Annamaria Curatola
IL RUOLO DEI DOCENTI NELLA SCUOLA INCLUSIVA
ABSTRACT. Quando si affronta il tema che afferisce alle funzioni dei docenti nella scuola inclusiva certamente è difficile riscontrare risposte condivise ed unanimità di vedute, anche per la complessità e la varietà delle problematiche che bisogna affrontare. Prima fra tutte, la questione del raccordo tra domanda sociale di formazione e risposta istituzionale in capo alla Scuola. Ciò soprattutto in considerazione di una maturata consapevolezza che l’educazione rappresenta un servizio di risposta sociale a ogni persona, nessuna esclusa.
Se per un verso può essere agevole strutturare e proporre soluzioni organizzative, metodologiche e didattiche, abbastanza generalizzate per gli alunni dotati di adeguata abilità cognitiva e relazionale, non risulta altrettanto semplice per gli alunni che presentano “bisogni educativi speciali”.
Le difficoltà di realizzazione aumentano allorquando si vuole creare un clima inclusivo all’interno delle classi e della scuola, con progetti mirati al coinvolgimento di tutti gli attori del servizio educativo, per assicurare risposte personalizzate di esercizio educativo e didattico. Il problema abbraccia e coinvolge tanto i docenti, nella loro diversa funzione, quanto gli alunni nelle loro relazioni e nello sviluppo
titolo viene coinvolto nell’esercizio formativo1. A essere interessato è pure lo stesso
“contesto” in cui la scuola esercita le proprie funzioni, dalla famiglia alle strutture integrative di servizio alla persona, soprattutto laddove sono più evidenti le situazioni di disagio che a vario titolo vanno ad incidere sull’esprimersi dei bisogni legati alla disabilità.
Parole chiave: funzione- docenti - scuola inclusiva – disabilità
ABSTRACT. It is extremely difficult to find unanimous opinions and points of view when dealing with the functions of teachers and inclusive education. This is due to both the variety and the complexity of those problems that need to be faced in such environment. The most important problem by far is the one related to the social demand for education and what public education actually provides. This in the light of the increased awareness that education is a social service for everyone, no one excluded.
Although structuring and offering generalized methodological, didactic and organizational solutions for children who have adequate cognitive and relational abilities seems easy, the same cannot be said for those students who have special educational needs. Difficulties increase when teachers try to create inclusive social
1 A. Canevaro, L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent’anni di inclusione nella
environment inside classes and schools by means of projects whose aim is to involve all the professional figures belonging to the educational field, in order to provide and assure personalized results as far as both education and didactics are concerned. Not only does the problem affect teachers fulfilling their functions, but also students, in their relationships and in the development of their knowledge, abilities and skills, and finally all the supportive staff who is engaged in various ways in the educational process2.
The “context” in which schools fulfil their function is involved as well, from families to organizational structures, especially in those situations in which people feel increasing uneasiness that weighs on the expression of those needs linked to the effects of the disability.
Key Words: functions - teachers - inclusive schools - disability
1. Il contesto sociale di riferimento per l’educazione
I Paesi più avanzati sotto il profilo socio-economico e culturale, tra i quali evidentemente viene annoverata anche l’Italia, si sono strutturati prevedendo che su formazione, produzione e consumo siano poggiati i sistemi prevalenti, puntando a un
notevole impiego di risorse, competenze e di investimenti nel campo della formazione (educazione e istruzione)3.
Questo nell’ottica di operare in una duplice direzione: a) ragionare in termini di sviluppo e di competitività, in ossequio a parametri fondamentali quali efficienza, efficacia ed economicità; b) fornire risposte alle variegate istanze di bisogno formativo, nel rispetto della specificità della persona, sempre sulla base di efficienza, efficacia ed economicità.
In tal senso, conciliare esigenze diverse non risulta un’operazione semplice.
