. 3, Cost., mentre da un lato consente allo Stato di vincolare, in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio, la spesa complessiva regionale e di altri enti pubblici mediante una legge recante disciplina di principio con gli effetti restrittivi limitati, tuttavia, nel
(3) Cfr., dal ultimo, G. Colombini, Il “nuovo” sistema dei controlli della Corte dei conti sui bilanci degli enti territoriali. Spunti di riflessione, in questa Rivista, 2015, fasc. 3-4, 588.
tempo – lasciando libero l’ente di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa –, dall’altro osta all’emanazione di previsioni di dettaglio.
Tali la Corte costituzionale ha qualificato la riduzione, a decorrere dal 2014, entro il 30 per cento della spesa sostenuta nel 2011 per auto blu o buoni taxi recata dall’art. 15, c. 1, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), e il vincolo di spesa per incarichi di consulenze, studi e ricerche delle regioni nel limite del 4,2 per cento della spesa sostenuta nel 2012 (o all’1,4 per cento, se essa ha superato l’importo di 5 milioni di euro), “a decorrere dal 2014”, come prevedono le norme di cui all’art. 14, cc. 1 e 2.
La Corte costituzionale ritiene, con riferimento a quest’ultima questione, incostituzionale la norma che estende il vincolo a tempo determinato anziché per “gli anni 2014, 2015 e 2016”.
“Invero – motiva la Consulta – gli interventi statali sull’autonomia di spesa delle regioni sono consentiti, come principi di coordinamento della finanza pubblica, purché transitori, giacché in caso contrario essi non corrisponderebbero all’esigenza di garantire l’equilibrio dei conti pubblici in un dato arco temporale, segnato da peculiari emergenze, ma trasmoderebbero in direttive strutturali sull’allocazione delle risorse finanziarie di cui la regione è titolare, nell’ambito di scelte politiche discrezionali concernenti l’organizzazione degli uffici, delle funzioni e dei servizi” (1)(4).
Se, dunque, si registra un vero e proprio freno della Consulta alle iniziative di spesa delle regioni e degli al- tri enti territoriali – almeno fino a quando la potestà legislativa sul coordinamento della finanza pubblica resterà concorrente tra Stato e regioni (il progetto di riforma costituzionale sopprime la diarchia in favore dello Stato) –, quanto, viceversa, ai controlli, deve parlarsi di incremento ormai costante delle norme in materia, mediante le quali il legislatore dimostra di non voler tollerare – anzitutto in sede locale e regionale – anche il più limitato spreco di denaro pubblico, specie se dovuto a disfunzione tra controllo interno e controllo della sezione regio- nale competente; e diventano frequenti anche le direttive europee medianti le quali il Consiglio e il Parlamento, di frequente sulla proposta della Commissione, non potendo direttamente regolare le autonomie locali degli Stati membri, assai spesso costituzionalmente protette, ottengono indirettamente lo scopo di sottoporre la loro attività ad attenta osservazione, nel momento in cui prescrivono allo Stato membro scelte e condotte restrittive della capacità di spesa (ad esempio, il patto di stabilità) per tutti i centri di spesa di cui esso disponga, o fissano metodi di natura contabilistica per esporre con immediata chiarezza l’andamento della gestione finanziaria di ogni ente, dopo l’approvazione di un bilancio preventivo e di un rendiconto che sempre più vengono uniformati nella forma e nel contenuto in tutta l’Unione.
4. Controllo della Corte dei conti sul merito delle scelte di gestione
Tuttavia, siffatta attività della Ue non può oscurare l’interesse alla delucidazione definitiva sull’origine della funzione, attribuita alla Corte dei conti, di entrare nel merito delle scelte di gestione comportanti spesa pubblica compiute all’interno dell’ordinamento regionale (regioni e autonomie locali) e di poterle censurare in vario modo quando esse si presentino in contrasto con i principi posti dal legislatore per garantire la corretta ed economica gestione dell’erario pubblico e la proficuità dell’impiego di questo a vantaggio del benessere dei cittadini.
Se la norma costituzionale principale in materia, contenuta nell’art. 100, c. 2, della Carta, prevede il duplice controllo della Corte, di legittimità sugli atti del governo e sulla gestione del bilancio dello Stato, oltre a una vasta partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, riferendo, in entrambi i casi, direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito, sembra evidente che nessun ostacolo possa incontrare, in sede di scrutinio di costituzionalità, una norma di legge statale che, in ap- plicazione del c. 2 dell’art. 100, nonché del c. 2 dell’art. 119 (“I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni [...] dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio”), disciplini fasi di un procedimento di controllo, affidato ad organo terzo e neutrale qual è la Corte dei conti, avente ad oggetto i loro bilanci e la gestione finanziaria.
