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STOP ALLE CHIACCHIERE, CI VOGLIONO I FATTI. di Matteo Marino

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Academic year: 2022

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1 EDITORIALE NUMERO 23 GENNAIO/

FEBBRAIO 2014 ANNO II

STOP ALLE CHIACCHIERE, CI VOGLIONO I FATTI.

di Matteo Marino

GIOCARE PER PERDERE

di Serenella Bettin

IL CROLLO DEI GIGANTI, E DEL MONDO

di Luca Morosin OSSESSIONI

TURISMO

ECONOMIA

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C arissimi lettori,

l’associazione “IlCantiere” è nata per mettere in rete esperienze in attività sociali e politiche, per coinvolgere, attraverso l’incontro e l’interazione di diverse generazioni, i cittadini in attività culturali e formative.

Attraverso il nostro Magazine, nato oltre due anni e mezzo fa, ogni mese cerchiamo di approfondire i temi strettamente locali, senza tralasciare anche quelli di carattere regionale e nazionale.

Tutto questo è possibile grazie ad una squadra di ragazzi, che ogni mese condividono con noi le loro riflessioni e loro conoscenze.

È così che attraverso interviste, approfondimenti ed articoli cerchiamo di affrontare i tanti temi che riguardano noi cittadini in prima persona.

Buona lettura, Isabella Cimino (Direttore resposabile)

DIRETTORE RESPONSABILE Isabella Cimino

CAPOREDATTORE Matteo Marino

COLLABORATORI Serenella Bettin

Enrico Bianco Luca Cadamuro

Luca Morosin

ART DIRECTOR Alberto Casagrande

IL NOSTRO MAGAZINE

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TURISMO

“Stop alle chiacchere, ci vogliono i fatti”

di Matteo Marino

ECONOMIA

” Il crollo dei giganti, e del mondo”

di Luca Morosin

OSSESSIONI

“Giocare per perdere”

di Serenella Bettin

CULTURA

“Cultura metropolitana:

Venezia si apre al territorio”

di Enrico Bianco

TASSE

“Tasse, tasse, tasse”

di Luca Cadamuro

EDITORIALE

“Libertà di parola o libertà di insulto?”

di Isabella Cimino

5

6

7

8

10

11

INDICE

Chiusura dei lavori

13/02/2014

(4)

2 ANNI

ANCORA NESSUNA

RISPOSTA.

(5)

EDITORIALE 5

I

recenti fatti di cronaca che han- no visto importanti esponenti delle istituzioni oggetto di offese via web, hanno fatto riaperto il grande dibat- tito su dove inizi la libertà di parola, di critica ed inizi quella di insulto.

Grazie alle nuove comunità virtua- li, in pochi anni sono aumentate esponenzialmente le opportunità di

dialogo e di incontri, prima quasi im- pensabili, tra persone che non si co- noscono e che mai avrebbero potuto farlo. Al tempo stesso, questa ecce- zionale opportunità ha visto nascere un incremento di quello che viene definito come hate speech, cioè un tipo di linguaggio che ha come unica funzione quella di incitare all’odio e all’intolleranza verso una certa cate- goria o un gruppo di persone.

Non serve fare grandi ricerche. Ba- sta andare a vedere una qualsiasi ba- checa di Facebook, account di Twit- ter oppure un video su YouTube, per accorgersi, spesso con stupore, dell’incredibile numero di persone che, nascondendosi spesso dietro l’anonimato, si lasciano a commenti violenti, feroci e volgari, il più delle volte senza un vero motivo.

Ricorderete il caso di Caterina Simo- nen, la giovane studentessa di vete- rinaria che con un video postato su internet col quale difendeva le ragio- ni su una corretta sperimentazione

sugli animali (cui lei, a causa delle gravissime malattie cui è affetta, deve molti anni di vita). Non l’avesse mai fatto. Subito le sono arrivati miglia- ia di commenti pieni di insulti, quasi tutti di questo tenore: sei tu a dover morire e non quei poveri animali.

L’hate speech colpisce indiscrimi- natamente persone famose e non

(forse l’unico aspetto democratico in questa vicenda, ma non certo ras- sicurante!). Si passa indistintamente dalle offese tra compagne di classe, verso il proprio datore di lavoro o collega, dal consigliere co-

munale sino al Presidente della Repubblica.