La prima esigenza, infatti, è strettamente connessa ad un modello di scuola il cui ruolo è funzionale rispetto alle ragioni del sociale4. Lo sguardo è rivolto a implementare le attitudini rispetto allo studio e alle intelligenze, in vista dell’acquisizione di competenze produttive di rango elevato. Ciò comporta un conseguenziale mancato coinvolgimento delle persone che denotino un livello intellettivo non particolarmente significativo e, in linea generale, una scuola che si presenti prevalentemente selettiva.
Diversamente, la seconda esigenza viaggia nella direzione di un modello di scuola attenta ai bisogni e alle istanze di ciascuna persona, anche circa i diversi tempi di
3 M. Spence, La convergenza inevitabile: una via globale per uscire dalla crisi, Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari 2012, [trad. it.] The Next Convergence. The future of Economic Growth in a Multispeed World, Farrar, Straus and Giroux, New York 2011.
4 D. Vidoni, D. Notarbartolo, Una scuola che funziona, Armando Editore, Roma 2004.
formazione del singolo, offrendosi come servizio sociale alla persona5. Per cui, un’adeguata attenzione circa la formazione viene riservata anche alla persona con proprietà meno significative, sia a livello funzionale che strutturale.
Quanto detto, in buona sostanza, delinea due diversi modelli di scuola che evidenziano una diversa specificità progettuale ed un diverso modo di porsi ad opera del personale docente nello svolgimento della sua funzione. Ma vi è un modello da ritenersi preferibile in termini di adeguatezza rispetto ai bisogni speciali? Vi è una possibilità concreta di riuscire a conciliare le diverse esigenze?
1.1 Disabilità e bisogno formativo
Muovendo dal tema della disabilità, è pacifico ed evidente come dalla specificità delle varie configurazioni e delle diverse istanze dipenderà la risposta di servizio educativo e la relativa scelta del modello di scuola da seguire.
In primo luogo, bisogna considerare che un conto è riferirsi a disabilità motorie, altro è volgere lo sguardo verso le disabilità sensoriali o afferenti la sfera comportamentale e/o intellettiva.
Difatti, mentre nel primo caso l’”adattabilità” agli approcci didattici di profilo
“ordinario” è possibile, di contro nel secondo caso -avendo riguardo per le funzioni
5 F. Frabboni, C. Scurati, Dialogo su una scuola possibile, Giunti Editore, Firenze 2011.
della vista e dell’udito- alle persone vanno offerte soluzioni didattiche specializzate e diversificate. Per esempio, le persone con disabilità uditiva evidenziano problemi di apprendimento in misura più marcata rispetto a chi presenta una disabilità visiva, perché hanno lo svantaggio di una più complessa acquisizione del linguaggio espressivo codificato, passaggio importante nel percorso atto a strutturare la funzione del pensiero e della comunicazione.
Le difficoltà si acuiscono laddove si parli di persone con disabilità più o meno grave del comportamento e/o dell’apprendimento (ritardo intellettivo, sindrome di Down, sindrome Autistica, disturbi gravi dello sviluppo); in tal caso, sia sotto il profilo educativo che didattico, sono richieste soluzioni particolari che tengano conto della diversità della fattispecie, con necessità di “adattamenti” della relazione educativa, e ancor più della relazione didattica, con relativi peculiari spazi, risorse, strategie d’azione mirate ed interventi ad hoc6.
L’intervento posto in essere dai docenti non si presenta neutro, ma è intimamente correlato alle finalità istituzionali perseguite sotto il profilo sociale nonché alla peculiarità delle varie utenze.
6 L. Cottini, Didattica speciale e inclusione scolastica, Carocci, Roma 2017.
1.2 Le finalità istituzionali del servizio formativo
La necessità che vengano rispettate le finalità di cui sopra implica che la scuola, come Istituzione, assuma determinati compiti circa una definizione adeguata degli obiettivi formativi e di istruzione. Ciò si deve coniugare con la disponibilità certa di risorse, in particolare di un corpo docente qualificato, con un adeguato impianto strutturale dei luoghi di apprendimento, con la previsione di procedure didattiche ad hoc, unitamente alla definizione dei relativi contenuti.7 Inoltre, un ruolo significativo deve essere recitato dalle agenzie territoriali di assistenza e di tutela della persona, anche attraverso un’attenta opera di verifica e di monitoraggio.