(4) Cfr. Corte cost., 3 marzo 2016, n. 43, e, inoltre, 8 aprile 2014, n. 79, in Foro it., 2014, I, 2345, con nota di G. D’Auria; 19 luglio 2012, n. 193, ivi, 2013, I, 1789; 10 marzo 2006, n. 88, in Giur. cost., 2006, 908; 15 dicembre 2005, n. 449, in Foro it., 2006, I, 313; 3 novembre 2005, n. 417, ivi, 2005, I, 2349; 26 gennaio 2004, in Giur. it., 2004, II, 1053; con nota di R. Caranta.
Una “copertura” costituzionale di questo genere giova certamente a chiarire alcuni punti sulle scelte del legislatore statale: gli enti territoriali, con la loro autonomia insistentemente difesa nella Costituzione, rap- presentano un pilastro fondamentale nella costruzione dello Stato regionale, a tacere del fatto che per volontà costituzionale l’autonomia comunale gode della primazia per l’esercizio della funzione amministrativa in base all’art. 118 Cost.
Tuttavia, la finanza pubblica è unitaria e governata dallo Stato: lo sarà anche quando, nell’eventuale svi- luppo del federalismo fiscale – ma il c.d. centralismo democratico degli ultimi due anni sembra aver messo la sordina ad ogni ipotesi di articolazione territoriale di presidi governativi – si avvertirà un’accentuata esigenza di governo unitario dei conti pubblici, com’è, evidentemente, tanto più necessario quanto più autonomi si co- stituiscono i centri di spesa.
Ecco, dunque, la linea segnata dal percorso del denaro pubblico che si svolge, con una coerenza che si direbbe naturale e senza soluzione di continuità, dal centro dove nasce la pretesa fiscale dello Stato-comunità alla periferia comunale più estrema, dove il denaro di provenienza fiscale – beninteso, dopo esser passato per numerosi siti di “assorbimento” del gettito complessivo in sede centrale – si tradurrà, sommandosi a quello proprio della finanza locale, in una spesa pubblica che, in coerenza con l’origine unica del contribuente, sarà controllata nella sua utilità ed efficienza da un organo dello Stato-comunità di rilevanza costituzionale e au- siliario del governo: meno accentrato il governo, più bisognoso di ausilio da parte delle sezioni regionali di controllo e della Sezione centrale autonomie.
5. Le manifestazioni del nuovo corso dei controlli sulla gestione delle autonomie territoriali Si spiega, avendo compiuto questo percorso ricostruttivo (1)(5), ad esempio, che:
- l’art. 148 Tuel, nella seconda sua modifica che si deve all’art. 33 d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 116, nell’ambito delle misure volte al rafforzamento della partecipa- zione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria all’interno dell’ordinamento regionale, abbia previsto, al c. 1, che: “Le sezioni regionali della Corte dei conti, con cadenza annuale, nell’ambito del controllo di legittimità e regolarità delle gestioni, verificano il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e dell’equilibrio di bilancio di ciascun ente locale. A tale fine, il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, o il presidente della provincia, avvalendosi del direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale, tra- smette annualmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sul sistema dei controlli interni, adottato sulla base delle linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti e sui controlli effettuati nell’anno, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione; il referto è, altresì, inviato al presidente del consiglio comunale o provinciale”;
- la Sezione delle autonomie della Corte dei conti, con suo atto adottato nell’adunanza del 24 novembre 2014 con il n. 28, al fine di coordinare le (“fornire utili indicazioni” alle) sezioni regionali di controllo della Corte nell’espletamento della c.d. funzione di referto, abbia approvato le linee di orientamento per i referti annuali di competenza dei legali rappresentanti degli enti locali;
- la Sezione delle autonomie abbia osservato, nella citata delib. n. 28/2014, che “tale forma di controllo, a seguito dell’ultimo intervento normativo – art. 33 d.l. n. 91/2014, convertito con modificazioni dalla l. n.
116/2014 – si incentra sul funzionamento dei controlli interni, sulla loro adeguatezza ed efficacia. Il novellato testo dell’art. 148 Tuel stabilisce, infatti, che le sezioni regionali della Corte dei conti, “nell’ambito del control- lo di legittimità e regolarità delle gestioni, verificano il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e dell’equilibrio di bilancio di ciascun ente locale”;
- nella prospettiva della semplificazione e della razionalizzazione vi sia anche la previsione normativa di una differente periodicità della relazione, da semestrale divenuta annuale in virtù della norma di cui all’art.
33, c. 1, d.l. n. 91/2014, cit., del resto in armonia con la medesima periodicità di relazione richiesta ai presi- denti delle regioni dalla norma di cui all’art. 1, c. 6, d.l. n. 174/2012, convertito con modificazioni dalla l. n.
213/2013;
(5) Sul quale mi sia consentito rinviare, per rilievi e considerazioni ulteriori, a un mio studio più ampio: Il controllo della Corte dei conti sulle gestioni pubbliche, in questa Rivista, 2013, fasc. 5-6, 620.
