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Capitolo 3. Materiali e tecniche di deposizione. 3.1 Metodo sol-gel

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Academic year: 2022

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Capitolo 3

Materiali e tecniche di deposizione

Una volta definite le proprietà spettroscopiche degli ioni di terre rare in una matrice, occorre passare allo studio dei possibili materiali che, insieme a tali ioni, andranno a comporre lo strato guidante della guida d’onda.

La scelta dei materiali è strettamente collegata, infatti, al tipo di ione utilizzato per la realizzazione della guida; questo perché bisogna tener conto della solubilità dello ione all’interno dell’ospite e dell’accordo tra le proprietà di quest’ultimo e le caratteristiche dello ione (ad esempio, è necessario valutare l’energia fononica dell’ospite in relazione ai possibili decadimenti non radiativi tra i livelli dello ione – Paragrafo 2.3).

Questo studio preliminare, dunque, risulta essere cruciale nella determinazione delle proprietà della guida: tempo di fluorescenza, assorbimento, emissione e tutti gli altri fenomeni di interazione radiazione-materia.

La guida a base di erbio è composta da uno strato guidante di SiO2-TiO2; il film drogato con praseodimio è, invece, un composto a base di calcogenuri.

La deposizione del film di calcogenuro drogato con Pr3+, è stata da me realizzata, tramite pulsed laser deposition, in collaborazione col gruppo di Fisica delle Radiazioni del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Lecce; la deposizione del film di silica-titania drogato con Er3+ è stata eseguita, tramite metodo sol-gel, dal gruppo dell’INFM del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Trento in

collaborazione con il CNR-CeFSA di Povo (TN).

3.1 Metodo sol-gel

Il metodo sol-gel permette di ottenere vetri e ceramiche a partire da precursori metallici e composti inorganici in una soluzione alcolica [Pi92].

La soluzione alcolica all’interno della quale reagiscono i precursori è detta, appunto,

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fase), in quanto il sol è costituito da una sospensione, stabile e omogenea, di piccole particelle solide all’interno di un liquido. Si distinguono due tipi di sol:

!"sol polimerici (la parte solida è composta da polimeri o oligomeri)

!"sol colloidali (in questi gli atomi si raggruppano per formare particelle colloidali)

All’interno della soluzione (precursori, solvente, acqua e catalizzatore), i precursori subiscono reazioni di idrolisi e condensazione e, all’aumentare delle dimensioni dei polimeri, si ha un aumento della viscosità. Quando raggiungono dimensioni “infinite”

(paragonabili con le dimensioni del recipiente), anche la viscosità diventa infinita: punto della transizione sol-gel – punto di gelificazione (Figura 3.1).

Alla “divergenza della viscosità” segue un ulteriore aumento delle dimensioni della struttura, con l’assimilazione di polimeri di piccole dimensioni.

Il risultato finale é un reticolo solido tridimensionale in espansione all’interno di un mezzo liquido e in grado di mantenere una forma propria: il gel (polimerico o colloidale a seconda della natura del sol da cui deriva). Se il liquido è essenzialmente composto da acqua, si parla di idrogel, altrimenti se è la quantità di alcol ad essere predominante, si parla di alcolgel.

Sol Gel Log (η,G)

viscosità η

costante elastica G

tg punto di gelificazione

Fig. 3.1 – Andamento della viscosità del sol e della costante elastica del gel in funzione del tempo di reazione [Pi92].

tempo di reazione

(3)

Occorre notare che il processo appena descritto differisce dalla solidificazione classica di un liquido, in quanto, nel nostro caso, la struttura solida che si ottiene è comunque impregnata del liquido del sol: per tale motivo, infatti, si parla di gel umido.

3.1.1 Meccanismi di reazione

In genere, i precursori sono costituiti da metalli alcossidi di tipo M(OR)n, dove M rappresenta il metallo, R un gruppo alcalino CnH2n+1 e n il numero di coordinazione (numero di atomi che un determinato elemento può accomodare attorno a sé, con il dato elemento al centro e gli altri atomi equidistanti da questo). Le reazioni cui i precursori vanno incontro sono [Kl94]:

i. Idrolisi

È, questa, una tappa di attivazione del processo e consiste nella sostituzione di gruppi alcossidi OR con gruppo idrossidi OH:

M(OR)n + x H2O → (HO)x-M-(OR)n-x + x ROH (3.1) Si ottengono, quindi, molecole di alcol ROH a partire da molecole di acqua.

ii. Condensazione

I gruppi OH, ottenuti nell’idrolisi, si condensano per formare dei ponti M-O-M attraverso le reazioni di

a) Dealcolizzazione:

(OR)n-1-M-OH + RO-M-(OR)n-1 → (OR)n-1-M-O-M-(OR)n-1 + ROH (3.2) b) Deidratazione:

