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Umberto Nobile

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Academic year: 2022

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Umberto Nobile

A Teller, tre giorni dopo che vi avevamo atterrato col Norge, già pensavo alla nuova spedizione, scriveva Umberto Nobile, uno tra i più importanti inventori ed esploratori del XX secolo.

A 130 anni dalla nascita, l’Istituto Idrografi co della Marina dedica un inserto dell’Agenda Nautica alle imprese condotte al circolo polare artico da Umberto Nobile, ripercorrendole attraverso i suoi diari e le sue pubblicazioni, conservate nella biblioteca dell’IIM.

Nato a Lauro, in provincia di Avellino, il 21 gennaio 1885, dopo gli studi classici frequentò l’università di Napoli, laureandosi ingegnere industriale meccanico nel 1908, a pieni voti e con lode. Si specializzò nello studio e nella costruzione dei dirigibili e nel 1923 entrò nel Corpo Ingegneri della Regia Aeronautica con il grado di Tenente Colonnello.

Già nel 1918 aveva progettato il primo paracadute italiano e nel 1922 il primo aeroplano metallico italiano, il Ca 73, con l’ingegnere Gianni Caproni. Fra il 1923 e il 1924 progettò e fece costruire in Italia il dirigibile semirigido N-1, successivamente acquistato dall’Aero- club di Norvegia, che lo ribattezzò Norge.

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Il 15 luglio 1925, inaspettatamente, mi giunse un telegramma di Roald Amundsen, col quale il famoso esplo- ratore chiedeva d’incontrami a Roma per una “conferenza importante e se- greta”.

Amundsen da qualche mese era tor- nato da una spedizione nella quale aveva tentato, senza riuscirvi, di raggiungere il Polo Nord a bordo di due idrovolanti Dornier Val, costru- iti in Italia a Marina di Pisa.

A causa di un guasto ad uno di essi, i due apparecchi erano stati costretti a discendere sui ghiacci a nord delle isole Spitzbergen, 87°40’ di latitu- dine nord. Venticinque giorni dopo, abbandonato sul pack l’idrovolante avariato, Amundsen e i suoi cinque compagni erano tornati con l’altro idrovolante alla Baia del Re, da dove erano partiti.

Il 1 settembre 1925 a Roma ven- ne siglato l’accordo tra l’Aeroclub di Norvegia e il governo italiano, primo atto di Mussolini come mi- nistro dell’Aeronautica. Obiettivo della spedizione era compiere la traversata del Polo Nord dalle isole Spitzbergen a Point Barrow, in Ala- ska. Venne decisa la rotta, Roma- Pulham-Oslo-Leningrado-Baia del Re, e vennero approntate le basi per assicurare i rifornimenti.

Poiché l’N1, così com’era, non pote- va essere adoperato per una spedi- zione polare, fu necessario anche un lavoro lungo, meticoloso, paziente, durato vari mesi, che alla fi ne fu co- ronato da successo.

Partirono da Roma il 10 aprile 1926 e l’11 maggio dalla Baia del Re.

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Erano da percorrere 1280 chilometri, e la situazione meteorologica era tale da non sem- brarmi probabile che potesse bruscamente mutare nelle sedici ore necessarie per coprire quella distanza alla nostra velocità normale. Che cosa poi sarebbe successo di là dal Polo - nella regione inesplorata - nessuno poteva dirlo.

Oltre l’83° parallelo ogni forma, ogni traccia di vita scomparvero nel modo più assoluto.

Tuttavia, il sole illuminava l’immensa distesa di ghiaccio riempiendola di vita, sicché nessuno a bordo aveva la sensazione di volare su un deserto, nessuno sentiva la presenza di quell’immane desolazione. E che, dunque? Era così facile e semplice andare al Polo?

In realtà prima di raggiungere il Polo le condizioni meteo peggiorarono e il Norge ebbe ripetuti guasti al motore, ostruito da pezzi di ghiaccio.