In altri termini, va predisposto un contesto che veda nella scuola un protagonista attivo, con compiti ed obiettivi ben definiti, non già occasionali, ben inquadrati in una duplice ottica, e segnatamente: a) l’ottica della “ragione sociale” dell’educazione e dell’istruzione; b) l’ottica del “servizio reso alla persona”.
Ma a cosa ci si riferisce quando si parla di azione educativa e didattica? Quale rapporto intercorre tra le due tipologie di azione? In quali occasioni il docente è chiamato a svolgere l’una e l’atra funzione?
Molteplici possono essere le risposte a detti quesiti, che talvolta possono anche trovarsi in contrasto tra loro.
7 D. Ianes, D., M. Tortello, (Eds.), Handicap e risorse per l’integrazione. Nuovi elementi di qualità per una scuola inclusiva, Edizioni Erickson, Trento 1999.
A – L’ottica della “ragione sociale” dell’educazione e dell’istruzione
La configurazione della relazione didattica, secondo l’approccio di Elio Damiano, è importante nella misura in cui non si guarda soltanto al ruolo svolto dai due attori principali, evidentemente da intendersi nella persona di alunno e di docente, ma si va oltre, coinvolgendo anche il “terzo incomodo”, vale a dire i “contenuti” «socialmente legittimati e scientificamente rilevanti»8, che sono sottesi alla ratio della relazione medesima.
In sostanza, se non ci sono contenuti non vi può essere un’adeguata relazione didattica. Ancora, senza contenuti non si può conferire nè sostanza nè “forma” alla personalità. Dunque, senza contenuti non vi può essere neanche una relazione educativa, laddove col termine educativo ci si riferisce alla persona nella sua globalità. Atteso che le azioni della persona devono essere valutate dal sociale, anche dal punto di vista etico, ne consegue che l’esito educativo implica non solo la presa d’atto ma anche la “coscientizzazione” di “regole” di vita. Queste, pertanto, si configurano come “contenuti” da inserire nel bagaglio personale, da esplorare, da conoscere, da fare proprie e da tradurre in “criteri di pensiero per l’azione”.
In tale contesto, il compito forse meno agevole è quello di calibrare il rapporto alunno-docente nell’ottica dell’acquisizione dei contenuti, fermo restando l’infondatezza dell’atto “trasmissivo”.
8 E. Damiano, L’azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Armando Editore, Roma 1999, p. 205.
Inoltre, va anche verificato in che termini il docente finisce di svolgere un ruolo
“educativo” volto a supportare l’alunno nell’iter di acquisizione di una propria identità sociale, fatta di determinati comportamenti, e di contro assume il ruolo di
“promotore” di iniziative mirate sotto l’aspetto didattico, destinate nel medio-lungo periodo alla mediazione di contenuti culturali che cementeranno la progressiva evoluzione di competenze e di abilità di variegato ed alto profilo sociale, culturale ed identitario.
Così configurata, l’azione mediativa del docente è un’attività di supporto ai processi di “coscientizzazione”9 dell’identità della persona, in cui a corredo dei
“contenuti” si vanno ad implementare quelle che sono strutture portanti per l’azione.
Il ruolo formativo del docente arriva a tratteggiare, così, una duplice funzione:
quella dell’educare e quella dell’insegnare, in una continua ricerca di “equilibrio” e di contemperamento di esigenze che sono legate al modello sociale di educazione, cui l’insegnante deve rispondere, ma anche e soprattutto alle “risposte” dei suoi alunni all’azione posta.
Il ruolo del formatore, in effetti, afferisce soprattutto al controllo ed alla gestione dei comportamenti correlati alla sfera affettivo-emozionale di ciascun alunno, all’abilità di quest’ultimo nell’instaurare relazioni, alla sua capacità di gestire bisogni ed impulsi, al livello di efficienza funzionale dei suoi processi cognitivi.