- nella fase preventiva rispetto all’entrata in vigore dell’atto comportante spesa pubblica, il responsabile del servizio finanziario debba rilasciare o negare il parere di regolarità contabile e il visto attestante la copertura finanziaria;
- nella fase, viceversa, successiva all’adozione degli atti amministrativi comportanti spese, in applicazione dell’art. 147-bis, c. 2, Tuel, il segretario comunale sia chiamato ad esercitare un controllo di regolarità ammi- nistrativo-contabile, da svolgersi secondo i principi generali della revisione aziendale, con modalità regolate ex ante (obbligatoriamente) dall’ente;
- debbano essere svolti, da parte degli stessi organi di governo dell’ente, controlli sugli equilibri finanziari ai sensi dell’art. 147-quinquies Tuel, sui quali si pronuncia espressamente la sezione regionale ex art. 148-bis Tuel, per individuarne eventuali inadeguatezze, quando i debiti fuori bilancio si ripetono continuativamente o debiti c.d. sommersi rinvengono all’ente dalle società partecipate;
- ancora, l’art. 147-ter Tuel preveda un controllo strategico da disciplinare mediante il regolamento loca- le sui controlli interni. Esso è finalizzato a verificare la situazione delle scelte effettuate dall’ente per cause esposte dai documenti di programmazione degli organi di indirizzo, dunque anzitutto dei consigli comunali, provinciali, regionali e delle città metropolitane;
- debba svolgersi nell’autonomia territoriale anche un controllo interno di gestione, secondo le norme di cui agli artt. 196-198-bis Tuel, che ha ad oggetto essenziale il grado di realizzazione di tutti gli obiettivi risultanti dagli atti di programmazione e indirizzo e si conclude con un referto annuale da inviare alle sezioni regionali;
- ogni anno debba essere adottato dall’organo consiliare un Peg contenente le linee di sviluppo della ge- stione con le previsioni finanziarie ed economiche derivanti, in termini di esecuzione concreta, dalle poste definitive del bilancio di previsione;
- la tardività dell’approvazione del bilancio di previsione implichi, secondo la delib. n. 23/2013 della Se- zione delle autonomie, la necessità per l’ente ritardatario di far riferimento al bilancio pluriennale approvato nell’esercizio precedente: “Il bilancio triennale autorizzatorio – che incorpora gli effetti delle manovre sugli esercizi successivi – se ben costruito, potrebbe, in parte, supplire allo slittamento del bilancio di previsione an- nuale”. Comunque, è strettamente necessario, ribadisce la Sezione autonomie con successiva delib. n. 18/2014 che gli enti si dotino di strumenti provvisori di indirizzo e di programmazione finanziaria e operativa (quali, ad esempio, un piano esecutivo di gestione (Peg) provvisorio o una deliberazione consiliare, almeno giuntale, contenente direttive vincolanti) per sopperire all’assenza, all’avvio dell’esercizio, degli strumenti di program- mazione previsti dall’ordinamento: è evidente che la Sezione autonomie, nel prospettare, sia pure quale ultima
“scelta”, un intervento deliberativo della giunta comunale o provinciale in luogo del consiglio, che è compe- tente per ogni atto di programmazione finanziaria, tende a sopprimere qualsiasi alibi del comune in caso di perdurante ritardo nell’approvazione del bilancio di previsione annuale;
- ai sensi dell’art. 147-quater, c. 3, Tuel sul controllo degli organismi partecipati, l’ente locale debba effet- tuare “il monitoraggio periodico sull’andamento delle società non quotate partecipate”: in particolare, l’ente
“analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente”; ciò che, del resto, rientra negli ordinari e consueti adempimenti cui sono obbligati gli enti pubblici che detengono partecipazioni societarie.
6. Dal controllo collaborativo ai controlli prescrittivi e sanzionatori sui bilanci
Siamo, dunque, di fronte ad un’evoluzione rapida del controllo amministrativo e di quello collaborativo della Corte nei confronti delle regioni e degli enti locali previsto dalla l. n. 20/1994 e successive modifiche e integrazioni, e dalla l. n. 131/2003 (legge La Loggia): anzi, secondo la Corte costituzionale il controllo diretto e concomitante sulla gestione, che ai sensi della l. n. 266/2005 attribuisce alla sezione regionale la continua e pre- ventiva consapevolezza – soprattutto in conseguenza del suo rapporto con il controllo interno degli enti – delle disfunzioni e degli errori nell’esercizio della gestione, è stato posto dal legislatore nella condizione “di finaliz- zare il confronto fra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive e funzionali a garantire il rispetto complessivo degli equilibri di bilancio” (Corte cost., n. 60/2013).
Com’è stato osservato in dottrina, “è proprio sul versante delle misure correttive e in generale dell’effi- cacia del controllo di legittimità e regolarità finanziaria che il legislatore è intervenuto, prima con il d.lgs. n.
149/2011, che ha introdotto meccanismi sanzionatori e premiali ai sensi della l. n. 42/2009 e la nuova procedura
del dissesto ‘guidato’ in capo alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (art. 6, c. 2), poi con il d.l.
n. 174/2012, spostando il baricentro sugli aspetti prescrittivi e ‘sanzionatori’ per rafforzare i controlli di legit- timità delle sezioni regionali sui bilanci preventivi e sui rendiconti delle regioni (art. 1, c. 3, d.l. n. 174/2012) e degli enti locali (148-bis Tuel) e per conferire ai suddetti controlli una diffusione generalizzata delle verifiche sul ciclo di bilancio” (1)(6).