Sorvolò il Polo Nord il giorno successivo alle 01:30 (GMT) e scese a circa 200 metri di quota per permettere il lancio delle bandiere dei tre Stati che avevano contribuito alla spe- dizione, ovvero Italia, Norvegia e USA.

Proseguì quindi in direzione dell’Alaska. Era appesantito dal ghiaccio e consumava più carburante del previsto. Inoltre nevicava, la nebbia era fi ttissima e dalle eliche si staccava- no frammenti di ghiaccio che colpivano il dirigibile.

La spedizione sembrava non dover fi nire più. Scrive Nobile: Nelle ultime settantasei ore

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io non avevo avuto che un’ora o due di riposo, e durante la traversata polare la nebbia, i proiettili di ghiaccio, i guasti da essi causati avevano reso ancor più penosa quella lunga veglia. Ma, giunti alle coste dell’Alaska, cessate le preoccupazioni dei pericoli incon- trati, la tensione nervosa si era allentata. Pensavo, è vero, alle diffi coltà e alle incognite dell’atterraggio, ma poiché - secondo il mio calcolo - avremmo dovuto atterrare soltanto dodici ore dopo, mi proponevo di concedermi un po’ di riposo. Invece quelle ultime ore, che divennero ventiquattro, furono le più tormentose, soprattutto per me.

Sarebbero dovuti atterrare a Nome ma, a causa del maltempo, Nobile decise di anticipare

l’atterraggio, che dovette svolgersi senza l’ausilio di personale di terra. Dopo una serie di peripezie, alle 07:30 del 14 maggio il Norge toccò terra a Teller, senza incidenti per l’equipaggio ma riportando gravi danni strutturali.

[…] io restai per qualche tempo […] a guardare la nave. Noi tutti eravamo incolumi, ma essa giaceva esanime, disfatta, sul campo bianco di neve. Ci aveva portato alla meta, sani e salvi, per migliaia di chilometri, sempre obbedendo ai comandi, senza mai stancarsi, quasi consapevole della gravità del compito che le avevamo affi dato; si era fatta legare docilmente alla cima di pilastri, essa che amava la libertà dei cieli, aveva affrontato bra- vamente la bufera […] Ed ora giaceva inclinata su un fi anco, mortalmente fi accata dalle mie stesse mani!

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Da Roma, la traversata era stata lunga 13.000 chilometri e aveva comportato nel comples- so 171 ore di volo. La spedizione aveva dato risposta a una questione geografi ca a lungo dibattuta dimostrando che al Polo Nord non c’era un continente, ma un immenso mare ghiacciato. La nostra grande avventura era fi nita.

Dal punto di vista geografi co, la spedizione di Nobile e Amundsen con il Norge ottenne risultati importanti, ma fra 85°30’ ed 82°40’ di latitudine, il dirigibile fu obbligato a vo- lare senza interruzione al di sopra di un banco di nebbia alto circa 1.000 metri sul mare, fi ttissima ed estendentesi fi no a perdita di vista; sicché a rigore, non si può escludere la possibilità che sotto la nebbia esistessero isole pianeggianti od anche collinose. In con- clusione il volo del Norge dimostrò l’inesistenza della grande terra che Harris e Peary pretendevano esistesse tra la Alaska ed il Polo; ma nello stesso tempo non fornì alcuna prova che realmente nella zona esplorata non esista una grande massa continentale sot- tomarina.

Umberto Nobile confessò al suo secondo, Riiser Larsen: “Penso che dobbiamo fare una nuova spedizione. In fondo col nostro viaggio abbiamo dimostrato praticamente che il dirigibile è il mezzo aereo più adatto per esplorare regioni sconosciute. Vi è ancora tanto da fare”.