Significativo è stato il re- cente ricovero per emor- ragia cerebrale di Pierluigi Bersani, in seguito al qua- le furono innumerevoli le cariche di insulti che gli piovettero addosso: dal

“spero che tu muoia” al

“finalmente!”.

Perché utilizzare uno spa- zio che dovrebbe essere di massima libertà così malamente? Veramente sentiamo la necessità di dover offendere chiun- que? Non riusciamo più

a formulare una frase, anche critica, senza dover necessariamente scade-

re nella volgarità? Pensiamo davvero che la rete sia uno spazio “altro” ri- spetto alla realtà di tutti i giorni?

Perché, al di là della maleducazione e imbecillità sottostante a commenti del tenore di quelli citati, vi è anche un altro aspetto che mi stupisce:

spesso coloro che scrivono frasi del genere, nella vita vera sono persone per bene, educate, che non si lascia- no andare a commenti fuori luogo e, se dovesse capitare, mai di tale tenore. O almeno paiono tali. Qua- si come se la rete trasformasse tutti noi da miti Dott. Jakyll in rancorosi Mr. Hide, permettendo di esprimer- ci in un modo che altrimenti non faremmo mai.

Il fenomeno non è nato recentemen- te. Celebri sono stati i casi nei quali Radio Radicale mandò in onda, nel 1986 e poi nel 1993, i messaggi ri- cevuti nella sua segreteria telefonica, trasmettendo una serie di commen-

ti livorosi e violenti. Al posto di utilizzare uno spazio di libertà per un discorso costruttivo e propositivo, si preferì sfo- gare i più bassi istinti, cre- dendo di non venire mai scoperti.

Proprio perché questo spazio di libertà non vie- ne gestito dai suoi stessi utilizzatori, non resta che attendere un intervento chiaro e certo del legisla- tore, che finalmente pos- sa mettere fine, o limitare significativamente, questi fenomeni. Nel frattempo, l’unica regola cui appel- larsi sembra essere sempre una sola, antica ma efficace: il buon senso.

LIBERTÀ DI PAROLA O LIBERTÀ DI INSULTO?

Dove inizia la libertà di parola e dove inizia, invece, l’insulto gratuito? Con il boom dei social network il confine tra le due aree di rispettiva pertinenza è sempre più incerto. Che fare?

di Isabella Cimino

Veramente sentiamo la necessità di dover offendere chiunque?

Non riusciamo più a formulare una frase, anche critica, senza dover

necessariamente scadere nella volgarità? Pensiamo

davvero che la rete sia uno spazio

“altro” rispetto alla realtà di tutti i

giorni?

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TURISMO 6

L

o scorso 28 Dicembre, sulla pagi- ne della stampa locale, abbiamo avuto modo di leggere i dati sulla pressione turistica a Venezia scaturiti da una ri- cerca del centro studi dell’Ordine dei Commercialisti.

Dalle tabelle e le statistiche propo- ste, si evince che sono circa 26 mila i turisti per ogni kilometro quadrato della città che, scendendo di più nei dettagli, significano circa 353 turisti all’anno per ogni residente del Cen- tro Storico, dei quali 247 sono turisti di giornata.

I numeri sopraesposti hanno chiara- mente scaturito in città molteplici e diverse voci: c’è chi paragona i dati a delle moderne invasioni barbariche e c’è chi sostiene la tesi secondo la quale i flussi turistici devono essere necessariamente gestiti per trarne i maggiori vantaggi.

Considerato che il turismo rappre- senta per Venezia la prima industria e fonte di lavoro, come già esposto nel- le colonne di questo magazine dopo il primo incontro sul turisto organiz- zato dalla nostra associazione,una intelligente azione politica volta alla regolamentazione si rende sempre più necessaria.

Negli ultimi anni, sono sta- te moltissime le parole spe- se sulla questione turistica ma poche volte, anzi mai, si è passati ad una concreta azione che potesse miglio- rare la convivenza tra vene- ziani e turisti.

Oggigiorno le parole non bastano più, sopratutto se

consideriamo che siamo alla vigilia di uno dei più importanti eventi che po- trebbe rappresentare un definitivo ri- lancio per il nostro paese: Expo 2015.

Grazie ad accordi istituzionali, Vene- zia avrà un importante ruolo durante i mesi dell’esposizione internazionale ospitando una serie di fiere, esposi- zioni e convegni dedicate al mondo

dell’acqua (Aquae 2015) e si candida ad essere una delle città più visitate durante tutto il 2015.