(OR)n-1-M-OH + HO-M-(OR)n-1 →(OR)n-1-M-O-M-(OR)n-1 + H2O (3.3) In tale reazione, quando due atomi del metallo si trovano sufficientemente vicini, tendono a formare un ponte M-O-M, rilasciando una molecola di alcol (a) o una d’acqua (b). Se il numero di atomi interessati è grande si vengono a formare dei polimeri inorganici -M-O-M-O-M (Figura 3.2b)

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3.1.2 Parametri chimici

I meccanismi di reazione appena illustrati sono fortemente condizionati sia dalle caratteristiche dell’ambiente in cui avvengono, sia dalla natura dei reagenti e tali fattori influenzano pesantemente le caratteristiche del prodotto finale [BrSh90].

a) Ambiente: se l’ambiente è acido e caratterizzato da uno scarso rapporto acqua/alcossido, l’idrolisi porterà alla formazione di lunghe catene di polimeri poco ramificati; in ambiente basico e con abbondanza di acqua, invece, l’idrolisi produrrà monomeri idrolizzati.

b) Acqua: all’aumentare del numero delle moli di acqua rispetto a quelle dell’alcossido risulta favorita la reazione di idrolisi.

c) Concentrazione degli alcossidi: la diluizione della soluzione (distanza tra gli alcossidi) influenza la probabilità di collisione (una maggiore concentrazione porta ad una diminuzione del tempo di gelificazione), ma anche la viscosità della soluzione stessa e, quest'ultimo fattore, risulta determinante nella riuscita del dip-coating (lo spessore depositato per ogni dip è, infatti, proporzionale alla radice quadrata della viscosità, (3.6) [BrHu94]).

d) Precursori: la reattività dei precursori è legata al loro numero di coordinazione e alla loro elettronegatività. L’elettronegatività, χ, è una misura dell’attrazione che un atomo esercita sugli elettroni che partecipano alla formazione di un legame, tra questo ed un altro atomo; una maggiore differenza di elettronegatività tra l’atomo di ossigeno, χ = 3.44, e il metallo porta a legami ionici, mentre un’elettronegatività comparabile è legata alla formazione di legami covalenti.

e) Solvente: il solvente serve essenzialmente a garantire la miscibilità tra i reagenti e, di conseguenza, l’omogeneità della reazione. In genere, si ricorre a solventi quali etanolo e metanolo.

f) Catalizzatore: il pH (misura della concentrazione di ioni idrogeno) della soluzione influisce sull’intero andamento (velocità) della reazione e sulla natura dei prodotti; una catalisi acida, infatti, permette che l’idrolisi sia tanto veloce da terminare prima che la condensazione abbia luogo. In tal caso si ha la formazione di monomeri che, in seguito, si uniranno a formare polimeri poco ramificati: ciò porta ad ottenere, dopo opportuno trattamento termico, strutture dalla ridotta porosità [Br88].

Al contrario, in catalisi basica, il meccanismo predominante è la condensazione e il risultato finale è costituito da film molto porosi.

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3.1.3 Densificazione del gel

Una volta conclusa la transizione sol-gel sono necessarie due altre fasi prima di ottenere il prodotto finale da depositare [Pi92].

a) Invecchiamento: questa fase prevede due step di cui, il primo consiste nella espulsione delle molecole d’acqua presenti all’interno dei pori del reticolo (gelificazione – Figura 3.2c) e corrisponde ad un aumento del volume del composto;

in seguito, il gel vede diminuire il proprio volume a causa dell’evaporazione dei solventi (essiccazione – Figura 3.2d)

b) Trattamento termico: il trattamento termico, che ultima la fase di densificazione, determina in maniera sostanziale le caratteristiche del materiale e dipende da numerosi parametri sia intrinseci (porosità, concentrazione degli idrossidi e dei gruppi organici residui) che estrinseci (temperatura e caratteristiche dell’ambiente circostante, velocità e tempo di essiccamento).

Un riscaldamento rapido e con elevati gradienti di temperatura induce la formazione di aerogel (materiali con porosità attorno a 98% del volume totale); al contrario, con rampe di calore lente e moderate, a pressione atmosferica, si induce la formazione di xerogel.

Il metodo sol-gel, dunque, permette di ottenere materiali di elevata purezza (in funzione della purezza di precursori e solventi) e con composizione meglio definita rispetto ad altre tecniche; dà, inoltre, la possibilità di fabbricare materiali con forme che vanno dalle polveri, alle fibre, ai film di elevata omogeneità.

a b c d

precursori polimeri gel tempo

Fig. 3.2 – Fasi del processo sol-gel [Pi92].