9 P. Freire, Pedagogia do oprimido, Paz e Terra, Rio de Janeiro 1970, [trad. it], La pedagogia degli oppressi, Ed. Gruppo Abele, Torino 2011.
Invece, l’essere insegnante riguarda precipuamente la conoscenza e la padronanza di modelli culturali socialmente condivisi10. Si tratta di un agire volto a guidare e supportare l’alunno nel delicato compito di contemperare le diverse istanze provenienti dalla sfera individuale e da quella sociale della personalità.
L’esercizio del ruolo di educatore rappresenta per il docente certamente il compito più complesso e più delicato, in quanto richiede l’impiego di una marcata sensibilità, di una notevole abilità nell’ascolto e nel controllo emozionale, oltre ad una spiccata conoscenza delle dinamiche evolutive della personalità infantile11. Richiede, inoltre, una responsabile presa di coscienza delle implicazioni sociali dei comportamenti propri e degli alunni, come pure l’abbandono di posizioni di pregiudizio e la rinuncia a stereotipi comportamentali standard, ecc. Ne consegue che l’educatore, dovendo volgere lo sguardo prevalentemente alla sfera comportamentale e sociale degli allievi, è obbligato ad attenzionare i “contenuti” in una chiave per così dire “strumentale”, nella misura in cui questi, cioè, consentono di promuovere e rafforzare i predetti processi. Inoltre, l’assunzione dei “contenuti” diventa un atto fondamentale, per il docente, sia per l’acquisizione di più adeguate competenze, sia per favorire la disponibilità dell’allievo per il “culturale”.
10 M. A. Gallina, T. Riverso, (a cura di), Modelli culturali, socio-educativi e linguaggi. Riflessioni sul pensiero di Emanuele Riverso, FrancoAngeli, Milano 2014.
11 P. Brunori, (Ed.), La professione di educatore: ruolo e percorsi formativi, Carocci, Roma 2001.
Diversamente, l’insegnante esercita prevalentemente un’azione che potremmo definire di “mediazione culturale” che implica una specifica competenza didattica.
Una competenza che trova esplicitazione attenzionando lo sviluppo cognitivo degli allievi, monitorando il livello e l’incidenza dei contenuti culturali nel processo di formazione della loro personalità e della loro identità sociale, orientando gli alunni nel percorso di sperimentazione delle loro azioni nell’ambito del sistema multiforme dell’offerta culturale.
Il docente, in quanto educatore e insegnante, assolve a due diverse funzioni, parimenti importanti: da un lato supporta l’alunno lungo l’iter in cui si struttura la sua personalità e, dall’altro, lo orienta e lo sostiene nel processo di acquisizione dei contenuti di matrice prettamente culturale. Ciascuna di queste funzioni trova esplicitazione e consolidamento con l’esercizio dell’esperienza e con la sperimentazione dei suoi atti. Solitamente egli è chiamato ad esercitare congiuntamente entrambe le funzioni, ma con una diversificazione dei compiti, in relazione alla tipologia stessa dei suoi alunni e al livello di scolarità in cui agisce. Più propriamente, nella scuola dell’infanzia e primaria egli esercita attività prevalentemente di tipo “educativo”, nel senso che opera tenendo conto di precisi obiettivi mirati a stimolare e rafforzare le condizioni “strutturanti” l’esercizio della personalità degli alunni. Successivamente e gradualmente detti compiti vengono orientati all’azione propria dell’insegnare: saranno utilizzati inizialmente come
mediazione dei “contenuti culturali” e, in seguito, diventeranno prevalenti, se non esclusivi, nei livelli più elevati di scolarità (secondaria).
L’importante è che detti compiti vengano espletati con un’azione didattica intenzionale, correttamente finalizzata e responsabilmente monitorata nel suo svolgersi.