Secondo alcune stime reperibili nel web, ad oggi almeno il 40% dei vi- sitatori di Expo 2015 ha dichiarato l’intenzione di visitare anche Venezia.

Se consideriamo poi che nel 2015 vi sarà anche la Biennale d’Ar- te e altri importanti eventi di internazionale richiamo, la pressione turistica sarà superiore rispetto ai dati esposti ad inizio articolo.

È in quest’ottica che si inse- risce la sfida che Venezia e i suoi amministratori devono sapere vincere affinchè da questa storica occasione si possa trarre il massimo benessere per la nostra società.

Va ribadita con forza, a parere di chi scrive, la contrarierà al cosidetto “nu-

mero chiuso” che è stato più volte proposto da diverse autorità, ultima- mente anche dall’Assessore Angela Vettese. Chiudere la città non giove- rebbe all’immagine di Venezia e anzi

ne indebolirebbe lo storico ruolo di città ospitale.

È necessario, invece, promuovere nuove forme di turismo che supera- no la concezione di turismo culturale e di svago e che possano sconfiggere definitavamente il turismo di massa che può nuocere alla vita cittadina se non ben regolamentato. Si apra- no quindi le porte della città a forme di turismo come quella di Business e quella Congressuale che concreta- mente possono portare alla città un valore aggiunto non indifferente sia a livello di immagine che a livello eco- nomico. Solo così, ospitando grandi eventi di richiamo internazionale, Ve- nezia può tornare a ricoprire il posto che le spetta nel panorama mondiale.

L’occasione dell’Expo di Milano sarà quindi un banco di prova fondamen- tale: perdere la sfida potrebbe vera- mente costarci caro.

STOP ALLE CHIACCHERE, CI VOGLIONO I FATTI.

Il prossimo anno Milano ospiterà l’Expo e Venezia avrà un ruolo fondamentale.

Milioni di turisti sono pronti a visitare il capoluogo lagunare: saremo pronti ad accoglierli?

di Matteo Marino

Secondo alcune stime, ad oggi il 40%

dei visitatori dell’Expo ha dichiarato l’intenzione di

visitare anche

Venezia.

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OSSESSIONI 7

3

50 mila slot machine che emet- tono luci suoni e rumori, 40 mila video lotterie che ingoiano pezzi di banconote viola e un fatturato da capogiro. Secondo l’AAMS, l’Am- ministrazione Autonoma dei Mo- nopoli di Stato, in Italia, la raccolta

del gioco d’azzardo è di quasi 80 miliardi di euro, circa il 5% del PIL nazionale dove il 56,3% proviene da slot machine e video-lotterie, il 12,7 % da Gratta e Vinci; l’8,5 % dal Lotto, e il rimanente da scom- messe, Superenalotto e Bingo. Un fenomeno che, complice una pub- blicità particolarmente invasiva, una imposta media sulle entrate di gioco inferiore all’attuale Iva e la liberaliz- zazione dei giochi d’azzardo onli- ne con il “Decreto di Ferragosto 2011”, sta crescendo sempre più.

Tutto bene quindi, fino a che non si sfocia in una vera e propria pa- tologia, dove fermarsi è impossibile e la corsa verso il basso è presso- ché inevitabile. Secondo una ricerca dell’ Istituto Privato Eurispes, circa

700.000 italiani sono dipendenti dal gioco d’azzardo e quando questo diventa un’ ossessione, come per qualsiasi vizio o dipendenza portata all’eccesso o al difetto, è indispensa- bile sottoporsi ad una terapia anche se a volte basterebbe un maggior

grado di volontà. L’azzardo, dall’a- rabo az-zahr, che significa dado, è un campo totalmente aleatorio dove perdere o vincere è facile come una partita a carte, dipende da dove ti trovi, chi hai di

fronte e dal grado di for- tuna che hai. Nonostante il rischio però i frequen- tatori dei casinò, anche virtuali, sono in conti- nuo aumento, la spesa di un giocatore d’azzardo è infatti notevolmente au- mentata, soprattutto dopo che la varietà dei giochi

legali è stata ampliata, pena per chiunque tenga o agevoli un gioco d’azzardo al di fuori dei casi con- sentiti dalla legge, l’arresto da tre

mesi a un anno e un’ammenda non inferiore ad euro 260. Un deterren- te però che a quanto pare non basta a giudicare da coloro che si siedono a una macchinetta semplicemente