Oltre che l’esplorazione geografi ca, la nuova spedizione si proponeva di svolgere un vasto programma di ricerche scientifi che nel campo dell’idrografi a, oceanografi a, magnetismo terrestre, gravità e biologia, da eseguire durante il volo e […] da effettuare soltanto in caso di discesa sui ghiacci”. Dando prova di notevole lungimiranza, Nobile scrive: “Na- turalmente non perdetti tempo a considerare la possibilità di scandagliare in piena corsa dell’aeronave, essendo tal seducente problema cosa insolubile allo stato attuale della tec-

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nica degli scandagli, pur non potendosi escludere che, prima o poi, se ne trovi la soluzio- ne, la qual cosa per l’esplorazione del mare polare costituirebbe un enorme progresso.”.

Nobile avrebbe voluto utilizzare l’N-5, un nuovo dirigibile semirigido con prestazioni molto superiori rispetto a quel- le del Norge, ma non riuscì a otte- nere i fondi per il suo completa- mento e dovette ripiegare sull’N-4, un dirigibile ge- mello del Norge.

Avrebbe inoltre voluto il supporto di due idrovolan- ti e di una nave di appoggio per le emergenze, ma ottenne solo quest’ultima, Città di Milano, posacavi della Regia Marina, il cui comando venne affi dato a Giuseppe Romagna.

Il dirigibile Italia venne dotato di speciali attrezzature, fra cui una cupola d’osservazione e una serie di palle di bronzo del peso di circa 400 kg da usare come ancora per fermarsi in posizione sopra il pack.

Furono necessari mesi di lavoro per predisporre l’equipaggiamento polare:

slitte di varie dimensioni, sci, scarpe da neve, indu- menti, un leggero battello in tela […], barche pneu-

matiche, calzature di vari tipi, armi, viveri di riserva e, natural- mente, la famosa tenda rossa, doppia, in seta, con una intercapedine di una decina di centi- metri fra le due tele.

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Partirono da Milano il 15 aprile 1928 alle 01:55. Insieme con Umberto Nobile, capitano della spedizione, e la sua cagnetta Titina, mascotte, c’erano Finn Malmgren (meteorologo e fi sico, svedese), František Behounek (fi sico, ceco), Aldo Pontremoli (fi sico), Ugo Lago

(giornalista), Adalberto Mariano (navigatore), Filippo Zappi (navigatore), Alfredo Viglie- ri (navigatore/idrografo), Natale Cecioni (capotecnico), Giuseppe Biagi (operatore radio), Felice Trojani (timoniere di quota), Calisto Ciocca (motorista), Attilio Caratti (motorista), Vincenzo Pomella (motorista), Ettore Arduino (capo motorista), e Renato Alessandrini (attrezzatore).

Arrivarono alla Baia del Re solo il 6 maggio, per colpa del maltempo e di problemi alla macchina.

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Come si sa, il mio programma compren- deva sostanzialmente un volo alla Terra di Nicola II e uno o due voli al Polo, che volevo raggiungere percorrendo, nell’an- data o nel ritorno, la zona inesplorata giacente al nord della Groenlandia e l’altra compresa fra il 30° ed il 40° me- ridiano est di Greenwich. Ammettevo poi la possibilità, una volta raggiunto il Polo, di dirigermi verso le foci del Mackenzie sulle coste settentrionali dell’America.

Il primo volo, l’11 maggio 1928, si con- cluse dopo poche ore a causa di una bu- fera di neve. Tuttavia, dal punto di vista scientifi co, questo volo non era stato inu- tile, perché Pontremoli in quelle otto ore di volo era riuscito a fare 10 osservazioni sulle radiazioni penetranti, 5 osservazio- ni sul gradiente del potenziale elettrico, 2 osservazioni di conducibilità atmosferica e 4 osservazioni di radioattività. Anche la bussola di Bidlingmayer era stata da lui adoperata, facendovi quattro serie di misure, di cui una sola, però, era utiliz- zabile, essendo state le altre turbate dai continui movimenti di beccheggio e di rullio dell’aeronave. Purtroppo Aldo Pontremoli, fi sico e fondatore del Dipartimento di fi sica dell’Università di Milano, fu tra coloro che morirono nel mare di Barents e i dati da lui raccolti non poterono essere valorizzati.