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Le controindicazioni sono legate essenzialmente ai costi dei materiali di elevata purezza, alle dimensioni massime ottenibili per materiali massivi e alla necessità di trattamenti termici ad alte temperature per eliminare i gruppi idrossidi residui, il che diminuisce la qualità del materiale.

3.2 Preparazione e deposizione del film di SiO

2

-TiO

2

Il primo passo, nella preparazione del composto alla base del sol, consiste in una attenta analisi dei differenti componenti e dei relativi precursori.

Per ottenere una soluzione omogenea, infatti, è necessario che l’evoluzione della reazione avvenga con lo stesso andamento per tutti i precursori: nel caso del composto SiO2-TiO2, il problema maggiore è legato al fatto che gli alcossidi di titanio, estremamente sensibili all’umidità, hanno velocità di idrolisi e condensazione elevate.

Per evitare tale problema, in genere, i differenti precursori vengono introdotti, pre-idrolizzati, in fasi diverse della preparativa (Figura 3.6) [Za00].

Gels Colloidali Gels Polimerici

Punto di Gelificazione

Precursori

Chimica Soluzione

Macromolecole Polimeriche

Densificazione

Ceramiche

Polveri Fibre Monoliti

Sintesi

Rivestimenti Sol

Fig. 3.3 – Schema del processo sol-gel [Pi92].

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1. Prima viene miscelato il precursore del silicio, tetraetilortosilicato (TEOS:

pm=208.008 e densità=0.934 g/cm3), con etanolo (alcol etilico: EtOH = CH3CH2OH), e il tutto viene versato in soluzione a base di acido cloridrico (HCl), usato come catalizzatore (Paragrafo 3.1.2 punto a); solo in seguito, si aggiunge acqua deionizzata, per idrolizzare il TEOS.

La soluzione iniziale può, dunque, essere scritta come segue:

TEOS + EtOH + HCl + H2O (3.4) I rapporti molari tra TEOS, HCL e H2O sono pari a 1 : 0.01 : 2.

Per ottenere una soluzione di 20 cc con 0.788 moli/l di TEOS, sono stai utilizzati 3.280 g = 3.512 cc di TEOS, 0.00482 cc = 4.82 μl di HCl (la quantità di HCl è stata scelta affinché si abbia nHCl nTEOS =0.01), 0.568 cc di H2O (affinché si abbia

2O TEOS =2

H n

n nH2 ) e, quindi, 15.91 cc di EtOH [ZaFe02].

Si ottiene, così, dopo agitazione termica, per 1h a 65 °C, il sol di TEOS pre-idrolizzato.

2. Parallelamente, viene preparato il sol di titanio: si aggiunge al precursore del titanio, titanio isopropossido (TiPOT), l’etanolo e, in più, l’acetilacetone o acido acetico (Acach = CH3-CH2); quest’ultimo per rallentare l’idrolisi.

TiPOT + Acach + HCl + H2O (3.5) La soluzione di 20 cc di TiPOT a 0.448 moli/l (affinché si abbia una concentrazione di 100 g/l) è stata ottenuta a partire da 0.632 cc = 634 μl di TiPOT e da 19.36 cc di EtOH.

3. La miscela dei due sol viene, poi, lasciata in agitazione.

4. Al sol silica-titania viene, poi, aggiunto Er(NO3):5 H2O (0.063310285 g di Er(NO3) e il tutto è stato lasciato in agitazione per 16h a temperatura ambiente; per facilitare la dissoluzione e prevenire cluster si ricorre a bagni in ultrasuoni.

Il risultato finale consiste in una soluzione di 88SiO2-12TiO2:0.01Er3+ (i numeri anteposti al simbolo del composto ne indicano la percentuale molare, mol %).

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3.2.1 Deposizione del film: dip-coating

Il film è depositato su un substrato di silice pura (Suprasil 1) tramite la tecnica di dip-coating.

Il dip-coating consiste nell’immersione, a velocità costante, del substrato dentro la soluzione, come schematizzato in Figura 3.4; tale processo può essere scomposto in cinque stadi: immersione, ritrazione, deposito, evaporazione e drenaggio.

Le condizioni per l’ottenimento di un buon deposito, passano per una perfetta definizione di parametri quali viscosità, densità e velocità di tiraggio; questi risultano legati, in prima approssimazione, allo spessore del deposito dalla relazione [BrHu94]:

Fig. 3.5 – Apparato per il dip-coating.

immersione

drenaggio ritrazione

evaporazione

deposizione

Fig. 3.4 – Schema delle fasi del dip-coating.

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densità

tiraggio di

velocità viscosità

depositato

spessore ∝ × (3.6)

Generalmente, lo spessore di deposito per dip è di ~ 50 nm.