“per provare”. Un gettone, poi un altro e un altro ancora e si arriva a quel meccanismo dove il desiderio di vincere è più alto della paura di perdere. Impossibile smettere, ogni volta speri, o credi, sia la volta buo- na, la mossa vincente e invece a vol- te ci si indebita fin sopra i capelli. La storia non manca infatti di persone vittime di gioco con le motivazioni più disparate: assenza di soldi, di lavoro, solitudine, voglia di evadere, voglia di provare qualcosa di nuovo, anzi a volte proprio di motivazio- ni non ce ne sono. Si comincia per caso e si lascia poi che sia il caso a regolare tutto. Fosco Maraini, foto- grafo e scrittore italiano, scomparso nel 2004, disse, durante uno dei suoi viaggi in Giappione, a proposito del pachinnko: “E’ difficile capire il fa- scino del pachinko. Non c’è dubbio che esso costituisca una fuga dalla realtà, una droga”. Il pachinko noto gioco d’azzardo giapponese, simi-

le al nostro flipper ma in posizione verticale, viene largamente praticato nei paesi nipponici e si narra addirittura che nei casinò, per permettere ai giocatori di restarsene comodamente seduti durante le innume- revoli partite, il personale passa con bibite fresche e panini. Un gioco quindi a portata di mano, dove farsi prende- re la mano diventa sempre più fa- cile, pur sapendo che quella mano non sempre sarà vincente.

GIOCARE PER PERDERE

Sempre più persone sono vittime del gioco d’azzardo. Un gioco dove vincere sembra facile, ma dove, dietro le luci e le musiche delle slot machine, si insidia un mostro.

di Serenella Bettin

Un gettone, poi un altro e un

altro ancora e si arriva a quel meccanismo dove

il desiderio di vincere è più alto

della paura di

perdere.

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ECONOMIA 8

“I

o i soldi li tenevo dentro al materasso!” Raccontava a tavola con energia il parente più anzia- no ai nipoti.

Oggi i nipoti decidono ed in- direttamente sono costretti a depositare i propri risparmi in grandi istituti di credito che noi definiamo genericamente ban- che, cercando di risparmiare il più possibile facendo purtroppo i conti con la pesante crisi.

La parola banca alla maggior par- te dei cittadini genera i peggiori malumori e, certamente, questo istituto è stato più volte identi- ficato come il responsabile delle peggiori catastrofi economiche e finanziarie che hanno soffocato gli stati.

Un esempio di tutto ciò lo ri- scontriamo andando indietro nel tempo, negli Usa con

la famosa crisi dei mu- tui sub prime del 2007 che tutti noi certo co- nosciamo, portando ad una depressione economica fortissima sia negli Stati Uniti e successivamente nella realtà economico eu- ropea.

Quello che però voglio sottolineare e ricorda- re a tutti è il fatto che, le banche hanno certa- mente agito in modo

poco equo senza ponderare i rischi delle proprie azioni finan- ziarie, ma sono pedine di una

scacchiera che viene regolamen- tata da realtà esterne che possia-

mo indentificare nelle istituzioni pubbliche.

Arrivo subito alla domanda fon- damentale che vorrei porre a tutti i lettori di questo mensile. Caro let- tore Lei, se nel suo piccolo paese aves- se a disposizione la famosa “cassa peota”, prendiamo questa come esem- pio unico a dispo- sizione, soprattut- to per la finalità del soggetto in questo esempio, chi di Voi darebbe i propri risparmi nelle mani di un amico che gestisce questa associazione sapendo che quest’ultimo de-

cide, nell’attività della stessa, di indirizzare parte dei risparmi al

gioco d’azzardo, con la finalità di vincere e aumentare i capitali di cui la “cassa peota” né è la garan- te? Beh penso che la risposta sia ovvia e scontata, nessuno di voi sarebbe così azzardato ad intra- prendere una mossa rischiosa o potenzialmente rischiosa poiché il pericolo è presente e i risparmi sono i nostri. Il fatto interessante è che ognuno di noi oggi lo sta facendo.

Mi spiego meglio. Vi fu una legge introdotta dal governo Roosevelt del 1933 la famosa “Glass Stea- gall Act”; attraverso questa leg- ge il Presidente degli Stati Uniti operò una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e quella di investimento, evitando di esporre l’economia reale ai ri- schi di tracolli finanziari che non

IL CROLLO DEI GIGANTI, E DEL MONDO

Dai soldi tenuti sotto al materasso alle grandi crisi bancarie dei nostri tempi.