In ogni caso il docente, sia esso educatore o insegnante, è sempre un “mediatore”;
varia solamente la tipologia della mediazione, sulla base del modello di seguito riportato12.
Dal predetto grafico si evince chiaramente che a seconda del diverso livello di scolarità in cui il docente esercita il proprio ruolo, la funzione di educatore e quella di insegnante sono diversamente calibrate.
Da un punto di vista teorico, tra le due funzioni si assiste a una continua ricerca di equilibrio, nel senso che si integrano e si intrecciano tra di loro durante l’itinerario scolastico, ma nella pratica presentano ciascuno repentine accelerazioni e bruschi
12 A. Curatola, Disabilità e scuola. Fondamenti, modalità e strategie di azione didattica, Anicia, Roma 2005, p. 157.
Obiettivi di Istruzione Università
Scuola Secondaria di 2° Grado
Scuola Secondaria di 1° Grado
Scuola Primaria
Obiettivi di formazione
Scuola dell’Infanzia
rallentamenti continui, a seconda dell’entità del loro impatto nel processo di sviluppo formativo della personalità del singolo alunno.
In sostanza, sempre sul piano teorico, l’allievo “tipo” procede negli apprendimenti secondo una determinata gradualità, seguendo il modello classico che va dal semplice al complesso e dal concreto all’astratto; i suoi comportamenti sociali sono legati a una graduale acquisizione delle diverse abilità nel mediare le conoscenze acquisite con i suoi bisogni, gli input di natura affettiva e relazionale, oltre che dalle sue competenze cognitivo-critiche.
Sul piano pratico non sempre è così. L’azione docente dipende soprattutto dalle caratteristiche e dai potenziali propri di ciascun alunno. Infatti, soprattutto nel periodo della scuola dell’infanzia, la sua azione si coniuga con il tentativo di favorire l’organizzazione delle strutture della personalità dell’allievo, stimolando e rafforzando la sua predisposizione e attitudine allo sviluppo delle relazioni e all’esercizio della volontà. Condizioni “strutturanti”, queste, che agevolano l’alunno nel successivo e delicato processo di approccio e di orientamento agli apprendimenti più complessi di tipo culturale.
Attraverso l’impegno assunto dal docente, l’alunno inizia a sapersi porre nei confronti degli altri e dell’ambiente circostante, nel rispetto dei ruoli, con la disponibilità al dialogo e al confronto tra volontà diverse e bisogni diversi, con la
partecipazione a modelli comportamentali culturalmente definiti e socialmente condivisi13.
Il docente che opera nelle vesti di educatore deve sapere operare nel gestire e mediare le condizioni di personalità più idonee per l’alunno, assumendo a riferimento la sua peculiare specificità ma anche la sua realtà di appartenenza alla classe, in modo da alimentare favorevoli e positive condizioni di inclusività, condivisione e integrazione14. Solo favorendo la gestione positiva dei comportamenti potrà alimentare la qualità delle relazioni sia interpersonali sia interambientali. D’altra parte, la strutturazione equilibrata e funzionale delle forme basilari del comportamento è fondamentale per l’esercizio efficace delle prestazioni cognitive più complesse, la cui carenza pregiudica inevitabilmente lo sviluppo del processo formativo successivo e rende inefficace l’azione del docente stesso, al quale è demandato anche il carico della mediazione dei contenuti culturali.
B – L’ottica del “servizio alla persona”
Il modello di una scuola funzionale al “culturale” e non capace di proporsi a misura della “persona” accusa le proprie lacune e palesa le proprie criticità laddove si altera il processo di reciproca mutuazione e rinforzo tra conoscenze e comportamenti,
13 R. Caldin, La promozione dell’inclusione e l’impegno «cooperativo», L’ Integrazione Scolastica e Sociale, 14, 2015, p. 231-242.
14 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, Pensa Multimedia, Lecce 2006.
specie per motivi legati agli effetti di disabilità intellettivo-relazionali. Per dette ragioni è indispensabile guardare al modello imperniato sulla centralità della persona nelle sue concrete possibilità formative.