Per concludere, si tratta di “forme di controllo che implicano, da parte della sezione regionale, un’analisi dei conti sia in relazione alla corretta impostazione delle manovre finanziarie annuali e pluriennali, sia in rela- zione alla verifica dell’osservanza da parte della regione dei principi e delle regole contabili e finanziarie” (2)(7).
Mentre la collaborazione della Corte – delle sezioni regionali – a titolo consultivo per le questioni soltanto generali poste dagli enti resta in piedi talvolta con una certa difficoltà (inevitabile, dato che quel consigliere ha anche poteri di irrogazione di sanzione contro l’ente stesso cui ha reso il parere), il controllo concomitante, cioè la guida nel caso concreto, sembra ormai improponibile, proprio in dipendenza dei nuovi e ben più intensi poteri (anche oltre il controllo sulla gestione) previsti per le sezioni regionali.
7. Cenni in materia di metodo del controllo sulla gestione e normazione finanziaria della Ue
Spesso, negli studi che accompagnano le innovazioni legislative in materia di controlli incrementali della Corte dei conti sulla gestione della finanza pubblica, si richiama il c.d. modello europeo, che vede la Corte dei conti europea nella veste di protagonista di un’attività di controllo estesa, tuttora in apicibus, a tutte le gestioni finanziarie degli Stati membri.
Il documento di economia e finanza che la Ue, con la consulenza della Corte dei conti europea, prende in considerazione, chiede che sia adottato dai singoli Stati un testo di Def articolato in tre sezioni:
a) il programma di stabilità, che consiste nella proiezione dei conti pubblici in avanti e nell’esame dell’as- setto che essi assumeranno nel corso di quello stesso esercizio, tenendo in debito conto e interpretando quelle tendenze che oggi si definiscono “dell’economia globale” e sono in grado di condizionare il successo delle scelte politico-economiche compiute dagli Stati nei rispettivi bilanci preventivi;
b) la sezione seconda, bilancio, che contiene analisi e tendenze della finanza pubblica riferite ai consuntivi dell’esercizio precedente, e che inoltre comprende una “relazione tecnica e metodologica” che illustra le pre- visioni tendenziali adottate nel programma di stabilità;
c) la terza sezione, che riguarda il programma nazionale di riforma (Pnr), che specifica gli indirizzi d’inter- vento strutturale da attuare per la crescita dell’economia. Dunque, è la sezione più impegnativa per il governo della Repubblica e per il governo della finanza pubblica.
Proprio tramite questi riferimenti al bilancio preventivo e ai rendiconti contenuti nel Def, risulta meno ar- duo il controllo sulla gestione pubblica con riferimento al bilancio.
La dottrina ha studiato il controllo nella definizione “di gestione” dell’Intosai, con riferimento a quello che nel nostro ordinamento è il controllo esterno sulla gestione, sotto il profilo del metodo che gli è proprio e, prim’ancora, della sua concettualizzazione.
Sono stati recensiti undici aspetti che lo caratterizzano, tra i quali si possono segnalare quelli più profon- damente riconducibili all’esercizio della funzione di cui trattiamo: il controllo sulla gestione è “legato alle grandezze economico-finanziarie, senza tuttavia esaurirsi in esse in quanto deve riguardare anche altri aspet-
(6) Cfr. G. Colombini, op. cit., 595: “Anche se una parte dei controlli e delle sanzioni politiche, amministrative e finanziarie nei confronti delle regioni è stata ridimensionata dalla dichiarazione di incostituzionalità di diverse disposizioni del d.lgs. n.
149/2011 – molte delle sanzioni finanziarie, amministrative e politiche previste a carico delle regioni dal d.lgs. n. 149/2011 sono state dichiarate incostituzionali da Corte cost. n. 219/2013 (le relative norme sono quelle di cui agli artt. 1, cc. 1-5; 2, cc. 2, 3, 5;
3, cc. 2, 3; 5 nella parte in cui si applica alle regioni; 7 nella parte in cui si applica alle regioni a statuto speciale; 13, c. 1, secondo periodo), mentre sulla nuova procedura del dissesto guidato, la Sezione autonomie è intervenuta in modo analitico per scandire la struttura e la sequenza procedurale dalle verifiche sulla sana gestione ex art. 1, c. 166 ss., l. n. 266/2005 sino all’accertamento definitivo dello stato di dissesto da parte della sezione regionale di controllo: cfr. Sez. autonomie, n. 2/2102 – [...] rimangono co- munque il controllo della sezione regionale sullo schema previsionale di bilancio (art. 1, c. 3, d.l. n. 174/2012), il controllo sulle leggi di spesa regionale nei termini, come avviene per le leggi di spesa statali, di un controllo sulle relazioni tecniche relative alla quantificazione degli oneri e sulle tipologie delle coperture (art. 1, c. 2, d.l. n. 174/2012), e il giudizio di parificazione del rendiconto generale delle regioni (art. 1, cc. 3 e 5, d.l. n. 174/2012)”.