L’attitudine al risparmio e le sue relative forme hanno subito notevoli sconvolgimenti nel nuovo millennio. Cos’è cambiato in questi anni?

di Luca Morosin

La parola banca alla maggior

parte dei cittadini genera i peggiori

malumori e, certamente, questo istituto è stato più volte identificato come il responsabile

delle peggiori catastrofi economiche

e finanziarie che hanno soffocato

gli stati

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ra costantemente sugli occhiali, quando sappiamo che il proble- ma prima o poi ci franerà addos- so, facendo morire di conseguen- za tutti. Bisogna regolamentare

tutto ciò, partendo dalla ripresentazione di questa legge che già sancisce una netta separazione tra chi fa credito alle famiglie e alle imprese che rap- presentano l’econo- mia reale, percepibile, e sono il consumo, ot- tenendo un profitto a medio-lungo termine, e chi decide di rischia- re come succede spes- so oggi sapendo che lo fa con i risparmi di una vita dei correnti- sti, le famiglie, e dei piccoli arti- giani, forse con la sicurezza che, nel momento di sbagliare, un salvagente sarà sempre lanciato, proprio perché… troppo grandi, troppo forti, per fallire assieme al popolo.

è pagata adesso dalle famiglie, dalle imprese e dagli stati. Vedasi Mutui sub-prime o titoli tossici ed elementi finanziari poco rac- comandabili all’interno dei bilan- ci delle grandi ban-

che private. Vedasi grafico

E’ insensato offri- re ossigeno ad un morto che cammi- na. L’unica soluzio- ne è regolamentare una volta per tutte un sistema che sta muovendo delicata- mente i fili e gioca con i soldi dei ri- sparmiatori. Sem- brerebbe, visti gli ultimi accadimenti in ambito bancario

e finanziario, che la fa sempre da padrone il motto “to big to fail”,

“troppo grande per fallire”.

Rimaniamo dentro alle sabbie mobili, siamo praticamente sof- focati ma ci preoccupiamo della macchia di fango che si rigene- avevano nulla a che vedere con il

mercato del credito a famiglie ed imprese, i soggetti che produco- no ricchezza reale.

I gruppi che volevano giovare sul mercato, speculando per ottene- re profitti a brevissimo termine, dovevano farlo con i loro soldi, evitando così di poter utilizzare quelli dei risparmiatori, i qua- li hanno come prima richiesta quella di deposito dei propri ri- sparmi, di protezione e di garan- zia.

Questa legge fu poi abrogata da un altro presidente, 60 anni dopo, nel 1999, Bill Clinton decise di interrompere questa barriera di separazione netta dei due diversi soggetti/funzioni, permettendo la nascita di gruppi bancari che al loro interno potevano esercitare sia l’attività bancaria tradizio- nale, sia l’attività di investment banking e assicurativa. Questo è ciò che la banca in senso lato è.

L’abrogazione ha scoperchiato il vaso di Pandora, generando una frenetica attività finanziaria che

Rimaniamo dentro alle sabbie

mobili, siamo praticamente soffocati

ma ci preoccupiamo della macchia di fango che si rigenera

costantemente sugli occhiali, quando

sappiamo che il problema prima o

poi ci franerà addosso, facendo morire di conseguenza

tutti

ECONOMIA 9

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CULTURA 10

È

notizia di questi giorni che le at- tività del Teatro La Fenice si apriran- no sull’intero territorio della Provincia di Venezia, dando luogo al progetto

“Opera metropolitana”, che permet- terà ad un pubblico, attualmente fuori dei circuiti teatrali, di avvicinarsi alle at- tività della Fondazione.

Prosegue, quindi, la sinergia tra la Fon- dazione del Teatro e la Fondazione di Venezia, con risultati assolutamente positivi, quali lo sviluppo delle attività teatrali e l’esecuzione delle stesse an- che in luoghi meno canonici, e l’aper- tura in città di nuovi spazi ed attività (si pensi alla Casa dei Tre Oci) che ha caratterizzato l’attività della Fondazio- ne guidata da Segre.