Molto spesso si assiste all’espletamento di un ruolo, da parte del docente, che solo parzialmente fa il paio con il quadro teorico, basato sull’idea che l’educazione è un atto “totalizzante” della personalità che comprende anche l’arricchimento culturale e le competenze di esercizio professionale, con l’obiettivo di conseguire una sua piena integrazione sociale.
Il docente recita un ruolo di profilo prettamente educativo laddove si tratti di persone la cui disabilità condiziona in modo significativo gli apprendimenti e/o le relazioni: in tal caso è chiamato soprattutto a comprendere ogni forma del disagio sofferto dall’alunno, specie sul piano relazionale. Vanno quindi valutati e monitorati tutti i comportamenti, perché non di rado possono essere associati ad input impliciti di suoi specifici bisogni. Di qui la necessità di azioni mirate e attentamente monitorate.
Ciò che si chiede è che il docente agisca coerentemente e responsabilmente con la presa d’atto di ogni forma di manifestazione, anche implicita, di qualsiasi forma di disagio e/o di bisogno di ogni alunno. Egli deve anche essere in grado di anticiparne la comparsa, per quanto possibile, cogliendo i segnali di una potenziale manifestazione nelle sue dinamiche intrapsichiche, da valutare come “messaggio”,
È del tutto evidente, però, che per potere perseguire detti obiettivi, egli deve disporre di tempi, di risorse e di competenze che non sono propriamente quelli dell’azione “insegnativa”.
Insomma, all’alunno che si rotola per terra, che aggredisce i compagni, che tende ad allontanarsi dalla classe, che rifiuta il contatto verbale col docente e compie atti difformi dalla norma, il docente che riveste solo funzione educativa non potrà chiedergli di “assumere il controllo” dei suoi comportamenti, né potrà ricorrere a rinforzi vari per gestire dall’esterno i suoi atteggiamenti. Al contrario, rispetto a tali situazioni il docente dovrà sapersi porre in maniera adeguata, dovrà saper offrire tutto il proprio sostegno affinché l’alunno stesso impari a controllare le sue dinamiche comunicative, a gestire le proprie emozioni e sentimenti nel rispetto degli altri, ad esercitare fin dove possibile il suo senso critico, ad adattarsi ai sistemi di controllo del libero movimento in spazi ristretti, ecc.
Invece, capita spesso che, nella classe, l’insegnante curricolare assuma comportamenti e atteggiamenti diametralmente opposti a quelli previsti e richiesti per il sostegno. Egli, tendenzialmente, è portato a far valere e “pesare” l’efficienza del proprio ruolo curricolare, per cui tende a rimproverare l’alunno che non si adatta ai propri modelli e obiettivi di apprendimento, a sanzionare e colpevolizzare chi non rispetta le regole dell’attenzione, della partecipazione, delle verifiche, ecc. Il che crea spesso conflitti con il docente per il sostegno15.
1.3 L’obiettivo della socializzazione
Quando si parla di socializzazione ci si riferisce a un obiettivo fondamentale, assolutamente ineludibile nella prassi educativa, che non va sminuito e “ridotto” alla mera conquista, benché importante, di “relazionalità interpersonale”.
Bisogna invece mirare al conseguimento di «...traguardi ben più consistenti e valorizzanti la persona e il sociale stesso. Socializzare significa, infatti, diventare parte integrante del sociale, vale a dire trovare nel sociale un riconoscimento formale e sostanziale, un ruolo, una dimensione e una dignità integrata e integrante...»16.
Tra le possibili conseguenze correlate alla disabilità in un bambino, vi è quella di una limitazione delle sue capacità nel relazionarsi a scuola.
Spesso un bambino che aggredisce, viene evitato dai compagni, e questo atteggiamento, in qualche misura, giustifica e nel contempo stimola i suoi comportamenti inadeguati.