Prima di ripetere l’operazione, il campione è stato sottoposto a trattamento termico in aria alla temperatura di 900 °C per 30 secondi.

Al termine, la guida d’onda è stata sottoposta ad un ulteriore trattamento termico a 900 °C per 1 min, con una rate di riscaldamento, da 600 a 900 °C, di 20 °C/min.

TEOS + EtOH + HCL + H2O TiPOT + Acach + EtOH + H2O

Agitazione termica

Soluzione di TEOS pre-idrolizzata

Agitazione termica

Soluzione di SiO2 - TiO2

Dip-coating Trattamento termico Fig. 3.6 – Schema riassuntivo della preparazione di guide d’onda a base di silica-titania tramite il metodo sol-gel.

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3.3 Vetri Calcogenuri

A differenza dello ione erbio, per il praseodimio non è possibile utilizzare ospiti a base di SiO2: come osservato nel capitolo precedente, infatti, l’energia fononica della silica risulta essere tale da rendere i decadimenti non radiativi dal livello 1G4, verso il livello

3F4, molto più probabili di quelli radiativi, verso il livello 3H5. Con matrici a base di SiO2 sarebbe, dunque, necessaria un’elevata potenza di pompaggio, il che ridurrebbe enormemente l’efficienza quantica della guida (2.14): l’efficienza di vetri ossidi drogati con praseodimio, a causa del decadimento non radiativo, è infatti molto bassa (4%).

Con alogenuri si riesce a diminuire il decadimento non radiativo, ma l’efficienza rimane ridotta [WeMa95].

Nella ricerca di materiali idonei ad ospitare drogaggi anche elevati di Pr3+, un gruppo di composti apparso indicato per tale scopo è quello a base di calcogeni (in particolare Zolfo, Selenio e Tellurio). Tali atomi sono caratterizzati da un’elevata pressione di vapore a temperature elevate e formano prettamente legami covalenti, in cui l’introduzione di elementi metallici induce la creazione di sistemi atomici poliedrici centrati sugli atomi metallici.

I calcogenuri rappresentano la categoria di materiali più promettente perché sono contraddistinti da una bassa energia fononica (il che implica un elevato tempo di vita medio dei livelli metastabili, τ ~ 0.5 ms), da un alto indice di rifrazione in corrispondenza della lunghezza d’onda di interesse, 1.3 μm, e da una lunghezza d’onda di cut-off (limite dello spettro di trasmettività) nel lontano infrarosso (FIR) maggiore di quella dei vetri fluoridrici; in genere il range di trasmissione ad essi relativo va da 0.5 a 11 μm (0.8÷7 μm per lo zolfo; 1÷10 μm per il selenio; 2÷12 μm per il tellurio [SaAg99]).

Il problema fondamentale da risolvere è quello della solubilità degli ioni di terre rare all’interno della matrice. Per questo motivo viene utilizzato il Gallio, sotto forma di Solfuro di Gallio, Ga2S3: ciò permette anche di prevenire la formazione di cluster nel risultato finale della deposizione. Il raggiungimento di tale scopo può essere maggiormente garantito se al composto binario vengono affiancati altri elementi quali il Germanio: nel nostro caso, sotto forma di Solfuro di Germanio, GeS2. L’aggiunta del germanio, inoltre, favorisce la formazione del vetro e, visto che la sua elettronegatività è comparabile con quella dei calcogenuri, la natura del legame resta comunque covalente.

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Ai materiali che devono fungere da ospiti per le terre rare, è richiesta, assieme alla stabilità termica, anche una elevata efficienza di trasmissione; per ottenere ciò è necessario l’utilizzo di altri elementi quali gli alogeni (più precisamente Cloro, Bromo o Iodio). In tal caso è lecito parlare di composti calcoalogenuri. L’inserimento di questi ultimi porta, inoltre, ad uno shift della lunghezza di cut-off nel FIR sino a 11.2 μm (rispetto agli 8 μm del vetro con semplice composizione binaria) e con spostamenti nel visibile oltre i 550 nm [Ri99]: si ottiene, dunque, un complessivo red-shift della finestra di trasmissione.

In particolare nella matrice è presente dello Ioduro di Cesio, CsI, e ciò induce anche un aumento nella densità del vetro, grazie alla presenza di ioni pesanti quali, appunto, iodio e cesio.

L’introduzione dello ioduro di cesio lascia, comunque, invariata la natura covalente del legame e anche l’energia di attivazione per la conduzione elettronica rimane tipicamente assestata intorno a valori di 1÷2 eV: quest’ultimo fatto indica caratteristiche da semiconduttori per i vetri calcogenuri [Se95].