Il 15 maggio l’Italia partì per esplorare le due zone sconosciute comprese tra le Spitzbergen e la Terra Francesco Giuseppe, tra questa e la Terra Nicola II.

Il volo durò 69 ore, duran- te le quali vennero esplorati 48000 chilometri quadrati di regioni sconosciute, dimostran- do che la Terra di Gillis, che il capitano olandese Cornelius Giles sosteneva di aver avvista- to nel 1707 e che era riportata sulle carte inglesi, non esisteva.

Risultò inoltre che l’isola Gros- sa era lontana dalla costa pa- recchie miglia più di quello che era segnato sulle nostre carte.

Durante quel volo venne attra-

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versata per la prima volta la Terra di Nord-Est, accertando che è priva di un mantello di ghiaccio, come prima si riteneva. Nel corso della spedizione, inoltre, venne provato lo scandaglio acustico di tipo Behm.

Concesso un po’ di riposo all’equipaggio, la mattina del 21 maggio cominciammo a ri- mettere in ordine l’Italia per prepararla al prossimo volo […] un viaggio al Polo passan- do per il nord della Groenlandia.

Nobile dedicò due interi giorni ai preparativi per quello che defi nì un progetto audace, al termine dei quali dichiarò: Mi sentivo sicuro di riuscire.

E così, alle 04:28 del 23 maggio 1928 l’Italia partì verso il Polo, per il suo terzo e ultimo viaggio di esplorazione, dal quale non doveva più tornare. Dopo poco meno di venti ore di volo con fortissimo vento in poppa, alle 00:24 del 24 maggio, raggiunse il Polo Nord.

Purtroppo, non si poteva discendere sul pack; ma avevamo una promessa da mantenere:

deporre sui ghiacci del Polo la croce affi dataci da Pio XI, e a fi anco di essa la bandiera tricolore. […] La commozione ci vinse. Più d’uno aveva le lagrime agli occhi.

Dopo aver dibattuto se proseguire con il vento a favore verso Canada o Siberia o tornare alla Baia del Re per completare il programma di ricerche scientifi che, optarono per inver- tire la rotta. Il meteorologo della spedizione, Finn Malgrem, aveva manifestato la convin- zione che il vento da sud sarebbe scomparso cedendo il campo a venti dal nord. Purtroppo le sue previsioni non erano corrette e la mattina del 25 maggio la lotta aspra contro il vento proseguiva senza un attimo di tregua. Nevicava, la nebbia era fi ttissima e pezzi di ghiaccio proiettati violentemente dalle eliche colpivano i fi anchi della nave producendo- vi piccoli strappi, prontamente riparati. Nobile era preoccupato per il forte consumo di benzina e per le sollecitazioni cui erano sottoposte le strutture del dirigibile, ma si risolse

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a mettere in azione anche il terzo motore perché la bufera continuava a imperversare e l’I- talia avanzava troppo lentamente: non si riusciva ancora a vedere la terra, che avremmo

dovuto avvistare già da alcune ore.

Poco prima delle nove e trenta a causa del ghiaccio si inceppò il comando del timone e l’aeronave era forte- mente appruata, ma Nobile arrestò i motori e l’Italia riprese quota, emergendo dalla nebbia e rimanendo esposta al sole per una trentina di minuti, il tempo suffi ciente per rimediare al guasto.

Calcolare la posizione era diffi cile, bisognava navi- gare a vista: il dirigibile dovette tornare a circa 300 metri di quota, dove la nebbia era fi ttissima. Verso le dieci e trenta, si inclinò bruscamente verso poppa.