In realtà, va considerato che per un bambino che presenti un ritardo psicomotorio con difficoltà a gestire una minima frustrazione, con una capacità attentiva limitata e con una produzione linguistica carente, spesso è fisiologico, attesa proprio la patologia, mettere in atto modalità aggressive fisiche nei confronti degli altri bambini.
16 A. Curatola, Disabilità e scuola. Fondamenti, modalità e strategie di azione didattica, Anicia,
A fronte di ciò, bisogna operare in modo appropriato e tempestivo al fine di avviare e sostenere un corretto processo di socializzazione. Ad esempio, il docente può pensare di strutturare un contesto ludico in cui creare un ambiente comunicativo e relazionale idoneo a far veicolare al bambino con disabilità messaggi quali “sono contento che ci sei e ti accetto per quello che sei”, “sei importante per noi”: questi messaggi non devono essere inviati solo verbalmente, ma anche e soprattutto attraverso la forma di comunicazione non verbale, e quindi attraverso il corpo.
Si tratta di una sorta di “permesso di esistere” come “permesso di essere se stessi”, di “permesso di appartenere”.
Tutti i bambini, infatti, hanno il diritto fondamentale di soddisfare tali bisogni. Se ciò è vero, è parimenti vero che a fortiori ne hanno diritto i bambini con disabilità.
In tale contesto, il docente deve essere in grado di assolvere al compito non agevole di favorire il processo di socializzazione dell’alunno, rendendo tutti i bambini partecipi dell’azione socializzatrice; deve pure sensibilizzarli e trasmettere loro il messaggio fondamentale che ogni persona è “diversa”. Proprio a questa
“diversità” è correlata una precisa categoria del vivere sociale, che viene valorizzata nella logica del “confronto”, nell’interazione eterogenea tra entità e culture fra loro
“diverse”.
Così inquadrata, la diversità può diventare una risorsa di portata rilevante per l’umanità: tuttavia, una piena integrazione sociale della persona con bisogni speciali,
raggiunto e attestato, bensì dalla condivisione sociale delle reali possibilità e competenze che essa ha nel fornire il proprio contributo alle dinamiche produttive, stabilendo accettate forme di relazione, anche minime»17.
La persona va quindi coinvolta in azioni mirate con adeguati interventi educativi, didattici e terapeutici che richiedono ambienti formativi, strategie, tempi e modalità, competenze ed esperienza, risorse, coinvolgimenti istituzionali che si possano attagliare allo stato di bisogno della singola persona.
2. Le condizioni per le “buone prassi” formative
Dal quadro che è stato appena delineato, emerge chiaramente come, per ambire ad un certo standard qualitativo circa lo sviluppo del processo formativo che riguardi persone con disabilità, soprattutto di tipo intellettivo e relazionale, sia importante creare una sinergia collaborativa tra tutti i docenti, specializzati e curricolari.
Anzi, forse è preferibile affermare che anche gli insegnanti curricolari abbiano una formazione specialistica18, una formazione, cioè, che consenta loro di interloquire ed interagire in maniera efficace ed adeguata con il variegato e complesso ambito della disabilità, nelle sue molteplici espressioni, in modo da potere valutare i bisogni
17 Ibidem, p.13.
18 Per un approfondimento sui contenuti, vedasi: A. Curatola, Disabilità e scuola. Fondamenti, modalità e strategie di azione didattica, Anicia, Roma 2005, in particolare al cap. secondo dal titolo
speciali che ne derivano e rispondere e calibrare con essi e per essi un idoneo progetto formativo.
Si mira a coinvolgere tutti, con l’auspicio e l’obiettivo di garantire a tutti gli alunni l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione, ovviamente secondo qualità e livelli che tengano in debito conto la specificità di ciascuno, al fine di individuare e conseguire efficaci e mirate condizioni di inclusione e di integrazione sociale.