Il problema fondamentale risulta, una volta individuato il set di materiali adeguati, quello della determinazione delle percentuali di ogni composto all’interno della matrice:

un accurato studio è necessario in quanto, al variare delle proporzioni, varia l’effetto della matrice sugli ioni di terre rare e, di conseguenza, mutano le prestazioni della guida. Si è verificato [Ri99], ad esempio, che tenendo fissa la concentrazione di Ge e aumentando quella di CsI si ottiene una maggiore solubilità di Pr3+ all’interno della matrice; di contro, a parità di concentrazione di Ga2S3, all’aumentare della concentrazione di CsI si ha una diminuzione della solubilità di Pr3+. Variando la concentrazione di Ga2S3 e di CsI si va, dunque, ad agire sia sull’emissione della guida (il picco di luminescenza può oscillare, pur rimanendo intorno a 1.3 μm) sia sul tempo di vita medio del livello emettitore (τTOT, (2.10), risulta essere inversamente proporzionale alle concentrazione di questi due composti).

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3.4 Pulsed laser deposition

Il metodo utilizzato per la deposizione della strato guidante consiste nell’ablazione, tramite brevi impulsi laser di elevata potenza, di un target costituito dal vetro calcogenuro già drogato col praseodimio.

La composizione del bulk è data da: 85GeS2-6Ga2S3-9CsI (i numeri anteposti al simbolo del composto indicano la percentuale molare (mol %) ad esso relativa) più 2000 ppm (parti per milione) di Pr2S3. La composizione del vetro e la relativa tecnica di sintesi sono state studiate e brevettate dal Professor Animesh Jha del Dipartimento di Materiali dell’Università di Leeds – Gran Bretagna.

L’interazione del laser, impulsato e altamente energetico, col target porta alla formazione, al di sopra di quest’ultimo, di un sistema composto da atomi, molecole, cluster e vapore, che in seguito interagisce, in maniera indipendente dalla sorgente, con il fascio laser. Sotto opportune condizioni, infatti, la materia ablata risulta assimilabile ad una struttura a sé stante che scambia energia col laser sino a ionizzarsi: si è, in questo caso, in regime di plasma. All’interno del plasma si hanno collisioni reattive e non reattive tra le specie ablate, fortemente influenzate sia dalla radiazione laser, che dalla stessa radiazione del plasma.

Nel protrarsi di tali interazioni, il plasma evolve al di sopra del target, prevalentemente in direzione perpendicolare alla superficie di questo, con una caratteristica distribuzione detta “a piuma” (Figura 3.7).

A seconda delle modalità in cui avviene il processo, la distribuzione angolare della sostanza ablata (indicando con ϑ l’angolo tra la perpendicolare alla superficie del target e la direzione di propagazione delle particelle all’interno del plasma), può seguire una delle seguenti leggi [Ba00]:

Fig. 3.7 – Immagine della piuma (blu) di plasma ottenuta durante la deposizione.

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• cosnϑ con n ≥ 10 Tale distribuzione è caratteristica di processi in cui intervengano elevate densità di potenza del laser e impulsi molto corti e porta ad un deposito la cui composizione è identica a quella del target. Si parla, in tal caso, di ablazione congruente.

• cosϑ

Un profilo del genere si ha nel caso in cui il trasferimento di energia, dal laser al target, avvenga in condizioni di quasi-equilibrio e le concentrazioni relative, degli elementi che abbandonano la superficie, differiscono considerevolmente da quelle presenti nel target. Questa situazione viene definita ablazione incongruente.

Nel nostro caso occorrerà scegliere i parametri del processo in modo che si abbia ablazione congruente, in quanto è necessario che le concentrazioni delle singole specie nel target e nel deposito siano le stesse.

Ad una data distanza dal target il plasma inizierà a raffreddarsi e, incontrando un substrato (posto in asse col target), tenderà a condensare su di esso, creando così la deposizione.

Le grandezze fondamentali che occorre controllare durante il processo sono, dunque, la fluenza del laser (energia dell’impulso laser per unità di area: F = E/S, generalmente espressa in J/cm2), la durata dell’impulso, la distanza e la mutua posizione di target e substrato e la pressione della camera di reazione.

Com’è ovvio, anche la scelta del substrato è di fondamentale importanza nella determinazione delle proprietà della guida. Si è ricorsi a substrati di Niobato di Litio, LiNbO3, rispetto all’uso più comune di substrati di Silica, SiO2, soprattutto in relazione al suo indice di rifrazione.

Come si può notare dalla tabella 3.1, infatti, il salto d’indice tra substrato e film, nel caso della silica sarebbe troppo elevato (prossimo all’unità) ed è, quindi, necessario utilizzare materiali, come il niobato di litio, tali da ridurre il gap tra film e substrato.