Pensai che vi fosse una perdita di gas, scrive Nobile, che diede ordine di effettuare una serie di manovre per contrastare la discesa, purtroppo invano. Intuii che non vi era più nulla da fare. […]L’urto contro il suolo era ormai inevitabile: tutto al più si tratta- va di ridurne le conseguenze.[…] I massi di ghiaccio si ingrandivano, si avvicinavano sempre di più. Un istante dopo urtammo. Fu uno scroscio spaventoso. Mi sentii colpire alla testa. Fui come compresso, schiacciato. Chiaramente, senza alcuna sensazione di dolore, mi sentii rom- pere alcune membra. Poi qualche cosa che dall’alto mi ruinava addosso mi fece cadere a testa in giù. Nell’urto la gondola si sfasciò, ma l’involucro del dirigibile resistette. I dieci uomini che si trovavano nella gondola di comando furono sbalzati a terra, mentre gli al-

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tri sei rimasero intrappolati nell’involucro del dirigibile. Questo, alleggeritosi di col- po, riprese lentamente quota e scomparve.

Mai ritrovato, probabilmente si inabissò nel Mare di Barents.

Il motorista, Vincenzo Pomella, morì sul colpo. Gli altri nove uomini sul pack era- no malconci, ma vivi. Appena si furono ripresi dallo choc e dalla disperazione, cominciarono a organizzarsi. Trovarono la radio e la tenda, che montarono subito;

si affrettarono a completare la raccolta dei viveri disseminati qua e là sul pack, e ri- cercare tra i rottami tutto ciò che poteva esserci utile e iniziarono a trasmettere un appello di soccorso al 55° minuto di ogni ora dispari […] ma inutilmente: nessuno ci sentiva. La tenda era piccola, ma essere in tanti in uno spazio così ristretto aveva pure qualche vantaggio, perché infi ne si riusciva a sopportare assai meglio il fred- do della notte.

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I viveri erano relativamente abbondanti - abbastanza da tenerci in vita per 45 giorni - e sul pack avevano recuperato due latte di benzina con cui potevano fare il fuoco, ma l’ac- qua era uno dei problemi più importanti, e non facile a risolversi. Bisognava cercare il ghiaccio dolce e scioglierlo.

La mattina del 28 maggio approfi ttarono della comparsa del sole fra le nubi per calcolare la posizione in cui si trovavano: 80°49’ latitudine nord e 26°20’ longitudine est. Avevamo derivato, nientemeno, di ventotto miglia in due giorni. Purtroppo calcolarono anche che la deriva, causata dal vento forte che soffi ava da nord-ovest, li avrebbe allontanati sempre di più dalla zona verso cui si era diretta Città di Milano. Benché l’SOS non fosse stato in- tercettato, infatti, le operazioni di soccorso erano partite comunque, visto il preoccupante silenzio dell’Italia. I superstiti sul pack ne erano al corrente perché riuscivano a intercet- tare il bollettino-stampa di San Paolo.

Nella notte fra il 29 e il 30 maggio, alla tenda rossa si avvicinò un orso bianco. Rimanem- mo in silenzio, raggruppati presso l’ingresso della tenda. Frattanto ci eravamo armati.

[…] Io tenevo stretta con un braccio Titina perché non abbaiasse. Gli spararono tre colpi con una Colt, e lo uccisero. La nostra situazione era enormemente migliorata: avevamo a disposizione, tolto il fegato che è velenoso, 150 o 200 chili di carne.

Dopo una serie di discussioni, Malgrem, Zappi e Mariano decisero di provare a raggiunge- re a piedi Capo Nord e di lì proseguire per la Baia del Re, per organizzare i soccorsi dalla Svezia. Nobile cercò di dissuaderli, ma non ci riuscì. Amareggiato, osserva: C’eravamo ridotti in sei, due dei quali gravemente feriti e incapaci di muoversi.