(7) Cfr. G. Colombini, op. cit., 596.
ti connessi alle valutazioni decisionali dell’organo destinatario del controllo”; inoltre deve essere “diretto a consentire un’autocorrezione da parte dell’amministrazione sulla base dei risultati espressi dal controllore”;
è basato “su un modello di funzionamento dell’organizzazione che costituisce una variabile essenziale per la valutazione dei risultati dell’ente, ed è quindi necessaria un’analisi del modello di controllo e della sua funzio- nalità”; “costituisce il principale strumento a supporto delle diverse fasi del ciclo di pianificazione e control- lo”; infatti, in sede di pianificazione il controllo sulla gestione, “deve aiutare il responsabile della struttura a verificare la coerenza tra obiettivi assegnati e piani di azione e risorse disponibili (sistema di budgeting)”; “in sede di rendicontazione deve aiutare a misurare i risultati, rilevando se e in quale misura gli obiettivi siano stati raggiunti”; “in fase di analisi degli scostamenti deve porre in relazione i risultati ottenuti con l’evoluzione del contesto di riferimento, per identificare i motivi di eventuali scostamenti (sistema di reporting)”; “nel confron- tare i parametri stabiliti da disposizioni normative, ai fini di un giudizio conclusivo di coerenza e razionalità, può essere critico non solo nei riguardi dell’attività amministrativa, ma anche delle norme che la regolano” (1)(8).
8. Nuova deontologia per i pubblici uffici e nuovi controlli
Ma non si può ricercare in tema di controllo sulla gestione finanziaria e patrimoniale senza soffermarsi, almeno in sintesi, sull’odierno destinatario principale delle attenzioni degli organi interni e, soprattutto, esterni.
Si tratta dell’ufficio amministrativo, anzitutto quello deputato al bilancio dell’ente, che, dopo la serie di riforme dalla legge Brunetta (d.lgs. n. 150/2009) in poi, sembra aver assunto caratteri in gran parte antichi – in- tendiamo dell’amministrazione cavouriana e non molto oltre – e altri caratteri del tutto nuovi, espressione di necessità sopravvenute nell’era della globalizzazione dell’economia e nella tendenza costante alla prospetta- zione, almeno la prospettazione di nuovi contenuti dell’azione amministrativa – espressione di buon andamen- to dell’attività di assolvimento dei suoi compiti, dunque della garanzia (art. 97, c. 2, Cost.) del benessere per i cittadini italiani.
Una dottrina avveduta (2)(9) si è espressa, all’avvio della riforma, in termini di nuova metodologia generale di costruzione critica dell’ufficio amministrativo, rimarcando, oltre alla maggiore attenzione che oggi si regi- stra per la nozione di governo non più come entità istituzionale ma come governance, modo di governare, la
“trasformazione del tradizionale sistema di amministrazione burocratica incentrata sui mezzi in un sistema di management di stampo imprenditoriale orientato ai risultati”, inoltre la “centralità dei principi di cost-effecti- veness e di accountability for performance”, con “l’avvicinamento dell’amministrazione ai cittadini. Centrale in questa teoria è governare al servizio dei cittadini e soddisfare i bisogni e le richieste dei cittadini in modo veloce e accurato (responsiveness to citizens). I cittadini sono trattati alla stregua dei clienti del settore priva- to”. Infine – ed è ciò che più rileva ai fini della nostra ricerca – il “passaggio da un controllo (audit interno ed esterno) essenzialmente limitato al rispetto della legge a un controllo più ampio, diretto a verificare il raggiun- gimento dei risultati. Si redigono codici, linee guida standard per l’esercizio del controllo interno ed esterno basato su parametri di efficacia, efficienza ed economicità”.
Conclude l’autore sottolineando in senso prudenziale che, tuttavia, se government is not business, la voca- zione del dirigente alla performance non dovrebbe trascurare il rispetto delle leggi, così come quello dei valori di giustizia, trasparenza, diritti individuali: valori e criteri fondamentali.
Un apposito organismo interno alla Corte dei conti, il Seminario permanente sui controlli, ricalca nei suoi studi le ragioni dell’organizzazione dell’attività demandata alla sezione centrale che è competente per il coordi- namento dei controlli sulle autonomie e sulle sezioni regionali che, non diversamente da quelle giurisdizionali per la responsabilità e per le pensioni, sono articolate in ciascuna regione con sede nei capoluoghi.
Ora, è evidente che senza elaborazioni tecniche, come quelle offerte dal Seminario permanente dal 2002 in poi, il controllo sulla gestione finanziaria avrebbe avuto ben scarso spessore nel complesso dell’attività della Corte dei conti.
(8) Cfr. le chiare precisazioni concettuali di A. Buscema, L’importanza della concettualizzazione e del metodo della funzione del controllo, in Ipotesi di sistemazione metodologica del procedimento di controllo sulla gestione (Atti dell’incontro di studio, Roma, 17 dicembre 2002), Roma, Corte dei conti, 2003, 53.