In quest’ottica, è fondamentale che il corpo docente sia in grado di individuare e di assumere una correttezza strategica atta a distinguere responsabilmente le condizioni di contestualizzazione delle situazioni-problema, e delle relative diverse problematizzazioni, nel novero delle stesse, correlate a disabilità più o meno gravi di apprendimento, non di rado associate e/o accompagnate a quelle del comportamento, da quelle a più ridotto rischio di conflittualità all’interno della classe19.
Specialmente laddove si presentino elevati livelli di problematizzazione, è basilare che il docente abbia nel proprio bagaglio professionale un alto livello di specializzazione. Il docente deve essere quindi in grado non solo di sapere approcciare problematiche educative complesse sotto il profilo “metodologico”, ma anche di sapere gestire le condizioni e la tempistica d’intervento di un processo formativo vincolato da bisogni speciali, quali, ad esempio, tempi più estesi per implementare un’adeguata azione formativa, una strutturazione del contesto
19 L. D’Alonzo, La gestione della classe: modelli di ricerca e implicazioni per la pratica, La
educativo, un proficuo coinvolgimento delle Istituzioni preposte, il supporto di mirati interventi terapeutico-riabilitativi.
Il docente deve essere altresì sempre in grado di garantire in maniera adeguata l’integrazione tra il ruolo educativo e quello insegnativo, così da ottenere dagli allievi efficaci risposte rispetto agli apprendimenti culturali, pur nel più assoluto rispetto delle legittime attese sociali circa un pieno e completo esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione.
In sostanza, è auspicabile l’adozione di “buone prassi” di inclusione scolastica, nell’unitarietà della classe, sebbene ad oggi nella realtà ciò debba essere oggetto di accurata verifica con forte senso di responsabilità.
Conclusioni
L’emergenza Covid-19 ha stravolto la routine di milioni di persone a livello mondiale, ha condizionato le decisioni politiche istituzionali e posto la società dinnanzi alla scelta “obbligata” e dolorosa di privilegiare il diritto alla salute rispetto a tutti gli altri diritti garantiti dalla Costituzione italiana.
La scuola è stata costretta a riorganizzarsi per rispondere in maniera adeguata al momento di crisi. Gli insegnanti si sono impegnati a programmare e a gestire forme di didattica in grado di mantenere costanti ed efficaci le relazioni educative “con e
fra” gli alunni, compresi quelli con disabilità che sono indubbiamente i più penalizzati.
Al fine di garantire inclusività, pari opportunità e qualità di servizi, la SiPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale) ha di recente pubblicato le Linee di indirizzo per una scuola inclusiva e sul rientro a scuola nel prossimo anno scolastico - degli alunni e delle alunne, degli studenti e delle studentesse con disabilità nelle scuole di ogni ordine e grado.
All’interno del documento viene precisato che, essendo la scuola italiana costituzionalmente inclusiva, devono essere effettuate scelte organizzative, educative e didattiche che consentano di contrastare le disuguaglianze e il rischio di povertà educative e favorire al contempo una reale crescita personale per tutti.
All’interno della scuola l’azione didattica inclusiva deve sostenere il valore della
“persona”, della “cura educativa”, della “diversità” e promuovere una “coscienza inclusiva” sempre e in ogni circostanza, anche quando la didattica è “costretta” a modalità “a distanza o mista”.
Ogni percorso educativo deve essere significativo e autentico; deve essere abbandonata ogni forma di “buonismo” che conduca solo a forme di
“assistenzialismo” e “separazione”; deve essere promossa un’efficace azione di formazione di tutti gli insegnanti; essere potenziate le azioni di monitoraggio e valutazione dei processi, ma soprattutto è fondamentale che la comunità educante operi “in rete” ed in sinergia effettuando scelte ragionate, condivise e partecipate.
Dialogo, partecipazione, accoglienza, coinvolgimento, ricerca, flessibilità, sostenibilità, progettualità, queste sono solo alcune delle “parole d’ordine” di cui la società tutta deve riappropriarsi, a partire dalla scuola, per fronteggiare qualsiasi situazione comprese quelle che sconvolgono piani e impongono scelte e comportamenti impensabili.
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