Se da un lato, infatti, lo strato guidante deve avere un indice di rifrazione maggiore del substrato, affinché si possa avere confinamento di modi all’interno della guida (1.17), dall’altro il divario tra i due dev’essere non troppo grande, per evitare che le code evanescenti dei modi di guida risentano, in maniera elevata, di eventuali irregolarità dell’interfaccia film-substrato.

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Va, però, rilevato che il substrato in questione non è amorfo ma cristallino e delle sue proprietà di birifrangenza sarà necessario tener conto nella caratterizzazione della guida d’onda. I substrati di niobato di litio, inoltre, data l’omogeneità superficiale, risultano un valido supporto nella ricerca di deposizioni il più possibile regolari.

In conclusione, la PLD risulta essere una tecnica efficace nella deposizione di film sottili in quanto:

rende possibile la deposizione di film anche nel caso di stechiometrie complesse;

i parametri da cui dipende il processo sono del tutto disaccoppiati gli uni dagli altri e, quindi, si hanno a disposizione più gradi di libertà su cui agire;

il fascio non introduce contaminanti;

la deposizione non richiede temperature elevate né per il target, né per il substrato (a differenza di altre tecniche tradizionali che operano a temperature anche superiori a 1000 °C);

è caratterizzata da una diffusione ridotta di sostanze contaminanti;

permette di operare con bassi costi di produzione.

λ = 632.8 nm λ = 543.5 nm

85GeS2-6Ga2S3-9CsI-

0.2Pr2S3 (1) n = 2.5437267 ± 1 × 10-7 n = 2.6676969 ± 1 × 10-7 SiO2 [Ma65] n = 1.46025 ± 3 × 10-5 n = 1.45708 ± 3 × 10-5

no = 2.28843 ± 3 × 10-5 no = 2.31969 ± 3 × 10-5 LiNbO3 [HoWa66]

ne = 2.20193 ± 3 × 10-5 ne = 2.22847 ± 3 × 10-5 no = 2.29618 ± 3 × 10-5 no = 2.32924 ± 3 × 10-5 LiNbO3 [EdLa84]

ne = 2.2241 ± 3 × 10-5 no = 2.25663 ± 3 × 10-5 Tab. 3.1 - Indici di rifrazione per il vetro calcogenuro drogato con Pr3+, per SiO2 e per LiNbO3 a 632.8 nm e 543.5 nm.

(1) La misura dell’indice di rifrazione del vetro calcogenuro è stata da me effettuata, presso il Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Lecce, tramite il Film Thickness Probe 500 della Sentech Instruments GmbH (vedi Appendice alla fine del capitolo).

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Di contro, numerosi accorgimenti vanno adottati per evitare, o quantomeno ridurre, la presenza di particolati e di disomogeneità sul film, senza trascurare un’accurata pulizia del substrato e la presenza di un vuoto preliminare non inferiore a 10-5 Pa.

3.4.1 Apparato sperimentale

L’apparato sperimentale utilizzato nella deposizione del calcogenuro drogato con Pr3+

(Figura 3.8 e Figura 3.9) è composto da:

1. un laser a eccimeri multigas

Si è utilizzato un laser modello LPX 305i della LAMBDA PHYSIK che, a seconda delle miscele utilizzate può emettere a λ = 248 nm (KrF), a λ = 308 nm (XeCl), a λ = 351 nm (XeF) o a λ = 193 nm (ArF). Il laser opera con impulsi di ~ 10 ns, frequenze di ripetizione che vanno da 1 a 50 Hz ed energie dell’ordine di 102 mJ.

2. un sistema di trasporto del fascio laser, composto da lenti e maschere, atto a focalizzare il fascio sul target (con un’inclinazione di ~ 45° tra fascio e superficie del target).

3. una camera di reazione ad ultra-alto vuoto (in acciaio inossidabile)

La camera utilizzata ha forma cilindrica (diametro: 50 cm; altezza: 49 cm) e possiede un opportuno numero di flange a guarnizione metallica per l’inserimento del portatarget e del portasubstrato, dei vacuometri, di un otturatore (che ha la funzione di riparare il substrato durante la fase di pulizia del target –Paragrafo 3.4.2) e di eventuali strumenti di monitoraggio del processo quali, ad esempio, uno spettrometro di massa.

La camera possiede, inoltre, tre valvole di cui una è collegata al sistema di pompe da vuoto, l’altra serve per il riflusso dell’aria e l’ultima è utilizzabile per l’ingresso di eventuali gas che debbano intervenire nella deposizione.

4. un sistema di pompe da vuoto

Comprende due pompe: una rotativa per il vuoto preliminare, sino a 2 Pa (modello ECODRY–L della Leybold con velocità massima pari a 48 m3/h) e una turbomolecolare, in grado di portare la pressione all’interno della camera al di sotto di 10-6 Pa (modello TURBOVAC 341 MTC della Leybold).