Nonostante tutto, mi ostinavo a credere nella radio, confessa Nobile. Faceva trasmettere in italiano, francese e a volte anche in inglese questa nota: “S.O.S. Italia, Nobile. Sui ghiacci presso l’isola Foyn, nord-est Spitzbergen, latitudine 80°37’, longitudine 26°50’.

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Impossibile muoversi mancando di slitte e avendo due feriti. Dirigibile perduto in altra località. Rispondete via Ido 32.” La sera del 6 giugno Biagi esclamò: “Ci hanno inteso!”

[…] L’attesa angosciosa delle nostre famiglie sarebbe cessata: fi nalmente esse avrebbero saputo dov’eravamo. […] I nostri cuori erano in alto, tanto da non sentire più nemmeno l’incubo di quell’odiosa deriva verso sud-est che inesorabilmente continuava.

Oltre che dall’Italia, partirono spedizioni di soccorso da Finlandia, Norvegia, Svezia, URSS e Francia. A bordo dell’idrovolante Latham 47 pilotato da René Guilbaud, c’era anche Roald Amundsen. Partito il 18 giugno da Trömso, il Latham 47 scomparve in mare e non venne mai più ritrovato.

Nel pomeriggio della terza giornata di bel tempo, il 17 giugno, vi fu un grande avvenimen- to. Avvistammo i primi aeroplani.

Erano velivoli norvegesi, ma ebbero un’avaria. Poi le condizioni di visibilità peggiorarono e per i primi lanci di rifornimenti i sei della tenda rossa dovettero aspettare il 22 giugno.

Giù dal cielo piovve ogni ben di Dio […] pacchi di ogni forma e dimensione. Alcuni, abbandonati liberi a se stessi, venivano giù dritti e veloci come un sasso; altri affi dati a giganteschi paracadute di seta, discendevano con grande solennità.

Il 23 giugno il pilota svedese Lundborg riuscì ad atterrare nei pressi della tenda rossa.

“Generale, sono venuto per prendervi tutti. Il campo è eccellente. Vi trasporterò tutti nella nottata.”

Purtroppo, dopo aver condotto in salvo Nobile e l’inseparabile Titina, al secondo viaggio il fokker svedese ebbe un incidente nell’atterraggio e Lundborg rimase a sua volta impri- gionato fra i ghiacci, insieme con i superstiti dell’Italia.

Nobile spedì loro un messaggio: “State tranquilli, sono qui io. Si sta preparando l’aeropla- no a pattini fi nlandese; ma per cautela sono stati richiesti in Inghilterra due o tre piccoli aeroplani. Riceverete per mezzo degli svedesi altri sei accumulatori, delle fumate, una tenda, alcune medicine, latte in polvere, 50 chili di pemmican e del combustibile solido.”

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La tenda rossa, trasportata dalla deriva, cambiava continuamente posizione.

Il 6 luglio un piccolo aereo trasse in salvo Lundberg, ma non si arrischiò a compiere altri atterraggi. Il rompighiaccio sovietico Krassin era rimasto bloccato e il suo trimotore, che aveva avvistato Mariano e Zappi (Malmgren nel frattempo era morto assiderato), era do- vuto atterrare a causa della nebbia e non riusciva più a ripartire. Finalmente, il 12 luglio, il Krassin recuperò prima Mariano e Zappi e poi i superstiti della tenda rossa, dopo 48 lunghissimi giorni sul pack.

Gli italiani delle nuove generazioni non possono, non debbono ignorare le vicende delle imprese del Norge e dell’Italia. A distanza di un terzo di secolo esse non sono ancora state superate nella loro audacia, e rimarranno nella storia della scoperta delle regioni polari quale prova dell’ardimento italiano.

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Foto e citazioni sono tratte da Umberto Nobile, Gli italiani al Polo Nord, Milano, 1959 e La preparazione e i risultati scientifi ci della spedizione polare dell’Italia, Milano, 1938 e da Alfredo Viglieri, 48 giorni sul «pack», Milano, 1929.

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