(9) Cfr. M.L. Seguiti, Il significato dell’iniziativa e la posizione del mondo accademico, in Ipotesi di sistemazione metodolo- gica, cit., 46.
Ciò essenzialmente per un motivo emerso in dottrina: se all’esecuzione del controllo sulla gestione è stata officiata, mediante l’art. 3 l. n. 20/1994, una magistratura, “ciò che può valere a connotare come neutrale, e quindi come magistratuale, la funzione del controllo sulla gestione sono due elementi: prima di tutte la procedi- mentalizzazione, che significa anche conoscenza fin dall’inizio delle regole secondo le quali si vuole procedere e poi l’enunciazione dei programmi: è una questione di garanzia dell’amministrazione, che è oggetto del nostro controllo. Altrimenti, saremmo come un arbitro di una partita di calcio del quale non si conosce quale regola- mento applichi. A rafforzare la connotazione magistratuale della funzione, concorre anche un altro elemento che costituisce uno dei momenti oggetto d’approfondimento: quello del contraddittorio con l’amministrazione, contraddittorio che esprime un principio fondamentale, che corrisponde, nel settore giurisdizionale, al diritto di difesa” (1)(10).
Il controllo-referto annuale al Parlamento – che ha inizio con la finanziaria 2009 (art. 3, c. 65l, l. n.
244/2008) – ha ottenuto meno di quanto ci si attendesse a causa dell’ormai proverbiale lontananza delle Came- re dell’attualità del controllo (2)(11).
Si registra, tuttavia, un’evoluzione di compiti e competenze affidate dal legislatore alla Corte mediante le leggi finanziarie – di stabilità – annuali, che dimostra la consapevolezza della necessità delle misure a conclu- sione del controllo sulla gestione, il referto rappresentando la sollecitazione al Parlamento perché segua i feno- meni degenerativi e valuti per il futuro le più utili e misurate innovazioni normative. La misura sanzionatoria, viceversa, esercita la difesa della norma di procedimento nella sua corretta applicazione e ostacola seriamente la ripetizione dell’errore con danno per l’erario pubblico.
La performance non adeguata ai canoni e, assai peggio, la violazione di norme sui procedimenti compor- tanti spesa pubblica costano agli autori dell’illecito contabile una sanzione che non potrà non segnarne negati- vamente la carriera, escludendone o riducendone almeno la credibilità, dunque l’affidabilità.
9. L’equilibrio del bilancio e il controllo europeo
Come abbiamo accennato, l’ancor recente prescrizione dell’equilibrio di bilancio nella nostra Costituzione ha origine europea.
Due sono stati in proposito i momenti istituzionali dedicati dall’Unione al tema: il primo è il c.d. Europlus (25 marzo 2011), allorché i singoli Stati hanno dovuto assumere l’impegno di recepire nella rispettiva legisla- zione nazionale le regole del bilancio dell’Unione con norme costituzionali, o comunque non agevolmente mo- dificabili, e con la garanzia dell’estensione dell’obbligo anche alle strutture regionali, comunali e a tutti i centri di spesa nazionale; il secondo momento, di un anno successivo, è il Fiscal compact, sottoscritto da 25 su 27 Stati, che introduce negli ordinamenti nazionali la regola del bilancio in equilibrio e, se è possibile, in pareggio.
Il pareggio consiste, a sua volta, non in un’operazione formale, ma – com’è noto – nella circostanza che il
“saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all’obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato [...]. Il governo italiano si è affrettato, con zelo, a mantenere l’impegno, inducendosi, nell’intento di recuperare una sufficiente credibilità sui mercati internazionali, a proporre un disegno di legge costituzionale che in tempi rapidissimi è diventato legge costitu- zionale approvata con maggioranza qualificata a prova di referendum”.
(10) Cfr. M. Vari, Intervento d’apertura, in Ipotesi di sistemazione metodologica, cit.
(11) Anche le pronunce delle Sezioni riunite di poco successive alla l. n. 20/1994 e della Corte costituzionale nel 1995 hanno contribuito a “costruire” l’esercizio della funzione pubblica del controllo sulla gestione, offrendo base positiva, se pur giurispru- denziale, allo sviluppo delle scelte delle sezioni regionali e della Sezione delle autonomie. Con delib. 8 febbraio 2012 delle Sezioni riunite è stato approvato per la Sezione delle autonomie un regolamento avente ad oggetto i “criteri per l’inserimento nell’elenco dei revisori dei conti delle regioni”, nuova funzione, quest’ultima, prevista dall’art. 14, c. 1, lett. e), d.l. n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 148/2011, recependo i principi dell’Intosai (International Organisation of Supreme Audit Institutions) a garanzia dell’indipendenza e dell’obiettività nello svolgimento delle attività e dell’efficacia, della continuità e della qualità dei controlli; e anche i principi dell’Iaa (International Auditors Association) che, come ricorda la Sezione delle autonomie nel citato deliberato, raccomandano l’adozione di un adeguato sistema di salvaguardie volte a ridurre i possibili rischi derivanti dalla presenza di interessi finanziari, relazioni d’affari o personali, rapporti di dipendenza o collaborazione, e ogni altra circostanza che meriti di essere opportunamente evidenziata quale possibile causa di interferenza nell’attività di revisione. In tal senso si era espressa anche la Commissione europea con la raccomandazione 16 maggio 2002 sull’indipendenza dei revisori dei conti nell’Unione europea.