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5. un sistema di vacuometri

È composto da due misuratori: un vacuometro capacitivo per la misura di pressioni a partire da quella atmosferica sino a 10-1 Pa (modello DM 21 della Leybold) e uno a ionizzazione a catodo caldo (modello ITR 100 della Leybold) per pressioni inferiori a 10-1 Pa.

Fig. 3.8 – Apparato utilizzato per la PLD.

Laser a Eccimeri

Maschera Lente Computer

Camera da Vuoto Portasubstrato

Portatarget

Plasma

Otturatore

Sistema di Pompaggio

Fig. 3.9 - Schema dell’apparato sperimentale per la PLD.

Assorbitore

ϑ

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Una cura particolare va riposta nella scelta e nella disposizione di portatarget e portasubstrato all’interno della camera.

Durante l’ablazione, in condizioni di vuoto e nell’ipotesi in cui target e substrato siano in asse e data l’evoluzione del plasma, il profilo dello spessore depositato è dato da [Ba00]:

h

( )

α M2πρp l2

(

1 2tan2α

)

3/2 cosnα

2

∝ Γ

Γ +

= con n~3Γ2 (3.7) dove α è l’angolo di contatto tra la superficie del substrato e il deposito (Figura 3.10), Mp è la massa totale ablata,

X

= Z

Γ il rapporto di esposizione del substrato (Z è la lunghezza e 2X la larghezza media della piuma di plasma), ρ è la densità del film depositato e l è la distanza target-substrato.

Vista la (3.7), appare chiaro che la deposizione avviene in maniera non uniforme lungo la superficie, a meno di adeguati accorgimenti.

Risulta, infatti, necessario che il substrato non sia fisso, rispetto alla piuma di plasma, ma possa muoversi sul piano xy (piano contenente la superficie del substrato su cui avviene la deposizione), in modo da esporre una maggiore percentuale della sua area all’azione del plasma e, quindi, uniformare lo spessore del film depositato.

α

Fig. 3.10 – Profilo della deposizione.

(18)

Il portasubstrati utilizzato (Figura 3.11), in grado di ospitare un substrato di lunghezza massima pari a 60 mm, è infatti dotato di due motorini atti a garantire lo spazzolamento dell’intera superficie (tramite una combinazione di spostamenti orizzontali e verticali) ed è, inoltre, in grado di riscaldare il substrato sino ad una temperatura di 600°C; anche il riscaldamento, di fatto, favorisce una maggiore uniformità del deposito [Ba00]. Nel nostro caso, però, si è preferito evitare di riscaldare il substrato.

Oltre al substrato, anche il portatarget è dotato di movimentazione (Figura 3.12).

L’utilizzo di un movimentatore permette di ottenere un’ablazione più uniforme del target. Ciò rappresenta un doppio vantaggio: da un lato si evita di scavare il target e, quindi, di distruggerlo durante l’ablazione; dall’altro un’ablazione più uniforme riduce la presenza di particolati sul film depositato.

Inoltre, il portatarget usato è in grado di alloggiare tre differenti target (anche se, in questo caso, ne è stato utilizzato solo uno).

Il target è dotato sia di un moto rotazione, per un arco limitato, attorno all’asse del portatarget (moto di spazzolamento), che di un moto rotazione, a 360°, rispetto ad un asse perpendicolare alla propria superficie (moto di spin). L’ampiezza dello spazzolamento del target e il suo spin sono impostati e governati tramite computer, così come, del resto, avviene per il moto del substrato.

Fig. 3.12 – a) Immagine del portatarget utilizzato.

b) Rappresentazione del moto del target.

(a) (b)

moto di spin moto di spazzolamento

(19)

3.4.2 Deposizione del film

Il vero e proprio processo di deposizione è preceduto da una serie di tappe preliminari, che vanno dall’allineamento della cavità laser, al controllo dell’uniformità e delle dimensioni del fascio, alla pulitura di target e substrato (tramite bagno con trielina, poi con acetone e, in seguito con alcol isopropilico, in una lavatrice ad ultrasuoni).

In seguito è necessario controllare le dimensioni del fascio (tramite la misura dello spot ottenuto su di un target di silicio), per poi ottenere una valutazione precisa della fluenza sul target. Prima dell’ingresso della camera e dopo avere superato un diaframma che taglia il fascio (salvandone solo la parte centrale), si sistema una lente di quarzo (materiale quasi trasparente alla radiazione UV), con focale di 35 cm, in modo da avere una buona focalizzazione sul target.