“Opera metropolitana” mette in cir- colo nuove idee tra centro e periferia, portando in città che da sempre hanno ottimi riscontri di pubblico a teatro (si pensi all’esperienza della Fondazione di Santa Cecilia, a Portogruaro, o al note- vole fermento teatrale presente a San Donà, che attende il termine dei lavori per il suo nuovo teatro, progettato da Gonçalo Byrne) incontri che appro- fondiscono le linee guida delle attuali stagioni lirica e sinfonica della Fenice.

Saranno ventiquattro gli eventi, che coinvolgeranno anche Jesolo, Mirano e Chioggia, e che spazieranno dall’analisi della Traviata alla proiezione del Bar- biere di Siviglia, passando per i subli- mi concerti diretti dal Maestro Stefano Montanari; saranno eventi imperdibili, per la possibilità di avere un contatto

diretto con una realtà apprezzata a li- vello mondiale, ma talvolta poco cono- sciuta proprio in luoghi così prossimi.

L’evento si inserisce in una politica che negli ultimi anni ha permesso alla Fondazione del Teatro La Fenice di riportare il bilancio in attivo

pur in un contesto di con- tinui tagli dei finanziamenti centrali, aumentando il nu- mero delle esecuzioni, am- pliando la partecipazione del pubblico anche attraverso esecuzioni a prezzi calmiera- ti in certe giornate e cercan- do sinergie con le istituzioni del territorio.

Le stesse modalità di rinno-

vamento hanno permesso alla Fonda- zione di Venezia di svincolarsi dal lega- me storico con la Cassa di Risparmio, per rivolgere il suo sguardo alle attività

filantropiche sul territorio, mettendo a disposizione il proprio patrimonio per aumentare la fruizione “consapevole”

di Venezia e la sua provincia.

Un’iniziativa di grande successo, forse però non conosciuta da tutti, è “Gio- vani a Teatro”, un’opportunità che per- mette ai giovani residenti (o che studia- no e lavorano) a Venezia, e provincia, di poter ottenere dei biglietti per degli spettacoli teatrali a soli 2,50€ cadau- no, prenotando con un certo anticipo presso un apposito call center. Con questa cifra irrisoria c’è la possibilità di assistere anche a spettacoli di ottimo li- vello, se si pensa che nel circuito sono inserite moltissime serate del Teatro Stabile del Veneto (quindi il Goldoni, a Venezia, oppure il Teatro Verdi, a Padova), così come molti spettacoli di

“avanguardia” in tutti i principali cen- tri della provincia. Quest’anno, inoltre, presentando la tessera di iscrizione, è possibile accedere alla Fondazione Pi- nault (Palazzo Grassi e Punta della Do- gana) o alla Fondazione Guggenheim, sempre per la stessa irrisoria cifra.

Anche la Biennale si sta sempre più aprendo al territorio, come di- mostrano ad esempio le inizia- tive che verranno nel prossimo Carnevale per i bambini della città.

Tutto questo dimostra che le nostre istituzioni di caratura internazionale non sono solo un peso per la città, sofferen- te per il turismo di massa che tende a soffocarla, ma posso- no essere invece un’occasione di crescita di uno spirito “civico” dif- fuso nella città e oltre, capace di ripor- tare in questo territorio nuove oppor- tunità di sviluppo.

CULTURA METROPOLITANA:

VENEZIA SI APRE AL TERRITORIO

Spesso le grandi istituzioni culturali vengono vissute come distanti nel nostro territorio.

Ma è davvero così, oppure possono essere un’occasione di crescita per le nostre Città?

di Enrico Bianco

Le nostre istituzioni di

caratura internazionale possono essere un’occasione di crescita di

uno spirito

“civico” nella

città e oltre

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TASSE 11

C

he la pressione tributaria comples- siva abbia raggiunto livelli preoccu- panti, è un fatto tristemente notorio.

La cosa ancor peggiore, tuttavia, è lo spirito, quasi di rassegnazione, con il quale il contribuente affronta il dove- re di pagare. A ben o a mal pensare e facendo mente alla storia, questa situazione pare molto più affine ad una monarchia che ad una democrazia costituzionale, occidentale, contem- poranea: i cittadini non sono tali bensì sudditi di un sovrano che non deve dipendere che “dalla propria spada” e che non deve rendere conto al corpo sociale delle sue scelte.