Sta di fatto che le difficoltà indotte dalla crisi finanziaria globale hanno imposto anche ai tecnocrati eco- nomisti e finanziaristi dell’Unione una netta incrinatura della linea del rigore, ciò che “non rende del tutto certo che la regola del pareggio sarà consolidata e concretamente realizzata e ciò accredita la convinzione che prima di integrare la Costituzione sarebbe stato meglio attendere quanto meno la ratifica del trattato che la impone” (1)(12).
Sembra, in particolare, che il regolamento previsto dal Tfue all’art. 317 (ex art. 274 Tce), nel puntualizzare
“gli obblighi di controllo e di revisione contabile degli Stati membri nell’esecuzione del bilancio e le responsa- bilità che ne derivano”, nonché “le responsabilità e le modalità particolari secondo le quali ogni istituzione par- tecipa all’esecuzione delle proprie spese”, possa giungere a prevedere l’accesso della Corte dei conti europea a quelle nazionali, nell’interesse del rispetto della finanza comunitaria che deve servire tutti i cittadini europei e, attualmente, del patto di stabilità, in una congiuntura estrema di crisi finanziaria globale che investe l’Europa.
Del resto, ai sensi della regola fissata nel c. 1, se è vero che “la Commissione dà esecuzione al bilancio dell’Unione in cooperazione con gli Stati membri, in base alle disposizioni del regolamento stabilito in esecu- zione dell’art. 322, sotto la propria responsabilità e nei limiti dei crediti stanziati, in conformità del principio della buona gestione finanziaria”, è altrettanto vero che “gli Stati membri cooperano con la Commissione per garantire che gli stanziamenti siano utilizzati secondo i principi della buona gestione finanziaria”.
In vista di siffatta evoluzione dei rapporti tra le Corti nazionali e la Carta dell’Unione, la presa di posi- zione del presidente della Corte dei conti italiana nella sua relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2012 – cruciale della crisi economia e finanziaria globale – trova ampia motivazione (2)(13).
10. Il bilancio delle autonomie territoriali nella legge di stabilità 2016
Per passare ad una breve analisi delle nuove norme sul bilancio delle autonomie territoriali, esse si devono alla legge di stabilità 2016, l. 20 dicembre 2015, n. 208.
È necessario prendere le mosse dalle norme di cui ai cc. 707-734 dell’articolo unico della legge, che conten- gono disposizioni costituenti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt.
117, c. 3 (determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato), e 119, c. 2, Cost.: “I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”.
Il c. 707 esordisce con l’abrogazione delle regole del patto di stabilità negli enti locali: “Cessano di avere applicazione l’art. 31 l. 12 novembre 2011, n. 183, e tutte le norme concernenti la disciplina del patto di stabi- lità interno degli enti locali”.
D’interesse ancor maggiore è – al c. 709 – l’introduzione (già prevista nel capo IV della legge Monti 24 dicembre 2012, n. 243, “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, c. 6, della Costituzione”), “ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica”, della normativa sull’e- quilibrio del bilancio per gli enti destinatari quali regioni, comuni, province, città metropolitane e province autonome di Trento e di Bolzano.
I bilanci di tali enti concorrono al contenimento dei saldi di finanza pubblica (e “si considerano in equi- librio”, come si prevede all’art. 9, c. 1, l. n. 243/2012) se conseguono “un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali”, con eventuali modifiche previste dalle norme di legge che seguono.
(12) P. Santoro, La costituzionalizzazione eteronoma del pareggio di bilancio, saggio critico di particolare chiarezza, in Giust.
amm., 2012, 5. Cfr., sul punto, un altro immediato commento, quello di A. Brancasi, L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della Costituzione, in <www.forumcostituzionale.it>, 2012.
(13) Cfr. L. Giampaolino, Relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012, in questa Rivista, 2012, fasc.
1 2, 1: “La crisi economica internazionale, la ricerca di strumenti tecnicamente efficaci per combatterne i riflessi sull’economia eurocomunitaria e, ancora, le vicende che hanno accompagnato l’assunzione a livello nazionale di misure straordinarie per il risanamento della finanza pubblica hanno accresciuto, anche per questa via, l’interesse e l’attenzione della politica e della cultura per il ruolo dei controlli amministrativi. Questi sono ormai intesi, a tutti i livelli della normazione comunitaria, come fattore di garanzia circa la serietà e la coerenza degli svolgimenti che i governi nazionali debbono dare alle decisioni comuni di drastica ristrutturazione delle finanze nazionali”.