Il laser utilizzato per la deposizione emette a 248 nm (KrF) con uno spot di 1.9 mm × 1.2 mm, pari, quindi, ad un’area di 2.28 mm2; l’energia del fascio (misurata

dopo aver inserito lungo il cammino del fascio un assorbitore, per ridurne l’entità) è risultata essere di 55 ± 4 mJ. Dunque, la fluenza del laser è pari a 2.4 J/cm2.

La distanza tra target e substrato è stata fissata a 60 mm.

Dopo aver raggiunto una pressione all’interno della camera di ~ 2 × 10-5 Pa si è proceduto ad una serie, preliminare, di 1000 colpi, per ripulire la superficie del target da eventuali impurità (durante questa fase il substrato è protetto da un otturatore).

La deposizione del film è stata ottenuta tramite una serie di 32000 colpi con una frequenza di 10 Hz.

(20)

Appendice: Film Thickness Probe

La misura da me realizzata dell’indice di rifrazione del vetro calcogenuro 85GeS2-6Ga2S3-9CsI-0.2Pr2S3 è stata ottenuta tramite l’elaborazione di misure di riflettività ricavate con l’apparato FTP 500 della Sentech.

La riflettività della guida, in funzione della lunghezza d’onda, è definita dal rapporto tra l’intensità del raggio riflesso e l’intensità del raggio incidente [Ro71]:

( )

λ πλ π

λ n h

r r r r

h r n

r r r R

f fs

cf fs cf

f fs

cf fs cf

cos4 1

cos4

2 2

2 2

+ +

+

= + (3.8)

I coefficienti di riflessione all’interfaccia aria-film e all’interfaccia film-substrato, rcf e rfs, rispettivamente, sono dati da:

1 1 +

= −

f f

cf n

r n

1 1 +

= −

s fs s

n

r n (3.9)

Il principio di funzionamento consiste nel raccogliere la luce riflessa e focalizzarla, tramite una lente, all’interno di un microscopio; da qui, la radiazione giunge in uno spettrometro che ne separa le differenti componenti cromatiche. Lo spettrometro è in grado di risolvere, in 200 canali, lunghezze d’onda comprese tra 520 nm e 918 nm.

L’elaborazione dei dati tramite il software Simulation permette, fittando le misure della riflettività del campione, di legare l’intensità della radiazione riflessa allo spessore del campione e ai valori di n, l’indice di rifrazione, e k, il coefficiente di estinzione.

Questi ultimi, per la maggior parte dei materiali dielettrici sono parametrizzabili tramite funzioni polinomiali; il metodo, utilizzato in questo caso, si rifà alla formula di Cauchy:

α α'

raggi riflessi raggio incidente

raggi rifratti

aria – nc = 1 film – nf substrato – ns

Fig. 3.13 - Schema di riflessione multipla da un campione ari/film/substrato.

(21)

( )

( )





+ +

=

+ +

=

4 2 2 1

1 0 0

4 2 2 1

1 0 0

λ λ λ

λ λ λ

C k C k

k k

C n C n

n n

(3.10)

dove C0 = 102 e C1 = 107 e λ è espressa in nm.

Prima di effettuare la misura della riflettività è necessario modellizzare la struttura del campione, tramite i coefficienti n0, n1, n2, k0, k1, k2 relativi al substrato e degli arbitrari valori per lo spessore del film e per i suoi coefficienti di Cauchy.

Dal confronto tra lo spettro misurato e quello calcolato a partire dalle (3.10), si ottengono le informazioni necessarie alla definizione delle caratteristiche incognite del film in esame.

Una volta noti i coefficienti del film, graficando la prima delle (3.10) si può ottenere il valore dell’indice di rifrazione al variare della lunghezza d’onda.

Coefficienti di Cauchy NbLiO3 85GeS2-6Ga2S3-9CsI-0.2Pr2S3

n0 2.182 2.349

n1 686.0 344

n2 -1008.0 1748

k0 0 0

k1 0 1

k2 0 -7

Tab. 3.2 – Coefficienti di Cauchy per il substrato e lo strato guidante della guida di vetro calcogenuro drogato con praseodimio

4 0 0 4 5 0 5 0 0 5 5 0 6 0 0 6 5 0 7 0 0 7 5 0 8 0 0 8 5 0 9 0 0 9 5 0 1 0 0 0 2 ,3

2 ,4 2 ,5 2 ,6 2 ,7 2 ,8 2 ,9 3 ,0 3 ,1 3 ,2 3 ,3

n (6 3 2 .8 n m )= 2 .5 4 3 7 2 6 7 n (5 4 3 .5 n m )= 2 .6 6 7 6 9 6 9

n(λ)

lu n g h e z z a d 'o n d a (n m )

Fig. 3.14 - Indice di rifrazione del film 85GeS2-6Ga2S3-9CsI-0.2Pr2S3.

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