Certo, sentir parlare di monarchia e di sovrano potrà sembrare una esa- gerazione ma, volendo essere onesti, sarebbe difficile pensare ad altre solu- zioni per spiegare la condotta del legi- slatore tributario italiano che, di fatto, pare agire in modo del tutto scollegato da quelle che, ormai, sembrano esse- re non solo lamentele ma veri e pro- pri disagi vissuti dal cittadino e con- tribuente in ambito fiscale. Alla base dei nostri sistemi tributari occiden- tali coevi, troviamo cristallizzato un principio:”no taxation without repre- sentation”, invero l’impossibilità per il “sovrano” di imporre nuove misure fiscali senza che queste siano previa- mente approvate dai “rappresentanti degli elettori”. Anche la Costituzione italiana acquisisce questa idea e la fa propria, elaborando una serie di misu- re per evitare che l’arbitrio del Gover- no, il “sovrano” di oggi, possa impor- re nuove misure tributarie senza che il Parlamento le approvi.

Altro fondamentale principio acquisi- to dalla nostra Costituzione è quello della progressività del dovere contri-

butivo, in base alla capacità contri- butiva. La combinazione dei due ele- menti non è agevole da spiegare, ma, a fini esemplificativi, si consideri che lo scopo è quello di assicurare un pre- lievo tributario che non sia solo “pro- porzionale” in base al “reddito” ma che consenta il generarsi di un prelie- vo tributario che tenga conto di molti singoli elementi che compongono la effettiva e non la presunta attitudine soggettiva a contribuire al dovere di pagare. Quindi, una madre single con un figlio a carico, a parità di reddito con un professionista non sposato e senza figli a carico, dovrebbe pagare meno del professionista perché la sua attitudine a contribuire è inferiore a quella del professionista.

Ma quante imposte rispet- tano questo parametro? A titolo di esempio si prenda un intervento di una mae- stra, pubblicato di recente sul Corriere del Veneto:

l’imu che la maestra deve pagare supera lo stipendio mensile. Altro esempio, ben noto agli imprendi- tori, dato dall’anticipo di imposte, pagato nel 2013, per il 2014 che collide con la attualità ed effettività della capacità contributiva che sono corollari legati ai principi esposti. Senza

contare gli effetti “confiscatori” (il divieto di confiscatorietà è espressa- mente previsto in alcune costituzioni, in Italia si ritiene possa comunque essere desunto dai principi della ma- teria) che determinate imposte gene- rano, compromettendo anche la pro- prietà privata.

Emerge il dubbio, in capo a chi scri- ve, in merito alla utilità di una Costi- tuzione che nasce proprio per porre dei freni all’arbitrio del “sovrano”

ma che è sistematicamente violata proprio dallo “Stato” che dovrebbe essere da questa vincolato; altro dub- bio emerge in relazione alla utilità di un Parlamento che approva, da anni, manovre fiscalmente onnivore, in manifesto spregio alle istanze dei cit- tadini e, forse, abusando del divieto di mandato imperativo che non consen- te il vincolo tra elettore e parlamen- tare che, come espresso nella Legge fondamentale tedesca, “non soggiace che alla propria coscienza”.

Ecco che ben si può capire l’espres- sione iniziale sulla mo- narchia: un centro di ar- bitrario potere in capo al

“sovrano”, inteso come detentore di potere indi- scusso che può fare il bel- lo ed il cattivo tempo, si ravvisa nel duo Governo- Parlamento. Un connubio immondo, strumentale al prelievo che, spesso, si è mostrato economicamen- te inefficiente, male pere- quato e fonte di clientele costose che vanno a tur- bare l’immagine e la cre- dibilità di uno Stato che - va ricordato - è anche erogatore di servizi pubblici di cui tutti godiamo e che, con una mag- giore trasparenza gestionale del pre- lievo, a monte, e dell’impiego, a valle, delle ricchezze riscosse con prelievo, potrebbe davvero far ricredere molti italiani, scettici ed abbattuti, sull’utili- tà di contribuire alla spesa pubblica.

TASSE, TASSE, TASSE

Chi di noi non si è mai lamentato delle tasse che è costretto a pagare allo Stato?

Dal principio del “no taxation without rapresentation” sino alle nostre moderne Costituzioni molti limiti sono stati imposti al legislatore in materia tributaria. Ma vengono rispettati?

di Luca Cadamuro

Emerge un dubbio in relazione alla utilità

di un Parlamento che approva, da

anni, manovre fiscalmente onnivore,

in manifesto spregio alle istanze dei cittadini e, forse,

abusando del divieto di mandato imperativo che non consente il vincolo

tra elettore e

parlamentare

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