C’è da notare che il saldo non negativo era meno agevole a conseguirsi nella previgente normativa, che lo estendeva alla scrittura del bilancio anche in termini di cassa (cfr. art. 9, lett. a, l. n. 243/2012).
Anche la disciplina del c.d. pre-dissesto, resa “ragionevole” e soprattutto chiara, pur nella necessaria anali- ticità della mappa da seguire per l’ente locale, sembra dettata per ridurre al minimo il rischio della dichiarazio- ne di dissesto, e non soltanto per quegli enti che abbiano conseguito l’approvazione del piano di riequilibrio;
è anche prevista un’agevolazione, dell’importo complessivo di 20 milioni a carico del bilancio statale, per gli enti locali che entro il 10 marzo 2016 abbiano comunicato alla struttura di missione contro il dissesto idrogeo- logico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la presidenza del Consiglio “gli spazi finanziari di cui necessitano per sostenere gli interventi di [...] bonifica ambientale, conseguenti ad attività minerarie, effettuati a valere sull’avanzo di amministrazione e su risorse rivenienti dal ricorso al debito” (1)(14).
Tali spese resteranno escluse, per l’esercizio 2016, dall’ammontare del saldo individuato ai sensi del c. 710.
A quest’ultimo proposito, sembra trattarsi, in conclusione, di un regime normativo coerente con il principio in forza del quale le spese dovute a lavori resi d’obbligo per la salubrità dell’ambiente e per la salute, come le bonifiche di siti inquinati o di siti resi pericolosi dall’abbandono del proprietario, dunque spese pubbliche indi- lazionabili per la salute umana, debbano essere escluse dai conteggi per la formulazione del saldo in pareggio del bilancio.
11. Il monitoraggio della Ragioneria generale
Tutte le norme definite “principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica” – come detto, dal c. 707 al 734 – comportano, dunque, a carico degli enti locali, adempimenti sottoposti al monitoraggio del Mef-Ragioneria generale dello Stato, al quale gli enti locali, le regioni e le province autonome di Trento e Bol- zano devono inviare “le informazioni riguardanti le risultanze del saldo di cui al comma 710”.
Ciascun ente, in particolare, per consentire la verifica del rispetto del saldo, è tenuto a inviare via inter- net al sito apposito della Ragioneria generale, entro il 31 marzo d’ogni anno, una “certificazione dei risultati conseguiti”, poiché l’eventuale sua omissione viene parificata dalla norma all’inadempimento all’obbligo di equilibrio-pareggio del bilancio.
Trattandosi di monitoraggio sulla concreta possibilità di conseguire il pareggio di bilancio, non può che venire in evidenza direttamente il rendiconto della gestione, anziché il bilancio preventivo.
La certificazione dell’ente, infatti, deve essere trasmessa – ai sensi del c. 721 – entro 30 giorni dal termine previsto per l’approvazione del rendiconto.
Si tratta, evidentemente, di un controllo diretto dell’apparato governativo statale competente, che mira a contenere, e in prospettiva a evitare definitivamente, gli abusi e le distrazioni di amministratori che agiscono nell’ordinamento regionale; negli ultimi anni questi hanno manifestato in una pluralità di casi una tendenza a spendere e soprattutto a violare i limiti di bilancio, nonostante fossero già vigenti alcune norme restrittive in materia di gestione finanziaria e di gestione patrimoniale.
Ma in realtà è dal 2012 che il Parlamento e il governo italiano sono concentrati sui monitoraggi e soprattutto sulle norme di prevenzione del rischio di violazione delle previsioni di bilancio: il successo di siffatte previsio- ni ormai è palese, mentre il carico di lavoro e di responsabilità delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti si incrementa senza sosta.
12. Le sanzioni per difetti formali e vizi sostanziali
Inaugurando la sezione delle sanzioni, si dispone anzitutto che, inosservato il termine di 30 giorni, “il presi- dente dell’organo di revisione economico-finanziaria nel caso di organo collegiale, ovvero l’unico revisore nel caso di organo monocratico, in qualità di commissario ad acta, provvede, pena la decadenza dal ruolo di revi- sore, ad assicurare l’assolvimento dell’adempimento e a trasmettere la predetta certificazione entro i successivi 30 giorni. Nel caso in cui la certificazione sia trasmessa dal commissario ad acta entro 60 giorni dal termine stabilito per l’approvazione del rendiconto di gestione e attesti il conseguimento dell’obiettivo di saldo di cui al c. 710, si applicano le sole disposizioni di cui al c. 723, lett. e) e lett. f). Sino alla data di trasmissione da parte
(14) Non è norma chiarissima, quest’ultima, tanto a causa della circoscrizione dei suoi presupposti con riferimento alla prove- nienza dei mezzi finanziari messi in campo dagli enti locali per farvi fronte, quanto sull’individuazione dell’oggetto del beneficio fiscal-contabile: tutte le bonifiche o solo quelle “conseguenti ad attività mineraria”? E, in quest’ultimo caso, perché non tutte?